Auiso piaceuole Dato alla Bella Italia, DA VN NOBILE GIOVANE Francese, sopra la mentita data dal Serenissimo Re di Nauarra a Papa Sisto V.

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MONACO Appresso Giouanni Swartz. 1586.

[...] che vi ricordiate, che ēgli è Francese, che sono di na­tura colerica, ma dolce, perche tosto tosto passa lor via. Pero non restate per questo d'accettare alle­gramente questa mia picciol fatica, pigliando il buono, che ci trouerete in abbondanza, lasciando il reo, se pur ce n'è, & senza scordarui di me, che de­sidero di compiacerui, state sani.

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RISPOSTA FATTA ALLA scommunica di Sisto V. contra il Serenissimo Re di Nauarra, & contra l'Eccellen. del Pren­cipe di Condè. Attaccata in Ro­ma l'vltimo d Ottobre 1585.

ARrigo (per la gratia di Dio) Re di Na­uarra, Prencipe di Bearn, primo Pari, & Prencipe di Francia s'oppone alla di­chiaratione di Sisto V. che si noma Papa di Roma, mantenendo quella esser piena di falsita, & come di cosa male vsata se n'appella alla cor­te de Pari di Francia, de quali egli ha l'honore d'esserne il primo: Et quanto tocca al peccato d'Heresia, che falsa­mente gli viene nella predetta dichiaratione apposto, dice, & sostiene, che Messer lo Papa (sotto riuerenza di sua Santita) mente falsamente & reamente per la gola, & che egli è Heretico, il che il Re s'offerisce di prouare in vn Concilio libero, & leggittimamente ragunato, al quale se non comparisce, & se non vi si sottomette, come per gli suoi propri Decreti, & Canoni è vbligato, lo terra per vero Antichristo, & cōtra vn tale hauera perpetua guer­ra. In tanto protesta esser la predetta scommunica di niun valore, & (per mantenimento del suo honore) voler­se contra esso Papa, & contra i suoi successori risentire della 'ngiuria & dishonore, che non pure a lui solo, ma et­iandio [Page]andio a tutta la real casa di Francia vien percio fatta, co­me la necessità, & fatto presente richiede. Et, se per l'adie tro i Re, e i Prencipi suoi antecessori hanno saputo gasti­gare la temerita, & l'orgoglio di tali braui, quale è cotesto Papa, quando trapassato il termine del loro vfficio, han bruttamente mancato del debito loro, spera il predetto Re (che non è punto inferiore a quelli) che Iddio gli concede­ra tanta gratia di potersi vendicare contra lui, & contra i suoi successori della 'ngiuria fatta al suo Re, alla casa sua reale, al sangue suo, & a tutti i Parlamēti di questo regno, domādando per questo effetto il soccorso, & l'aiuto d'ogni Republica veramente christiana, come a coloro, a i quali pur tocca questo affare, & a i confederati, & a gli amici del suo Re, & della corona di Francia, contra la tirannia, & contra l'vsurpatione del Papa, & di que della Lega, congiurati contra lo stato del Prencipe loro, nemici di Dio, della Francia, & del general riposo di tutta la Christiani­ta. Questo medesimo protesta Arrigo di Borbone Prencipe di Condé.

Auiso, che vn Gentilhuomo Francese da alla bella Italia sopra la Mentita data dal Serenissimo Re di Nauar­ra a Papa Sisto V. nel qual si pruoua, come è ben data.

NOn ha (o bella Italia mia) vergogna il Papa, scoperto, come hoggi egli è, & dal mondo conosciuto per quello, ch'egli è, cioè Huo­mo del peccato, Figliuolo della perditione, & ab­bomineuole Antichristo, dipintoci in maniera dal­l'Apostolo, che egli non si puo piu celare? Non ha egli vergogna (dico) scornato, come egli è di mo­strare anchora le corna per ispauentare i putti, o i piu di loro sciocchi huomini, anzi insensati anima­li, che pure tutti hoggimai se ne douerebbon far beffe, & come cosa vana mostrarlo a dito, & ischi­farlo piu di qual si voglia mortifera peste, come fa­rebbero s'hauessero gli occhi per vedere, o punto di sentimento, per comprendere?

Farebbe meglio, cotesta Putta vecchia, gia sti­mata cotanto bella & santa vergine da suoi ciechi, & forsennati inamorati; di cui, non altrimenti che d'vna nuoua Alcina sono, hoggimai le brutezze, le sporchezze, & le abominationi palese ad ognuno, farebbe meglio, dico, a starsi cheta, senza correre dietro [...] [Page]do viuere, amano meglio di perire, & potendo ve­dere, amano meglio di rimanersi ciechi, tanto potere ha sopra di loro le delitie di questo cieco, & maluagio mondo. Va dunque o sciocca, & pazza Meretrice in quelle parti, oue anchora cotesti tuoi fulmini sono in alcuna parte temuti. Va madre del le fornicationi, con le quali tanto tempo guastasti la misera Christianita, ad offerirle, & a venderle acque, che anchora non hanno gustata la santita di Christo, & colà tenta di farle stimare, oue non sei conosciuta. Colà vsa ogni tuo imaginato miraco­lo, & ogni tua rea malia. Onde assai meglio per te sarebbe a cercare di conseruarti quel poco, che ti re­sta nelle predette due prouincie, senza col tuo ve­neno cercare di turbare il quieto riposo dell'infeli­ce Francia, la quale ami piu tosto di vedere distrut­ta, poi che a tuo piacere non ne puoi di lei dispor­re, come gia faceste. Hinc lacrimae. Ma il turbarla cō le guerre intestine, & ciuili (come hoggi tu fai) non è, non è gia il mezzo di racquistartela, si come fu gia, quando il Mondo pieno di tenebre d'igno­ranza, & vbriaco del vin delle tue non ben cono­sciute maluagita, ti permetteua cio che piu ti piace­ua, & tornaua bene a te sola, ma hoggi egli è d'vn' [Page 4]altra maniera, onde non ti dee parere strano, se i tuoi rei pensieri non ti possono riuscire, come ti sei imaginata, & come ti riuscirono nel tempo de gli Ottoni, de gli Henrici, de Ludouici, & de Federici (pur saui & magnanimi Imperadori) contra li qua li ti fu concesso d'alzar le corna, & di combattere felicemente, come contra i santi, & vnti dal Signo­re, anzi di vincergli. Questo ti fu conceduto da chi giustamente l'haueua cosi ordinato, ma non sai tu Misera, che ad ogni cosa è prescritto il suo tempo? Hoggi è dunque venuto il tempo, che tu combat­tendo a spada tratta, (aiutata dalla tua Lega Santa, particolare, & vniuersale) cōtra l'Agnello Christo, cioè contra coloro, che fanno aperta professione d'hauerti, come maluagia Meretrice abbandona­ta. è venuto il tempo (dico) che laida, & puzzo­lente Vecchia, resti vinta, scornata, & distrutta, & che il Re de Re, & Signore de Signori Christo be­nedetto rimanga di te vincitore.

Egli è venuto il tempo (o Babilonia grande) che Iddio s'è di te ricordato, per darti a bere il calice del vino dell'ira sua. I peccati tuoi sono infino al ciel peruenuti, ne piu oltre puo passare la tua superbia, & impieta, la quale, per mezzo del tuo seruo Concilio [...] [Page]mio, accioche non riceuiate delle sue piaghe. Sara anchor questo anno (se a Dio piacera) il comincia­mento dell'vscita sua, & compiuta liberatione d'v­na cosi lunga seruitu tua piu di qual si voglia Babi­lonica crudele, nella quale (tu furiosa, & insensa­ta) con le tue leghe, con le tue scommuniche, & con le tue guerre tenti piu che mai di riduruegli.

Et tu, o Papa, a guisa d'abbandonata, & sfac­ciata Puttana, chiami Heretico colui, che (come sauio, & aueduto) ascolta la voce del suo ver Pa­store Christo; & hauēdoti egli scoperto per merce­nario, per ladro, & per lupo, ti lascia, ti spreggia, & ti fugge (nō senza rischio della sua vita) per abbrac­ciare, per seguire, & per vbidire piu tosto Dio, che gli huomini. Non è, non è miga da Christo rigetta to chi crede in lui, auegna che quel sia scacciato dal la Sinagoga de Scribi, & Pharisei, non punto dis­simile della tua, la qual di nuouo crocifigge Chri­sto ne membri suoi; & sotto pretesto di religione, sparge per tutto il sangue innocente, empiendo la misera, & diuisa Christianita non d'altro, che di sangue Christiano.

Niuno (di sano giuditio) stimera Heretico chi crede al Vangelo, & non niega alcuno articolo del­la [Page 6]fede, non aggiugnendoui, ne scemandoui vn sol punto, & abbraccia con tutto il cuore Christo vero huomo & Dio, per suo vnico redentore, & saluatore; & in somma crede tutti gli articoli del Simbolo Apostolico, tra quali si fa mention di questo, cioè d'vna sua Santa Chiesa Catholica, & Apostolica senza altra giunta, non hauendo im­parato dalla parola di Dio, ne dalla dottrina E­uangelica, ne degli Apostoli, alla quale sola crede, & s'attiene, d'aggiugnerui questa parola (o piu to­sto bestemmia) di Romana, con la quale (o Papa) tu ti fai d'vna Particolare, vna Vniuersale, & d'vn Membro del corpo il Capo, con grandissima in­giuria di tutto il corpo & del capo insieme, il qua­le è vnico, cioè solo Giesu Christo nostro Signore. L'Apostolo apertamente dice, Che non puo esse­re altro Vangelo di quello, che noi habbiamo ri­ceuuto; anzi vuole che si tenga per Anathema qualunque si sia, se ben fosse il medesimo Paolo contrario a se medesimo, anzi vn'Angelo del cie­lo, che ci annuntiasse altro di quello. Et che fai tu altro, o Apostata, non Apostolo, Romano, ag­giugnendo questo articolo di fede a gli altri (co­me hanno sempre fatto i tuoi compagni, & vguali) che [...] [Page]Babilonia, & dicessero la sedia sua, essere la Sedia della gran Meretrice, anzi della seconda Bestia, & d'Antichristo. Son mille & quattro cento anni che Ireneo (l'vn de detti Dottori) cio preuide, il quale dice appunto cosi. L'Antichristo quantunque sia seruo, vorra nondimeno essere adorato come Dio. Le quali parole se bene le considererai (Italia mia) trouerai ottimamente dipingerci il ver ritratto del Papa, il quale si noma (non senza alto misterio dell'eterno Iddio) seruo de serui. Deh considera be­ne queste parole, & poi riuolge gli occhi a i fatti di cotesto scelerato, a cui i Re, & i sommi Imperado­ri son costretti di basciare (a grande onta loro) il puzzolente piede, & cio facendo, gli rendono (co­me essi dicono) la douuta vbidienza, come a Dio in terra. Tertulliano antichiss.theol.nel libro con­tra Giudei, & cōtra Marcione chiama Babilonia, fi gura della citta di Roma superba (come ella fu) & altiera Monarchia, anzi persecutrice & vincetrice de Santi. San Girolamo interpetra quel luogo di S. Giouanni, oue egli parla di Babilonia, dicendo che doueua esser Roma, & scriuendo ad Algasia dice cosi. Lo 'mperio Romano, che hora tien sotto dise tutte le genti, sara tolto via, & allhora verra l'Anti­christo, [Page 8]fonte d'ogni iniquita. Cosi ha egli molto bene inteso quel luogo dell'Apostolo a Tessaloni­censi, che è il medesimo di San Giouanni nell'A­pocalisse. cioè, Che essendo tolto via quel mostro di sette teste, & dieci corna, cioè il potente Imperio Romano, si leuerebbe su di terra vna Bestia di due corna, che vuol dire, vn'altro Prencipe sourano, il quale s'attribuirebbe vn'altro prencipato, & regno spirituale, & temporale, cioè, vn'ampia, & piena Podesta sopra le cose spirituali & temporali. Per le dette cose og [...]un vede chiaramente, che cio s'in­tende per lo Pontefice Romano, figurato per quel picciol corno, veduto da Danielle, nato fra le die­ci, il quale (come egli dice) crebbe mirabilmente, & parlando cose magnifiche, & superbe contra Dio, fece la guerra a i Santi. Ne significano altro le due chiaui, se quali il Papa s'attribuisce, che quel­la doppia Podesta di Re, & di sommo Pontefice, o Sacerdote, nelle cose spirituali, & temporali. Se il chiamare Antichristo colui, che si fa vescouo v­niuersale, & si constituisce capo della Chiesa, fosse Dottrina nuoua, & heretica, sarebbe parimenti stato heretico Grigoro magno primo di quel no­me, vescouo di Roma, che disse il medesimo son poco [...] [Page] audendo, fallendo, & bella ex bellis serendo, magni facti oues trucidant, occidunt: pacem, cocordiam terris depel­lunt: intestina bella, domesticas seditiones ab inferis eli­ciunt, in dies magis ac magis omnium vires debilitant, vt omnium capitibus insultent omnes deuorent, vniuersos in seruitutem redigant; &c. Le quali cose vogliono di­re sotto titolo di Sommo Pōtefice, nella pelle d'vn Pastore noi (purche ciechi non siamo) homai sen­tiamo vn lupo crudelissimo. I Pontefici Romani s'armano contra tutti i Christiani, & vanno con ogni arditezza & fraude seminando le guerre per tutto, facendole nascere l'vna dall'altra, & fatti troppo altieri, fanno vn miserabile stratio delle po­uere pecorelle, amazzandole. scacciano la pace & la concord [...]a della terra, cauano dallo 'nferno le guerre intestine, & domestiche congiure; in som­ma con lo 'ndebolire le forze d'ognuno, aspirano sopra gli honori, & le vite d'ognuno, per diuorar­gli tutti, & ridurgli tutti in seruitu. Soggiugne ap­presso le seguenti parole. Pontifices Babilonis soli Regnum cupiunt. Credite experto. Non cessabunt do­nec Imperatore in ordinem redacto, Romani Imperij ho­nore soluto, pastoribus veris expulsis per hunc morem omnia extinguant, omnia pedibus suis conculcent atque [Page 10]in templo Dei sedeant, extollantur (que) super id omne quod colitur. Qui seruus seruorum est, Dominus Dominorum perinde ac si Deus esset, esse cupit. Noua consilia sub pectore volutat, vt primum sibi constituat Imperium, le­ges commutat, suas sancit, contaminat, diripit, spoliat, fraudat, occidit, Perditus ille homo, quem Antichristum vocare solent; in cuius fronte contumeliae nomen scriptum est: Deus sum, errare non possum. In templo Dei sedet, longe late (que); dominatur. Soli (dice egli) vogliono i Pontefici di Babilonia regnare. Credete a chi per isperienza lo sa, che non cesseranno giamai, infino che abbassata, & posta giu la Maesta dello 'mpera­dore, & del sacro Imperio Romano, opprimendo i veri Pastori, non vengano a confondere, & a spe­gnere ogni ordine, & a calcare ogni cosa co piedi loro sì, che eglino si stieno a sedere nel tempio di Dio, & colà sieno inalzati sopra tutto quello, che si riuerisce, & adora. Chi è seruo de serui vuole es­ser Signore de Signori, come se fosse Iddio. Egli pensa & volge nell'animo suo nuoui consigli, ac­cioche egli si constituisca vn proprio Imperio; mu­ta le leggi, stabilisce le sue, guasta, corrompe, rapi­sce, spoglia, priua, defrauda, vccide quello Huo­mo di perditione, che sogliono chiamare Antichri­sto, [...] [Page] Dio. Cosi veramente auerra del caso di cotesta tua Babilonia Romanesca, come il Petrarca l'ante­uide, & prima di lui Dante, conforme a quello, che la parola di Dio n'addita, conciosia cosa che non ne passera vn'iota di quella, che il tutto non sia adempiuto. Cadera, & senza dubbio cadera co­testa nuoua Babelle, &, che che sia, si cantera di se quel verace canto della caduta sua, con tanta fe­delta registrato, & scolpito nel libro della Verita; la qual non bastò l'animo alla censura pōteficia di cancellare, come a capo di piu di ducento cinquan­t'anni (regnante il Papa fra Scarpone) seuerissimo inquisitore della heretica prauita, (come eglino no­man la verita del Vangelo) ha presunto di poter fare, leuando questi sacri versi (del vostro Petrarca, degni veramente d'eterna memoria) di quel libro, anzi di quel tesoro, che l'Italia tutta cosi volontieri vede, & legge. Da cosi fatta maluagita puo ageuol­mente ciascuno giudicare sotto qual fede passa la verita delle cose per le mani di cosi fatta Podesta papesca, la quale arditamente, licentiosamente, & senza ritegno verruno, corrōpe, & falsifica i libri, che consente di lasciare a noi mondani (come ella n'appella) vedere, accioche viuendo noi in vna o­scurita [Page 12]perpetua, non veggiamo la luce manifesta­trice delle sue sceleratezze; ne con minore risguar­do procede ella nelle cose sacre, anzi quelle piu che le altre confonde, rouescia, & guasta. Et perche cre­di tu, o infelice Italia, ch'egli non permetta, che tu legga le cose appartenenti alla tua propia salu­te, se non in latino, cioè in lingua a te straniera? Et perche credi (o misera) che egli si sforzi d'im­primerti nel capo, che chi legge la sacra, santa, & eterna parola di Dio, compresa nel vecchio, & nuouo Testamento, diuenti heretico? certo non per niuno altro rispetto, se non perche leggendola tosto conosceresti quale egli si sia, & accioche non cerchi di sottrarti dal suo insoportabil giogo, come certamente faresti. Ma vo tu vedere quanto em­piamente ti vieti cio; sappi che prima Moise co­mandò nella legge sua, che i sacerdoti parlassero (cioè predicassero) al popolo loro nella fauella da quello intesa; il che sempre fecero. Il somigliante comandò Christo a suoi discepoli. Paolo (eletto da Christo a spander fiume della sua verita) co­manda che ciascun di noi ricerchi, & essamini la santa scrittura; ma perche ci comanda egli cio, se il ricercarla, & l'essaminarla ci fa diuentare heretici? certo

[...]

Il naturale, & viuo ritratto del Papa, & di tutta la corte ecclesiastica papesca, cauato dall'antichi­ta, come si ritroua ne gli scritti di Dante, del Pe­trarca, & del Boccaccio, che sono i tre principali lumi della lingua vulgare Italiana.

Dante al settimo capo dello 'nferno terzetto xvi.
QVesti fur Cherci;
Auaritia madre di tutti i mali.
che non han coperchio
Piloso al capo; Papi, & Cardinali
In cui vsa Auaritia il suo soperchio.
Cap. xi. terzetto secondo, nel VI. cerchio degli Heretici.
Heresia.
Ci raccostammo dietro ad vn coperchio
D'vn grande anello, ou'i vidi vna scritta,
Che diceua: Anastasio Papa guardo;
Loqual trasse Fotin da la via dritta.

Fu Fotino vn'Heretico di Tessaglia il qual credeua lo Spi­rito Santo non procederedal Padre, & esser di meno autorita il Figliuolo che il Padre non cra. In questa erronea opinione nō solamente entrò Anastasio IIII. Pontefice, ma la volle anco­ra publicamente disputare, & sostentare.

Cap. xv. Terzetto xxxvii, tra i Sodomiti.
In somma sappi, che tutti fur Cherci,
Sodomia.
Et litterati grandi, & di gran fama
D'vn medesimo peccato al mondo Lerci.

Peccato, cioè, Sodomia. Lerci, vuol dire, lordi, sporchi, & macchiati.

Cap. xix. nella terza Bolgia.
O Simon mago, o miseri seguaci
Simonia.
Che le cose di Dio, che di bontate
Deon essere spose, voi rapaci
Per oro & argento per adulterate.

In questa Bolgia sono puniti i Simoniaci, cioè coloro che hanno comprato o venduto beneficij, & cose sacre; oue ritruo­ua Papa Nicolo III. tragli altri, che sono puniti in questo modo, che sono fitti col capo in giù in certe buchi di pietre, fuo ri delle quali hanno solamente le gambe, & hanno le suole de piedi onte, & accese di ardenti fiamme. Laonde i Papi sono suc­cessori, non di Simone Pietro, ma di Simone Mago.

Terzetto xxiii.
Se di saper ch'io sia, ti cal cotanto,
Che tu habbi pero la ripa scorza,
Sappi ch'io fui vestito del gran manto;
Nicolo III di casa Vrsina. Vedi Giouan Vilani a cart [...] 75. a. 10.
Et veramente fui Figliuol de l'Orsa
Cupido sì per auanzar gl'Orsatti
[...]
[Page] La riuerenza de le somme chiaui
Che tu tenesti ne la vita lieta;
I vserei parole anchor piu graui,
Che la vostr'Auaritia il mondo attrista
Calcando i buoni, & su leuando i praui.
Di voi Pastor s'accorse'l
† Apoca­ [...]isse 17. Cioè, la [...]hiesa, che [...]a lo 'm­ [...]erio sopra molte na­ [...]ioni.
Vangelista
Quando
† Apoca­ [...]isse 17. Cioè, la [...]hiesa, che [...]a lo 'm­ [...]erio sopra molte na­ [...]ioni.
colei che siede soura l'acque
Puttaneggiar co i Regi à lui fu vista.
Quella; che con le sette teste nacque,
Et da le diece Corna hebbe argomento,
Fin che virtute al suo marito piacque.

Ritratto della Meretrice Romana, cauato da l'Apoca­lisse, secondo San Giouanni. Veni & ostendam tibi damnatio­nem Meritricis magnae, quae sedet super aquas multas cum qua fornicati sunt Reges terrae, sedens &c. super bestiam haben tem cornua septem & cornua decem.

Fatto v'hauete Dio d'oro & d'argento:
Et che altro è da voi à l'Idolatre
Se non ch'egli vno, & voi n'orate cento?

Idolatria de i Papi, & la lor Auaritia, quae est idolorum seruitus.

Ahi, Costantin di quanto mal fu matre
Non la tua conuersion, ma quella Dote
Che da te prese il primo ricco Patre.

[Page 22] Seguita il poeta la commune opinione che Constātino Im­peradore conuertito alla fede donasse alla chiesa il temporale: ma non si truoua in historia alcuna, che mai si facesse questa donatione. Et Lorenzo Valla ne ha fatto vn libro, per pruouar che ella è falsa.

Cap. xxvii. terzetto xxix.
Lo Principe de nuoui Farisei
Hauendo Guerra presso à Laterano
Parla di Papa Bonfacio VIII che fece la guerra a i Colonne [...]
Et non con Saracin, ne con Giudei,

Parole del Conte Guido da Forli, gran Capitano fatto poi Cordigliere Zoccolante, a cui il Papa dimandò consiglio per pigliar Preneste, terra fortissima de Colonnesi. Seguita dicēdo.

Che ciascun su nemico era Christiano,
Et nessun era stato a vincer acri,
Ne mercatante in terra di Soldano;
Ne sommo officio ne ordini sacri
Guardo in se, ne in me quel
† Di cui si cingono i [...] Francesca [...] ni.
caprestro,
Che solea far li suoi cinti piu macri.
Ma come Constantin chiese Siluestro
Dentro Sirattia guarir de la lebbre
Leggi Gi [...] Vill. 13. b [...] 26.
Cosimi chiese questi per maestro

Vuol dire, che come Costantino Imperadore (secondo l'o­pinion del vulgo) chiese Siluestro che de la lepra il guarisse, co­si Bonifacio richiese lui, che lo sonasse della sua superba febre, cioè

[...]
Soura'l tuo sangue; & sia nuouo, & aperto
Tal; che'l tu successor temenza n'haggia:
C'hauete tue'l tu
Ridolfo [...]mperad. Leggi Gio. Villani 76. [...] 11. & 95. [...]9.
padre sofferto
Per cupidigia di costà distretti
Che'l giardin de lo 'mpero sia diserto.
Cicè, l'Italia giardin de l'Imperio.
Cap. xvi. terzetto xxxiii.
Le Leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo; però che'l Pastor, che precede
Ruminar puo, ma non ha l'vnghie fesse

Cioè, il Papa, che precede & dourebbe seruir di buono es­sempio a gli altri, non ha l'vnghie fesse, vuol dire, che non ha scienza, & non intende bene quel che far si dee.

Perche la gente; che sua Guida vede
Pur a quel ben ferir, ond'ella è ghiotta;
Di quel si pasce, & piu oltre non chiede.

Cioè, la greggia delle pecore, la qual vede il suo Pastore fe­rire, cioe tendere a quel bene, onde ella è ghiotta, cioè, occuparsi intorno ai beni temporali, & in accumular tesori & ricchezze, seguendo le sue pedate, si pasce di quello, & non dimanda piu altro.

Ben puoi veder, che la mala condotta
Ela cagion che'l Mondo, ha fatto reo
Et non natura, ch'en noi sia corrotta.

Il mal gouerno de Papi, è cagion che il mondo è corrotto, cattino & maligno.

[...]
Soleua Roma, che'l buon mondo feo,
Duo Soli hauer, che l'vna & l'altra strada
Facean vedere, & del Mondo, & di Deo.

Chiama i due Soli l'Imperadore, e'l Papa, L'vno cioè, il Pa­pa ha spento l'altro, confondendo il Temporale con lo Spiri­tuale.

L'vn l'altro ha spento, & è giunta la Spada
Col Pastorale; & l'vn & l'altro insieme
Per viua forza mal conuien, che vada:

Confusion della Spada Imperiale, & del Pastorale.

Però che giunti l'vn & l'altro non teme
Se non mi credi, pon mente à la spiga:
Ch'ogni herba si conosce per lo seme.

Riguarda al frutto, se voi saper quai siano i Papi. A fructi­bus eorum cognoscetis eos.

Di hoggimai che la Chiesa di Roma
Per confonder in se due Reggimenti
Cade nel fango, & se brutta, & la Soma.

Tirannia del Papa & del Papato, qual per vsurpar due reg­gimenti il Temporale & lo Spirituale, onde nel fango, & se brutta & la Soma, perche non potendo sostener tai pesi, con­uien che caschi, & si macchi nelle lordure & bruttezze d'infa­mia & vergogna: in sommafa vna confusione delle cose, & v­na Babilonia.

O Marco mio, diss'io, ben argomenti:
Et hor discerno perche dal Retaggio
Li Figli di Leui furon essenti.

I figli di Leui furono priuati del Retaggio, cioè della here­dita [...]

Et come uespa, che ritragge l'ago;
A se trahendo la coda maligna
Trasse del fondo; & gissen'uago uago.
Quel che rimase, come di gramigna
Viuace terra, de la piuma offerta
Forse con intention casta & benigna

Vuol dire, che la Chiesa (figurata pel carro) arrichita ad vn tratto per la liberalità de gl'Imperadori. (il che egli chiama Piuma offerta & accettata forse cō buona intentione) ne fu co­perta tutta come la terra, di viuace gramigna, cioè, la nuoua chiesa diuenne ricchissima de beni temporali, ma pouera & ignuda de gli spirituali.

Si ricoperse, & fune ricoperta
Et l'una & l'altra rota e'l temo in tanto;
Che piu tien un sospir la bocca apperta.
Trasformato cosi'l dificio santo
Mise fuor teste per le parti sue
Tre sour a'l temo, & una in ciascun canto.

Vuol dire, la santa chiesa cosi trasformata, & di pouera fatta ricca.

Le prime eran cornute, come bue:
Ma le quattro un sol corno hauen per fronte:
Simile monstro in uista mai non fue.
Sicura, quasirocca in alto monte,
[Page 20] Seder sour'esso una puttana sciolta
M'apparue con le ciglia intorno pronte.

Puttana sciolta, vuol dire dissoluta & sfacciata, intesa pur per lo Papa, che riuolge in qua in là gli occhi lasciui per adescar gli amanti, che sono i Prencipi, per titarli alle sue voglie.

Et come perche non li fosse tolta,
Vidi dicosto a lei dritto un gigante:
Et basciauans' insieme alcuna uolta.

Per quel Gigante in tenda Philippo il bello Re di Francia, che all'hora era amico di Bonifacio VIII. ma hauēdolo sco­perto per nimico, lo flagellò, facendolo prendere nella Magna, oue vinto dal dolore, finì i giorni suoi, come vn cane.

Ma perche l'occhio cupido & uagante
A me riuolse; quel feroce drudo
La flagello dal capo insin le piante.
Poi di sospetto pieno & d'ira crudo
Disciolse'l monstro & trassel per la selua
Tanto, che sol di lei mi fece scudo
A la puttana & a la nuoua belua.
Cap. xxxiii. Terzetto xii.
Sappi che'l uaso, che'l serpente ruppe,
Fu; & non è: ma chi n'ha colpa, creda
Che uendetta di Dio non teme suppe.

Questo luogo è veramente degno d'esser notato. Il com­mentatore sopra esso dice, come è tratto dal decimo settimo ca­po [...] [Page] [...] mana, che é l'Antichristo. Ma se pure d'vn'Arrigo duce, o Du­ca si dee ciò intendere, notiamo come hoggi ci sono due Arri­ci leuati in piede, i'vno è il Sereniss. Re di Nauarra, l'altro il Prencipe di Condè, per le mani de quali dobbiamo sperare che questa Prophetia si possa adempiere. Che cosi faccia Iddio. La Fuia, cioè la Puttana piena di Foia, che auampa tutta di lasciuia, & quella Puttana adultera è pigliata (come dice lo spositore) per lo Papa, & per la chiesa di Roma. Et quel Gigante, che con lei delinque. cioè, il re di Francia, ilquale, come il Landino ispone, fece con Clemente molte ignominiose conuegne, cioè conuen tioni, & patti scelerati, contra l'honore della Chiesa, & percio con lei puttaneggiaua, & peccaua, non è punto questo luogo dissimile dal prodotto di sopra dell'Apocalisse, quando dice, Vieni che ti mostrero il luogo della gran Meretrice, con la quale i Re della terra hanno puttaneggiati. &c.

Ma forse che la mia narration buia,
Qual Themi & Sphinge, men ti persuade
Perch'allor modo lo 'ntelletto attuia:
Ma tosto fien li fatti le Naiade,
Chesolueranno questo enigma forte
Senza danno di pecore & di biade.
Tu nota: & si come da me sonporte
Queste parole, si le 'nsegna a i uiui
Del uiuer, ch'è un correr a la morte:

Et forse che la mia narration buia. cio viene a dire, Pera­uentura che la mia oscura narratione ti persuade meno, chesi facessero i risposi di Themi, & di Sphinge, le quali dauano le loro risposte oscure, onde era necessario hauere un'agutissimo interprete. Themi fu Dea de Gentili, la quale in Parnaso monte [Page 22]daua risposta di cio, che se le domandaua, ma molta oscura. Sphinge fu vn Mostro, che staua in vn monte vicino alla citta di Thebe, & a chiunque passaua proponeua vn dubbio, che i Greci chiamano Enigma. Ma tosto (dice) verran le Naiede, che solueranno, dichiareranno questo Enigma. queste Naiede eran quelle, che poi interpretauano risposi di Themi. Senza danno di pecore, o di biada. cioè, senza hauere a cerrare la 'nterpretatione co sacrifici di bestie, o col dare a beccare a polli; come faceua­no gli Aruspici, e i Pollarij de Romani. gli vni dalla dispositio­ne del fegato, gli altri dal veder beccare la biada a polli, predice­uano le cose future. Neghera hora niuno, che per queste Naie­de non si debba intendere Martin Luthero, Filippo Melātone, Erasmo Rotoredamo, Martin Bucero, Zuinglio, & tanti altri valenthuomini, che sono stati in questi vltimi tempi, li quali tutti hanno ottimamente dichiarata questa vera prophetia? Seguita dicendo, Tu nota. &c. cioè con diligenza attendi & insegna queste cose a viui. A viui del viuere, ch'è vn correre a la morte. Il vero viuere è de beati, quali viuouo senza pericolo di douer morire, come Noi, li quali non siamo veramente vi­ui, conciosia cosa che la vita nostra sia vn brieue corso, che ci conduce alla morte.

DEL PARADISO.

CANTO. VI. Terzetto xliii.
La tua citta; che di colui è pianta,
Che pria volse le spalle alsu fattore,
Et di cui è la 'nuidia tanto pianta;
[...]

[Page]& interditti ma lo da volontieri, & gratis a ognuno che lo dimanda.

Ma tu; che sol per cancellare scriui;
Pensa che Pietro & Paolo, che moriro
Per la
† Cio è la Chiesa.
vigna che guasti, anchor son viui.
Ben puoi tu dire; i ho fermo'l disiro
Sia colui, che volle viuer solo
Et che per salti fu tratto al martiro;
Ch'i non conosco il pescator, ne Polo.

Cioè San. Giouanni che elesse di viuere nel deserto, & che fu morto in premio del saltare della figlia d'Erode. Perche il Fiormo d'oro ha da vna banda il Giglio, & da l'altra S. Gio­uanni, & dice quello, cio è non San. Giouanni, ma il fiorino, es­ser tanto amato dal Papa, che eglinon conosceua piu ne Pie­tro, ne Paolo.

Cap. xxi. Terzetto. xlii.
Poca vita mortal m'era rimasa;
Quado fu chiesto & tratto a quel
† Pier Da­miano ro­mito fatto Cardinale.
cappello
Che pur di mal in peggio si trauasa.
Venne Cephas; & venne il gran vasello
De lo spirito santo magri & scalzi
Prendendo'l cibo di qualunque hostello.

Biasima i Pastori & i Prelati di quei tempi, & dimostra quan­to erano degenerati da i primi Pietro & Paolo poueri, mendici, & scalzi.

Hor voglion quinci & quindi chi rincalzi
Gli moderni pastori, & chi li meni;
Tanto son graui; & chi dirietro gli alzi.
Cuo prond'e manti lor gli palafreni;
Si che due bestie van sott'vna pelle
O patientia che tanto sostieni?

Habito & procedere de Cardinali a cauallo, & Soprale lor mule, come vanno per Roma.

Cap. xxii. Terzetto. xxvi.
Le mura, che soleno esser badia,
Fatte sono spelonche; & le cocolle
Sacca son piene di farina ria.

Cocolle sono habiti di frati & Monaci, hora del tutto cor­rotti, & guasti. &c.

Pier cominciò sanz'oro & sanz'argento,
Et io con oration & con digiuno,
Parole di San Bene­detto.
Et Francesco humilmente il suo conuento.
Et se guardi al principio di ciascuno,
Poscia riguardi la dou'è trascorso,
Tu vederai del bianco fatto bruno.

La corruttione d'ogni ordine di preti di frati, & d'ogni altro ecclesiastico nella chiesa.

Veramente Giordan volto è retrorso:
Piu fu il mar fuggir, quando Dio volse,
[...]
Con voce tanto da se transmutata;
[...]arole di S. [...]etro con­ [...]a i Papi.
Che la sembianza non si muto piue:
Non fu la sponsa di Christo alleuata
Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto;
Per esser ad acquisto d'oro vsata:

Non per ammassar danari, ma per acquistar la celestiale vita, che è beata, & eterna.

Ma per acquisto d'esto viuer lieto
Et Pio, & Sisto, & Calisto, & Vrbano
Sparser lo sangue doppo molto fleto.

Furono questi martirizzati per la predicatione del Vangelo.

Non fu uostra 'ntention, ch'a destra mano
D'e nostri successor parte sedesse,
Parte da l'altra del popol Christiano;
Ne che le chiaui, che mi fur concesse,
Diuenisser segnacolo in vexillo,
Che contra battezzati combattesse;

A la destra i Guelphi, a la sinistra i Ghibellini, quei fauoriti, et questi perseguitati et oppressi. cioè, che le chiaui diuenissero segnacolo posso per insegna su le haste, et si spiegassero contra la gente battezzata.

Ne ch'i fosse figura di sigillo
A priuilegi venduti & mendaci;
Ond'io souente arrosso & isfauillo.

Ne che Pietro fosse figura di sigillo, a Priuilegi venduti et de [Page 26]mendaci, perche i Breui, et le Bolle Papali si bollano con la fi­gura di S. Pietro.

In vesta di pastor lupi rapaci
Si veggion di qua su per tutti i paschi:
Quali si s [...] no i pasto [...] della Romana chi [...] sa.
O difesa di Dio perche pur giaci?

Qui veniunt ad vos in vestimentis ouium, intus autem sunt lupi rapaces. è pur cosa mostruosa, che i pastori diuentino lupi.

Del sangue nostro Caorsini & Guaschi
S'apparecchian di bere: o buon principio
A che vil fine conuien che tu caschi.

Inuehisce contra Giouanni 22. Caorsino, di Caorsa città, & contra Clemente V. di Guascogna.

Ma l'alta prouidentia, che con Scipio
Difese a Roma la gloria del mondo,
Soccorrà presto, si com'io concipio:

Iddio che conseruó Roma per lo valore di Scipione soccor­rerà la sua chiesa, per via di qualche egregio Heroe.

Et tu Figliuol, che per lo mortal pondo
Anchor giu tornerai, apri la bocca;
Et non nasconder quel, ch'i non nascondo.
Cap. xxix. Terzetto. xxxi.
Non vi si pensa quanto sangue costa
Seminarla nel mondo,
Contra i predicatori di quel tempo.
& quanto piace
Che humilmente con essa s'accosta.

Non si pensa quanto sangue di Christo, de gli Apostoli & de [...] [Page]Comincia il parere di Francesco Petrarca intorno la persona del Papa, & della romana chiesa, il quale fu di lauro incoronato in Roma l'anno di salute 1539. & fu il predetto parere, lascia­to sempre intiero infino sotto il pontificato di Pio V. con gran ragione cognominato Fra Scarpone, la censura del quale, non potendo sofferire questo verace parere, lo fece sottrarre alla ve­rita, & cancellalro dal rimario del poeta tuo, o cieca Italia, pu­re hora rimesso in luce, & ristituito al Mondo cieco, che virtu non cura, con gratia & priuilegio. Et con questa interpreta­tione, anzi adempimento di questo suo Vaticinio.

Salmo. xi.
Egli fara sopra gli Empij piouere Lacci, Fuoco, Solfo, el Vento della tempesta fia la portione del Calice loro.

Cauati dal testo del Petrarca stampato d'Aldo nel 1514.

Son. xcii.

De l'empia Babilonia, ond'é fuggita
Ogni vergogna, ond'ogni bene é fori,
Albergo di dolor, Madre d'errori
Son fuggito io per allungar la vita. &c.

Sonetto. CVI.

Fiamma dal ciel su le tue treccie pioua
Maluagia, che dal fiume & da le ghiande
Per l'altru'impouerir se ricca & grande;
Poi che di mal oprar tanto ti gioua:
[Page 28] Nido di tradimenti, in cui si coua,
Quanto mal per lo mondo hoggi si spande,
Di vin serua, di letti, & di viuande;
In cui luxuria fa l'ultima proua.
Per le camere tue fanciulle & vecchi
Vanno trescaudo, & Belzebub in mezzo
Co mantici, col fuoco, & con gli specchi.
Gia non fostu nudrita in piume al rezzo;
Manuda al vento, & scalza frali stecchi:
Hor, viui sì, ch'a Dio ne venga il lezzo.

Sonetto. CVII.

L'auara Babilonia ha colmo'l sacco
D'ira di Dio, & di vitij empi & rei
Tanto, che scoppia; & ha fatto suoi Dei
Non Gioue, & Palla, ma Venere, & Bacco.
Aspettando ragion mi strug go & fiacco:
Ma pur nouo Soldan veggio per lei;
Loqual fara, non gia quad'io vorrei,
Sol vna sede; & quella fia in Baldacco.
Gl'Idoli suoi saranno in terra sparsi,
Et le torri superbe al ciel nemiche;
Et suoi torrier di for, come dentr'arsi.
[...]
Per te sta la ragion; non puo negarsi,
Ne contra l'armi tue quell'inimiche
Star ponno, bench'in ciel veggiamle alzarsi.
Anime pie, di vera laude amiche
Destate il valor vostro & rinouarsi
Vedrem qui'l mondo & pien de l'opre antiche.

Sonetto tertio.

Fontana di dolor, il tempo hor gira
Ch'in te diuisa à te cagion tu sia
Del mal che vide ducento anni pria
Vate, che tutta Italia tanto ammira.
E'hor ben n'é la stagion se ben si mira,
Che pien tuo sacco esser piu non potria
D'ogni veleno, fraude, e hipocrisia,
Si ch'ogni strale il Ciel contra te tira.
Guai, Babilonia à te; com'hai spogliate
Le Greggie tutte, onde sei fatta adorna
De le spoglie di Christo; il tempo hor viene,
Che le rapine tue, e Corna alzate
Tolte ti sian; & chi dal Ciel ritorna
Di te triomphi, e tal'é nostra spene.

Sonetto quarto.

Fiamma dal ciel (tempo é) piouer i veggio
Roma, su le tu treccie, e altiera chioma
Tu pur, qual Babilonia, & non piu Roma
Homai confusa andrai di male in peg gio
Tempo é de la Ruina, (& non vaneg gio)
Di te, che qua giu Regina il Mondo noma;
Ch'ogni superbia vn breue tempo doma,
Et sottosopra andrà quel sommo seggio.
Mancar gia senti sotto alta Colonna
Che ti fu appoggio à porre il piè superbo
Sopra l'Impero, & di lui a farti donna.
Hor, tolta lei, tu il piè piu non porrai,
Nel Santuario (o caso per te acerbo)
Et tosto in giu, Putta scoperta, andrai.

Sonetto quinto.

L'auara Babilonia (il sacco é pieno
Di vitij horrendi, e à Dio ne viene il lezzo)
Se ne va giù: Ne val lusinga o vezzo
Che faccia à ricoprire il suo veleno.
Qui, doue l'arte e'l fuco le vien meno
Se contra vn Popol prode à l'arme auezzo
Forza é che vegna, ella cadra dasezzo
Portando il mal, da se diuisa in seno.
[...]

[Page] di fantasime, &, per dirlo breuemente, la sentina di tutte le sceleratezze, & infamie: & quello Infer­no de viui, tanto ben notato per bocca di Dauide, prima che fosse fondato & conosciuto.

Et altroue: Quid quid de Assyria vel Aegyptia Babylone, quid quid de quatuor labyrinthis, quid quid de­nique de Auerni limine, deque Tartareis syluis, sulfureis­que paludibus legisti, huic Tartaro admodum fabula est. Hîc turrificus simul, & terrificus Nimrhot, hîc phare­trata Semiramis: hîc inexorabilis Ninos, hîc Rhadamā ­tus, hîc Cerberus vniuersa consumens, hîc tauro sup­posita Pasiphae, mixtumque genus, (quod Maro ait) Prolesque biformis Minotaurus inest Veneris monimē ­ta nephandae, hîc postremo, quidquid confusum, quidquid atrum, quidquid horribile vsquam est aut fingitur, aspi­cias; &c.

Quanto tu hai letto de l'Assiria, de la Babilonia d'Egitto, de i quattro laberinti, de l'entrata d'Auer­no, delle tartaree Selue, & Solforee paludi, non è nulla, & è come vna fauola appresso di questo In­ferno. Qui torrifico, & terribile Nembrot, qui la pharetrata Semiramis, qui l'inessorabile Ninoe, qui Rhadamante, qui Cerbero che consuma o­gni cosa, qui la Pasifea congiunta al Tauro, quella generatione mista (che dice Virgilio) & razza bi­forme [Page 32]del Minotauro si ritroua, per testimonio & monumento d'una nefanda Venere; In somma, quanto è di confuso, quanto è di brutto, quanto è di monstruoso horribile al mondo, o quanto se ne finge, qui certo, che tu potresti vedere.

Il medesimo Petrarca ne l'Epistola 20. chiama la Corte del Papa, la Babilonia, & Meretrice Ba­bilonica, che si siede sopra l'acque, & madre di tut­tale idolatrie, & scortationi. &c. Cosi ne scriue in piu altri luoghi molte altre cose simili, & vie pig­giori.

Finisce il parere di Francesco Petrarca intorno la Chiesa romana, & il Papa.

Comincia il parer di Giouanni Boccaccio da Certaldo, cauato da la seconda Nouella della prima Giornata del suo Decamerone. il quale io ti produco per lo terzo testimo­nio, accioche (come è scritto) nella boccadi due o di tre, spe­tialmente di tale autorita, & qualita, stia ferma ogni parola. E questa Nouella del Boccaecio (come molte altre, lequali aperta­mente talhora scherzando, talhor parlando da vero, toccano & scoprono gli abusi, le fraudi, & tristitie della Corte Roma­na) censurata anche ella da Pio V. Papa, detto Fra. Scar­pone, & è leuata via &, come cancellata dal suo Decamerone, ma tuttauia ne riman la Verita viua & scolpita nella fronte de Papi, & in tutta la lor vita, che pur va sempre mai piggio­rando, & di tal maniera che si troua haggidi nel colmo d'o­gni sceleraggine, superbia, & tirannica arroganza, si che par bene

[...]

[Page] [...] uendo alla manifesta Simonia procureria posto nome, & alla golosità sostentationi, quasi Iddio (lasciamo stare il significato de vocaboli) ma la in­tentione de pessimi animi non conoscesse, & a gui sa de gli huomini a nomi delle cose si debba lascia­re ingannare. Le quali insieme cō molte altre che da tacer sono, sommamente spiacendo al giudeo, si come a colui, che sobrio, & modesto huomo era, parendogli assai hauer veduto, propose di tor­nare a Parigi. & cosi fece. Alquale, come Gian­notto seppe; che venuto sen'era; niuna cosa meno sperando, che del suo farsi christiano, domandó quello, che del santo padre & de cardinali & de gli altri cortigiani gli parea. Alquale il giudeo presta­mente rispose. Parmene male, che Iddio dea a quā ­ti sono. Et dicoti cosi, che se io ben seppi conside­rare, quiui niuna santita, niuna diuotione, niuna buona opera, o exemplo di vita, o d'altro in alcu­no che cherico fosse, veder mi parue, ma lussuria, auaritia, & golosità, & simili cose et piggiori (se piggiori esser possono in alcuno) mi vi parue in tāta gratia di tutti vedere, che io ho piu tosto quel­la per vna fucina di diaboliche operationi, che di diuine. Et per quello che io estimi con ogni solle­citudine, et con ogni ingegno, et con ogni arte mi [Page 34]pare, che il vostro pastore, et per conseguente tutti gli altri si procaccino di riducere a nulla, et di cac­ciare del mondo la christiana religione. La doue essi fondamento, et sostegno esser dourebber di quella. Et percio, che io veggio non quello adue­nire, che essi procacciano, ma continuamente la vostra religione aumentarsi, et piu lucida, et piu chiara diuenire, meritamente mi par discerner lo spirito santo esser d'essa si come di vera, et di santa, piu che d'alcun'altra, fondamento et sostegno. Per la qual cosa doue io rigido, et duro staua a tuoi conforti, et non mi volea fur christiano, hora. &c.

Dipinge poi (il valente Boccaccio nella quarta nouella della predetta giornata) a viuo la vita de monaci, dicendo, Vn monaco caduto in peccato degno di grauissi­ma punitione honestamēte rimprouerando alsuo Abate quella medesima colpa, si libera dalla pena. Nou. 4. Hora se vuoi cōsiderare bene (tu che leggi) quan­to sia la maluagita del Papa, & de suoi inquinatori, volli dire inquisitori; considera, che non ostante che ciascuno mezzanamēte tinto di lettere sappia che la nouella non sia altro, che vna fauola, che habbia in se del verisimile; hanno non dimeno corratta questa nouella cosi ne testi, che hog­gidi permettano vscire in luce, Vno scolare caduto in peccato

[...]

[Page] [...]quie, & superstitioni loro, con le quale abusano scelera­tamente i semplici.

Nella terza nouella della settima giornata, quale sie­no gli incantesimi de frati. La quale hanno in molte voci mutata.

Nella seconda dell'ottaua giornata, si puo vedere qual sia la castita, & auaritia de preti di villa.

Et vltimamente nella seconda nouella della nona gior­nata la dishonesta lussuria delle monache si ci vede, la quale hanno mutata d'vna Badessa in vna Donna, & in luogo d'una monaca, cimettono vna damigella, & in luo­go d'vn Prete mettono, Il suo amante. O scelerati sete cosi ciechi, che vi facciate (a guisa del fagiano, che quando ha coperto il capo, si crede di essere d'ognun nascosto, & si­curo) a credere, che, per hauer voi leuate, mutate, & cancellate alcune parole, la verita non si sapra? ma non sapete voi che quando a gli huomini sara turata la bocca, che le parete parleranno? Non è assai, o fornicatori, a di­re, Si non chastè, tamen cautè, perche ogni segretissima cosa il tempo, & la verita manifesta. Ho, sopra questo particolare, a dimostrare alle nostre Damigelle Francese, quanto obligo debbano hauere a quegli Inquisitori. Egli è cosa sicura, che questa voce Damigella, o Damigelle, non è tua (o Italia) ma della mia cieca Frācia, pero i giusti, et diritti Inquisitori, con la coscienza, assai piu larga delle lo­ro [Page 36]ampie maniche, lieuano la castita dalle nostre Dami­gelle, per coprire la vituperosa lasciuia delle loro mona­che, anzi puttane; la quale senza rossore alcuno attribui­scono alle nostre Damigelle. Ma guai guai a voi Hipo­criti, che chiamate il bene male, e'l male bene, il bianco nero, e'l nero bianco, il casto lasciuo, e'l lasciuo casto. Ma è tempo di por fine a questo proposito, il quale faccia Iddio che ti sia d'alcuno giouamento.

Finisce il parere di Giouanni Boccaccio da Certaldo.

Non ti dissi io di sopra (caro Lettore) che que­sto gentile autore era arriuato infino al monte Parnaso? ma se porrai ben mēte a seguenti sonetti, trouerai anchora, che sopra vi sali egli felicemente, et come beuué assai ben di quel dolce liquore, on­de vn po po piu che ne'beueua, s'vbriacaua, & v­briacato, l'hauerebbe impattata a ser Virgilio, & al Petrarca ancora, hor va! Ma leggili, & quando a te ti dara l'animo di farne altrettanti nella sua lin­gua, allhor mi parli.

[...]

Sonetto tertio.

Heretico non é chi de la Chiesa
L'unico Capocrede essere Christo,
Che fè di lei col proprio Sangue acquisto,
Et sta di leimai sempre a la difesa:
Crede, che troppo é sua Maesta ofesa
(Ch'é onnipotente,) a dir che mal prouisto
Ei v'habbia, crede ch'è da te Antichristo
La sedia sua mal vsurpata & presa.
Ei lasciò i suoi per fidi Ambasciadori
De la sua gratia, & non per Successori
De la suagloria. Efurto. Et ciò chicrede.
Heretico noné. Ergo tu menti,
Tu ti fai Dio; e, Huom misero, non senti
Che tel farà sentir chitutto vede?

Sonetto quarto.

Di Christo Desertore & de la Chiesa
Non é (come osi dir) chi te non vuole,
Apostata, Antichristo, & Christo cole
Sol Pastor sommo & Capo de la Chiesa:
Tescorgevn Lupoentrato ne la Chiesa
Per diuorarla, ond'hor tutta si duole,
Et se la pasci, é sol di frasche & fole,
Over di Dio Nemico, & di sud Chiesa.
Va Giuda traditor. Tu Christo basci,
E'l vendi à prezzo & vile; anzi lo lasci
A chilo vuol quasi per vn niente.
Tu sei quel desertor di Christo, o Sisto:
Tu la Bicorne bestia, l'Antichristo;
Et mentià dir, che, chi ciò crede, mente.
[...]

Sonetto Settimo.

Tu menti; & come puoi tu non mentire
Che si ami'l falso, e'l ver non dici mai?
Ladro, tu gridi; al ladro; & cosi sai
I furtituoi, hipocrita, coprire.
Hor, odi tu, se puoi'l vero vdire▪
Con quel tuo Folminar si vano homai
Dimmi, insensato, che pensi? che fai
Se no tua Furia, & vanità scoprire?
Meglio faresti homai d'andar coperta,
Fit cheta, sospirar d'esser deserta,
Senza dir nulla à chi poco ti teme.
Ma tu, sfacciata, ancor tacer non puoi
Benche colta tu sia ne i furti tuoi,
Onde tu menta, & te ne penta insieme.

Sonetto octauo.

Tu l'Antichristo, o Papa, & la Babele
Piena di confusion, d'Idolatria
La Chiesa tua si puo ben dir che sia;
Ond'vscir dè qualunque a Dio è fedele.
Sopra di ciò tu fondi tue querele,
Et chiami error, Riuolta, & Heresia
Il da te separarsi, & da la via
Che col mortal suo dolce ha molto fele.
Ma vbedir pur conuienea chi d'vscire
Da i lacci tuoi commanda, anzi fuggire
Per non participar ne le tue piaghe.
Non errà gia chi è vbediente a Dio
E'l Tempo vien (ne è lunge al parer mio)
Che di tante bestemmie il Ciel ti paghe.
[...]

Sonetto vndecimo.

La Proua sia, Paolo quel Vaso eletto,
De la cui Spada altiero ancor ti vanti
Non men che de le Chiaui, & Sacri Mar
Altro ei non sa che Christo benedetto.
Ma stare al tuo vorrai non al suo detto;
Et non contento del Santo de iSanti,
Santissimo ardirai di porti auanti
Huom di peccato infame & maledetto.
Appunto ei da lontan di te s'accorge,
E'l ver Ritratto tuo in man ne porge
Gianoto assai; Ne piu celar ti gioua.
Non mente doppo lui chi te, Ser Sisto,
Tra gl'altri Roman Dei chiama Antichristo.
Ben sei chiarito à questa sola proua.

Sonetto Duodecimo.

Qui so che Paolo Heretico dirai
Se questo ei di te dice; & detto l'haue;
Ne giamai fia che la tua Doppia Chiaue
Adaltro senso apra la porta mai.
Tu di Dio in mezzo al Tempio assiso stai
Come se fossi vn Dio. Quiui con braue
Parole horrende, abominande, & praue
T'inalzi al Ciel, & folminando vai.
Ma se tal Paolo fue; & disua Spada
Contento, vuoi ch'anzi Sotterra ei vada
Et arso & spento in fin con chi gli crede
Che fia del tuo Petrarca vate Tosco,
Ch'anco ei vide da lungi & non fu losco;
Ma ne anco al dir de i tuoi vorrai darfede.
[...]

Sonetto decimo quinto.

Non ti varrà d'hauere al tuo Petrarca,
Roma, leuato via i tre Sonetti
Che van scoprendo i brutti tuoi difetti,
Ond'hor si gonfia sei, si piena & carca.
Ne ti varrà di dir, che la tua Barca
Al cui timon San Pietro il primometti,
Eterna fia. Tai termini inter detti
Sono à cosa mortal, ne sì in là varca.
Hor vien (come ogni cosa allungo gire
Trouail suo fin,) chi te faccia mentire
Et veraci approuar que diuin Carmi,
Che tu, maluagia, sotto fra Sarpone
Credendo cancellar col tuo carbone,
Hai piu che mai scolpiti in viui Marmi.

Sonetto decimo sesto.

In viui Marmi e piu che mai scolpita
Viua hor la Verità qual chiaro Essempio
Da non spegnersi mai, che tu se'l Tempio
Roma d'ogni Heresia, Putta scernita.
Scolpita iuiriman quella mentita
Che ti si da. Ben é quel goffo & sempio
Ch'imputa altrui, ciò ch'egl'é, falso & Empio,
D'hauer, lasciando lui, la via smarrita.
Tu errante sei lunge di strada fuori
Che scorge al ciel, la scola anzi d'errori
Sola tu sei, sfacciata; & hai l'ardire.
D'altri chiamar heretici & erranti,
Purgati de i tuo error, purgati auanti:
O tu, scornata andrai col tuo mentire.
[...]

Sonetto decimo nono.

Se le spirituali Arme tu adopri,
Guarda, che Carne sei tutta corrotta;
Ne quelle in mano tua ponno far botta
Che vaglia, & qui di frasche in van ti copri:
Quanto piu copri, dico, ti discopri
Co Testi tuoi, benche n'habbi vna frotta.
Tu, cosi armata, andrai mal concia & rotta
Et nuda, v piu di foglie ti ricopri.
Vero é ch'in possession sei di quel Seggio
Che ne la Chiesa é primo: Et questo è'l peggio
Se tu nol sai, che di te dir si possa.
Fiè (dice Paolo) nel Tempio di Dio
L'huom dipeccato come fosse Iddio,
Quell'Arma tua t'é vna mortal percossa.

Sonetto XX.

Veniamo à l'altre: Tu hai per Fondamento
Di quel sopran da te rapito honore,
Che tu se'l ver di Pietro successore;
(S'ai nummi egl'hebbe mai l'animo intento.)
Sopra di quella Pietra (é tuo argumento)
Mia Chiesa i fonderò, dice 'l Signore.
Ma questa Pietra é Christo; et da lui in fuore
Non è altro Fondamento: In ciò non mento.
Tu sì, che menti. Vien Pietro da Pietra.
Come Christian da Christo. Or va, ti spetra
Da questo laccio tuo, contra te teso.
La Pietra é pur la confession di Piero
Che di Dio il Figlio é Christo vnico & vero:
Ne fa'l passo per te, mal date inteso.
[...]

Sonetto XXIII.

Sauio se sei, la rugginosa Spada
Di Paolo, & quella ancor di Pier riponi
Dentro lo fodro suo. Folmini & tuoni
Tua rabbia, quanto vuol; forza éche cada.
Abbaia, Cane; aperta è pur la strada
Bestia, da castigarti. A tai Bestioni
Apparecchiati sono i buon bastoni,
Onde lor gola in fin chiusa si vada.
Vn Giulio fudel sangue ciuilebro
Che di Pietro gitto la Chiaue in Tebro,
Et tolse in man la spa sanguinolenta.
Che dassià Paolo. Tu con quella hor braui,
Et finir speri i tuoi disegni praui.
Certa è quella di Dio, se ben vien lenta.

Sonetto XXIIII.

Certa è quella di Dio, se ben vien lenta,
Vltrici Spada sopr'a le altier teste
Che'l mondo empir non cessan di Tempeste,
Ond'& pur gemme, piagne, ei si lamenta.
Tal furia tua, cred'io siviolenta
E di terrore indicio & certo teste
Come à cui di restare in vita reste
Ben poco spatio, ond'ei freme & pauenta.
Quella senza mentir del tuo mentire
Del tuo abbaiar ben ti fara pentire
Senzache spadaadopri altra che sua.
Chi crede in lui, in lui pon sua Ragione;
Et gli fia contra te qual buon bastone
Che mandi à basso ogni fierezza tua.
[...]

Sonetto XXVII.

Chi te, Puttana vecchia, incantatrice
Hor lascia e aborre é qual Vlisse il saggio
A cui de la ragion celeste vn raggio
Aprendo gl'occhi, ilsalua. O l'Huom felice.
Et tu ardirai, sfacciata Meretrice
In dispetto del Ciel, con tanto oltraggio
Heretico chiamar chi à Christo homaggio
Qual si dè fa; ne farlo ad altri lice.
Tu te nementi; E'l padre di Menzogna
Così t'insegna à non hauer vergogna
Di dir, Villana, tal villania altrui.
Vieni à la proua; o tu rimanti ignuda
(Il che auerrà pria che'l secol si chiuda)
Lasciata la da i proprij Amanti tui.

Sonetto XXVIII.

Tu dunque puoi, d'error'e vitij carco
Pien d'abomination, Seggio nefando
Folminar contr'al Nome venerando
De i Principi, de i Rè con tanto incarco?
Basta pur troppo che da quel tuo Parco
Che sacro vuoi tener, tu lordia bando:
Ma tu passi oltre o Seggio abominando,
Dico, Infernal; & son nel mio dir parco.
Priuare altrui de i ben spirituali
Che, largo, vendi a i miseri mortali
Forse ti lice; & poco danno fora.
Ma che tu leui à posta tua & done
Le possession, gli scettri, le Corone
Qual fie che possa piusoffrirlo ancora?
[...]

Sonetto XXXI.

Non son del ciel le Chiaui, che tu credi
Papa, d'hauere in man, quelle di terra
Sopra Principi & Rè. Vaneggia & erra
Chiunque in tal pensier ti bascia i piedi.
Non é tua podestà, qual ti concedi
Sopra i regni del mondo, & si riserra
Nel predicar. Non sta nel far la guerra
A chi à te non s'inchina, come chiedi.
Non é di questomondo il Regno mio
(Eté pur suo) dice il figliuol di Dio
Quel Rè de i Rè, signore de i signori.
Et tu (se dir lo lice) il suo Vicario
Superbo, à l'humil suo stato contrario,
Pur troppoin ciò qual sei, ti mostri fuori.

Sonetto XXXII.

Pouero, Giusto, Humile apparue al mondo
Chi de la Chiesa è il ver Capo & Pastore,
Qual sia'l Tiran, di lei diuoratore
Ogn'vn se'l vede, Ricco, Altiero, Impuro;
Papa, tu pur quel sei (non tel nascondo)
Che di Seruo, ti fai di lei Signore,
Heretico non é, non é in errore
Chi te Antichristo chiama: Io ti rispondo.
Anzi per me la vita tua risponde;
Et la dottrina tua con le opre immonde
In tal superbia & fasto assai dichiara.
Che veramente sei l'Huom di peccato
Pur noto a i nostri di, pur riuelato,
Et sì, che luce mai non fu piu chiara.
[...]

Sonetto XXXV.

Or va Schiatta infedel del primo Figlio
Del primo padre in su la sedia prima
Altier del sangue sparso, e spoglia opima
Che ti consacra il profanato Giglio.
Chi siede in ciel (s'en ride, e Human consiglio
Nonval contra di lui) fin da la cima
Ti suellera del Grado, oue tu prima
Vil seruo, hor fier Signore inalzi'l ciglio.
Son del tuo seme appunto i frutti questi
Micidij, & Tradimenti manifesti
Quai piu nefandi vnqua non vide il mondo.
Giudice vien quel deretano fuora,
Che tolta ai tuoi la larua & à te ancora,
Timandi in giu precipitata al fondo.

Sonetto XXXVI.

Armare i Rè, empir di fiamme & fochi
Il mondo tutto, & per ogni sentiero
Cercar di stabilir l'ingiusto Impero
Son del Seggio Roman gl'vsati giochi.
Il fatto é chiaro; e homai coperto à pochi
(Ch'inganna ancora il bel Manto di Piero)
Edi queste Tragedie l'Autor vero,
Per cui si sparge'l sangue in tanti lochi.
Guerre, vccision, pergiuri infami e horrendi
Ond'ei si serue à mantener suo Regno,
De le Tenebre sue fan certa fede.
V non Amor, ne luce, è v l'odio intendi
Che regna & crudeltade, habbi'l per segno
D'vna Infernale & tenebrosasede.
[...]

Sonetto XXXIX.

Di Christo nò, ne de l'amata Sposa
La Chiesa sua, Adultero, Prophano
Mostri hauer cura, ma di quel Sour ano
Poter, ch'attribuire il tuo dir s'osa.
Tanta superbia tua tanto odiosa
Non puo piu comportarsi; e'n terra vano
Ticada homai quel folminar di mano
Ch'in van si sforza à se trarre ogni cosa.
Veroé, ch'à posta tua, l'Italia & Spagna
Le bandiere spiegar per la Campagna
Forse potrian. Ma de i lor danni accorte,
Se la Germania opponsi & l'Inghilterra,
Lasciar ti ponno far sola la guerra,
E'n ogni caso fie dubbia la sorte.

Sonetto XL.

Che fai con questa tua lega nefanda
Che santa chiami, ch'affrettare il corso
De la Ruina tua, come col morso
Del can, la Bestia all'hor ch'in giù si manda?
Moui pur terra & ciel manda & rimanda;
Vvuole il cielferir vano é il soccorso
D'ogni braccio mortal. Altro é il ricorso
Dichi ha ragion, ch'a Dio si raccommanda.
Non ti varra se nò per afferrarti,
Non ti varra se nò per atterrearti
Sta lega tua, che santa e Vniuersale.
Come sei santa e vniuersale, chiami,
Posta è l'acetta al Tronco, & quel co rami
Troncato fie, ne senti'l proprio male.
[...]

Sonetto XLIII.

Guai, Roma, a te, ch'altiera vai di Spoglie,
Perchè ancora tu Spogliata andrai,
Guai, dico, à chinon semina che guai;
Tal di tal seme in fin frutto sicoglie.
Tu che, di sangueingorda, empitue voglie
De l'Innocente sangue, & quel beurai
Di te & de i tuoi. Ne, in somma, i veggio homai
Sopra di te, ch'horrende Angoscie & doglie.
Forse tu'l senti, & fremi, irata, contra;
Gittando in giù quanto il Furore incontra
Ch'a te s'opponga; & pensi folminando
(Ma in van) da te scacciar l'atra tempesta
Che prossima ti pende in su la testa;
Eha da cader, per porre ogni altra in bando.

Sonetto XLIIII.

Guai Babilonia à te. Son gia mille anni
Che fuor del centro vscita fai la guerra
A Christo, a i santi suoi. T'andrai Sotterra
Distrutta & arsa al fin; dice Giouanni.
Non sia chi nel tardar giamai s'inganni,
Mai sempre'l ver riman', e mai non erra:
Et, ecco vien chi ogni possanza atterra
A consolare i nostri lunghi affanni.
Dice l'istesso Dante, & nota l'anno.
Petrarca il canta; e homai gia tutti Sanno
Che quinci & quindi vai Scossa & Sbattuta.
Restache noi veg giamo il resto farsi,
Gl'Idoli tuoi essendo in terra sparsi;
Et noi diremo; Ella è, ella è caduta.
[...]

Sonetto XLVII.

Grida lo sparso sangue, a la vendetta;
Che verrà pur, se ben tarda à venire
Verrà, chi del nemico sangue empire
Dè, Vincitor, la terra, & farlanetta.
Quindi l'alta Vendetta ecco s'aspetta
Che si lunga Tragedia habb'à finire
Col fin di quei ch'attendono à rapire,
A diuorar di Dio la Greggia eletta.
E giunta al colmo suo la lor malitia
Non puo piu oltre passar tanta Ingiustitia
Di condannare altrui, ne mai volere.
Vdir le sue ragion. Quel sangue spanto
Non puo ben asciugarsi insino à tanto
Ch'ancor tu Roma, il tuo non venghi a bere.

Sonetto XLVIII.

Vn tempo fu che'l calice incantato
Porgendo ai Rè, ai Prencipi, ai Signori
Vil Putta, hai fatto sì ch'ogn'vn t'adori
E'l Trono tuo si sia cosi inalzato.
Hora, che cangia il mondo e stile e stato,
Ne piu, come solea, de i vani amori
Ebbro di te, sen va d'incanto fuori,
Te aborre, & quanto hauea piu in te stimato.
Il tempo é dunque, o discoperta Alcina
De la Caduta tua, ch'hor s'auicina,
Chi t'addoraua, hor t'odia; & qual Ruggiero,
Scoperte tue brutture, ogn'vn ti fugge:
Tal la vertu é di quel'Annel, che strugge
Ogni tuo incanto, & ne discopre il vero.
[...]

Sonetto LI.

Versa la feccia, onnipotente Dio
Del vin de l'Ira tua sopra di questa
Empia, ch'a i tuoi fedeli è si molesta,
E, ingorda, ha del lor sangue ebbro il disio.
Gia n'ha beuuto assai tuo popol pio
Con varia, lunga, e horribila tempesta.
Ella sen ride, & siede altiera. Hor resta
Che paghi anch'essa a i tuoi Giudici il Fio.
Or va co i tuoi Giganti, Empia, per terra,
Di cui'l Maggior, cadendo, è qual caduto;
Et ecco gl'altri vn simil colpo afferra:
Et ciò che del tuo fin s'è gia veduto
Trecento Lustri son, da chi non erra,
Dirassi a i nostri dì, ch'è pur venuto.
Finisce il Piaceuole Auiso dato alla bella Italia da vn no­bile giouane Francese, sopra la mentita data dal Serenissimo Re di Nauarra à Papa Sisto V.

REGISTRO.

A B C D E G H I K L M N
O P Q.

Tutti son quatterni.

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