Prefazione Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di psico-analisi s'intende, sa dove piazzare l'antipatia che il paziente mi dedica. Di psico-analisi non parlero2 perche1 qui entro se ne parla gia2 a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il mio paziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi di psico- analisi arricceranno il naso a tanta novita2. Ma egli era vec- chio ed io sperai che in tale rievocazione il suo passato si rinverdisse, che l'autobiografia fosse un buon preludio alla psico-analisi. Oggi ancora la mia idea mi pare buona perche1 mi ha dato dei risultati insperati, che sarebbero stati maggio- ri se il malato sul piu2 bello non si fosse sottratto alla cura truffandomi del frutto della mia lunga paziente analisi di queste memorie. Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia pero2 ch'io sono pronto di dividere con lui i lauti onorarii che ricavero2 da questa pubblicazione a patto egli riprenda la cura. Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verita2 e bugie ch'egli ha qui accumulate!... <1Dottor S>1. 3 2 Preambolo Vedere la mia infanzia? Piu2 di dieci lustri me ne separano e i miei occhi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli d'ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora. Il dottore mi raccomando2 di non ostinarmi a guardare tanto lontano. Anche le cose recenti sono preziose per essi e sopra tutto le immaginazioni e i sogni della notte prima. Ma un po' d'ordine pur dovrebb'esserci e per poter cominciare <1ab ovo,>1 appena abbandonato il dottore che di questi giorni e per lungo tempo lascia Trieste, solo per facilitargli il compi- to, comperai e lessi un trattato di psico-analisi. Non e2 difficile d'intenderlo, ma molto noioso. Dopo pranzato, sdraiato comodamente su una poltrona Club, ho la matita e un pezzo di carta in mano. La mia fronte e2 spianata perche1 dalla mia mente eliminai ogni sforzo. Il mio pensiero mi appare isolato da me. Io lo vedo. S'alza, s'abbassa... ma e2 la sua sola attivita2. Per ricordargli ch'esso e2 il pensiero e che sarebbe suo compito di manifestarsi, afferro la matita. Ecco che la fronte si corruga perche1 ogni parola e1 composta di tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca il passato. Ieri avevo tentato il massimo abbandono. L'esperimento fini2 nel sonno piu2 profondo e non ne ebbi altro risultato che un grande ristoro e la curiosa sensazione di aver visto duran- te quel sonno qualche cosa d'importante. Ma era dimentica- ta, perduta per sempre. Merce1 la matita che ho in mano, resto desto, oggi. Vedo, intravvedo delle immagini bizzarre che non possono avere nessuna relazione col mio passato: una locomotiva che sbuf- 4 3 Il fumo Il dottore al quale ne parlai mi disse d'iniziare il mio lavoro con un'analisi storica della mia propensione al fumo: <> Credo anzi che del fumo posso scrivere qui al mio tavolo senz'andar a sognare su quella poltrona. Non so come co- minciare e invoco l'assistenza delle sigarette tutte tanto so- miglianti a quella che ho in mano. Oggi scopro subito qualche cosa che piu2 non ricordavo. Le prime sigarette ch'io fumai non esistono piu2 in commercio. Intorno al '70 se ne avevano in Austria di quelle che veniva- no vendute in scatoline di cartone munite del marchio dell'a- quila bicipite. Ecco: attorno a una di quelle scatole s'aggrup- pano subito varie persone con qualche loro tratto, sufficien- te per suggerirmene il nome, non bastevole pero2 a commo- vermi per l'impensato incontro. Tento di ottenere di piu2 e vado alla poltrona: le persone sbiadiscono e al loro posto si mettono dei buffoni che mi deridono. Ritorno sconfortato al tavolo. Una delle figure, dalla voce un po' roca, era Giuseppe, un giovinetto della stessa mia eta2, e l'altra, mio fratello, di un anno di me piu2 giovine e morto tanti anni or sono. Pare che Giuseppe ricevesse molto denaro dal padre suo e ci regalasse di quelle sigarette. Ma sono certo che ne offriva di piu2 a mio fratello che a me. Donde la necessita2 in cui mi trovai di procurarmene da me delle altre. Cosi2 avvenne che rubai. D'estate mio padre abbandonava su una sedia nel tinello il suo panciotto nel cui taschino si trovavano sempre degli spiccioli: mi procuravo i dieci soldi occorrenti per acquistare la preziosa scatoletta e fumavo una dopo l'altra le dieci 6 fa su una salita trascinando delle innumerevoli vetture; chis- sa2 donde venga e dove vada e perche1 sia ora capitata qui! Nel dormiveglia ricordo che il mio testo asserisce che con questo sistema si puo2 arrivar a ricordare la prima infanzia, quella in fasce. Subito vedo un bambino in fasce, ma perche1 dovrei essere io quello? Non mi somiglia affatto e credo sia invece quello nato poche settimane or sono a mia cognata e che ci fu fatto vedere quale un miracolo perche1 ha le mani tanto piccole e gli occhi tanto grandi. Povero bambino! Altro che ricordare la mia infanzia! Io non trovo neppure la via di avvisare te, che vivi ora la tua, dell'importanza di ricordarla a vantaggio della tua intelligenza e della tua salu- te. Quando arriverai a sapere che sarebbe bene tu sapessi mandare a mente la tua vita, anche quella tanta parte di essa che ti ripugnera2? E intanto, inconscio, vai investigando il tuo piccolo organismo alla ricerca del piacere e le tue scoperte deliziose ti avvieranno al dolore e alla malattia cui sarai spinto anche da coloro che non lo vorrebbero. Come fare? E impossibile tutelare la tua culla. Nel tuo seno -- fantolino! -- si va facendo una combinazione misteriosa. Ogni minuto che passa vi getta un reagente. Troppe probabilita2 di malattia vi sono per te, perche1 non tutti i tuoi minuti possono essere puri. Eppoi -- fantolino! -- sei consanguineo di persone ch'io conosco. I minuti che passano ora possono anche essere puri, ma certo, tali non furono tutti i secoli che ti prepara- rono. Eccomi ben lontano dalle immagini che precorrono il sonno. Ritentero2 domani. sigarette che conteneva, per non conservare a lungo il com- promettente frutto del furto. Tutto cio2 giaceva nella mia coscienza a portata di mano. Risorge solo ora perche1 non sapevo prima che potesse avere importanza. Ecco che ho registrata l'origine della sozza abitudine e (chissa2?) forse ne sono gia2 guarito. Percio2, per provare, accendo un'ultima sigaretta e forse la gettero2 via subito, disgustato. Poi ricordo che un giorno mio padre mi sorprese col suo panciotto in mano. Io, con una sfacciataggine che ora non avrei e che ancora adesso mi disgusta (chissa2 che tale disgu- sto non abbia una grande importanza nella mia cura) gli dissi che m'era venuta la curiosita2 di contarne i bottoni. Mio padre rise delle mie disposizioni alla matematica o alla sarto- ria e non s'avvide che avevo le dita nel taschino del suo panciotto. A mio onore posso dire che basto2 quel riso rivolto alla mia innocenza quand'essa non esisteva piu2, per impedir- mi per sempre di rubare. Cioe2... rubai ancora, ma senza saperlo. Mio padre lasciava per la casa dei sigari virginia fumati a mezzo, in bilico su tavoli e armadi. Io credevo fosse il suo modo di gettarli via e credevo anche di sapere che la nostra vecchia fantesca, Catina, li buttasse via. Andavo a fumarli di nascosto. Gia2 all'atto di impadronirmene venivo pervaso da un brivido di ribrezzo sapendo quale malessere m'avrebbero procurato. Poi li fumavo finche1 la mia fronte non si fosse coperta di sudori freddi e il mio stomaco si contorcesse. Non si dira2 che nella mia infanzia io mancassi di energia. So perfettamente come mio padre mi guari2 anche di que- st'abitudine. Un giorno d'estate ero ritornato a casa da un'escursione scolastica, stanco e bagnato di sudore. Mia madre m'aveva aiutato a spogliarmi e, avvoltomi in un ac- cappatoio, m'aveva messo a dormire su un sofa2 sul quale essa stessa sedette occupata a certo lavoro di cucito. Ero prossimo al sonno, ma avevo gli occhi tuttavia pieni di sole e tardavo a perdere i sensi. La dolcezza che in quell'eta2 s'ac- compagna al riposo dopo una grande stanchezza, m'e2 evi- dente come un'immagine a se1, tanto evidente come se fossi adesso 1a2 accanto a quel caro corpo che piu2 non esiste. Ricordo la stanza fresca e grande ove noi bambini si giuocava, e che ora, in questi tempi avari di spazio, e2 divisa 7 in due parti. In quella scena mio fratello non appare, cio2 che mi sorprende perche1 penso ch'egli pur deve aver preso parte a quella escursione e avrebbe dovuto poi partecipare al riposo. Che abbia dormito anche lui all'altro capo del grande sofa2? Io guardo quel posto, ma mi sembra vuoto. Non vedo che me, la dolcezza del riposo, mia madre, eppoi mio padre di cui sento echeggiare le parole. Egli era entrato e non m'aveva subito visto perche1 ad alta voce chiamo2: <> La mamma con un gesto accompagnato da un lieve suono labbiale accenno2 a me, ch'essa credeva immerso nel sonno su cui invece nuotavo in piena coscienza. Mi piaceva tanto che il babbo dovesse imporsi un riguardo per me, che non mi mossi. Mio padre con voce bassa si lamento2: <> Pure a bassa voce, ma che tradiva un'ilarita2trattenuta solo dalla paura di destarmi, mia madre rispose: <> Mio padre mormoro2 : <> Si volse ed usci2. Io apersi a mezzo gli occhi e guardai mia madre. Essa s'era rimessa al suo lavoro, ma continuava a sorridere. Certo non pensava che mio padre stesse per arnmattire per sorridere cosi2 delle sue paure. Quel sorriso mi rimase tanto impresso che lo ricordai subito ritrovandolo un giorno sulle labbra di mia moglie. Non fu poi la mancanza di denaro che mi rendesse difficile di soddisfare il mio vizio, ma le proibizioni valsero ad ecci- tarlo. Ricordo d'aver fumato molto, celato in tutti i luoghi possi- bili. Perche1 seguito da un forte disgusto fisico, ricordo un soggiorno prolungato per una mezz'ora in una cantina oscu- ra insieme a due altri fanciulli di cui non ritrovo nella memo- ria altro che la puerilita2 del vestito: due paia di calzoncini che stanno in piedi perche1 dentro c'e2 stato un corpo che il tempo elimino2. Avevamo molte sigarette e volevamo vedere chi ne 8 sapesse bruciare di piu2 nel breve tempo. Io vinsi, ed eroica- mente celai il malessere che mi derivo2 dallo strano esercizio. Poi uscimmo al sole e all'aria. Dovetti chiudere gli occhi per non cadere stordito. Mi rimisi e mi vantai della vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disse allora: <> Ricordo la parola sana e non la faccina certamente sana anch'essa che a me doveva essere rivolta in quel momento. Ma allora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore e lo stato in cui la nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tutto cio2 fu peggio. E lo seppi a vent'anni circa. Allora soffersi per qualche settimana di un violento male di gola accompagnato da febbre. Il dottore prescrisse il letto e l'assoluta astensione dal fumo. Ricordo questa parola <1assoluta!>1 Mi feri2 e la febbre la colori2: un vuoto grande e niente per resistere all'enorme pressione che subito si pro- duce intorno ad un vuoto. Quando il dottore mi lascio2, mio padre (mia madre era morta da molti anni) con tanto di sigaro in bocca resto2 ancora per qualche tempo a famni compagnia. Andandose- ne, dopo di aver passata dolcemente la sua mano sulla mia fronte scottante, mi disse: <> Mi colse un'inquietudine enorme. Pensai: "Giacche1 mi fa male non fumero2 mai piu2, ma prima voglio farlo per l'ultima volta". Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dal- l'inquietudine ad onta che la febbre forse aumentasse e che ad ogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore come se fosse- ro state toccate da un tizzone ardente. Finii tutta la sigaretta con l'accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la ma- lattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi: <> Bastava questa frase per farmi desiderare ch'egli se ne andasse presto, presto, per permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo ad allonta- narsi prima. Quella malattia mi procuro2 il secondo dei miei disturbi: lo 9 sforzo di liberarmi dal primo. Le mie giornate finirono col- l'essere piene di sigarette e di propositi di non fumare piu2 e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. La ridda delle ultime sigarette, formatasi a vent'anni, si muove tuttavia. Meno violento e2 il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire, che da qualche tempo io fumo molte sigarette... che non sono le ultime. Sul frontispizio di un vocabolario trovo questa mia regi- strazione fatta con bella scrittura e qualche ornato: <> Era un'ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l'accompagnarono. M'ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch'e2 la vita stessa benche1 ridotta in un matraccio. Quell'ultima sigaretta significava proprio il desi- derio di attivita2 (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo. Per sfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai alla legge. Pur troppo! Fu un errore e fu anch'esso registrato da un'ultima sigaretta di cui trovo la data registrata su di un libro. Fu importante anche questa e mi rassegnavo di ritornare a quelle complicazioni del mio, del tuo e del suo coi migliori propositi, sciogliendo finalmen- te le catene del carbonio. M'ero dimostrato poco idoneo alla chimica anche per la mia deficienza di abilita2 manuale. Come avrei potuto averla quando continuavo a fumare co- me un turco? Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacita2? Chissa2 se cessando di fumare io sarei divenuto l'uomo ideale e forte che m'aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi lego2 al mio vizio perche1 e2 un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano oggi quei 10 propositi? Come quell'igienista vecchio, descritto dal Gol- doni, vorrei morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita? Una volta, allorche1 da studente cambiai di alloggio, do- vetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza perche le avevo coperte di date. Probabilmente lasciai quella stanza proprio perche1 essa era divenuta il cimitero dei miei buoni propositi e non credevo piu2 possibile di fomnarne in quel luogo degli altri. Penso che la sigaretta abbia un gusto piu2 intenso quand'e2 l'ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L'ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su se stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perche1 accendendole si protesta la propria liberta2 e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po' piu2 lontano. Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori piu2 varii ed anche ad olio. Il proponimento, rifatto con la fede piu2 ingenua, trovava adeguata espressione nella for- za del colore che doveva far impallidire quello dedicato al proponimento anteriore. Certe date erano da me preferite per la concordanza delle cifre. Del secolo passato ricordo una data che mi parve dovesse sigillare per sempre la bara in cui volevo mettere il mio vizio: <>. Significativa nevvero? Il secolo nuovo m'apporto2 delle date ben altrimenti musicali: <>. Ancora mi pare che se quella data potesse ripetersi, io saprei iniziare una nuova vita. Ma nel calendario non mancano le date e con un po' d'immaginazione ognuna di esse potrebbe adattarsi ad un buon proponimento. Ricordo, perche1 mi parve contenesse un imperativo supremamente categorico, la seguente: <>. Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta. L'anno 1913 mi diede un momento d'esitazione. Mancava il tredicesimo mese per accordarlo con l'anno. Ma non si creda che occorrano tanti accordi in una data per dare rilievo ad un'ultima sigaretta. Molte date che trovo notate sui libri o quadri preferiti, spiccano per la loro deformita2. Per esempio il terzo giorno del secondo rnese del 1905 ore sei! Ha un suo ritmo quando ci si pensa, perche1 ogni singola cifra nega la 11 precedente. Molti avvenimenti, anzi tutti, dalla morte di Pio IX alla nascita di mio figlio, mi parvero degni di essere festeggiati dal solito ferreo proposito. Tutti in famiglia si stupiscono della mia memoria per gli anniversarii lieti e tristi nostri e mi credono tanto buono! Per diminuirne l'apparenza balorda tentai di dare un con- tenuto filosofico alla malattia dell'ultima sigaretta. Si dice con un bellissimo atteggiamento: <>. Ma dove va l'atteggiamento se si tiene la promessa? L'atteggiamento non e2 possibile di averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoi il tempo, per me, non e2 quella cosa impen- sabile che non s'arresta mai. Da me, solo da me, ritorna. La malattia, e2 una convinzione ed io nacqui con quella convinzione. Di quella dei miei vent'anni non ricorderei gran cosa se non l'avessi allora descritta ad un medico. Curioso come si ricordino meglio le parole dette che i senti- menti che non arrivarono a scotere l'aria. Ero andato da quel medico perche1 m'era stato detto che guariva le malattie nervose con l'elettricita2. Io pensai di poter ricavare dall'elettricita2 la forza che occorreva per la- sciare il fumo. Il dottore aveva una grande pancia e la sua respirazione asmatica accompagnava il picchio della macchina elettrica messa in opera subito alla prima seduta, che mi disilluse, perche1 m'ero aspettato che il dottore studiandomi scoprisse il veleno che inquinava il mio sangue. Invece egli dichiaro2 di trovarmi sanamente costituito e poiche1 m'ero lagnato di digerire e dormire male, egli suppose che il mio stomaco mancasse di acidi e che da me il movimento peristaltico (disse tale parola tante volte che non la dimenticai piu2) fosse poco vivo. Mi propino2 anche un certo acido che mi ha rovinato perche1 da allora soffro di un eccesso di acidita2. Quando compresi che da se1 egli non sarebbe mai arrivato a scoprire la nicotina nel mio sangue, volli aiutarlo ed espres- si il dubbio che la mia indisposizione fosse da attribuirsi a quella. Con fatica egli si strinse nelle grosse spalle: <> Furono settanta le applicazioni elettriche e avrebbero 12 continuato tuttora se io non avessi giudicato di averne avute abbastanza. Piu2 che attendermi dei miracoli, correvo a quel- le sedute nella speranza di convincere il dottore a proibirmi il fumo. Chissa2 come sarebbero andate le cose se allora fossi stato fortificato nei miei propositi da una proibizione simile. Ed ecco la descrizione della mia malattia quale io la feci al medico: <>. <> sentenzio2 l'E- sculapio, gli occhi sempre rivolti al quadrante anziche1 al paziente. Giunsi a parlare con lui come s'egli avesse potuto intende- re la psico-analisi ch'io, timidamente, precorsi. Gli raccon- tai della mia miseria con le donne. Una non mi bastava e molte neppure. Le desideravo tutte! Per istrada la mia agita- zione era enorme: come passavano, le donne erano mie. Le squadravo con insolenza per il bisogno di sentirmi brutale. Nel mio pensiero le spogliavo, lasciando loro gli stivaletti, me le recavo nelle braccia e le lasciavo solo quando ero ben certo di conoscerle tutte. Sincerita2 e fiato sprecati! Il dottore ansava: <> Mi racconto2 un aneddoto ch'egli trovava gustosissimo. Un malato della stessa mia malattia era andato da un medico celebre pregandolo di guarirlo e il medico, essendovi riusci- to perfettamente, dovette emigrare perche1 in caso diverso l'altro gli avrebbe fatta la pelle. <> urlavo io. <> Il dottore mormorava con aspetto accorato: <> E fu per convincerlo ch'io feci quello ch'egli non volle fare e studiai la mia malattia raccogliendone tutti i sintomi: <>. Ricordo la faccina piccola e bianca della fanciulla alla finestra: ovale, circondata da ricci ariosi, fulvi. La guardavo sognando di premere quel biancore e quel giallo rosseggiante sul mio guanciale . Esculapio mormoro2: <> Oggi so con certezza ch'egli non sapeva proprio niente del civettare. Ne ho cinquantasette degli anni e sono sicuro che se non cesso di fumare o che la psico-analisi non mi guarisca, la mia ultima occhiata dal mio letto di morte sara2 l'espressio- ne del mio desiderio per la mia infermiera, se questa non sara2 mia moglie e se mia moglie avra2 permesso che sia bella! Fui sincero come in confessione: la donna a me non piace- va intera, ma... a pezzi! Di tutte amavo i piedini se ben calzati, di molte il collo esile oppure anche poderoso e il seno se lieve, lieve. E continuavo nell'enumerazione di parti ana- tomiche femminili, ma il dottore m'interruppe: <> Dissi allora una parola importante: <> Fino ad allora non avevo certo conosciuto un tale amore e quando mi capito2 non mi diede neppur esso la salute, ma e2 importante per me ricordare di aver rintracciata la malattia dove un dotto vedeva la salute e che la mia diagnosi si sia poi avverata. Nella persona di un amico non medico trovai chi meglio intendesse me e la mia malattia. Non ne ebbi grande vantag- gio, ma nella mia vita una nota nuova ch'echeggia tuttora. L'amico mio era un ricco signore che abbelliva i suoi ozii 14 con studii e lavori letterari. Parlava molto meglio di quanto scrivesse e percio2 il mondo non pote1 sapere quale buon letterato egli fosse. Era grasso e grosso e quando lo conobbi stava facendo con grande energia una cura per dimagrare. In pochi giorni era arrivato ad un grande risultato, tale che tutti per via lo accostavano nella speranza di poter sentire meglio la propria salute accanto a lui malato. Lo invidiai perche1 sapeva fare quello che voleva e m'attaccai a lui finche1 duro2 la sua cura. Mi permetteva di toccargli la pancia che ogni giorno diminuiva, ed io, malevolo per invidia, volendo inde- bolire il suo proposito gli dicevo: <> Con una grande calma, che rendeva comico il suo viso emaciato egli rispose: <> La cura era stata predisposta in tutti i particolari ed era certo che egli sarebbe stato puntuale ad ogni data. Me ne risulto2 una grande fiducia per lui e gli descrissi la mia malattia. Anche questa descrizione ricordo. Gli spiegai che a me pareva piu2 facile di non mangiare per tre volte al giorno che di non fumare le innumerevoli sigarette per cui sarebbe stato necessario di prendere la stessa affaticante risoluzione ad ogni istante. Avendo una simile risoluzione nella mente non c'e2 tempo per fare altro perche1 il solo Giulio Cesare sapeva fare piu2 cose nel medesimo istante. Sta bene che nessuno domanda ch'io lavori finche1 e2 vivo il mio ammi- nistratore Olivi, ma come va che una persona come me non sappia far altro a questo mondo che sognare o strimpellare il violino per cui non ho alcuna attitudine? Il grosso uomo dimagrato non diede subito la sua risposta. Era un uomo di metodo e prima ci penso2 lungamente. Poi con aria dottorale che gli competeva data la sua grande superiorita2 in argomento, mi spiego2 che la mia vera malattia era il proposito e non la sigaretta. Dovevo tentar di lasciare quel vizio senza farne il proposito. In me -- secondo lui -- nel corso degli anni erano andate a formarsi due persone di cui una comandava e l'altra non era altro che uno schiavo il quale, non appena la sorveglianza diminuiva, contravveniva alla volonta2 del padrone per amore alla liberta2. Bisognava percio2 dargli la liberta2 assoluta e nello stesso tempo dovevo 15 guardare il mio vizio in faccia come se fosse nuovo e non l'avessi mai visto. Bisognava non combatterlo, ma trascurar- lo e dimenticare in certo modo di abbandonarvisi volgendo- gli le spalle con noncuranza come a compagnia che si ricono- sca indegna di se1. Semplice, nevvero? Infatti la cosa mi parve semplice. E poi vero ch'essendo riuscito con grande sforzo ad eliminare dal mio animo ogni proposito, riuscii a non fumare per varie ore, ma quando la bocca fu nettata, sentii un sapore innocente quale deve sentirlo il neonato, mi venne il desiderio di una sigaretta e quando la fumai ne ebbi il rimorso da cui rinnovai il proposi- to che avevo voluto abolire. Era una via piu2 lunga, ma si arrivava alla stessa me2ta. Quella canaglia dell'Olivi mi diede un giorno un'idea: fortificare il mio proposito con una scommessa. Io credo che l'Olivi abbia avuto sempre lo stesso aspetto che io gli vedo adesso. Lo vidi sempre cosi2, un po' curvo, ma solido e a me parve sempre vecchio, come vecchio lo vedo oggidi2 che ha ottant'anni. Ha lavorato e lavora per me, ma io non l'amo perche1 penso che mi ha irnpedito il lavoro che fa lui. Scommettemmo! Il primo che avrebbe fumato avrebbe pagato eppoi ambedue avrebbero ricuperato la propria li- berta2. Cosi l'amministratore, impostomi per impedire che io sciupassi l'eredita2 di mio padre, tentava di diminuire quella di mia madre, amministrata liberamente da me! La scommessa si dimostro2 perniciosissima. Non ero piu2 alternativamente padrone ma soltanto schiavo e di quell'O- livi che non amavo! Fumai subito. Poi pensai di truffarlo continuando a fumare di nascosto. Ma allora perche1 aver fatta quella scommessa? Corsi allora in cerca di una data che stesse in bella relazione con la data della scommessa per fumare un'ultima sigaretta che cosi2 in certo modo avrei potuto figurarmi fosse registrata anche dall'Olivi stesso. Ma la ribellione continuava e a forza di fumare arrivavo all'af- fanno. Per liberarmi da quel peso andai dall'Olivi e mi confessai. Il vecchio incasso2 sorridendo il denaro e, subito, trasse di tasca un grosso sigaro che accese e fumo2 con grande volutta2. Non ebbi mai un dubbio ch'egli non avesse tenuta la scom- messa. Si capisce che gli altri son fatti altrimenti di me. 16 Mio figlio aveva da poco compiuti i tre anni quando mia moglie ebbe una buona idea. Mi consiglio2, per sviziarmi, di farmi rinchiudere per qualche tempo in una casa di salute. Accettai subito, prima di tutto perche1 volevo che quando mio figlio fosse giunto all'eta2 di potermi giudicare mi trovas- se equilibrato e sereno, eppoi per la ragione piu2 urgente che l'Olivi stava male e minacciava di abbandonarmi per cui avrei potuto essere obbligato di prendere il suo posto da un momento all'altro e mi consideravo poco atto ad una grande attivita2 con tutta quella nicotina in corpo. Dapprima avevamo pensato di andare in Isvizzera, il pae- se classico delle case di salute, ma poi apprendemmo che a Trieste v'era un certo dottor Muli che vi aveva aperto uno stabilimento. Incaricai mia moglie di recarsi da lui, ed egli le offerse di mettere a mia disposizione un appartamentino chiuso nel quale sarei stato sorvegliato da un'infermiera coadiuvata anche da altre persone. Pariandomene mia mo- glie ora sorrideva ed ora clamorosamente rideva. La diverti- va l'idea di farmi rinchiudere ed io di cuore ne ridevo con lei. Era la pri2ma volta ch'essa s'associava a me nei miei tentativi di curarmi. Fino allora ella non aveva mai presa la mia malattia sul serio e diceva che il fumo non era altro che un modo un po' strano e non troppo noioso di vivere. Io credo ch'essa fosse stata sorpresa gradevolmente dopo di avermi sposato di non sentirmi mai rimpiangere la mia liberta2, occupato com'ero a rimpiangere altre cose. Andammo alla casa di salute il giorno in cui l'Olivi mi disse che in nessun caso sarebbe rimasto da me oltre il mese dopo. A casa preparammo un po' di biancheria in un baule e subito di sera andammo dal dottor Muli. Egli ci accolse in persona alla porta. Allora il dottor Muli era un bel giovane. Si era in pieno d'estate ed egli, piccolo, nervoso, la faccina brunita dal sole nella quale brillavano ancor meglio i suoi vivaci occhi neri, era l'immagine dell'ele- ganza, nel suo vestito bianco dal colletto fino alle scarpe. Egli desto2 la mia ammirazione, ma evidentemente ero an- ch'io oggetto della sua. Un po' imbarazzato, comprendendo la ragione della sua ammirazione gli dissi: <> 17 Con un lieve sorriso, che pur mi feri2, il dottore rispose: <1 di fumare, non si sia piuttosto risolto di diminuire il numero delle sigarette che fuma. Si puo2 fumare, ma non bisogna esagerare.>> In verita2, a forza di voler cessare del tutto dal fumare, all'eventualita2 di fumare di meno non avevo mai pensato. Ma venuto ora, quel consiglio non poteva che affievolire il mio proposito. Dissi una parola risoluta: <> <> e il dottore rise con aria di superiorita2. <> Ci trovammo nell'appartamento che m'era destinato a cui eravamo giunti ritornando a pianoterra dopo di essere saliti al secondo piano. <> E si mise a ridere, forse all'idea di avermi rinchiuso fra bambini. Chiamo2 Giovanna e me la presento2. Era una piccola donnina di un'eta2 che non si poteva precisare e che poteva variare fra i quaranta e i sessant'anni. Aveva dei piccoli occhi di una luce intensa sotto ai capelli molto grigi. Il dottore le disse: <> Essa mi guardo2 scrutandomi, si fece tossa e grido2 con voce stridula: <> Appresi poi che il dottore le aveva affidato quell'incarico con la promessa di un compenso abbastanza lauto, e cio2 aveva contribuito a spaventarla. Allora le sue parole mi indispettirono. M'ero cacciato volontariamente in una bella posizione! <> urlai. <> Mi rivolsi al dottore: <>. Il dottore intervenne con qualche parola di ammonimento a Giovanna. Per scusarsi, costei continuo2 ad attaccarmi: <> <> risposi con accento che certo non poteva rassicurare la poverina. Il dottore la fece allontanare incaricandola di andar a prendere non so che cosa al piano superiore e, per rabbonir- mi, mi propose di mettere un'altra persona al suo posto, aggiungendo: <> Nel desiderio di dimostrare che non davo alcuna impor- tanza alla persona incaricata di sorvegliarmi, mi dichiarai d'accordo di sopportarla. Sentii il bisogno di quietarmi, levai di tasca la penultima sigaretta e la fumai avidamente. Spie gai al dottore che ne avevo prese con me solo due e che volevo cessar di fumare in punto alla mezzanotte. Mia moglie si congedo2 da me insieme al dottore. Mi disse sorridendo: <> Il suo sorriso che io amavo tanto mi parve una derisione e fu proprio in quell'istante che nel mio animo germino2 un sentimento nuovo che doveva far si2 che un tentativo intra- preso con tanta serieta2 dovesse subito miseramente fallire. Mi sentii subito male, ma seppi che cosa mi facesse soffrire soltanto quando fui lasciato solo. Una folle, amara gelosia per il giovine dottore. Lui bello, lui libero! Lo dicevano la Venere fra' Medici. Perche1 mia moglie non l'avrebbe ama- to? Seguendola, quando se ne erano andati, egli le aveva guardato i piedi elegantemente calzati. Era la prima volta 19 che mi sentivo geloso dacche1 m'ero sposato. Quale tristezza! S'accompagnava certamente al mio abietto stato di prigio- niero! Lottai! Il sorriso di mia moglie era il suo solito sorriso e non una derisione per avermi eliminato dalla casa. Era certamente lei che m'aveva fatto rinchiudere pur non accor- dando alcuna importanza al mio vizio; ma certamente l'ave- va fatto per compiacermi. Eppoi non ricordavo che non era tanto facile d'innamorarsi di mia moglie? Se il dottore le aveva guardato i piedi, certamente l'aveva fatto per vedere quali stivali dovesse comprare per la sua amante. Ma fumai subito l'ultima sigaretta; e non era la mezzanotte, ma le ventitre1, un'ora impossibile per un'ultima sigaretta. Apersi un libro. Leggevo senz'intendere e avevo addirit- tura delle visioni. La pagina su cui tenevo fisso lo sguardo si copriva della fotografia del dottor Muli in tutta la sua gloria di bellezza ed eleganza. Non seppi resistere! Chiamai Gio- vanna. Forse discorrendo mi sarei quietato. Essa venne e mi guardo2 subito con occhio diffidente. Urlo2 con la sua voce stridula: <>. Intanto, per quietarla mentii e le dichiarai ch'io non ci pensavo nemmeno, che non avevo piu2 voglia di leggere.e preferivo di far quattro chiacchiere con lei. La feci sedere a me in faccia. Proprio, mi ripugnava con quel suo aspetto da vecchia e gli occhi giovanili e mobili come quelli di tutti gli animali deboli. Compassionavo me stesso, per dover sop- portare una compagnia simile! E vero che neppure in liberta2 io so scegliere le compagnie che meglio mi si confacciano perche1 di solito sono esse che scelgono me, come fece mia moglie. Pregai Giovanna di svagarmi e poiche1 dichiaro2 di non sapermi dir nulla che valesse la mia attenzione, la pregai di raccontarmi della sua famiglia, aggiungendo che quasi tutti a questo mondo ne avevano almeno una. Essa allora obbedi2 e incomincio2 col raccontarmi che aveva dovuto mettere le sue due figliuole all'Istituto dei Poveri. Io cominciavo ad ascoltare volentieri il suo racconto per- che1 quei diciotto mesi di gravidanza sbrigati cosi2, mi faceva- no ridere. Ma essa aveva un'indole troppo polemica ed io non seppi ascoltarla quando dapprima volle provarmi ch'es- sa non avrebbe potuto fare altrimenti data l'esiguita2 del suo 20 salario e che il dottore aveva avuto torto quando pochi giorni prima aveva dichiarato che due corone al giorno bastavano dacchel l'Istituto dei Poveri manteneva tutta la sua famiglia. Urlava: <> E giu2 una filza di cose che doveva procurare alle sue figliole e che io non ricordo piu2, visto che per proteggere il mio udito dalla sua voce stridula, rivolgevo di proposito il mio pensiero ad altra cosa. Ma ne ero tuttavia ferito e mi parve di aver diritto ad un compenso: <> Giovanna fu enormemente spaventata dalla mia propo- sta. Si mise ad urlare; voleva chiamare subito l'infermiere e si levo2 dal suo posto per uscire. Per farla tacere desistetti subito dal mio proposito e, a caso, tanto per dire qualcosa e darmi un contegno, do- mandai: <> Giovanna fu pronta nella risposta e, con mia meraviglia in un vero tono di conversazione, senz'urlare: <> Mi trovavo in condizione tale che non vedevo per me altra via d'uscita che l'ubriachezza. Ecco dove m'aveva condotto la fiducia in mia moglie! In quel momento a me pareva che il vizio del fumo non valesse lo sforzo cui m'ero lasciato indurre. Ora non fumavo gia2 da mezz'ora e non ci pensavo affatto, occupato com'ero dal pensiero di mia moglie e del dottor Muli. Ero dunque guarito del tutto, ma irrimediabilmente ridicolo! Stappai la bottiglia e mi versai un bicchierino del liquido giallo. Giovanna stava a guardarmi a bocca aperta, ma io esitai di offrirgliene. <> Giovanna sempre nel piu2 gradevole tono di conversazione 21 mi rassicuro2: <>. Io non soffersi mai d'avarizia e Giovanna ebbe subito il suo bicchierino colmo all'orlo. Non aveva finito di dire un grazie che gia2 l'aveva vuotato e subito diresse gli occhi vivaci alla bottiglia. Fu percio2 lei stessa che mi diede l'idea di ubriacarla. Ma non fu mica facile! Non saprei ripetere esattamente quello ch'essa mi disse, dopo aver ingc iati varii bicchierini, nel suo puro dialetto triestino, ma ebbi tutta l'impressione di trovarmi da canto una persona che se non fossi stato stornato dalle mie preoc- cupazioni, avrei potuto stare a sentire con diletto. Prima di tutto mi confido2 ch'era proprio cosi2 che a lei piaceva di lavorare. A tutti a questo mondo sarebbe spettato di diritto di passare un giorno un paio d'ore su una poltrona tanto comoda, in faccia a una bottiglia di liquore buono, di quello che non fa male. Tentai di conversare anch'io. Le domandai se, quand'era vivo suo marito, il lavoro per lei fosse stato organizzato proprio a quel modo. Essa si mise a ridere. Da vivo suo marito l'aveva piu2 picchiata che baciata e, in confronto a quello ch'essa aveva dovuto lavorare per lui, ora tutto avrebbe potuto sembrarle un riposo anche prima ch'io a quella casa arrivassi con la mia cura. Poi Giovanna si fece pensierosa e mi domando2 se credevo che i morti vedessero quello che facevano i vivi. Annuii brevemente. Ma essa volle sapere se i morti, quando arriva- vano al di 1a2, risapevano tutto quello che quaggiu2 era avve- nuto quand'essi erano stati ancora vivi. Per un momento la domanda valse proprio a distrarm. Era stata poi mossa con una voce sempre piu2 soave perche1, per non farsi sentire dai morti, Giovanna l'aveva abbassata. <> le dissi <> Essa mi prego2 di non gridare eppoi confesso2 di averlo tradito, ma soltanto nei primi mesi del loro matrimonio. Poi s'era abituata alle busse e aveva amato il suo uomo. Per conservare viva la conversazione domandai: <> 22 Sempre a bassa voce essa ammise di crederio anche in seguito a certe somiglianze. Le doleva molto di aver tradito il mari2to. Lo diceva, ma sempre ridendo perche1 son cose di cui si ride anche quando dolgono. Ma solo dacche1 era morto, perche1 prima, visto che non sapeva, la cosa non poteva aver avuto importanza. Spintovi da una certa simpatia fraterna, tentai di lenire il suo dolore e le dissi ch'io credevo che i morti sapessero tutto, ma che di certe cose s'infischiassero. <> esclamai battendo sul tavolo il pugno. Ne ebbi una contusione alla mano e non c'e2 di meglio di un dolore fisico per destare delle idee nuove. Intravvidi la possibilita2 che intanto ch'io mi crucciavo al pensiero che mia moglie approfittasse della mia reclusione per tradimi, forse il dottore si trovasse tuttavia nella casa di salute, nel quale caso io avrei potuto riavere la mia tranquillita2. Pregai Gio- vanna di andar a vedere, dicendole che sentivo il bisogno di dire qualche cosa al dottore e promettendole in premio l'intera bottiglia. Essa protesto2 che non amava di bere tanto, ma subito mi compiacque e la sentii arrampicarsi traballan- do sulla scala di legno fino al secondo piano per uscire dalla nostra clausura. Poi ridiscese, ma scivolo2 facendo un grande rumore e gridando. <> mormorai io fervidamente. Se essa si fosse rotto l'osso del collo la mia posizione sarebbe stata semplificata di molto. Invece arrivo\ a me sorridendo perche1 si trovava in quello stato in cui i dolori non dolgono troppo. Mi racconto2 di aver parlato con l'infermiere che andava a coricarsi, ma restava a sua disposizione a letto, per il caso in cui fossi divenuto cattivo. Sollevo2 la mano e con l'indice teso accompagno2 quelle parole da un atto di minaccia attenuato da un sorriso. Poi, piu2 seccamente, aggiunse che il dottore non era rientra- to dacche1 era uscito con mia moglie. Proprio da allora! Anzi per qualche ora l'infermiere aveva sperato che fosse ritorna- to perche1 un malato avrebbe avuto bisogno di esser visto da lui. Ora non lo sperava piu2. Io la guardai indagando se il sorriso che contraeva la sua faccia fosse stereotipato o se fosse nuovo del tutto e origina- to dal fatto che il dottore si trovava con mia moglie anziche1 23 con me, ch'ero il suo paziente. Mi colse un'ira da farmi girare la testa. Devo confessare che, come sempre, nel mio animo lottavano due persone di cui l'una, la piu2 ragionevole, mi diceva: "Imbecille! Perche1 pensi che tua moglie ti tradi- sca? Essa non avrebbe il bisogno di rinchiuderti per averne l'opportunita2". L'altra, ed era certamente quella che voleva fumare, mi dava pur essa dell'imbecille, ma per gridare: "Non ricordi la comodita2 che proviene dall'assenza del mari- to? Col dottore che ora e2 pagato da te!". Giovanna, sempre bevendo, disse: <>. <> feci io con quel minimo d'ipocrisia che occorreva ormai per ingannare la poverina. Poi inghiottii anch'io del cognac e dichiarai che ormai che avevo tanto di quel liquore a mia disposizione, delle sigarette non mi importava piu2 niente. Essa subito mi credette e allora le raccontai che non ero veramente io che volevo svezzarmi dal fumo. Mia moglie lo voleva. Bisognava sapere che quando io arrivavo a fumare una decina di sigarette diventavo terribile. Qualunque don- na allora mi fosse stata a tiro si trovava in pericolo. Giovanna si mise a ridere rumorosamente abbandonan- dosi sulla sedia: <> <> Non era mica sciocca Giovanna, quand'aveva tanto co- gnac in corpo. Fu colta da un impeto di riso che quasi la faceva cadere dalla sedia, ma quando il fiato glielo permette- va, con parole spezzate, dipinse un magnifico quadretto suggeritole dalla mia malattia: <> La corressi: <> Improvvisamente Giovanna si fece seria e si levo2 senza gran fatica dalla sua sedia. Disse che sarebbe andata a cori-- carsi perche1 si sentiva un po' male alla testa. L'invitai di 24 prendere la bottiglia con se1, perche1 io ne avevo abbastanza di quel liquore. Ipocritamente dissi che il giorno seguente volevo che mi si procurasse del buon vino. Ma al vino essa non pensava. Prima di uscire con la bottiglia sotto il braccio, mi squadro2 con un'occhiataccia che mi fece spavento. Aveva lasciata la porta aperta e dopo qualche istante cadde nel mezzo della stanza un pacchetto che subito raccol- si: conteneva undici sigarette di numero. Per essere sicura, la povera Giovanna aveva voluto abbondare. Sigarette ordi- narie, ungheresi. Ma la prima che accesi fu buonissima. Mi sentii grandemente sollevato. Dapprima pensai che mi com- piacevo di averla fatta a quella casa ch'era buonissima per rinchiudervi dei bambini, ma non me. Poi scopersi che l'ave- vo fatta anche a mia moglie e mi pareva di averla ripagata di pari moneta. Perche1, altrimenti, la mia gelosia si sarebbe tramutata in una curiosita2 tanto sopportabile? Restai tran- quillo a quel posto fumando quelle sigarette nauseanti. Dopo una mezz'ora circa ricordai che bisognava fuggire da quella casa ove Giovanna aspettava il suo compenso. Mi levai le scarpe e uscii sul corridoio. La porta della stanza di Giovanna era socchiusa e, a giudicare dalla sua respirazione rumorosa e regolare, a me parve ch'essa dormisse. Salii con tutta prudenza fino al secondo piano ove dietro di quella porta -- l'orgoglio del dottor Muli, -- infilai le scarpe. Uscii su un pianerottolo e mi misi a scendere le scale, lentamente per non destar sospetto. Ero arrivato al pianerottolo del primo piano, quando una signorina vestita con qualche eleganza da infermiera, mi segui2 per domandarmi cortesemente: <> Era bellina e a me non sarebbe dispiaciuto di finire accan- to a lei le dieci sigarette. Le sorrisi un po' aggressivo: <> Essa fece tanto d'occhi: <> <> Cortesemente mi diede l'indirizzo del dottore ed io lo ripetei piu2 volte per farle credere che volessi ricordarlo. Non mi sarei mica tanto affrettato di andar via, ma essa, seccata, 25 mi volse le spalle. Venivo addirittura buttato fuori della mia prigione. Da basso una donna fu pronta ad aprirmi la porta. Non avevo un soldo con me e mormorai: <> Non si puo2 mai conoscere il futuro. Da me le cose si ripetono: non era escluso ch'io fossi ripassato per di 1a2. La notte era chiara e calda. Mi levai il cappello per sentir meglio la brezza della liberta2. Guardai le stelle con ammira- zione come se le avessi conquistate da poco. Il giorno se- guente, lontano dalla casa di salute, avrei cessato di fumare. Intanto in un caffe2 ancora aperto mi procurai delle buone sigarette perche1 non sarebbe stato possibile di chiudere la mia carriera di fumatore con una di quelle sigarette della povera Giovanna. Il cameriere che me le diede mi conosceva e me le lascio2 a fido. Giunto alla mia villa suonai furiosamente il campanello. Dapprima venne alla finestra la fantesca eppoi, dopo un tempo non tanto breve, mia moglie. Io l'attesi pensando con perfetta freddezza: "Sembrerebbe che ci sia il dottor Muli". Ma, avendomi riconosciuto, mia moglie fece echeggiare nella strada deserta il suo riso tanto sincero che sarebbe bastato a cancellare ogni dubbio. In casa m'attardai per fare qualche atto d'inquisitore. Mia moglie cui promisi di raccontare il giorno appresso le mie avventure ch'essa credeva di conoscere, mi doman- do2: <> Per scusarmi dissi: <> E vero ch'io credo che le cose, in casa mia, sieno sempre spostate ed e2 anche vero che mia moglie molto spesso le sposta, ma in quel momento io guardavo ogni cantuccio per vedere se vi era nascosto il piccolo, elegante corpo del dottor Muli. Da mia moglie ebbi una buona notizia. Ritornando dalla casa di salute s'era imbattuta nel figlio dell'Olivi che le ave- va raccontato che il vecchio stava molto meglio dopo di aver presa una medicina prescrittagli da un suo nuovo medico. 26 Addormentandomi pensai di aver fatto bene di lasciare la casa di salute poiche1 avevo tutto il tempo per curarmi lenta- mente. Anche mio figlio che dormiva nella stanza vicina non s'apprestava certamente ancora a giudicarmi o ad imitarmi. Assolutamente non v'era fretta. 27 La morte di mio padre Il dottore e2 partito ed io davvero non so se la biografia di mio padre occorra. Se descrivessi troppo minuziosamente mio padre, potrebbe risultare che per avere la mia guarigione sarebbe stato necessario di analizzare lui dapprima e si arri- verebbe cosi2 ad una rinunzia. Procedo con coraggio perche1 so che se mio padre avesse avuto bisogno della stessa cura, cio2 sarebbe stato per tutt'altra malattia della mia. Ad ogni modo, per non perdere tempo, diro2 di lui solo quanto possa giovare a ravvivare il ricordo di me stesso. <<15-4-1890 ore 41/2. Muore mio padre. U. S.>> Per chi non lo sapesse quelle due ultime lettere non significano <1United>1 <1States,>1 ma ultima sigaretta. E l'annotazione che trovo su un volume di filosofia positiva dell'Ostwald sul quale pieno di speranza passai varie ore e che mai intesi. Nessuno lo crede- rebbe, ma, ad onta di quella forma, quell'annotazione regi- stra l'avvenimento piu2 importante della mia vita. Mia madre era morta quand'io non avevo ancora quindici anni. Feci delle poesie per onorarla cio2 che mai equivale a piangere e, nel dolore, fui sempre accompagnato dal senti- mento che da quel momento doveva iniziarsi per me una vita seria e di lavoro. Il dolore stesso accennava ad una vita piu2 intensa. Poi un sentimento religioso tuttavia vivo attenuo2 e addolci2 la grave sciagura. Mia madre continuava a vivere sebbene distante da me e poteva anche compiacersi dei successi cui andavo preparandomi. Una bella comodita2! Ricordo esattamente il mio stato di allora. Per la morte di mia madre e la salutare emozione ch'essa mi aveva procura- ta, tutto da me doveva migliorarsi. Invece la morte di mio padre fu una vera, grande catastro- fe. Il paradiso non esisteva piu2 ed io poi, a trent'anni, ero un uomo finito. Anch'io! M'accorsi per la prima volta che la parte piu2 importante e decisiva della mia vita giaceva dietro di me, irrimediabilmente. Il mio dolore non era solo egoisti-- co come potrebbe sembrare da queste parole. Tutt'altro! Io piangevo lui e me, e me solo perche1 era morto lui. Fino ad allora io ero passato di sigaretta in sigaretta e da una facolta2 universitaria all'altra, con una fiducia indistruttibile nelle mie capacita2. Ma io credo che quella fiducia che rendeva tanto dolce la vita, sarebbe continuata magari fino ad oggi, se mio padre non fosse morto. Lui rnorto non c'era piu2 una dimane ove collocare il proposito. Tante volte, quando ci penso, resto stupito della stranezza per cui questa disperazione di me e del mio avvenire si sia prodotta alla morte di mio padre e non prima. Sono in complesso cose recenti e per ricordare il mio enorme dolore e ogni particolare della sventura non ho certo bisogno di sognare come vogliono i signori dell'analisi. Ricordo tutto, ma non intendo niente. Fino alla sua morte io non vissi per mio padre. Non feci alcun sforzo per avvicinarmi a lui e, quando si pote1 farlo senz'offenderlo, lo evitai. All'Universi- ta2 tutti lo conoscevano col nomignolo ch'io gli diedi di <1vec->1 <1chio Silva manda denari.>1 Ci volle la malattia per legarmi a lui; la malattia che fu subito la morte, perche1 brevissima e perche1 il medico lo diede subito per spacciato. Quand'ero a Trieste ci vedevamo si2 e no per un'oretta al giorno, al massi- mo. Mai non fummo tanto e si2 a lungo insieme, come nel mio pianto. Magari l'avessi assistito meglio e pianto meno! Sarei stato meno malato. Era difficile di trovarsi insieme anche perche1 fra me e lui, intellettualmente non c'era nulla di comune. Guardandoci, avevamo ambedue lo stesso sorriso di compatimento, reso in lui piu2 acido da una viva paterna ansieta2 per il mio avvenire; in me, invece, tutto indulgenza, sicuro com'ero che le sue debolezze oramai erano prive di conseguenze, tant'e2 vero ch'io le attribuivo in parte all'eta2. Egli fu il primo a diffidare della mia energia e, -- a me sembra, -- troppo presto. Eppero2 io sospetto, che, pur senza l'appoggio di una convinzione scientifica, egli diffidasse di me anche perche1 ero stato fatto da lui, cio2 che serviva -- e qui con fede scientifica sicura -- ad aumentare la mia diffidenza per lui. 29 Egli godeva pero2 della fama di commerciante abile, ma io sapevo che i suoi affari da lunghi anni erano diretti dall'Oli- vi. Nell'incapacita2 al commercio v'era una somiglianza fra di noi, ma non ve ne erano altre; posso dire che, fra noi due, io rappresentavo la forza e lui la debolezza. Gia2 quello che ho registrato in questi fascicoli prova che in me c'e2 e c'e2 sempre stato -- forse la mia massima sventura -- un impetuoso conato al meglio. Tutti i miei sogni di equilibrio e di forza non possono essere definiti altrimenti. Mio padre non conosceva nulla di tutto cio2. Egli viveva perfettamente d'accordo sul modo come l'avevano fatto ed io devo ritenere ch'egli mai abbia compiuti degli sforzi per migliorarsi. Fumava il giorno intero e, dopo la morte di mamma, quando non dormiva, anche di notte. Beveva anche discretamente; da <1gentleman,>1 di sera, a cena, tanto da essere sicuro di trovare il sonno pronto non appena posata la testa sul guanciale. Ma, secon- do lui, il fumo e l'alcool erano dei buoni medicinali. In quanto concerne le donne, dai parenti appresi che mia madre aveva avuto qualche motivo di gelosia. Anzi pare che la mite donna abbia dovuto intervenire talvolta violente- mente per tenere a freno il marito. Egli si lasciava guidare da lei che amava e rispettava, ma pare ch'essa non sia mai riuscita ad avere da lui la confessione di alcun tradimento, per cui mori2 nella fede di essersi sbagliata. Eppure i buoni parenti raccontano ch'essa ha trovato il marito quasi in flagrante dalla propria sarta. Egli si scuso2 con un accesso di distrazione e con tanta costanza che fu creduto. Non vi fu altra conseguenza che quella che mia madre non ando2 piu\ da quella sarta e mio padre neppure. Io credo che nei suoi panni io avrei finito col confessare, ma che poi non avrei saputo abbandonare la sarta, visto ch'io metto le radici dove mi soffermo. Mio padre sapeva difendere la sua quiete da vero <1pater>1 <1familias.>1 L'aveva questa quiete nella sua casa e nell'animo suo. Non leggeva che dei libri insulsi e morali. Non mica per ipocrisia, ma per la piu2 sincera convinzione: penso che egli sentisse vivamente la verita2 di quelle prediche morali e che la sua coscienza fosse quietata dalla sua adesione sincera alla virtu2. Adesso che invecchio e m'avvicino al tipo del patriar- ca, anch'io sento che un'immoralita2 predicata e2 piu2 punibile di un'azione immorale. Si arriva all'assassinio per amore o 30 per odio; alla propaganda dell'assassinio solo per malvagita2. Avevamo tanto poco di comune fra di noi, ch'egli mi confesso2 che una delle persone che piu2 l'inquietavano a questo mondo ero io. Il mio desiderio di salute m'aveva spinto a studiare il corpo umano. Egli, invece, aveva saputo eliminare del suo ricordo ogni idea di quella spaventosa macchina. Per lui il cuore non pulsava e non v'era bisogno di ricordare valvole e vene e ricambio per spiegare come il suo organismo viveva. Niente movimento perche1 l'esperienza diceva che quanto si muoveva finiva coll'arrestarsi. Anche la terra era per lui immobile e solidamente piantata su dei cardini. Naturalmente non lo disse mai, ma soffriva se gli si diceva qualche cosa che a tale concezione non si conformas- se. M'interruppe con disgusto un giorno che gli parlai degli antipodi. Il pensiero di quella gente con la testa all'ingiu2 gli sconvolgeva lo stomaco. Egli mi rimproverava due altre cose: la mia distrazione e la mia tendenza a ridere delle cose piu2 serie. In fatto di distrazione egli differiva da me per un certo suo libretto in cui notava tutto quello ch'egli voleva ricordare e che rivede- va piu2 volte al giorno. Credeva cosi2 di aver vinta la sua malattia e non ne soffriva piu2. Impose quel libretto anche a me, ma io non vi registrai che qualche ultima sigaretta. In quanto al mio disprezzo per le cose serie, io credo che egli avesse il difetto di considerare come serie troppe cose di questo mondo. Eccone un esempio: quando, dopo di essere passato dagli studii di legge a quelli di chimica, io ritornai col suo permesso ai primi, egli mi disse bonariamente: <>. Io non me ne offesi affatto e gli fui tanto grato della sua condiscendenza, che volli premiarlo facendolo ridere. An- dai dal dottor Canestrini a farmi esaminare per averne un certificato. La cosa non fu facile perche1 dovetti sottometter- mi percio2 a lunghe e minuziose disamine. Ottenutolo, portai trionfalmente quel certificato a mio padre, ma egli non seppe riderne. Con accento accorato e con le lacrime agli occhi esclamo2: <>. E questo fu il premio della mia faticosa e innocua comme- diola. Non me la perdono2 mai e percio2 mai ne rise. Farsi visitare da un medico per ischerzo?. Far redigere per ischerzo un certificato munito di bolli? Cose da pazzi! 31 Insomma io, accanto a lui, rappresentavo la forza e talvol- ta penso che la scomparsa di quella debolezza, che mi eleva- va, fu sentita da me come una diminuzione. Ricordo come la sua debolezza fu provata allorche1 quella canaglia dell'Olivi lo indusse a fare testamento. All'Olivi premeva quel testamento che doveva mettere i miei affari sotto la sua tutela e pare abbia lavorato a lungo il vecchio per indurlo a quell'opera tanto penosa. Finalmente mio padre vi si decise, ma la sua larga faccia serena si oscuro2. Pensava costantemente alla morte come se con quell'atto avesse avuto un contatto con essa. Una sera mi domando2: <>. Al mistero della morte io ci penso ogni giorno, ma non ero ancora in grado di dargli le informazioni ch'egli doman- dava. Per fargli piacere inventai la fede piu2 lieta nel nostro futuro. <> Feci un bel fiasco. Si era ancora a tavola dopo cena. Egli, senza rispondere, si levo2 dalla sedia, vuoto2 ancora il suo bicchiere e disse: <> E usci2. Dispiacente lo seguii e pensai di restare con lui per distoglierlo dai pensieri tristi. M'allontano2 dicendomi che gli ricordavo la morte e i suoi piaceri. Non sapeva dimenticare il testamento finche1 non me ne aveva data comunicazione. Se ne ricordava ogni qualvolta mi vedeva. Una sera scoppio\: <> Io, per stornarlo dal suo incubo, vinsi subito la sorpresa che mi produsse la sua comunicazione e gli dissi: <> Egli subito si inquieto2 del mio riso su una cosa tanto seria e ritrovo2 tutto il suo desiderio di punirmi. Cosi2 gli fu facile di raccontarmi il bel tiro che m'aveva fatto mettendomi sotto la tutela dell'Olivi. 32 Devo dirlo: io mi dimostrai un buon ragazzo; rinunziai a fare un'obiezione qualunque pur di strappario a quel pensie- ro che lo faceva soffrire. Dichiarai che qualunque fosse stata Ia sua ultima volonta2 io mi vi sarei adattato. <> aggiunsi <> Cio2 gli piacque anche perche1 vedeva ch'io gli attribuivo una vita lunga, anzi lunghissima. Tuttavia volle da me addi- rittura un giuramento, che se egli non avesse disposto altri- menti, io non avrei mai tentato di sminuire le facolta2 dell'O- livi. Io giurai visto ch'egli non volle contentarsi della mia parola d'onore. Fui tanto mite allora, che quando sono torturato dal rimorso di non averlo amato abbastanza prima che morisse, rievoco sempre quella scena. Per essere sincero devo dire che la rassegnazione alle sue disposizioni mi fu facile perche1 in quell'epoca l'idea di essere costretto a non lavorare m'era piuttosto simpatica. Circa un anno prima della sua morte, io seppi una volta intervenire abbastanza energicamente a vantaggio della sua salute. M'aveva confidato di sentirsi male ed io lo costrinsi di andare da un medico dal quale anche lo accompagnai. Co- stui prescrisse qualche medicinale e ci disse di ritornare da lui qualche settimana dopo. Ma mio padre non volle, dichia- rando che odiava i medici quanto i becchini e non prese neppure la medicina prescrittagli perche1 anch'essa gli ricor- dava medici e becchini. Resto2 per un paio di ore senza fumare e per un solo pasto senza vino. Si senti2 molto bene quando pote1 congedarsi dalla cura, e io, vedendolo piu2 lieto, non ci pensai piu2 . Poi lo vidi talvolta triste. Ma mi sarei meravigliato di vederlo lieto, solo e vecchio com'era. Una sera della fine di marzo arrivai un po' piu2 tardi del solito a casa. Niente di male: ero caduto nelle mani di un dotto amico che aveva voluto confidarmi certe sue idee sulle origini del Cristianesimo. Era la prima volta che si voleva da me ch'io pensassi a quelle origini, eppure m'adattai alla lunga lezione per compiacere l'amico. Piovigginava e faceva freddo. Tutto era sgradevole e fosco, compresi i Greci e gli Ebrei di cui il mio amico parlava, ma pure m'adattai a quella 33 sofferenza per ben due ore. La mia solita debolezza! Scom- metto che oggi ancora sono tanto incapace di resistenza, che se qualcuno ci si mettesse sul serio potrebbe indurmi a studiare per qualche tempo l'astronomia. Entrai nel giardino che circonda la nostra villa. A questa si accedeva per una breve strada carrozzabile. Maria, la nostra cameriera, m'aspettava alla finestra e sentendomi avvicina- re grido2 nell'oscurita2: <> Maria era una di quelle fantesche come non se ne trovano piu2. Era da noi da una quindicina d'anni. Metteva mensil- mente alla Cassa di Risparmio una parte della sua paga per i suoi vecchi anni, risparmi che pero2 non le servirono perche1 essa mori2 in casa nostra poco dopo il mio matrimonio sem- pre lavorando. Essa mi racconto2 che mio padre era ritornato a casa da qualche ora, ma che aveva voluto attendermi a cena. Al- lorche1 essa aveva insistito perche1 egli intanto mangiasse, era stata mandata via con modi poco gentili. Poi egli ave- va domandato di me parecchie volte, inquieto e ansioso. Maria mi fece intendere che pensava che mio padre non si sentisse bene. Gli attribuiva una difficolta2 di parola e il respiro mozzo. Debbo dire ch'essendo sempre sola con lui, essa spesso s'era fitto in testa il pensiero ch'egli fosse malato. Aveva poche cose da osservare la povera donna nella casa solitaria e -- dopo l'esperienza fatta con mia madre -- essa s'aspettava che tutti avessero da morire pri- ma di lei. Corsi alla camera da pranzo con una certa curiosita2 e non ancora impensierito. Mio padre si levo2 subito dal sofa2 su cui giaceva e m'accolse con una grande gioia che non seppe commovermi perche1 vi scorsi prima di tutto l'espressione di un rimprovero. Ma intanto basto2 a tranquillarmi perche1 la gioia mi parve un segno di salute. Non scorsi in lui traccia di quel balbettamento e respiro mozzo di cui aveva parlato Maria. Ma, invece di rimproverarmi, egli si scuso2 d'essere stato caparbio. <> mi disse bonariamente. <> Magari mi fossi comportato con semplicita2 e avessi preso fra le mie braccia il mio caro babbo divenuto per maiattia tanto mite e affettuoso! Invece incominciai a fare fredda- mente una diagnosi: Il vecchio Silva si era tanto mitigato? Che fosse malato? Lo guardai sospettosamente e non trovai di meglio che di fargli un rimprovero: <> Egli rise assai giovanilmente: <> Poteva questa lietezza essere anche il segno di un buon appetito: io mi tranquillai e mi misi a mangiare. Con le sue ciabatte di casa, con passo malfermo, egli s'accosto2 al desco e occupo2 il suo solito posto. Poi stette a guardarmi come mangiavo, mentre lui, dopo un paio di cucchiaiate scarse, non prese altro cibo e allontano2 anche da se1 il piatto che gli ripugnava. Ma il sorriso persisteva sulla vecchia faccia. Sol- tanto mi ricordo, come se si trattasse di cosa avvenuta ieri, che un paio di volte ch'io lo guardai negli occhi, egli storno2 il suo sguardo dal mio. Si dice che cio2 e2 un segno di falsita2, mentre io ora so ch'e2 un segno di malattia. L'animale malato non lascia guardare nei pertugi pei quali si potrebbe scorgere la malattia, la debolezza. Egli aspettava sempre di sentire come io avessi impiegato quelle tante ore in cui egli m'aveva atteso. E vedendo che ci teneva tanto, cessai per un istante di mangiare e gli dissi secco, secco, ch'io fino a quell'ora avevo discusse le origini del Cristianesimo. Mi guardo2 dubbioso e perplesso: <> Era evidente che gli avrei dato una grande consolazione se avessi accettato di pensarci con lui. Invece io, che finche1 mio padre era vivo mi sentivo combattivo (e poi non piu2) risposi con una di quelle solite frasi che si sentono tutti i giorni nei caffe2 situati presso le Universita2: <> <> fece lui sconcertato. Cerco2 una pronta ri- sposta e aperse la bocca per darla. Poi esito2 e guardo2 il secondo piatto, che giusto allora Maria gli offerse e che egli non tocco2. Quindi per tapparsi meglio la bocca, vi ficco2 un mozzicone di sigaro che accese e che lascio2 subito spegnere. 35 S'era cosi2 concessa una sosta per riflettere tranquillamente. Per un istante mi guardo2 risoluto: <> Io, da quel perfetto studente scioperato che sono sempre stato, con la bocca piena, risposi: <> Egli tacque e guardo2 lungamente il mozzicone di sigaro che aveva deposto su un piatto. Capisco ora perche1 egli mi avesse detto cio2. Capisco ora tutto quello che passo2 per quella mente gia2 torbida, e sono sorpreso di non averne capito nulla allora. Credo che allora nel mio animo mancas- se l'affetto che fa intendere tante cose. Poi mi fu tanto facile! Egli evitava di affrontare il mio scetticismo: una lotta troppo difficile per lui in quel momento; ma riteneva di poter attac- carlo mitemente di fianco come conveniva ad un malato. Ricordo che quando parlo2, il suo respiro mozzava e ritarda- va la sua parola. E una grande fatica prepararsi ad un com- battimento. Ma pensavo ch'egli non si sarebbe rassegnato di coricarsi senza darmi il fatto mio e mi preparai a discussioni che poi non vennero. <> disse, sempre guardando il suo mozzicone di sigaro ormai spento <> Non c'era da discutere. Borbottai poco convinto e sempre mangiando: <> Non volevo offenderlo. <> Pensai che volesse ancora seccarmi perche1 ero venuto tardi e gli proposi di lasciare quella discussione per il giorno dopo. <> rispose egli trasognato <> Qui ebbi un dubbio: <> 36 <> Suono2 il campanello e nello stesso tempo chiamo2 Maria con la voce. Quand'essa venne, egli domando2 se nella sua stanza tutto era pronto. S'avvio2 poi subito strascicando le ciabatte al suolo. Giunto accanto a me, chino2 la testa per offrirmi la sua guancia al bacio di ogni sera. Vedendolo muoversi cosi2 malsicuro, ebbi di nuovo il dub- bio che stesse male e glielo domandai. Ripetemmo ambedue piu2 volte le stesse parole ed egli mi confermo2 ch'era stanco ma non malato. Poi soggiunse: <> <> dichiarai io commosso <> Vedendomi tanto disposto a sottomettermi alla sua espe- rienza, egli esito2 di lasciarmi: bisognava pur approfittare di un momento tanto favorevole! Si passo2 la mano sulla fronte e sedette sulla sedia sulla quale s'era appoggiato per porger- mi la sua guancia al bacio. Ansava leggermente. <> disse. <> Guardo2 intorno a se1 come se avesse cercato di fuori quello che nel suo interno non arrivava ad afferrare. <> Non soffriva tanto di non saper esprimersi perche1 sorrise alla propria forza, alla propria grandezza. Io non so perche1 non abbia chiamato subito il dottore. Invece debbo confessarlo con dolore e rimorso: considerai le parole di mio padre come dettate da una presunzione ch'io credevo di aver piu2 volte constatata in lui. Non poteva pero2 sfuggirmi l'evidenza della sua debolezza e solo percio2 non discussi. Mi piaceva di vederlo felice nella sua illusione di essere tanto forte quand'era invece debolissimo. Ero poi lusingato dell'affetto che mi dimostrava manifestando il de- siderio di consegnarmi la scienza di cui si credeva possesso- re, per quanto fossi convinto di non poter apprendere niente da lui. E per lusingarlo e dargli pace gli raccontai che non doveva sforzarsi per trovare subito le parole che gli manca- vano, perche1 in frangenti simili i piu2 alti scienziati mettevano le cose troppo complicate in deposito in qualche cantuccio del cervello perche1 si semplificassero da se1. 37 Egli rispose: <> Tuttavia non si levo2 dalla sedia. Esitante e scrutando per un istante il mio viso, mi disse: <> Mi sorrise come se avesse voluto pregarmi di non risentir- mi per le sue parole, si alzo2 dalla sedia e mi offerse per la seconda volta la sua guancia. Io rinunziai a discutere e convincerlo che a questo mondo v'erano molte cose di cui si poteva e doveva ridere e volli rassicurarlo con un forte abbraccio. Il mio gesto fu forse troppo forte, perche1 egli si svincolo2 da me piu2 affannato di prima, ma certo fu da lui inteso il mio affetto, perche1 mi saluto2 amichevolmente con la mano. <> disse con gioia e usci2 seguito da Maria. E rimasto solo (strano anche questo!) non pensai alla salute di mio padre, ma, commosso e -- posso dirlo -- con ogni rispetto filiale, deplorai che una mente simile che mirava a me2te alte, non avesse trovata la possibilita2 di una coltura migliore. Oggi che scrivo, dopo di avere avvicinata l'eta2 raggiunta da mio padre, so con certezza che un uomo puo2 avere il sentimento di una propria altissima intelligenza che non dia altro segno di se1 fuori di quel suo forte sentimento. Ecco: si da2 un forte respiro e si accetta e si ammira tutta la natura com'e2 e come, immutabile, ci e2 offerta: con cio2 si manifesta la stessa intelligenza che volle la Creazione intera. Da mio padre e2 certo che nell'ultimo istante lucido della sua vita, il suo sentimento d'intelligenza fu originato da una sua improvvisa ispirazione religiosa, tant'e2 vero che s'indusse a parlarmene perche1 io gli avevo raccontato di essermi occu- pato delle origini del Cristianesimo. Ora pero2 so anche che quel sentimento era il primo sintomo dell'edema cere- brale Maria venne a sparecchiare e a dirmi che le sembrava che mio padre si fosse subito addormentato. Cosi2 andai a dormi- re anch'io del tutto rasserenato. Fuori il vento soffiava e urlava. Lo sentivo dal mio letto caldo come una ninna nanna 38 che s'allontano2 sempre piu2 da me, perche1 mi immersi nel sonno. Non so per quanto tempo io abbia dormito. Fui destato da Maria. Pare che piu2 volte essa fosse venuta nella mia stanza a chiamarmi e fosse poi corsa via. Nel mio sonno profondo ebbi dapprima un certo turbamento, poi intravvidi la vec- chia che saltava per la camera e infine capii. Mi voleva svegliare, ma quando vi riusci2, essa non era piu2 nella mia stanza. Il vento continuava a cantarmi il sonno ed io, per essere veritiero, debbo confessare che andai alla stanza di mio padre col dolore di essere stato strappato dal mio sonno. Ricordavo che Maria vedeva sempre mio padre in pericolo. Guai a lei se egli non fosse stato ammalato questa volta! La stanza di mio padre, non grande, era ammobiliata un po' troppo. Alla morte di mia madre, per dimenticare me- glio, egli aveva cambiato di stanza, portando con se1 nel nuovo ambiente piu2 piccolo, tutti i suoi mobili. La stanza illuminata scarsamente da una fiarnmella a gas posta sul tavolo da notte molto basso, era tutta in ombra. Maria sosteneva mio padre che giaceva supino, ma con una parte del busto sporgente dal letto. La faccia di mio padre coperta di sudore rosseggiava causa la luce vicina. La sua testa poggiava sul petto fedele di Maria. Ruggiva dal dolore e la bocca era tanto inerte che ne colava la saliva giu2 per il mento. Guardava immoto la parete di faccia e non si volse quand'io entrai. Maria mi racconto2 di aver sentito il suo lamento e di essere arrivata in tempo per impedirgli di cadere dal letto. Prima -- essa assicurava -- egli s'era agitato di piu2, mentre ora le pareva relativamente tranquillo, ma non si sarebbe rischiata di lasciarlo solo. Voleva forse scusarsi di avermi chiamato mentre io gia2 avevo capito che aveva fatto bene a destarmi. Parlandomi essa piangeva, ma io ancora non piansi con lei ed anzi l'ammonii di stare zitta e di non aumentare coi suoi lamenti lo spavento di quell'ora. Non avevo ancora capito tutto. La poverina fece ogni sforzo per calmare i suoi sin- gulti. M'avvicinai all'orecchio di mnio padre e gridai: <> Credo ch'egli sentisse, perche1 il suo gemito si fece piu2 fioco ed egli storno2 l'occhio dalla parete di faccia come se 39 avesse tentato di vedermi; ma non arrivo2 a rivolgerlo a me. Piu2 volte gli gridai nell'orecchio la stessa domanda e sempre con lo stesso esito. Il mio contegno virile sparve subito. Mio padre, a quell'ora, era piu2 vicino alla morte che a me, perche1 il mio grido non lo raggiungeva piu2. Mi prese un grande spavento e ricordai prima di tutto le parole che avevamo scambiate la sera prima. Poche ore dopo egli s'era mosso per andar a vedere chi di noi due avesse ragione. Curioso! Il mio dolore veniva accompagnato dal rimorso. Celai il capo sul guanciale stesso di mio padre e piansi disperatamente emet- tendo i singulti che poco prima avevo rimproverati a Maria. Tocco2 ora a lei di calmarmi, ma lo fece in modo strano. Mi esortava alla calma parlando pero2 di mio padre, che tuttavia gemeva con gli occhi anche troppo aperti, come di un uomo morto. <> diceva. <> L'accarezzava. Era vero. La testa di mio padre era incoronata da una ricca, bianca chioma ricciuta, mentre io a trent'anni avevo gia2 i capelli molto radi. Non ricordai che a questo mondo c'erano dei medici e che si supponeva che talvolta portassero la salvezza. Io avevo gia2 vista la morte su quella faccia sconvolta dal dolore e non speravo piu2. Fu Maria che per prima parlo2 del medico e ando2 poi a destare il contadino per mandarlo in citta2. Restai solo a sostenere mio padre per una decina di minuti che mi parvero un'eternita2. Ricordo che cercai di mettere nelle mie mani, che toccavano quel corpo torturato, tutta la dolcezza che aveva invaso il mio cuore. Le parole egli non poteva sentirle. Come avrei fatto a fargli sapere che l'amavo tanto? Quando venne il contadino, mi recai nella mia stanza per scrivere un biglietto e mi fu difficile di mettere insieme quel paio di parole che dovevano dare al dottore un'idea del caso onde potesse portare subito con se1 anche dei medicinali. Continuamente vedevo dinanzi a me la sicura imminente morte di mio padre e mi domandavo: "Che cosa faro2 io ora a questo mondo?". Poi seguirono delle lunghe ore d'attesa. Ho un ricordo abbastanza esatto di quelle ore. Dopo la prima non occorse piu\ sostenere mio padre che giaceva privo di sensi composto nel letto. Il suo gemito era cessato, la sua insensibilita2 era 40 assoluta. Aveva una respirazione frettolosa, che io, quasi inconsciamente, imitavo. Non potevo respirare a lungo su quel metro e m'accordavo sulle soste sperando di trascinare con me al riposo anche l'ammalato. Ma egli correva avanti instancabile. Tentammo invano di fargli prendere un cuc- chiaio di te2. La sua incoscienza diminuiva quando si trattava di difendersi da un nostro intervento. Risoluto, chiudeva i denti. Anche nell'incoscienza veniva accompagnato da quel- la sua indomabile ostinazione. Molto prima dell'alba la sua respirazione muto2 di ritmo. Si raggruppo2 in periodi che esordivano con alcune respirazioni lente che avrebbero po- tuto sembrare di uomo sano, alle quali seguivano altre fret- tolose che si fermavano in una sosta lunga, spaventosa, che a Maria e a me sembrava l'annunzio della morte. Ma il perio- do riprendeva sempre circa eguale, un periodo musicale di una tristezza infinita, cosi2 priva di colore. Quella respirazio- ne che non fu sempre eguale, ma sempre rumorosa, divenne come una parte di quella stanza. Da quell'ora vi fu sempre, per lungo e lungo tempo! Passai alcune ore gettato su un sofa2, mentre Maria stava seduta accanto al letto. Su quel sofa2 piansi le mie piu2 cocenti lacrime. Il pianto offusca le proprie colpe e permette di accusare, senz'obbiezioni, il destino. Piangevo perche1 per; devo il padre per cui ero sempre vissuto. Non importava che gli avessi tenuto poca compagnia. I miei sforzi per diventare migliore non erano stati fatti per dare una soddisfazione a lui? Il successo cui anelavo doveva bensi2 essere anche il mio vantoverso di lui, che di me aveva sempre dubitato, ma anche la sua consolazione. Ed ora invece egli non poteva piu2 aspettarmni e se ne andava convinto della mia insanabile debolezza. Le mie lacrime erano amarissime. Scrivendo, anzi incidendo sulla carta tali dolorosi ricordi, scopro che l'immagine che m'ossessiono2 al primo mio tenta- tivo di vedere nel mio passato, quella locomotiva che trasci- na una sequela di vagoni su per un'erta, io l'ebbi per la prima volta ascoltando da quel sofa2 il respiro di mio padre. Vanno cosi2 le locomotive che trascinano dei pesi enormi: emettono degli sbuffi regolari che poi s'accelerano e finiscono in una sosta, anche quella una sosta minacciosa perche1 chi ascolta puo\ temere di veder finire la macchina e il suo traino a precipizio a valle. Davvero! Il mio primo sforzo di ricordare, 41 m'aveva riportato a quella notte, alle ore piu2 importanti della mia vita. Il dottor Coprosichi2 arrivo2 alla villa quando ancora non albeggiava, accompagnato da un infermiere che portava una cassetta di medicinali. Aveva dovuto venir a piedi perche1, a causa del violento uragano, non aveva trovata una vettura. Lo accolsi piangendo ed egli mi tratto2 con grande dolcezza incorandomi anche a sperare. Eppure devo subito dire, che dopo quel nostro incontro, a questo mondo vi sono pochi uomini che destino in me una cosi viva antipatia come il dottor Coprosich. Egli, oggi, vive ancora, decrepito e cir- condato dalla stima di tutta la citta2. Quando lo scorgo cosi2 indebolito e incerto camminare per le vie in cerca di un poco d'attivita2 e d'aria, in me, ancora adesso, si rinnova l'avver- sione. Allora il dottore avra2 avuto poco piu2 di quarant'anni. S'era dedicato molto alla medicina legale e, per quanto fosse notoriamente un buonissimo italiano, gli venivano affidate dalle imperial regie autorita2 le perizie piu2 importanti. Era un uomo magro e nervoso, la faccia insignificante rilevata dalla calvizie che gli simulava una fronte altissima. Un'altra sua debolezza gli dava dell'importanza: quando levava gli oc- chiali (e lo faceva sempre quando voleva meditare) i suoi occhi accecati guardavano accanto o al disopra del suo inter- locutore e avevano il curioso aspetto degli occhi privi di colore di una statua, minacciosi o, forse, ironici. Erano degli occhi spiacevoli allora. Se aveva da dire anche una sola parola rimetteva sul naso gli occhiali ed ecco che i suoi occhi ridivenivano quelli di un buon borghese qualunque che esa- mina accuratamente le cose di cui parla. Si sedette in anticamera e riposo2 per qualche minuto. Mi domando2 di raccontargli esattamente quello ch'era avvenu- to dal primo allarme fino al suo arrivo. Si levo2 gli occhiali e fisso2 con i suoi occhi strani la parete dietro di me. Cercai di essere esatto, cio2 che non fu facile dato lo stato in cui mi trovavo. Ricordavo anche che il dottor Coprosich non tollerava che le persone che non sapevano di medicina usas- sero termini medici atteggiandosi a sapere qualche cosa di quella materia. E quando arrivai a parlare di quella che a me era apparsa quale una <> egli si mise gli occhiali per dirmi: <>. Avevo parlato anche del contegno strano di mio padre, della sua ansia di vedermi, della sua fretta di coricarsi. Non gli riferii i discorsi strani di mio padre: forse temevo di essere costretto di dire qualche cosa delle risposte che allora io a mio padre avevo dato. Raccontai pero2 che papa2 non arrivava ad esprimersi con esattezza e che pareva pensasse intensamente a qualche cosa che s'aggirava nella sua testa e ch'egli non arrivava a formulare. Il dottore, con tanto d'occhiali sul naso, esclamo2 trionfalmente: <> Lo sapevo anch'io, ma non lo dissi per non far arrabbiare il dottor Coprosich: erano gli edemi. Andammo al letto dell'ammalato. Con l'aiuto dell'infer- miere egli giro2 e rigiro2 quel povero corpo inerte per un tempo che a me parve lunghissimo. Lo ascolto2 e lo esploro2. Tento2 di farsi aiutare dal paziente stesso, ma invano. <> disse a un certo punto. Mi si avvicino2 con gli occhiali in mano guardando il pavimento e, con un sospiro, mi disse: <> Andammo alla mia stanza ove egli si lavo2 anche la faccia. Era percio2 senza occhiali e quando l'alzo2 per asciugarla, la sua testa bagnata sembrava la testina di un amuleto fatta da mani inesperte. Ricordo2 di averci visti alcuni mesi prima ed espresse meraviglia perche1 non fossimo piu2 ritornati da lui. Anzi aveva creduto che lo avessimo abbandonato per altro medico; egli allora aveva ben chiaramente dichiarato che mio padre abbisognava di cure. Quando rimproverava, cosi2 senza occhiali, era terribile. Aveva alzata la voce e voleva spiegazioni. I suoi occhi le cercavano dappertutto. Certo egli aveva ragione ed io meritavo dei rimproveri. Debbo dire qui, che sono sicuro che non e2 per quelle parole che io odio il dottor Coprosich. Mi scusai raccontandogli dell'avversione di mio padre per medici e medicine; parlavo piangendo e il dottore, con bonta2 generosa, cerco2 di quietar- mi dicendomi che se anche fossimo ricorsi a lui prima, la sua scienza avrebbe potuto tutt'al piu2 ritardare la catastrofe cui assistevamo ora, ma non impedirla. Pero2, come continuo2 a indagare sui precedenti della ma- lattia, ebbe nuovi argomenti di rimprovero per me. Egli voleva sapere se mio padre in quegli ultimi mesi si fosse 43 lagnato delle sue condizioni di salute, del suo appetito e del suo sonno. Non seppi dirgli nulla di preciso; neppure se mio padre avesse mangiato molto o poco a quel tavolo a cui sedevamo giornalmente insieme. L'evidenza della mia colpa m'atterro2, ma il dottore non insistette affatto nelle sue do- mande. Apprese da me che Maria lo vedeva sempre mori-- bondo e ch'io percio2 la deridevo. Egli stava pulendosi le orecchie, guardando in alto. <> disse. <> esclamai io. <> rispose seccamente. <> Alzo2 le spalle e rimise a posto l'asciugamano. Quell'alzata di spalle significava proprio un disdegno per l'opera propria e m'incoraggio2 a parlare. Ero pieno di terrore all'idea che mio padre avesse potuto rimettersi dal suo torpore per ve- dersi morire, ma senza quell'alzata di spalle non avrei avuto il coraggio di dirlo. <> supplicai. <> Scoppiai in pianto. La voglia di piangere l'avevo sempre nei miei nervi scossi, ma mi vi abbandonavo senza resistenza per far vedere le mie lagrime e farmi perdonare dal dottore il giudizio che avevo osato di dare sull'opera sua. Con grande bonta2 egli mi disse: <> Piu2 spaventato che mai, lo supplicai di non applicargli le mignatte. Egli allora con tutta calma mi racconto2 che l'infer- miere gliele aveva sicuramente gia2 applicate perche1 egli ne aveva dato l'ordine prima di lasciare la stanza di mio padre. Allora m'arrabbiai. Poteva esserci un'azione piu2 malvagia di quella di richiamare in se1 un ammalato, senz'avere la mini- ma speranza di salvarlo e solo di esporlo alla disperazione, o al rischio di dover sopportare -- con queIl'affanno! -- la cami- 44 cia di forza? Con tutta violenza, ma sempre accompagnando le mie parole di quel pianto che domandava indulgenza, dichiarai che mi pareva una crudelta2 inaudita di non lasciar morire in pace chi era definitivamente condannato. Io odio quell'uomo perche1 egli allora s'arrabbio2 con me. E cio2 ch'io non seppi mai perdonargli. Egli s'agito2 tanto che dimentico2 d'inforcare gli occhiali e tuttavia scoperse esatta- mente il punto ove si trovava la mia testa per fissarla con i suoi occhi terribili. Mi disse che gli pareva io volessi recidere anche quel tenue filo di speranza che vi era ancora. Me lo disse proprio cosi2, crudamente. Ci si avviava a un conflitto. Piangendo e urlando obbiettai che pochi istanti prima egli stesso aveva esclusa qualunque speranza di salvezza per l'ammalato. La casa mia e chi vi abitava non dovevano servire ad esperimenti per i quali c'erano altri posti a questo mondo! Con grande severita2 e una calma che la rendeva quasi minacciosa, egli rispose: <> Si mise allora gli occhiali e, col suo aspetto d'impiegato pedantesco, aggiunse ancora delle spiegazioni che non fini- vano piu2, sull'importanza che poteva avere l'intervento del medico nel destino economico di una famiglia. Mezz'ora in piu2 di respiro poteva decidere il destino di un patrimonio. Piangevo ormai anche perche1 compassionavo me stesso per dover star a sentire tali cose in simile momento. Ero esausto e cessai di discutere. Tanto le mignatte erano gia2 applicate! Il medico e2 una potenza quando si trova al letto di un ammalato ed io al dottor Coprosich usai ogni riguardo. Dev'essere stato per tale riguardo ch'io non osai di proporre un consulto, cosa che mi rimproverai per lunghi anni. Ora anche quel rimorso e2 morto insieme a tutti i miei altri senti- menti di cui parlo qui con la freddezza con cui racconterei di avvenimenti toccati a un estraneo. Nel mio cuore, di quei giorni, non v'e2 altro residuo che l'antipatia per quel medico che tuttavia si ostina a vivere. Piu2 tardi andammo ancora una volta al letto di mio padre. 45 Lo trovammo che dormiva adagiato sul fianco destro. Gli avevano posto una pezzuola sulla tempia per coprire le ferite prodotte dalle mignatte. Il dottore volle subito provare se la sua coscienza avesse aumentato e gli grido2 nelle orecchie. L'ammalato non reagi2 in alcun modo. <> dissi io con grande coraggio, ma sempre piangendo. <> rispose il dottore. <> Infatti, frettolosa e affaticata, la respirazione non formava piu2 quei periodi che mi avevano spaventato. L'infermiere disse qualche cosa al medico che annui2. Si trattava di provare al malato la camicia di forza. Trassero quell'ordigno dalla valigia e alzarono mio padre obbligan- dolo a star seduto sul letto. Allora l'ammalato aperse gli occhi: erano foschi, non ancora aperti alla luce. Io sin- ghiozzai ancora, temendo che subito guardassero e vedes- sero tutto. Invece, quando la testa dell'ammalato ritorno2 sul guanciale, quegli occhi si richiusero, come quelli di certe bambole. Il dottore trionfo2: <> mormoro2. Si2: era tutt'altra cosa! Per me nient'altro che una grave minaccia. Con fervore baciai mio padre sulla fronte e nel pensiero gli augurai: "Oh, dormi! Dormi fino ad arrivare al sonno eterno!" Ed e2 cosi2 che augurai a mio padre la morte, ma il dottore non indovino2 perche1 mi disse bonariamente: <> Quando il dottore parti2, l'alba era spuntata. Un'alba fo- sca, esitante. Il vento che soffiava ancora a raffiche, mi parve meno violento, benche1 sollevasse tuttavia la neve ghiacciata. Accompagnai il dottore in giardino. Esageravo gli atti di cortesia perche1 non indovinasse il mio livore. La mia faccia significava solo considerazione e rispetto. Mi concessi una mossa di disgusto che mi sollevo2 dallo sforzo, solo quando lo vidi allontanare per il viottolo che conduceva all'uscita della villa. Piccolo e nero in mezzo alla neve, barcollava e si fermava ad ogni raffica per poter resistere meglio. Non mi basto2 quella smorfia e sentii il bisogno di altri atti violenti, 46 dopo tanto sforzo. Camminai per qualche minuto per il viale, nel freddo, a capo scoperto, pestando irosamente i piedi nella neve alta. Non so pero2 se tanta ira puerile fosse rivolta al dottore o non piuttosto a me stesso. Prima di tutto a me stesso, a me che avevo voluto morto mio padre e che avevo osato dirlo. Il mio silenzio convertiva quel mio deside- rio ispirato dal piu2 puro affetto filiale, in un vero delitto che mi pesava orrendamente. L'ammalato dormiva sempre. Solo disse due parole che io non intesi, ma nel piu2 calmo tono di conversazione, stranissi- mo perche1 interruppe il suo respiro sempre frequentissimo tanto lontano da ogni calma. S'avvicinava alla coscienza o alla disperazione? Maria era ora seduta accanto al letto assieme all'infermie- re . Costui m'ispiro2 fiducia e mi dispiacque solo per certa sua coscienziosita2 esagerata. Si oppose alla proposta di Maria di far prendere all'ammalato un cucchiaino di brodo ch'essa credeva un buon farmaco. Ma il medico non aveva parlato di brodo e l'infermiere volle si attendesse il suo ritorno per decidere un'azione tanto importante. Parlo2 imperioso piu2 di quanto la cosa meritasse. La povera Maria non insistette ed io neppure. Ebbi pero2 un'altra smorfia di disgusto. M'indussero a coricarmi perche1 avrei dovuto passare la notte con l'infermiere ad assistere l'ammalato presso il quale bastava fossimo in due; uno poteva riposare sul sofa2. Mi coricai e m'addormentai subito, con completa, gradevole perdita della coscienza e -- ne son sicuro -- non interrotta da alcun barlume di sogno. Invece la notte scorsa, dopo di aver passata parte della giornata di ieri a raccogliere questi miei ricordi, ebbi un sogno vivissimo che mi riporto2 con un salto enorme, attra- verso il tempo, a quei giorni. Mi rivedevo col dottore nella stessa stanza ove avevamo discusso di mignatte e camicie di forza, in quella stanza che ora ha tutt'altro aspetto perche1 e2 la stanza da letto mia e di mia moglie. Io insegnavo al dottore il modo di curare e guarire mio padre, mentre lui (non vecchio e cadente com'e2 ora, ma vigoroso e nervoso com'era allora) con ira, gli occhiali in mano e gli occhi disorientati, urlava che non valeva la pena di fare tante cose. Diceva proprio cosi2: "Le mignatte lo richiamerebbero alla vita e al dolore e non bisogna applicargliele!". Io invece battevo il 47 pugno su un libro di medicina e urlavo: "Le mignatte! Vogiio le mignatte! Ed anche la camicia di forza!". Pare che il mio sogno si sia fatto rumoroso perche1 mia moglie l'interruppe destandomi. Ombre lontane! Io credo che per scorgervi occorra un ausilio ottico e sia questo che vi capovolga. Il mio sonno tranquillo e2 l'ultimo ricordo di quella giorna- ta. Poi seguirono alcuni lunghi giorni di cui ogni ora somi- gliava all'altra. Il tempo s'era migliorato; si diceva che s'era migliorato anche lo stato di mio padre. Egli si moveva libera- mente nella stanza e aveva cominciata la sua corsa in cerca d'aria, dal letto alla poltrona. Traverso alle finestre chiuse guardava per istanti anche il giardino coperto di neve abba- cinante al sole. Ogni qualvolta entravo in quella stanza ero pronto per discutere ed annebbiare quella coscienza che il Coprosich aspettava. Ma mio padre ogni giorno dimostrava bensi2 di sentire e intendere meglio, ma quella coscienza era sempre lontana. Purtroppo debbo confessare che al letto di morte di mio padre io albergai nell'animo un grande rancore che strana- mente s'avvinse al mio dolore e lo falsifico2. Questo rancore era dedicato prima di tutto al Coprosich ed era aumentato dal mio sforzo di celarglielo. Ne avevo poi anche con me stesso che non sapevo riprendere la discussione col dottore per dirgli chiaramente ch'io non davo un fico secco per la sua scienza e che auguravo a mio padre la morte pur di rispar- miargli il dolore. Anche con l'ammalato finii coll'averne. Chi ha provato di restare per giorni e settimane accanto ad un ammalato in- quieto, essendo inadatto a fungere da infermiere, e percio2 spettatore passivo di tutto cio2 che gli altri fanno, m'intende- ra2. Io poi avrei avuto bisogno di un grande riposo per chiari- re il mio animo e anche regolare e forse assaporare il mio dolore per mio padre e per me. Invece dovevo ora lottare per fargli ingoiare la medicina ed ora per impedirgli di uscire dalla stanza. La lotta produce sempre del rancore. Una sera, Carlo, l'infermiere, mi chiamo2 per farmi con- statare in mio padre un nuovo progresso. Corsi col cuore in tumulto all'idea che il vecchio potesse accorgersi della pro- pria malattia e rimproverarmela. Mio padre era in mezzo alla stanza in piedi, vestito della 48 sola biancheria, con in testa il suo berretto da notte di seta rossa. Benche1 l'affanno fosse sempre fortissimo, egli diceva di tempo in tempo qualche breve parola assennata. Quan- d'io entrai, egli disse a Carlo: <> Voleva che si aprisse la finestra. Carlo rispose che non poteva farlo causa il grande freddo. E mio padre per un certo tempo dimentico2 la propria domanda. Ando2 a sedersi su una poltrona accanto alla finestra e vi si stese cercando sollievo. Quando mi vide, sorrise e mi domando2: <> Non credo che la mia risposta lo raggiungesse. Non era quella la coscienza ch'io avevo tanto temuto. Quando si muore si ha ben altro da fare che di pensare alla morte. Tutto il suo organismo era dedicato alla respirazione. E invece di starmi a sentire egli grido2 di nuovo a Carlo: <> Non aveva riposo. Lasciava la poltrona per mettersi in piedi. Poi con grande fatica e con l'aiuto dell'infermiere si coricava sul letto adagiandovisi prima per un attimo sul fianco sinistro eppoi subito sul fianco destro su cui sapeva resistere per qualche minuto. Invocava di nuovo l'aiuto dell'infermiere per rimettersi in piedi e finiva col ritornare alla poltrona ove restava talvolta piu2 a lungo. Quel giorno, passando dal letto alla poltrona, si femmo2 dinanzi allo specchio e, rimirandovisi, mormoro2: <> Io penso che fosse per togliersi all'orrenda monotonia di quella corsa dal letto alla poltrona ch'egli quel giorno abbia tentato di fumare. Arrivo2 a riempire la bocca di una sola fumata che subito soffio2 via affannato. Carlo m'aveva chiamato per farmi assistere ad un istante di chiara coscienza nell'ammalato: <> aveva domanda- to con angoscia. Tanta coscienza non ritorno2 piu2. Invece poco dopo ebbe un istante di delirio. Si levo2 dal letto e credette di essersi destato dopo una notte di sonno in un albergo di Vienna. Deve aver sognato Vienna per il deside- rio della frescura nella bocca arsa ricordando l'acqua buona e ghiacciata che v'e2 in quella citta2. Parlo2 subito dell'acqua buona che l'aspettava alla prossima fontana. 49 Del resto era un ammalato inquieto, ma mite. Io lo paven- tavo perche1 temevo sempre di vederlo inasprirsi quando avesse compresa la sua situazione e percio2 la sua mitezza non arrivava ad attenuare la mia grande fatica, ma egli accettava obbediente qualunque proposta gli fosse fatta perche1 da tutte si aspettava di poter venir salvato dal suo affanno. L'infermiere si offerse di andargli a prendere un bicchiere di latte ed egli accetto2 con vera gioia. Con la stessa ansieta2 con cui poi attese di ottenere quel latte, volle esserne liberato dopo averne ingoiato un sorso scarso e poiche1 non fu subito compiaciuto, lascio2 cadere quel bicchiere a terra. Il dottore non si mostrava mai deluso dello stato in cui trovava il malato. Ogni giorno constatava un miglioramen to, ma vedeva imminente la catastrofe. Un giorno venne in vettura ed ebbe fretta di andarsene. Mi raccomando2 d'indur- re l'ammalato a restar coricato piu\ a lungo che fosse possibi- le perche1 la posizione orizzontale era la migliore per la circolazione. Ne fece raccomandazione anche a mio padre stesso il quale intese e, con aspetto intelligentissimo, promi- se, restando pero2 in piedi in mezzo della stanza e ritornando subito alla sua distrazione o meglio a quello che io dicevo la meditazione sul suo affanno. Durante la notte che segui2, ebbi per l'ultima volta il terro- re di veder risorgere quella coscienza ch'io tanto temevo. Egli s'era seduto sulla poltrona accanto alla finestra e guar- dava attraverso i vetri, nella notte chiara, il cielo tutto stella- to. La sua respirazione era sempre affannosa, ma non sem- brava ch'egli ne soffrisse assorto com'era a guardare in alto. Forse a causa della respirazione, pareva che la sua testa facesse dei cenni di consenso. Pensai con spavento: "Ecco ch'egli si dedica ai problemi che sempre evito2". Cercai di scoprire il punto esatto del cielo che egli fissava. Egli guardava, sempre eretto sul busto, con lo sforzo di chi spia attraverso un pertugio situato troppo in alto. Mi parve guardasse le Pleiadi. Forse in tutta la sua vita egli non aveva guardato si2 a lungo tanto lontano. Improvvi- samente si volse a me, sempre restando eretto sul busto: <> mi disse con un aspetto severo di ammonizione. Torno2 subito a fissare il cielo e indi si volse di nuovo a me: <> 50 Tento2 di ritornare alle stelle, rna non pote1: si abbandono2 esausto sullo schienale della poltrona e quando io gli doman- dai che cosa avesse voluto mostrarmi, egli non m'intese ne1 ricordo2 di aver visto e di aver voluto che io vedessi. La parola che aveva tanto cercata per consegnarmela, gli era sfuggita per sempre. La notte fu lunga ma, debbo confessarlo, non specialmen- te affaticante per me e per l'infermiere. Lasciavamo fare all'ammalato quello che voleva, ed egli camminava per la stanza nel suo strano costume, inconsapevole del tutto di attendere la morte. Una volta tento2 di uscire sul corridoio ove faceva tanto freddo. Io glielo impedii ed egli m'obbedi2 subito. Un'altra volta, invece, l'infermiere che aveva sentita la raccomandazione del medico, volle impedirgli di levarsi dal letto, ma allora mio padre si ribello2. Usci2 dal suo stupo- re, si levo2 piangendo e bestemmiando ed io ottenni gli fosse lasciata la liberta2 di muoversi come egli voleva. Egli si quieto2 subito e ritorno2 alla sua vita silenziosa e alla sua corsa vana in cerca di sollievo. Quando il medico ritorno2, egli si lascio2 esaminare tentan- do persino di respirare piu2 profondamente come gli si do- mandava. Poi si rivolse a me: <> Mi abbandono2 per un istante, ma ritorno2 subito a me: <> Il dottore incoraggiato di tanta mitezza rni esorto2 a dirgli che si sforzasse di restare piu2 a lungo nel letto. Mio padre ascoltava solo le2voci a cui era piu2 abituato, la mia e quelle di Maria e dell'infermiere. Non credevo all'efficacia di quelle raccomandazioni, ma tuttavia le feci mettendo nella mia voce anche un tono di minaccia. <> promise mio padre e in quello stesso istante si levo2 e ando2 alla poltrona. Il medico lo guardo2 e, rassegnato, mormoro2: <> Quando mi levai, Maria ando2 a coricarsi ed io restai accanto a mio padre insieme all'infermiere. Ero abbattuto e stanco; mio padre piu2 irrequieto che mai. Fu allora che avvenne la scena terribile che non dimen- tichero2 mai e che getto2 lontano lontano la sua ombra, che offusco2 ogni mio coraggio, ogni mia gioia. Per dimenticare il dolore, fu d'uopo che ogni mio sentimento fosse affievo- lito dagli anni. L'infermiere mi disse: <> Fino a quel momento io ero rimasto adagiato sul sofa2. Mi levai e andai al letto ove, in quel momento, ansante piu2 che mai, l'ammalato s'era coricato. Ero deciso: avrei costretto mio padre di restare almeno per mezz'ora nel riposo voluto dal medico. Non era questo il mio dovere? Subito mio padre tento2 di ribaltarsi verso la sponda del letto per sottrarsi alla mia pressione e levarsi. Con mano vigorosa poggiata sulla spalla, gliel'impedii mentre a voce alta e imperiosa gli comandavo di non muoversi. Per un istante, terrorizzato, egli obbedi2. Poi esclamo2: <> E si rizzo2. A mia volta, subito spaventato dal suo grido, rallentai la pressione della mia mano. Percio2 egli pote1 sedere sulla sponda del letto proprio di faccia a me. Io penso che allora la sua ira fu aumentata al trovarsi -- sebbene per un momento solo -- impedito nei movimenti e gli parve certo ch'io gli togliessi anche l'aria di cui aveva tanto bisogno, come gli toglievo la luce stando in piedi contro di lui seduto. Con uno sforzo supremo arrivo2 a mettersi in piedi, alzo2 la mano alto alto, come se avesse saputo ch'egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo peso e la lascio2 cadere sulla mia guancia. Poi scivolo2 sul letto e di 1a2 sul pavimento. Morto! Non lo sapevo morto, ma mi si contrasse il cuore dal dolore della punizione ch'egli, moribondo, aveva voluto darmi. Con l'aiuto di Carlo lo sollevai e lo riposi in letto. Piangendo, proprio come un bambino punito, gli gridai nell'orecchio: <> 52 Era una bugia. Poi, ancora come un bambino, aggiunsi la promessa di non farlo piu2: <> L'infermiere disse: <> Dovettero allontanarmi a viva forza da quella stanza. Egli era morto ed io non potevo provargli la mia innocenza! Nella solitudine tentai di riavermi. Ragionavo: era escluso che mio padre, ch'era sempre fuori di sensi, avesse potuto risolvere di punirmi e di dirigere la sua mano con tanta esattezza da colpire la mia guancia. Come sarebbe stato possibile di avere la certezza che il mio ragionamento era giusto? Pensai persino di dirigermi a Coprosich. Egli, quale medico, avrebbe potuto dirmi qual- che cosa sulle capacita2 di risolvere e agire di un moribondo. Potevo anche essere stato vittima di un atto provocato da un tentativo di facilitarsi la respirazione! Ma col dottor Copro- sich non parlai. Era impossibile di andare a rivelare a lui come mio padre si fosse congedato da me. A lui, che m'ave- va gia2 accusato di aver mancato di affetto per mio padre! Fu un ulteriore grave colpo per me quando sentii che Carlo, l'infermiere, in cucina, di sera, raccontava a Maria: <>. Egli lo sapeva e percio2 Coprosich l'a- vrebbe risaputo. Quando mi recai nella stanza mortuaria, trovai che aveva- no vestito il cadavere. L'infermiere doveva anche avergli ravviata la bella, bianca chioma. La morte aveva gia2 irrigidi- to quel corpo che giaceva superbo e minaccioso. Le sue manl grandi, potenti, ben formate, erano livide, ma giacevano con tanta naturalezza che parevano pronte ad afferrare e punire. Non volli, non seppi piu2 rivederlo. Poi, al funerale, riuscii a ricordare mio padre debole e buono come l'avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi convinsi che quello schiaffo che m'era stato inflitto da lui moribondo, non era stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo di mio padre s'accompagno2 a me, dive- nendo sempre piu2 dolce. Fu come un sogno delizioso: erava- mo ormai perfettamente d'accordo, io divenuto il piu2 debole e lui il piu2 forte. Ritornai e per molto tempo rimasi nella religione della 53 mia infanzia. Immaginavo che mio padre mi sentisse e potes- si dirgli che la colpa non era stata mia, ma del dottore. La bugia non aveva importanza perche1 egli oramai intendeva tutto ed io pure. E per parecchio tempo i colloqui con mio padre continuarono dolci e celati come un amore illecito, perche1 io dinanzi a tutti continuai a ridere di ogni pratica religiosa, mentre e2 vero -- e qui voglio confessarlo -- che io a qualcuno giornalmente e ferventemente raccomandai l'ani- ma di mio padre. E proprio la religione vera quella che non occorre professare ad alta voce per averne il conforto di cui qualche volta -- raramente -- non si puo2 fare a meno. 54 La storia del mio matrimonio Nella mente di un giovine di famiglia borghese il concetto di vita umana s'associa a quello della carriera e nella prima gioventu2 la carriera e2 quella di Napoleone I. Senza che percio2 si sogni di diventare imperatore perche1 si puo2 somi- gliare a Napoleone restando molto ma molto piu2 in basso. La vita piu2 intensa e2 raccontata in sintesi dal suono piu2 rudimentale, quello dell'onda del mare, che, dacche1 si for- ma, muta ad ogni istante finche1 non muore! M'aspettavo percio2 anch'io di divenire e disfarmi come Napoleone e l'onda. La mia vita non sapeva fornire che una nota sola senz'al- cuna variazione, abbastanza alta e che taluni m'invidiavano, ma orribilmente tediosa. I miei amici mi conservarono du- rante tutta la mia vita la stessa stima e credo che neppur io, dacche1 son giunto all'eta2 della ragione, abbia mutato di molto il concetto che feci di me stesso. Puo2 percio2 essere che l'idea di sposarmi mi sia venuta per la stanchezza di emettere e sentire quell'unica nota. Chi non l'ha ancora sperimentato crede il matrimonio piu2 importan- te di quanto non sia. La compagna che si sceglie rinnovera2, peggiorando o migliorando, la propria razza nei figli, ma madre natura che questo vuole e che per via diretta non saprebbe dirigerci, perche1 in allora ai figli non pensiamo affatto, ci da2 a credere che dalla moglie risultera2 anche un la conoscenza del mio futuro suocero e con l'amicizia e l'ammirazione che gli dedicai prima che avessi saputo ch'egli era il padre di ragazze da marito. Percio2 e2 evidente che non fu una risoluzione quella che mi fece procedere verso la meta ch'io ignoravo. Trascurai una fanciulla che per un momento avrei creduto facesse al caso mio e restai attaccato al mio futuro suocero. Mi verrebbe voglia di credere anche nel destino. Il desiderio di novita2 che c'era nel mio animo veniva soddisfatto da Giovanni Malfenti ch'era tanto differente da me e da tutte le persone di cui io fino ad allora avevo ricercato la compagnia e l'amicizia. Io ero abbastanza colto essendo passato attraverso due facolta2 universitarie eppoi per la mia lunga inerzia, ch'io credo molto istruttiva. Lui, invece, era un grande negoziante, ignorantc ed attivo. Ma dalla sua ignoranza gli risultava forza e serenita2 ed io m'in- cantavo a guardarlo, invidiandolo. Il Malfenti aveva allora circa cinquant'anni, una salute ferrea, un corpo enorme alto e grosso del peso di un quintale e piu2. Le poche idee che gli si movevano nella grossa testa erano svolte da lui con tanta chiarezza, sviscerate con tale assiduita2, applicate evolvendole ai tanti nuovi affari di ogni giorno, da divenire sue parti, sue membra, suo carattere. Di tali idee io ero ben povero e m'attaccai a lui per arricchire. Ero venuto al Tergesteo per consiglio dell'Olivi che mi diceva sarebbe stato un buon esordio alla mia attivita2 com- merciale frequentare la Borsa e che da quel luogo avrei anche potuto procurargli delle utili notizie. M'assisi a quel tavolo al quale troneggiava il mio futuro suocero e di 1a2 non mi mossi piu2, sembrandomi di essere arrivato ad una vera cattedra commerciale, quale la cercavo da tanto tempo. Egli presto s'accorse della mia ammirazione e vi corrispo- se con un'amicizia che subito mi parve paterna. Che egli avesse saputo subito come le cose sarebbero andate a finire? Quando, entusiasmato dall'esempio della sua grande attivi- ta2, una sera dichiarai di voler liberarmi dell'Olivi e dirigere io stesso i miei affari, egli me ne sconsiglio2 e parve persino allarmato dal mio proposito. Potevo dedicarmi al commer- cio, ma dovevo tenermi sempre solidamente legato all'Olivi- ch'egli conosceva. Era dispostissimo ad istruirmi, ed anzi annoto2 di propria 56 mano nel mio libretto tre comandamenti ch'egli riteneva bastassero per far prosperare qualunque ditta: 1. Non occor- re saper lavorare, ma chi non sa far lavorare gli altri perisce. 2. Non c'e2 che un solo grande rimorso, quello di non aver saputo fare il proprio interesse. 3. In affari la teoria e2 utilissi- ma, ma e2 adoperabile solo quando l'affare e2 stato liquidato. Io so questi e tanti altri teoremi a mente, ma a me non giovarono. Quando io ammiro qualcuno, tento immediatamente di somigliargli. Copiai anche il Malfenti. Volli essere e mi sentii molto astuto. Una volta anzi sognai d'essere piu2 furbo di lui. Mi pareva di aver scoperto un errore nella sua organiz- zazione commerciale: volli dirglielo subito per conquistarmi la sua stima. Un giorno al tavolo del Tergesteo l'arrestai quando, discutendo di un affare, stava dando della bestia ad un suo interlocutore. L'avvertii ch'io trovavo ch'egli sbaglia- va di proclamare con tutti la sua furberia. Il vero furbo, in commercio, secondo me, doveva fare in modo di apparire melenso. Egli mi derise. La fama di furberia era utilissima. Intanto molti venivano a prender consiglio da lui e gli portavano delle notizie fresche mentre lui dava loro dei consigli utilissi- mi confermati da un'esperienza raccolta dal Medio Evo in poi. Talvolta egli aveva l'opportunita2 di aver insieme alle notizie anche la possibilita2 di vendere delle merci. Infine -- e qui si mise ad urlare perche1 gli parve d'aver trovato final- mente l'argomento che doveva convincermi -- per vendere o per comperare vantaggiosamente, tutti si rivolgevano al piu2 furbo. Dal melenso non potevano sperare altro fuorche1 indurlo a sacrificare ogni suo beneficio, ma la sua merce era sempre piu2 cara di quella del furbo, perche1 egli era stato gia2 truffato al momento dell'acquisto. Io ero la persona piu2 importante per lui a quel tavolo. Mi confido2 suoi segreti commerciali ch'io mai tradii. La sua fiducia era messa benissimo, tant'e2 vero che pote1 ingannar- mi due volte, quand'ero gia2 divenuto suo genero. La prima volta la sua accortezza mi costo2 bensi2 del denaro, ma fu l'Olivi ad esser ingannato e percio2 io non mi dolsi troppo. L'Olivi m'aveva mandato da lui per averne accortamente delle notizie e le ebbe. Le ebbe tali che non me la perdono2 piu2 e quando aprivo la bocca per dargli un'informazione, mi 57 domandava: <>. Per difendermi dovetti difendere Giovanni e finii col sentir- mi piuttosto l'imbroglione che l'imbrogliato. Un sentimento gradevolissimo. Ma un'altra volta feci proprio io la parte dell'imbecille, ma neppure allora seppi nutrire del rancore per mio suoce- ro. Egli provocava ora la mia invidia ed ora la mia ilarita2. Vedevo nella mia disgrazia l'esatta applicazione dei suoi principii ch'egli giammai m'aveva spiegati tanto bene. Trovo2 anche il modo di riderne con me, mai confessando di avermi ingannato e asserendo di dover ridere dell'aspetto comico della mia disdetta. Una sola volta egli confesso2 di avermi giocato quel tiro e cio2 fu alle nozze di sua figlia Ada (non con me) dopo di aver bevuto dello sciampagna che turbo2 quel grosso corpo abbeverato di solito da acqua pura. Allora egli racconto2 il fatto, urlando per vincere l'iIarita2 che gl'impediva la parola: <> Poi mi faceva delle grandi lodi: <>. Era vero! Se avessi visto quel decreto apparso in luogo poco vistoso dei cinque giornali ch'io giornalmente leggo, non sarei caduto in trappola. Avrei dovuto anche subito intendere quel decreto e vederne le conseguenze, cio2 che non era tanto facile perche1 con esso si riduceva il tasso di un dazio per cui la merce di cui si trattava veniva deprezzata. Il giorno dopo mio suocero smenti2 le sue confessioni. L'affare in bocca sua riacquistava la fisionomia che aveva avuta prima di quella cena. <> diceva egli serenamente e restava acquisito che il decreto in questione era stato pubblicato due giorni dopo la conclusione di quel- l'affare. Mai egli emise la supposizione che se avessi visto quel decreto avrei potuto fraintenderlo. Io ne fui lusingato, ma non era per gentilezza, ch'egli mi risparmiasse, ma per- che1 pensava che tutti leggendo i giornali ricordino i proprii 58 interessi. Invece io, quando leggo un giornale, mi sento trasformato in opinione pubblica e vedendo la riduzione di un dazio ricordo Cobden e il liberismo. E un pensiero tanto importante che non resta altro posto per ricordare la mia merce . Una volta pero2 m'avvenne di conquistare la sua ammira- zione e proprio per me, come sono e giaccio, ed anzi proprio per le mie qualita2 peggiori. Possedevamo io e lui da vario tempo delle azioni di una fabbrica di zucchero dalla quale si attendevano miracoli. Invece le azioni ribassavano, tenue- mente, ma ogni giorno, e Giovanni, che non intendeva di nuotare contro corrente, si disfece delle sue e mi convinse di vendere le mie. Perfettamente d'accordo, mi proposi di dare quell'ordine di vendita al mio agente e intanto ne presi nota in un libretto che in quel torno di tempo avevo di nuovo istituito. Ma si sa che la tasca non si vede durante il giorno e cosi2 per varie sere ebbi la sorpresa di ritrovare nella mia quell'annotazione al momento di coricarmi e troppo tardi perche1 mi servisse. Una volta gridai dal dispiacere e, per non dover dare troppe spiegazioni a mia moglie, le dissi che m'ero morsa la lingua. Un'altra volta, stupito di tanta sbada- taggine, mi morsi le mani. <> disse mia moglie ridendo. Poi non vi furono altri malanni perche1 vi ero abituato. Guardavo istupidito quel maledetto libretto trop- po sottile per farsi percepire durante il giorno con la sua pressione e non ci pensavo piu2 sino alla sera appresso. Un giorno un improvviso acquazzone mi costrinse di rifu- gi-armi al Tergesteo. Cola2 trovai per caso il mio agente il quale mi racconto2 che negli ultimi otto giorni il prezzo di quelle azioni s'era quasi raddoppiato. <> esclamai trionfalmente. Corsi da mio suocero il quale gia2 sapeva dell'aumento di quelle azioni e si doleva di aver venduto le sue e un po' meno di avermi indotto a vendere le mie. <> disse ridendo. <> L'altro affare non era risultato da un suo consiglio ma da una sua proposta cio2 che, secondo lui, era molto differente. Io mi misi a ridere di gusto. <> Non mi bastava la fortuna e tentai di farmene un merito. Gli raccon- 59 interessi. Invece io, quando leggo un giornale, mi sento trasformato in opinione pubblica e vedendo la riduzione di un dazio ricordo Cobden e il liberismo. E un pensiero tanto importante che non resta altro posto per ricordare la mia merce. Una volta pero2 m'avvenne di conquistare la sua ammira- zione e proprio per me, come sono e giaccio, ed anzi proprio per le mie qualita2 peggiori. Possedevamo io e lui da vario tempo delle azioni di una fabbrica di zucchero dalla quale si attendevano miracoli. Invece le azioni ribassavano, tenue- mente, ma ogni giorno, e Giovanni, che non intendeva di nuotare contro corrente, si disfece delle sue e mi convinse di vendere le mie. Perfettamente d'accordo, mi proposi di dare quell'ordine di vendita al mio agente e intanto ne presi nota in un libretto che in quel torno di tempo avevo di nuovo istituito. Ma si sa che la tasca non si vede durante il giorno e cosi2 per varie sere ebbi la sorpresa di ritrovare nella mia quell'annotazione al momento di coricarmi e troppo tardi perche1 mi servisse. Una volta gridai dal dispiacere e, per non dover dare troppe spiegazioni a mia moglie, le dissi che m'ero morsa la lingua. Un'altra volta, stupito di tanta sbada- taggine, mi morsi le mani. <> disse mia moglie ridendo. Poi non vi furono altri malanni perche1 vi ero abituato. Guardavo istupidito quel maledetto libretto trop- po sottile per farsi percepire durante il giorno con la sua pressione e non ci pensavo piu2 sino alla sera appresso. Un giorno un improvviso acquazzone mi costrinse di rifu- giarmi al Tergesteo. Cola2 trovai per caso il mio agente il quale mi racconto2 che negli ultimi otto giorni il prezzo di quelle azioni s'era quasi raddoppiato. <> esclamai trionfalmente. Corsi da mio suocero il quale gia2 sapeva dell'aumento di quelle azioni e si doleva di aver venduto le sue e un po' meno di avermi indotto a vendere le mie. <> disse ridendo. <> L'altro affare non era risultato da un suo consiglio ma da una sua proposta cio2 che, secondo lui, era molto differente. Io mi misi a ridere di gusto. <> Non mi bastava la fortuna e tentai di farmene un merito. Gli raccon- 59 Ma un caso che da2 da pensare. La decisione a tale distacco fu presa per ragione ben lieve. Alla poverina era parso un bel sistema di legarmi a lei, quello di rendermi geloso. Il sospet- to invece basto2 per indurmi ad abbandonarla definitivamen- te. Essa non poteva sapere che io allora ero invaso dall'idea del matrimonio e che credevo di non poter contrarlo con lei, solo perche1 con lei la novita2 non mi sarebbe sembrata abba- stanza grande. Il sospetto ch'essa aveva fatto nascere in me ad arte era una dimostrazione della superiorita2 del matrimo- nio nel quale tali sospetti non devono sorgere. Quando quel sospetto di cui sentii presto l'inconsistenza dileguo2, ricordai anche che essa spendeva troppo. Oggidi2, dopo ventiquat- tr'anni di onesto matrimonio, non sono piu2 di quel parere. Per essa fu una vera fortuna perche1, pochi mesi dopo, fu sposata da persona molto abbiente ed ottenne l'ambito mu- tamento prima di me. Non appena sposato, rne la trovai in casa perche1 il marito era un amico di mio suocero. C'incon- trammo spesso, ma, per molti anni, finche1 fummo giovani, fra noi regno2 il massimo riserbo e mai si fece allusione al passato. L'altro giorno ella mi domando2 a bruciapelo, con la sua faccia incorniciata da capelli grigi giovanilmente arros- sata: <> Io fui sincero perche1 non ebbi il tempo necessario per confezionare una bugia: <> <> ella disse e gia2 m'inchinavo al compli- mento che cosi2 mi prometteva. <> Mi rizzai con uno sforzo. Non era il caso di ringraziare. Un giorno appresi che la famiglia Malfenti era ritornata in citta2 da un viaggio di piacere abbastanza prolungato seguito al soggiorno estivo in campagna. Non arrivai a fare alcun passo per essere introdotto in quella casa perche1 Giovanni mi prevenne. Mi fece vedere la lettera di un suo amico intimo che domandava mie nuove: era stato mio compagno di studii costui e gli avevo voluto molto bene finche1 l'avevo creduto destinato a diventare un grande chimico. Ora, invece, di lui non m'importava proprio niente perche1 si era trasformato in 62 tai che le azioni sarebbero state vendute solo la dimane e, assumendo un'aria d'importanza, volli fargli credere che io avessi avute delle notizie che avevo dimenticato di dargli e che m'avevano indotto a non tener conto del suo consiglio. Torvo e offeso mi parlo2 senza guardarmi in faccia. <> Mi dispiacque d'irritarlo. Era tanto piu2 divertente quan- d'egli danneggiava me. Gli raccontai sinceramente com'era- no andate le cose. <> Subito rabbonito, rise con me: <> Non so perche1 mi ferni tanto a raccontare dei dissidi che ebbi con lui e che sono tanto pochi. Io gli volli veramente bene, tant'e2 vero che ricercai la sua compagnia ad onta che avesse l'abitudine di urlare per pensare piu2 chiaramente. II mio timpano sapeva sopportare le sue urla. Se le avesse gridate meno, quelle sue teorie immorali sarebbero state piu2 offensive e, se egli fosse stato educato meglio, la sua forza sarebbe sembrata meno importante. E ad onta ch'io fossi tanto differente da lui, credo ch'egli abbia corrisposto al mio con un affetto simile. Lo saprei con maggiore sicurezza se egli non fosse morto tanto presto. Continuo2 a dammi assidua- mente delle lezioni dopo il mio matrimonio e le condi2 spesso di urla ed insolenze che io accettavo convinto di meritarle. Sposai sua figlia. Madre natura misteriosa mi diresse e si vedra2 con quale violenza imperativa. Adesso io talvolta scruto le facce dei miei figliuoli e indago se accanto al mento sottile mio, indizio di debolezza, accanto agli occhi di sogno miei, che io loro tramandai, non vi sia in loro almeno qual- che tratto della forza brutale del nonno ch'io loro elesi. E alla tomba di mio suocero io piansi ad onta che l'ultimo addio che mi diede non sia stato troppo affettuoso. Dal suo letto di morte mi disse che ammirava la mia sfacciata fortuna che mi permetteva di movermi liberamente mentre lui era crocifisso su quel letto. Io, stupito, gli domandai che cosa gli avessi fatto per fargli desiderare di vedermi malato. Ed egli mi rispose proprio cosi2: <> Non v'era niente di offensivo: egli avrebbe voluto ripetere quell'altro affare col quale gli era riuscito di caricarmi di una merce deprezzata. Poi anche qui c'era stata la carezza per- che1 a me non spiaceva di veder spiegata la mia debolezza con le ubbie umanitarie ch'egli mi attribuiva. Alla sua tomba come a tutte quelle su cui piansi, il mio dolore fu dedicato anche a quella parte di me stesso che vi era sepolta. Quale diminuzione per me venir privato di quel mio secondo padre, ordinario, ignorante, feroce lottatore che dava risalto alla mia debolezza, la mia cultura, la mia timidezza. Questa e2 la verita2: io sono un timido! Non l'avrei scoperto se non avessi qui studiato Giovanni. Chissa2 come mi sarei conosciuto meglio se egli avesse continuato a starmi accanto! Presto m'accorsi che al tavolo del Tergesteo, dove si di- vertiva a rivelarsi quale era e anche un poco peggiore, Gio- vanni s'imponeva una riserva: non parlava mai di casa sua o soltanto quando vi era costretto, compostamente e con voce un poco piu2 dolce del solito. Portava un grande rispetto alla sua casa e forse non tutti coloro che sedevano a quel tavolo gli sembravano degni di saperne qualche cosa. Cola2 appresi soltanto che le sue quattro figliuole avevano tutte i nomi dall'iniziale in <1a,>1 una2 cosa praticissima, secondo lui, perche1 le cose su cui era impressa quell'iniziale, potevano passare dall'una all'altra, senz'aver da subire dei mutamenti. Si chia- mavano (seppi subito a mente quei nomi): Ada, Augusta, Alberta e Anna. A quel tavolo si disse anche che tutt'e quattro erano belle. Quell'iniziale mi colpi2 molto piu2 di quanto meritasse. Sognai di quelle quattro fanciulle legate tanto bene insieme dal loro nome. Pareva fossero da conse- gnarsi in fascio. L'iniziale diceva anche qualche cosa d'altro. Io mi chiamo Zeno ed avevo percio2 il sentimento che stessi per prendere moglie lontano dal mio paese. Fu forse un caso che prima di presentarmi in casa Malfenti io mi fossi liberato da un legame abbastanza antico con una donna che forse avrebbe meritato un trattamento migliore. 61 un grande commerciante in concimi ed io come tale non lo conoscevo affatto. Giovanni m'invito2 a casa sua proprio perche1 ero l'amico di quel suo amico e, -- si capisce, -- io non protestai affatto. Quella prima visita io la ricordo come se l'avessi fatta ieri. Era un pomeriggio fosco e freddo d'autunno; e ricordo persino il sollievo che mi derivo2 dal liberarmi del soprabito nel tepore di quella casa. Stavo proprio per arri2vare in porto. Ancora adesso sto ammirando tanta cecita2 che allora mi pareva chiaroveggenza. Correvo dietro alla salute, alla legit- timita2. Sta bene che in quell'iniziale <1a>1 erano racchiuse quat- tro fanciulle, ma tre di loro sarebbero state eliminate subito e in quanto alla quarta anch'essa avrebbe subito un esame severo. Giudice severissimo sarei stato. Ma intanto non avrei saputo dire le qualita2 che avrei domandate da lei e quelle che avrei abbominate. Nel salotto elegante e vasto fornito di mobili in due stili differenti, di cui uno Luigi XIV e l'altro veneziano ricco di oro impresso anche sui cuoi, diviso dai mobili in due parti, come allora si usava, trovai la sola Augusta che leggeva accanto ad una finestra. Mi diede la mano, sapeva il mio nome e arrivo2 a dirmi ch'ero atteso perche1 il suo babbo aveva preavvisata la mia visita. Poi corse via a chiamare la madre. Ecco che delle quattro fanciulle dalla stessa iniziale una ne moriva in quanto mi riguardava. Come avevano fatto a dirla bella? La prima cosa che in lei si osservava era lo strabismo tanto forte che, ripensando a lei dopo di non averla vista per qualche tempo, la personificava tutta. Aveva poi dei capelli non molto abbondanti, biondi, ma di un colore fosco privo di luce e la figura intera non disgraziata, pure un po' grossa per quell'eta2. Nei pochi istanti in cui restai solo pensai: "Se le altre tre somigliano a questa!...". Poco dopo il gruppo delle fanciulle si ridusse a due. Una di esse, ch'entro2 con la mamma, non aveva che otto anni. Carina quella bambina dai capelli inanellati, luminosi, lun- ghi e sciolti sulle spalle! Per la sua faccia pienotta e dolce pareva un'angioletta pensierosa (finche1 stava zitta) di quel pensiero come se lo figurava Raffaello Sanzio. Mia suocera... Ecco! Anch'io provo un certo ritegno a parlarne con troppa liberta2. Da molti anni io le voglio bene 63 perche1 e2 mia madre, ma sto raccontando una vecchia storia nella quale essa non figuro2 quale mia amica e intendo di non rivolgerle neppure in questo fascicolo, ch'essa mai vedra2, delle parole meno che rispettose. Del resto il suo intervento fu tanto breve che avrei potuto anche dimenticarlo: un col- petto al momento giusto, non piu2 forte di quanto occorse per farmi perdere il mio equilibrio labile. Forse l'avrei perduto anche senza il suo intervento, eppoi chissa2 se essa volle proprio quello che avvenne? E tanto bene educata che non puo2 capitarle come al marito di bere troppo per rivelarmi i miei affari. Infatti mai le accadde nulla di simile e percio2 io sto raccontando una storia che non conosco bene; non so cioe2 se sia dovuto alla sua furberia o alla mia bestialita2 ch'io abbia sposato quella delle sue figliuole ch'io non volevo. Intanto posso dire che all'epoca di quella mia prima visita mia suocera era tuttavia una bella donna. Era elegante anche per il suo modo di vestire di un lusso poso appariscen- te. Tutto in lei era mite e intonato. Avevo cosi2 nei miei stessi suoceri un esempio d'integra- zione fra marito e moglie quale io la sognavo. Erano stati felicissimi insieme, lui sempre vociando e lei sorridendo di un sorriso che nello stesso tempo voleva dire consenso e compatimento. Essa amava il suo grosso uomo ed egli deve averla conquistata e conservata a furia di buoni affari. Non l'interesse, ma una vera ammirazione la legava a lui, un'am- mirazione cui io partecipavo e che percio2 facilmente inten- devo. Tanta vivacita2 messa da lui in un ambito tanto ristret- to,.una gabbia in cui non v'era altro che una merce e due nemici (i due contraenti) ove nascevano e si scoprivano sempre delle nuove combinazioni e relazioni, animava me- ravigliosamente la vita. Egli le raccontava tutti i suoi affari e lei era tanto bene educata da non dare mai dei consigli perche1 avrebbe temuto di fuorviarlo. Egli sentiva il bisogno di tale muta assistenza e talvolta correva a casa a monologa- re nella convinzione di andar a prendere consiglio dalla moglie. Non fu una sorpresa per me quando appresi ch'egli la tradiva, ch'essa lo sapeva e che non gliene serbava rancore. Io ero sposato da un anno allorche1 un giorno Giovanni, turbatissimo, mi racconto2 che aveva smarrita una lettera di cui molto gl'importava e volle ri2vedere delle carte che m'a- 64 veva consegnato sperando di ritrovarla fra quelle. Invece, pochi giorni appresso, tutto lieto, mi racconto2 che l'aveva ritrovata nel proprio portafogli. <> do- mandai io, e lui accenno2 di si2 con la testa, vantandosi della sua buona fortuna. Poi io, per difendermi, un giorno in cui m'accusavano di aver perduto delle carte, dissi a mia moglie e a mia suocera che non potevo avere la fortuna del babbo in cui le carte ritornavano da sole al portafogli. Mia suocera si mise a ridere tanto di gusto che io non dubitai che quella carta non fosse stata rimessa a posto proprio da lei. Eviden- temente nella loro relazione cio2 non aveva importanza. Ognuno fa all'amore come sa e il loro, secondo me, non era il modo piu2 stupido. La signora m'accolse con grande gentilezza. Si scuso2 di dover tener con se1 la piccola Anna che aveva il suo quarto d'ora in cui non si poteva lasciarla con altri. La bambina mi guardava studiandomi con gli occhi serii. Quando Augusta ritorno2 e s'assise su un piccolo sofa2 posto dirimpetto a quello su cui eravamo io e la signora Malfenti, la piccina ando2 a coricarsi in grembo alla sorella donde m'osservo2 per tutto il tempo con una perseveranza che mi diverti2 finche1 non seppi quali pensieri si movessero in quella piccola testa. La conversazione non fu subito molto divertente. La si- gnora, come tutte le persone bene educate, era abbastanza noiosa ad un primo incontro. Mi domandava anche troppe notizie dell'amico che si fingeva m'avesse introdotto in quel- la casa e di cui io non ricordavo neppure il nome di batte- simo. Entrarono finalmente Ada e Alberta. Respirai: erano belle ambedue e portarono in quel salotto la luce che fino ad allora vi aveva mancato. Ambedue brune e alte e slanciate, ma molto differenti l'una dall'altra. Non era una scelta diffi- cile quella che avevo da fare. Alberta aveva allora un po' piu2 di diciassett'anni. Come la madre essa aveva -- benche1 bruna -- la pelle rosea e trasparente, cio2 che aumentava l'infantilita2 del suo aspetto. Ada, invece, era gia2 una donna con i suoi occhi serii in una faccia che per essere meglio nivea era un poco azzurra e la sua capigliatura ricca, ricciuta, ma accomo- data con grazia e severita2. E difficile di scoprire le origini miti di un sentimento divenuto poi tanto violento, ma io sono certo che da me 65 manco2 il cosidetto <1coup de foudre>1 per Ada. Quel colpo di fulmine, pero2, fu sostituito dalla convinzione ch'ebbi imme- diatamente che quella donna fosse quella di cui abbisognavo e che doveva addurmi alla salute morale e fisica per la santa monogamia. Quando vi ripenso resto sorpreso che sia man- cato quel colpo di fulmine e che vi sia stata invece quella convinzione. E noto che noi uomini non cerchiamo nella moglie le qualita2 che adoriamo e disprezziamo nell'amante. Sembra dunque ch'io non abbia subito vista la grazia e tutta la bellezza di Ada e che mi sia invece incantato ad ammirare altre qualita2 ch'io le attribuii di serieta2 e anche di energia, insomma, un po' mitigate, le qualita2 ch'io amavo nel padre suo. Visto che poi credetti (come credo ancora) di non essermi sbagliato e che tali qualita2 Ada da fanciulla avesse possedute, posso ritenermi un buon osservatore ma un buon osservatore alquanto cieco. Quella prima volta io guardai Ada con un solo desiderio: quello di innamorarmene perche1 bisognava passare per di 1a2 per sposarla. Mi vi accinsi con quell'energia ch'io sempre dedico alle mie pratiche igieni- che. Non so dire quando vi riuscii; forse gia2 nel tempo relativamente piccolo di quella prima visita. Giovanni doveva aver parlato molto di me alle figliuole sue. Esse sapevano, fra l'altro, ch'ero passato nei miei studii dalla facolta2 di legge a quella di chimica per ritornare -- purtroppo! -- alla prima. Cercai di spiegare: era certo che quando ci si rinchiudeva in una facolta2, la parte maggiore dello scibile restava coperta dall'ignoranza. E dicevo: <> e non dissi che tale serieta2 io la sentivo da poco tempo, dacche1 avevo risolto di sposarmi <> Poi, per far ridere, dissi ch'era curioso ch'io abbandonassi una facolta2 proprio nel momento di dare gli esami. <> dicevo col sorriso di chi vuol far credere che stia dicendo una bugia. E invece era vero ch'io avevo cam- biato di studii nelle piu2 varie stagioni. Partii cosi2 alla conquista di Ada e continuai sempre nello sforzo di farla ridere di me e alle spalle mie dimenticando ch'io l'avevo prescelta per la sua serieta2. Io sono un po' bizzarro, ma a lei dovetti apparire veramente squilibrato. Non tutta la colpa e2 mia e lo si vede dal fatto che Augusta e 66 Alberta, ch'io non avevo prescelte, mi giudicarono altri- menti. Ma Ada, che proprio allora era tanto seria da girare intorno i begli occhi alla ri2cerca dell'uomo ch'essa avrebbe ammesso nel suo nido, era incapace di amare la persona che la faceva ridere. Rideva, rideva a lungo, troppo a lungo e il suo riso copriva di un aspetto ridicolo la persona che lo aveva provocato. La sua era una vera inferiorita2 e doveva finire col danneggiarla, ma danneggio2 prima me. Se avessi saputo tacere a tempo forse le cose sarebbero andate altrimenti. Intanto le avrei lasciato il tempo perche1 parlasse lei, mi si rivelasse e potessi guardarmene. Le quattro fanciulle erano sedute sul piccolo sofa2 sul quale stavano a stento ad onta che Anna sedesse sulle ginocchia di Augusta. Erano belle cosi2 insieme. Lo constatai con un'inti- ma soddisfazione vedendo ch'ero avviato magnificamente all'ammirazione e all'amore. Veramente belle! Il colore sbiadito di Augusta serviva a dare rilievo al color bruno delle capigliature delle altre. Io avevo parlato dell'Universita2 e Alberta, che stava fa- cendo il penultimo anno del ginnasio, racconto2 dei suoi studii. Si lamento2 che il latino le riusciva molto difficile. Dissi di non meravigliarsene perche1 era una lingua che non faceva per le donne, tanto ch'io pensavo che gia2 dagli antichi romani le donne avessero parlato l'italiano. Invece per me -- asserii -- il latino aveva rappresentata la materia prediletta. Poco dopo pero2 commisi la leggerezza di fare una citazione latina che Alberta dovette correggermi. Un vero infortunio! Io non vi diedi importanza e avvertii Alberta che quando essa avesse avuto dietro di se1 una diecina di semestri d'Uni- versita2, anche lei avrebbe dovuto guardarsi dal fare citazioni latine. Ada, che recentemente era stata col padre per qualche mese in Inghilterra, racconto2 che in quel paese molte fan- ciulle sapevano il latino. Poi sempre con la sua voce seria, aliena da ogni musicalita2, un po' piu2 bassa di quella che si sarebbe aspettata dalla sua gentile personcina, racconto2 che le donne in Inghilterra erano tutt'altra cosa che da noi. S'associavano per scopi di beneficenza, religiosi o anche economici. Ada veniva spinta a parlare dalle sorelle che volevano riudire quelle cose che apparivano meravigliose a fanciulle della nostra citta2 in quell'epoca. E, per compiacer- 67 le, Ada racconto2 di quelle donne presidentesse, giornaliste, segretarie e propagandiste politiche che salivano il pulpito per parlare a centinaia di persone senz'arrossire e senza confondersi quando venivano interrotte o vedevano confu- tati i loro argomenti. Diceva semplicemente, con poco colo- re, senz'alcuna intenzione di far meravigliare o ridere. Io amavo la sua parola semplice, io, che come aprivo la bocca svisavo cose o persone perche1 altrimenti mi sarebbe sembrato inutile di parlare. Senz'essere un oratore, avevo la malattia della parola. La parola doveva essere un avveni- mento a se1 per me e percio2 non poteva essere imprigionata da nessun altro avvenimento. Ma io avevo uno speciale odio per la perfida Albione e lo manifestai senza temere di offendere Ada che del resto non aveva manifestato ne1 odio ne1 amore per l'Inghilterra. Io vi avevo trascorso alcuni mesi, ma non vi avevo conosciuto alcun inglese di buona societa2 visto che avevo smarrite in viaggio alcune lettere di presentazione ottenute da amici d'affari di mio padre. A Londra percio2 avevo praticato solo alcune famiglie francesi ed italiane e finito col pensare che tutte le persone dabbene in quella citta2 provenissero dal continente. La mia conoscenza dell'inglese era molto limita- ta. Con l'aiuto degli amici potei tuttavia intendere qualche cosa della vita di quegl'isolani e sopra tutto fui informato della loro antipatia per tutti i non inglesi. Descrissi alle fanciulle il sentimento poco gradevole che mi veniva dal soggiorno in mezzo ai nemici. Avrei pero2 resistito e sopportata l'Inghilterra per quei sei mesi che mio padre e l'Olivi volevano infliggerni acciocche1 studiassi il commercio inglese (in cui intanto non m'imbattei mai per- che1 pare si faccia in luoghi reconditi) se non mi fosse toccata un'avventura sgradevole. Ero andato da un libraio a cercare un vocabolario. In quel negozio, sul banco, riposava sdraia- to un grosso, magnifico gatto a2ngora che proprio attirava le carezze sul soffice pelo. Ebbene! Solo perche1 dolcemente l'accarezzai, esso proditoriamente m'assalto2 e mi graffio2 malamente le mani. Da quel momento non seppi piu2 soppor- tare l'Inghilterra e il giorno appresso mi trovavo a Parigi. Augusta, Alberta e anche la signora Malfenti risero di cuore. Ada invece era stupita e credeva di aver frainteso. Era stato almeno il libraio stesso che m'aveva offeso e graf- fiato? Dovetti ripetermi, cio2 ch'e2 noioso perche1 si ripete male. Alberta, la dotta, volle aiutarmi: <> Non accettai l'aiuto. Il gatto inglese non s'era mica atteg- giato ad oracolo; aveva agito da fato! Ada, coi grandi occhi spalancati, volle delle altre spiega- zioni: <> Corn'ero sfortunato! Per quanto vera, quell'avventura a me era parsa istruttiva e interessante come se a scopi precisi fosse stata inventata. Per intenderla non bastava ricordare che in Italia dove conosco ed amo tanta gente, l'azione di quel gatto non avrebbe potuto assurgere a tale importanza? Ma io non dissi questo e dissi invece: <> Ada rise a lungo, molto a lungo. Mi parve persino troppo grande il mio successo perche1 m'immiserii e immiserii la mia avventura con ulteriori spiegazioni: <1 <1sting>1 e dovetti fuggire.>> Qui avvenne qualche cosa che pur avrebbe dovuto avvi- sami e salvarmi. La piccola Anna che fino ad allora era rimasta immota ad osservarmi, a gran voce si diede ad esprimere il sentimento di Ada. Grido2: <> La signora Malfenti la minaccio2: <> La minaccia fece peggio. Anna grido2: <> Augusta, rossa dal dispiacere, si alzo2 e la porto2 via ammo- nendola e domandandomi nello stesso tempo scusa. Ma ancora alla porta la piccola vipera pote1 fissarmi negli occhi, farmi una brutta smorfia, e gridarmi: <> 69 Ero stato assaltato tanto impensatamente che non subito seppi trovare il modo di difendermi. Mi sentii pero2 sollevato all'accorgermi che anche Ada era dispiacente di veder dare espressione a quel modo al suo proprio sentimento. L'im- pertinenza della piccina ci riavvicinava. Raccontai ridendo di cuore ch'io a casa possedevo un certificato regolarmente bollato che attestava in tutte le forme la mia sanita2 di mente. Cosi2 appresero del tiro che avevo giocato al mio vecchio padre. Proposi di produrre quel certificato alla piccola Annuccia. Quando accennai di andarmene non me lo permisero. Volevano che prima dimenticassi i graffi inflittimi da quel- l'altro gatto. Mi trattennero con loro, offrendomi una tazza di te2. E certo ch'io oscuramente sentii subito che per esser gradito da Ada avrei dovuto essere un po' differente di quanto ero; pensai che mi sarebbe stato facile di divenire quale essa mi voleva. Si continuo2 a parlare della morte di mio padre e a me parve che rivelando il grande dolore che tuttavia mi pesava, la seria Ada avrebbe potuto sentirlo con me. Ma subito, nello sforzo di somigliarle, perdetti la mia naturalezza e percio2 da lei -- come si vide subito -- m'allonta- nai. Dissi che il dolore per una simile perdita era tale che se io avessi avuto dei figliuoli avrei cercato di fare in modo che m'amassero meno per risparmiare loro piu2 tardi di soffrire tanto per la mia dipartita. Fui un poco imbarazzato quando mi domandarono in quale modo mi sarei comportato per raggiungere tale scopo. Maltrattarli e picchiarli? Alberta, ridendo, disse: <> Vedevo che Ada era animata dal desiderio di non spiacer- mi. Percio2 esitava; ma ogni suo sforzo non poteva condurla oltre l'esitazione. Poi disse che vedeva ch'era per bonta2 ch'io pensavo di organizzare cosi2 la vita dei miei figliuoli, ma che non le pareva giusto di vivere per prepararsi alla morte. M'ostinai e asserii che la morte era la vera organizzatrice della vita. Io sempre alla morte pensavo e percio2 non avevo che un solo dolore: la certezza di dover morire. Tutte le altre cose divenivano tanto poco importanti che per esse non avevo che un lieto sorriso o un riso altrettanto lieto. M'ero lasciato trascinare a dire delle cose ch'erano meno vere, 70 specie trovandomi con lei, una parte della mia vita gia2 tanto importante. In verita2 io credo di averle parlato cosi2 per il desiderio di farle sapere ch'io ero un uomo tanto lieto. Spesso la lietezza m'aveva favorito con le donne. Pensierosa ed esitante, essa mi confesso2 che non amava uno stato d'animo simile. Diminuendo il valore della vita, si rendeva questa anche piu2 pericolante di quanto madre natu- ra avesse voluto. Veramente ella m'aveva detto che non facevo per lei, ma ero tuttavia riuscito a renderia esitante e pensierosa e mi pareva un successo. Alberta cito2 un filosofo antico che doveva somigliarrni nell'interpretazione della vita e Augusta disse che il riso era una gran bella cosa. Anche suo padre ne era ricco. <> disse la signora Mal- fenti ridendo. Interruppi finalmente quella visita memoranda. Non v'e2 niente di piu2 difficile a questo mondo che di fare un matrimonio proprio come si vuole. Lo si vede dal caso mio ove la decisione di sposarmi aveva preceduto di tanto la scelta della fidanzata. Perche1 non andai a vedere tante e tante ragazze prima di sceglierne una? No! Pareva proprio che mi fosse spiaciuto di vedere troppe donne e non volli faticare. Scelta la fanciulla avrei anche potuto esaminarla un po' meglio e accertarrni almeno che essa sarebbe stata dispo- sta di venirmi incontro a mezza strada come si usa nei romanzi d'amore a conclusione felice. Io, invece, elessi la fanciulla dalla voce tanto grave e dalla capigliatura un po' ribelle, ma assettata severamente e pensai che, tanto seria, non avrebbe rifiutato un uomo intelligente, non brutto, ricco e di buona famiglia come ero io. Gia2 alle prime parole che scambiammo sentii qualche stonatura, ma la stonatura e2 la via all'unisono. Devo anzi confessare che pensai: "Ella deve rimanere quale e2, poiche1 cosi2 mi piace e saro2 io che mi cambiero2 se essa lo vorra2". In complesso ero ben modesto perche1 e2 certamente piu2 facile di mutare se stesso che di rieducare altri. Dopo brevissimo tempo la famiglia Malfenti divenne il centro della mia vita. Ogni sera la passavo con Giovanni che, dopo che m'aveva introdotto in casa sua, s'era fatto con me piu2 affabile e intimo. Fu tale affabilita2 che mi rese invadente. Dapprima feci visita alle sue signore una volta alla settima- 71 na, poi piu2 volte e finii coll'andare in casa sua ogni giorno e passarci varie ore del pomeriggio. Per insediarmi in quella casa non mancarono pretesti ed io credo di non sbagliare asserendo che mi fossero anche offerti. Portai talvolta con me il mio violino e passai qualche poco di musica con Augu- sta, la sola che in quella casa sonasse il piano. Era male che Ada non sonasse, poi era male che io suonassi tanto male il violino e malissimo che Augusta non fosse una grande musi- cista. Di ogni sonata io ero obbligato di eliminare qualche periodo perche1 troppo difficile, col pretesto non vero di non aver toccato il violino da troppo tempo. Il pianista e2 quasi sempre superiore al dilettante violinista e Augusta aveva una tecnica discreta, ma io, che sonavo tanto peggio di lei, non sapevo dirmene contento e pensavo: "Se sapessi sonare come lei, come sonerei meglio!". Intanto ch'io giudicavo Augusta, gli altri giudicavano me e, come appresi piu2 tardi, non favorevolmente. Poi Augusta avrebbe volentieri ripetu- te le nostre sonate, ma io m'accorsi che Ada vi si annoiava e percio2 finsi piu2 volte di aver dimenticato il violino a casa. Augusta allora non ne parlo2 piu2. Purtroppo io non vivevo solo con Ada le ore che passavo in quella casa. Essa ben presto m'accompagno2 il giorno intero. Era la donna da me prescelta, era percio2 gia2 mia ed io l'adornai di tutti i sogni perche1 il premio della vita m'appa- risse piu2 bello. La adornai, le prestai tutte le tante qualita2 di cui sentivo il bisogno e che a me mancavano, perche1 essa doveva divenire oltre che la mia compagna anche la mia seconda madre che m'avrebbe addotto ad una vita intera, virile, di lotta e di vittoria. Nei miei sogni anche fisicamente l'abbellii prima di conse- gnarla ad altri. In realta2 io nella mia vita corsi dietro a molte donne e molte di esse si lasciarono anche raggiungere. Nel sogno le raggiunsi tutte. Naturalmente non le abbellisco alterandone i tratti, ma faccio come un mio amico, pittore delicatissimo, che quando ritratta delle donne belle, pensa intensamente anche a qualche altra bella cosa, per esempio a della porcellana finissima. Un sogno pericoloso perche1 puo2 conferire nuovo potere alle donne di cui si sogno2 e che rivedendo alla luce reale conservano qualche cosa delle frutta, dei fiori e della porcellana da cui furono vestite. M'e2 difficile di raccontare della mia corte ad Ada. Vi fu 72 poi una lunga epoca della mia vita in cui io mi sforzai di dimenticare la stupida avventura che proprio mi faceva ver- gognare di quella vergogna che fa gridare e protestare. "Non sono io che fui tanto bestia!" E chi allora? Ma la protesta conferisce pure un po' di sollievo ed io vi insistetti. Meno male se avessi agito a quel modo un dieci anni prima, a vent'anni! Ma esser stato punito di tante bestialita2 solo perche1 avevo deciso di sposarmi, mi pare proprio ingiusto. Io che ero gia2 passato per ogni specie di avventure condotte sempre con uno spirito intraprendente che arrivava alla sfacciataggine, ecco ch'ero ridivenuto il ragazzetto timido che tenta di toccare la mano dell'amata magari senza ch'essa se ne avveda, eppoi adora quella parte del proprio corpo ch'ebbe l'onore di simile contatto. Questa ch'e2 stata la piu2 pura avventura della mia vita, anche oggi che sono vecchio io la ricordo quale la piu2 turpe. Era fuori di posto, fuor di tempo quella roba, come se un ragazzo di dieci anni si fosse attaccato al petto della balia. Che schifo! Come spiegare poi la mia lunga esitazione di parlare chia- ro e dire alla fanciulla: Risolviti! Mi vuoi o non mi vuoi? Io andavo a quella casa arrivandovi dai miei sogni; contavo gli scalini che mi conducevano a quel primo piano dicendomi che se erano dispari cio2 avrebbe provato ch'essa m'amava ed erano sempre dispari essendovene quarantatre1. Arrivavo a lei accompagnato da tanta sicurezza, e finivo col parlare di tutt'altra cosa. Ada non aveva ancora trovata l'occasione di significarmi il suo disdegno ed io tacevo! Anch'io al posto di Ada avrei accolto quel giovanotto di trent'anni a calci nel sedere! Devo dire che in certo rapporto io non somigliavo esatta- mente al ventenne innamorato il quale tace aspettando che l'amata gli si getti al collo. Non m'aspettavo niente di simile. Io avrei parlato, ma piu2 tardi. Se non procedevo, cio2 era dovuto ai dubbii su me stesso. Io m'aspettavo di divenire piu2 nobile, piu2 forte, piu2 degno della mia divina fanciulla. Cio2 poteva avvenire da un giorno all'altro. Perche1 non aspet- tare? Mi vergogno anche di non essermi accorto a tempo ch'ero avviato ad un fiasco simile. Avevo da fare con una fanciulla delle piu2 semplici e fu a forza di sognare che m'appari2 quale una civetta delle piu2 consumate. Ingiusto quell'enorme mio 73 rancore quando essa riusci2 a farmi vedere ch'essa di me non ne voleva sapere. Ma io avevo mescolato tanto intimamente la realta2 ai sogni che non riuscivo a convincermi ch'essa mai m'avesse baciato. E\ proprio un indizio di scarsa virilita2 quello di frainten- dere le donne. Prima non avevo sbagliato mai e devo credere di essermi ingannato sul conto di Ada per avere da bel principio falsati i miei rapporti con lei. A lei m'ero avvicinato non per conquistarla ma per sposarla, cio2 ch'e2 una via insolita dell'amore, una via ben larga, una via ben comoda, ma che conduce non alla me2ta per quanto ben vicino ad essa. All'amore cui cosi2 si giunge manca la carat- teristica principale: l'assoggettamento della femmina. Cosi2 il maschio si prepara alla sua parte in una grande inerzia che puo2 estendersi a tutti i suoi sensi, anche a quelli della vista e dell'udito. Io portai giornalmente dei fiori a tutt'e tre le fanciulle e a tutt'e tre regalai le mie bizzarrie e, sopra tutto, con una leggerezza incredibile, giornalmente feci loro la mia auto- biografia. A tutti avviene di ricordarsi con piu2 fervore del passato quando il presente acquista un'importanza maggiore. Dicesi anzi che i moribondi, nell'ultima febbre, rivedano tutta la loro vita. Il mio passato m'afferrava ora con tutta la violenza dell'ultimo addio perche1 io avevo il sentimento di allonta- narmene di molto. E parlai sempre di questo passato alle tre fanciulle, incoraggiato dall'attenzione intensa di Augusta e di Alberta che, forse, copriva la disattenzione di Ada di cui non sono sicuro. Augusta, con la sua indole dolce, facilmen- te si commoveva e Alberta stava a sentire le mie descrizioni di scapigliatura studentesca con le guance arrossate dal desi- derio di poter in avvenire passare anch'essa per avventure simili. Molto tempo dopo appresi da Augusta che nessuna delle tre fanciulle aveva creduto che le mie storielle fossero vere. Ad Augusta apparvero percio2 piu2 preziose perche1, inventa- te da me, le sembrava fossero piu2 mie che se il destino me le avesse inflitte. Ad Alberta quella parte in cui non credette fu tuttavia gradevole perche1 vi scorse degli ottimi suggerimen- ti. La sola che si fosse indignata delle mie bugie fu la seria Ada. Coi miei sforzi a me toccava come a quel tiratore cui 74 era riuscito di colpire il centro del bersaglio, pero2 di quello posto accanto al suo. Eppure in gran parte quelle storielle erano vere. Non so piu2 dire in quanta parte perche1 avendole raccontate a tante altre donne prima che alle figlie del Malfenti, esse, senza ch'io lo volessi, si alterarono per divenire piu2 espressive. Erano vere dal momento che io non avrei piu2 saputo raccon- tarle altrimenti. Oggidi2 non m'importa di provarne la verita2. Non vorrei disingannare Augusta che ama crederle di mia invenzione. In quanto ad Ada io credo che ormai ella abbia cambiato di parere e le ritenga vere. Il mio totale insuccesso con Ada si manifesto2 proprio nel momento in cui giudicavo di dover finalmente parlar chiaro. Ne accolsi l'evidenza con sorpresa e dapprima con increduli- ta2. Non era stata detta da lei una sola parola che avesse manifestata la sua avversione per me ed io intanto chiusi gli occhi per non vedere quei piccoli atti che non mi significava- no una grande simpatia. Eppoi io stesso non avevo detto la parola necessaria e potevo persino figurarmi che Ada non sapesse ch'io ero 1a2 pronto per sposarla e potesse credere che io -- lo studente bizzarro e poco virtuoso -- volessi tutt'altra cosa. Il malinteso si prolungava sempre a causa di quelle mie intenzioni. troppo decisamente matrimoniali. Vero e2 che oramai desideravo tutta Ada cui avevo continuato a levigare assiduamente le guancie, a impicciolire le mani e i piedi e ad isveltire e affinare la taglia. La desideravo quale moglie e quale amante. Ma e2 decisivo il modo con cui si avvicina per la prima volta una donna. Ora avvenne che per ben tre volte consecutive, in quella casa fossi ricevuto dalle altre due fanciulle. L'assenza di Ada fu scusata per la prima volta con una visita doverosa, la seconda con un malessere e la terza non mi si disse alcuna scusa finche1 io, allarmato, non la domandai. Allora Augu- sta, a cui per caso m'ero rivolto, non rispose. Rispose per lei Alberta ch'essa aveva guardata come per invocarne l'assi- stenza: Ada era andata da una zia. A me manco2 il fiato. Era evidente che Ada mi evitava. Il giorno prima ancora io avevo sopportata la sua assenza ed avevo anzi prolungata la mia visita sperando ch'essa pur avrebbe finito coll'apparire. Quel giorno, invece, restai an- 75 cora per qualche istante, incapace di aprir bocca, eppoi pretestando un improvviso mal di testa m'alzai per andarme- ne. Curioso che quella prima volta il piu2 forte sentimento che sentissi allo scontrarmi nella resistenza di Ada fosse collera e sdegno! Pensai anche di appellarmi a Giovanni per mettere la fanciulla all'ordine. Un uomo che vuole sposarsi e2 anche capace di azioni simili, ripetizioni di quelle dei suoi antenati. Quella terza assenza di Ada doveva divenire anche piu2 significativa. Il caso volle ch'io scoprissi ch'essa si trovava in casa, ma rinchiusa nella sua stanza. Devo prima di tutto dire che in quella casa v'era un'altra persona ch'io non ero riuscito a conquistare: la piccola An- na. Dinanzi agli altri essa non m'aggrediva piu2, perche1 l'ave- vano redarguita duramente. Anzi qualche volta anch'essa s'era accompagnata alle sorelle ed era stata a sentire le mie storielle. Quando pero2 me ne andavo, essa mi raggiungeva alla soglia, gentilmente mi pregava di chinarmi a lei, si rizzava sulle punte dei piedini e quando arrivava a far addi- rittura aderire la boccuccia al mio orecchio, mi diceva abbas- sando la voce in modo da non poter essere udita che da me: <> Il bello si e2 che dinanzi agli altri la sorniona mi dava del lei. Se c'era presente la signora Malfenti, essa subito si rifugiava nelle sue braccia, e la madre l'accarezzava dicendo: <> Non protestavo e la gentile Anna mi diede ancora spesso allo stesso modo del pazzo. Io accoglievo la sua dichiarazio- ne con un sorriso vile che avrebbe potuto sembrare di ringra- ziamento. Speravo che la bambina non avesse il coraggio di raccontare delle sue aggressioni agli adulti e mi dispiaceva di far sapere ad Ada quale giudizio facesse di me la sua sorelli- na. Quella bambina fini2 realmente coll'imbarazzarmi. Se, quando parlavo con gli altri, il mio occhio s'incontrava nel suo, subito dovevo trovare il modo di guardare altrove ed era difficile di farlo con naturalezza. Certo arrossivo. Mi pareva che quell'innocente col suo giudizio potesse danneg- giarmi. Le portai dei doni, ma non valsero ad ammansarla. Essa dovette accorgersi del suo potere e della mia debolezza e, in presenza degli altri, mi guardava indagatrice, insolente. Credo che tutti abbiamo nella nostra coscienza come nel 76 nostro corpo dei punti delicati e coperti cui non volentieri si pensa. Non si sa neppure che cosa sieno, ma si sa che vi sono. Io stornavo il mio occhio da quello infantile che voleva frugarmi. Ma quel giorno in cui solo e abbattuto uscivo da quella casa e ch'essa mi raggiunse per farmi chinare e sentire iI solito complimento, mi piegai a lei con tale faccia stravolta di vero pazzo e tesi verso di lei con tanta minaccia le mani contratte ad artigli, ch'essa corse via piangendo ed urlando. Cosi2 arrivai a vedere Ada anche quel giorno perche1 fu lei che accorse a quei gridi. La piccina racconto2 singhiozzando ch'io l'avevo minacciata duramente perche1 essa m'aveva dato del pazzo: <> Non stetti a sentire la bambina, stupito al vedere che Ada si trovava in casa. Le sue sorelle avevano dunque mentito, anzi la sola Alberta cui Augusta ne aveva passato l'incarico esimendosene essa stessa! Per un istante fui esattarnente nel giusto indovinando tutto. Dissi ad Ada: <> Ella non mi rispose perche1 dapprima si piego2 sulla bambi- na piangente. Quell'indugio di ottenere le spiegazioni cui credevo di aver diritto mi fece salire veemente il sangue alla testa. Non trovavo parole. Feci un altro passo per avvicinar- mi alla porta d'uscita e se Ada non avesse parlato, io me ne sarei andato e non sarei ritornato mai piu2. Nell'ira mi pareva cosa facilissima quella rinunzia ad un sogno che aveva ora- mai durato tanto a lungo. Ma intanto essa, rossa, si volse a me e disse ch'era rientra- ta da pochi istanti non avendo trovato la zia in casa. Basto2 per calmarmi. Com'era cara, maternamente piega- ta sulla bambina che continuava ad urlare! Il suo corpo era tanto flessibile che pareva divenuto piu2 piccolo per accostar- si meglio alla piccina. Mi indugiai ad ammirarla consideran- dola di nuovo mia. Mi sentii tanto sereno che volli far dimenticare il risenti- mento che poco prima avevo manifestato e fui gentilissimo con Ada ed anche con Anna. Dissi ridendo di cuore: <> Anche Ada fu molto, ma molto gentile. Redargui2 la picci- na che continuava a singhiozzare e mi domando2 scusa per essa. Se avessi avuto la fortuna che Anna nell'ira fosse corsa via, io avrei parlato. Avrei detta una frase che forse si trova anche in qualche grammatica di lingue straniere, bell'e fatta per facilitare la vita a chi non conosca la lingua del paese dove soggiorna: "Posso domandare la sua mano a suo pa- dre?". Era la prima volta ch'io volevo sposarmi e mi trovavo percio2 in un paese del tutto sconosciuto. Fino ad allora avevo trattato altrimenti con le donne con cui avevo da fare. Le avevo assaltate mettendo loro prima di tutto addosso le mani. Ma non arrivai a dire neppure quelle poche parole. Dove- vano pur stendersi su un certo spazio di tempo! Dovevano esser accompagnate da un'espressione supplice della faccia, difficile a foggiarsi immediatamente dopo la mia lotta con Anna ed anche con Ada, e dal fondo del corridoio s'avanza- va gia2 la signora Malfenti richiamata dalle strida della bambina. Stesi la mano ad Ada, che mi porse subito cordialmente la sua e le dissi: <> Esitai pero2 di lasciar andare quella mano che riposava fiduciosa nella mia. Sentivo che, andandomene allora, ri- nunziavo ad un'occasione unica con quella fanciulla tutta intenta ad usarmi delle cortesie per indennizzarmi delle villanie della sorella. Seguii l'ispirazione del momento, mi chinai sulla sua mano e la sfiorai con le mie labbra. Indi apersi la porta e uscii lesto lesto dopo di aver visto che Ada, che fino ad allora m'aveva abbandonata la destra mentre con la sinistra sosteneva Anna che s'aggrappava alla sua gonna, stupita si guardava la manina che aveva subito il contatto delle mie labbra, quasi avesse voluto vedere se ci fosse stato scritto qualche cosa. Non credo che la signora Malfenti avesse scorto il mio atto. Mi arrestai per un istante sulle scale, stupito io stesso del mio atto assolutamente non premeditato. V'era ancora la possibilita2 di ritornare a quella porta che avevo chiusa dietro 78 di me, suonare il campanello e domandar di poter dire ad Ada quelle parole ch'essa sulla propria mano aveva cercato invano? Non mi parve! Avrei mancato di dignita2 dimostran- do troppa impazienza. Eppoi avendola prevenuta che sarei ritornato le avevo preannunziate le mie spiegazioni. Non dipendeva ora che da lei di averle, procurandomi l'opportu- nita2 di dargliele. Ecco che avevo finalmente cessato di rac- contare delle storie a tre fanciulle e avevo invece baciato la mano ad una sola di esse. Ma il resto della giornata fu piuttosto sgradevole. Ero inquieto e ansioso. Io andavo dicendomi che la mia inquietu- dine provenisse solo dall'impazienza di veder chiarita quel- l'avventura. Mi figuravo che se Ada m'avesse rifiutato, io avrei potuto con tutta calma correre in cerca di altre donne. Tutto il mio attaccamento per lei proveniva da una libera risoluzione che ora avrebbe potuto essere annullata da un'altra che la cancellasse! Non compresi allora che per il momento a questo mondo non v'erano altre donne per rne e che abbisognavo proprio di Ada. Anche la notte che segui2 mi sembro2 lunghissima; la passai quasi del tutto insonne. Dopo la morte di mio padre, io avevo abbandonate le mie abitudini di nottambulo e ora, dacche1 avevo risolto di sposarmi, sarebbe stato strano di ritornarvi. M'ero percio2 coricato di buon'ora col desiderio del sonno che fa passare tanto presto il tempo. Di giorno io avevo accolte con la piu2 cieca fiducia le spiegazioni di Ada su quelle sue tre assenze dal suo salotto nelle ore in cui io vi era, fiducia dovuta alla mia salda convinzione che la donna seria ch'io avevo scelta non sapes- se mentire. Ma nella notte taIe fiducia diminui2. Dubitavo che non fossi stato io ad informarla che Alberta -- quando Augusta aveva rifiutato di parlare -- aveva addotta a sua scusa quella visita alla zia. Non ricordavo bene le parole che le avevo dirette con la testa in fiarnme, ma credevo di esser certo di averle riferita quella scusa. Peccato! Se non l'avessi fatto, forse lei, per scusarsi, avrebbe inventato qualche cosa di diverso e io, avendola co2lta in bugia, avrei gia2 avuto il chiarimento che anelavo. Qui avrei pur potuto accorgermi dell'importanza che Ada aveva oramai per me, perche1 per quietarmi io andavo dicen- domi che se essa non m'avesse voluto, avrei rinunziato per 79 sempre al matrimonio. Il suo avrebbe dunque mutata la mia vita. E continuavo a sognare confortandomi nel pen- siero che forse quel rifiuto sarebbe stato una fortuna per me. Ricordavo quel filosofo greco che prevedeva il pentimento tanto per chi si sposava quanto per chi restava ceIibe. Insom- ma non avevo ancora perduta la capacita2 di ridere della mia avventura; la sola capacita2 che mi mancasse era quella di dormire. Presi sonno che gia2 albeggiava. Quando mi destai era tanto tardi che poche ore ancora mi dividevano da quella in cui la visita in casa Malfenti m'era permessa. Percio2 non vi sarebbe stato piu2 bisogno di fantasticare e raccogliere degli altri indizi che mi chiarissero l'animo di Ada. Ma e2 difficile di trattenere il proprio pensiero dall'occuparsi di un argomen- to che troppo c'importa. L'uomo sarebbe un animale piu2 fortunato se sapesse farlo. In mezzo alle cure della mia persona che quel giorno esagerai, io non pensai ad altro: avevo fatto bene baciando la mano di Ada o avevo fatto male di non baciarla anche sulle labbra? Proprio quella mattina ebbi un'idea che credo m'abbia fortemente danneggiato privandomi di quel poco d'iniziati- va virile che quel mio curioso stato d'adolescenza m'avrebbe concesso. Un dubbio doloroso: e se Ada m'avesse sposato solo perche1 indottavi dai genitori, senz'amarmi ed anzi avendo una vera avversione per me? Perche1 certamente tutti in quella famiglia, cioe2 Giovanni, la signora Malfenti, Augu- sta e Alberta mi volevano bene; potevo dubitare della sola Ada. Sull'orizzonte si delineava propri2o il solito romanzo popolare della giovinetta costretta dalla famiglia ad un ma- trimonio odioso. Ma io non l'avrei permesso. Ecco la nuova ragione per cui dovevo parlare con Ada, anzi con la sola Ada. Non sarebbe bastato di dirigerle la frase fatta che avevo preparata. Guardandola negli occhi le avrei doman- dato: "Mi ami tu?". E se essa m'avesse detto di si2, io l'avrei serrata fra le mie braccia per sentirne vibrare la sincerita2. Cosi2 mi parve d'essermi preparato a tutto. Invece dovetti accorgermi d'esser arrivato a quella specie d'esame dimenti- cando di rivedere proprio quelle pagine di testo di cui mi sarebbe stato imposto di parlare. Fui ricevuto dalla sola signora Malfenti che mi fece acco- modare in un angolo del grande salotto e si mise subito a 80 chiacchierare vivacemente impedendomi persino di doman- dare delle notizie delle fanciulle. Ero percio2 alquanto di- stratto e mi ripetevo la lezione per non dimenticarla al momento buono. Tutt'ad un tratto fui richiamato all'atten- zione come da uno squillo di tromba. La signora stava elabo- rando un preambolo. M'assicurava dell'amicizia sua e del marito e dell'affetto di tutta la famiglia loro, compresavi la piccola Anna. Ci conoscevamo da tanto tempo. Ci eravamo visti giornalmente da quattro mesi. <> corressi io che ne avevo fatto il calcolo nella notte, ricordando che la mia prima visita era stata fatta d'autunno e che ora ci trovavamo in piena primavera. <> disse la signora pensandoci su come se avesse voluto rivedere il mio calcolo. Poi, con aria di rimpro- vero: <>. <> domandai io credendo di aver sentito male. <> confermo2 la signora. <> Ingenuamente rivelai il mio sentimento: <> Essa ebbe un gesto di sorpresa e (o mi parve?) di sorpresa dolorosa. Io intanto tentavo di pensare intensamente per arrivare presto a spiegare quello che mi sembrava un equivoco di cui pero2 subito intesi l'importanza. Mi rivedevo in pensiero, visita per visita, durante quei cinque mesi, intento a spiare Ada. Avevo suonato con Augusta e, infatti, talvolta avevo parlato piu' con lei, che mi stava a sentire, che non con Ada, ma solo perche1 essa spiegasse ad Ada le mie storie accompa- gnate dalla sua approvazione. Dovevo parlare chiaramente con la signora e dirle delle mie mire su Ada? Ma poco prima io avevo risolto di parlare con la sola Ada e d'indagarne l'animo. Forse se avessi parlato chiaramente con la signora Malfenti, le cose sarebbero andate altrimenti e cioe2 non potendo sposare Ada non avrei sposata neppure Augusta. Lasciandomi dirigere dalla risoluzione presa prima ch'io avessi veduta la signora Malfenti e, sentite le cose sorpren- denti ch'essa m'aveva dette, tacqui. Pensavo intensamente, ma percio2 con un po' di confusio- ne. Volevo intendere, volevo indovinare e presto. Si vedono meno bene le cose quando si spalancano troppo gli occhi. 81 Intravvidi la possibilita2 che volessero buttarmi fuori di casa. Mi parve di poter escluderla. Io ero innocente, visto che non facevo la corte ad Augusta ch'essi volevano proteggere. Ma forse m'attribuivano delle intenzioni su Augusta per non compromettere Ada. E perche1 proteggere a quel modo Ada, che non era piu2 una fanciullina? Io ero certo di non averla afferrata per le chiome che in sogno. In realta2 non avevo che sfiorata la sua mano con le mie labbra. Non volevo che mi si interdicesse l'accesso a quella casa, perche1 prima di abbandonarla volevo parlare con Ada. Percio2 con voce tre- mante domandai: <> Essa esito2. Io avrei preferito di aver da fare con Giovanni che pensava urlando. Poi, risoluta, ma con uno sforzo di apparire cortese che si manifestava evidente nel suono della voce, disse: <> E certo che se mi avesse detto rudemente di andarmene e di non ritornare piu2, io, sempre diretto dal mio proposito, avrei supplicato che mi si tollerasse in quella casa, almeno per uno o due giorni ancora, per chiarire i miei rapporti con Ada. Invece le sue parole, piu2 miti di quanto avessi temuto, mi diedero il coraggio di manifestare il mio risentimento: <> Venne quello che avevo sperato. Essa protesto2, riparlo2 della stima di tutti loro e mi supplico2 di non essere adirato con lei. Ed io mi dimostrai magnanimo, le promisi tutto quello ch'essa volle e cioe2 di astenermi dal venire in quella casa per un quattro o cinque giorni, di ritornarvi poi con una certa regolarita2 ogni settimana due o tre volte e, sopra tutto, di non tenerle rancore. Fatte tali promesse, volli dar segno di tenerle e mi levai per allontanarmi. La signora protesto2 ridendo: <> E poiche1 io pregavo di lasciarmi andare per un impegno di cui solo allora m'ero ricordato, mentre era vero che non 82 vedevo l'ora di essere solo per riflettere meglio alla straordi- naria avventura che mi toccava, la signora mi prego2 addirit- tura di rimanere dicendo che cosi2 le avrei dato la prova di non essere adirato con lei. Percio2 rimasi, sottoposto conti- nuamente alla tortura di ascoltare il vuoto cicaleccio cui la signora ora s'abbandonava sulle mode femminili ch'essa non voleva seguire, sul teatro e anche sul tempo tanto secco con cui la primavera s'annunziava. Poco dopo fui contento d'essere rimasto perche1 m'avvidi che avevo bisogno di un ulteriore chiarimento. Senz'alcun riguardo interruppi la signora, di cui non sentivo piu2 le parole, per domandarle: <> Parve dapprima ch'essa neppure avesse ricordato il nostro patto. Poi protesto2: <> Anche questo promisi, promisi anche che se mi fosse stata chiesta una spiegazione perche1 non mi si vedesse piu2 tanto di spesso, avrei addotti dei pretesti varii. Per il momento pre- stai fede alle parole della signora e mi figurai che Ada potesse essere stupita e addolorata dalla mia improvvisa assenza. Un'immagine gradevolissima! Poi rimasi ancora, sempre aspettando che qualche altra ispirazione venisse a dirigermi ulteriormente, mentre la si- gnora parlava dei prezzi dei commestibili nell'ultimo tempo divenuti onerosissimi. Invece di altre ispirazioni, capito2 la zia Rosina, una sorella di Giovanni, piu2 vecchia di lui, ma di lui molto meno intelli- gente. Aveva pero2 qualche tratto della sua fisonomia morale bastevole a caratterizzarla quale sua sorella. Prima di tutto la stessa coscienza dei proprii diritti e dei doveri altrui al- quanto comica, perche1 priva di qualsiasi arma per imporsi, eppoi anche il vizio di alzare presto la voce. Essa credeva di aver tanti diritti nella casa del fratello che -- come appresi poi -- per lungo tempo considero2 la signora Malfenti quale un'in- trusa. Era nubile e viveva con un'unica serva di cui parlava sempre come della sua piu2 grande nemica. Quando mori2 83 raccomando2 a mia moglie di sorvegliare la casa finche1 la serva che l'aveva assistita non se ne fosse andata. Tutti in casa di Giovanni la sopportavano temendo la sua aggressi- vita2. Ancora non me ne andai. Zia Rosina prediligeva Ada fra Ie nipoti. Mi venne il desiderio di conquistarmene l'amicizia anch'io e cercai una frase amabile a indirizzarle. Mi ricordai oscuramente che l'ultima volta in cui l'avevo vista (cioe2 intravvista, perche1 allora non avevo sentito il bisogno di guardarla) le nipoti, non appena essa se ne era andata, avevano osservato che non aveva una buona cera. Anzi una di esse aveva detto: <> Trovai quello che cercavo. Guardando affettuosamente il faccione grinzoso della vecchia signora, le dissi: <> Non avessi mai detto quella frase. Mi guardo2 stupita e protesto2: <> Voleva sapere quando l'avessi vista l'ultima volta. Non ricordavo esattamente quella data e dovetti ri2cordarle che avevamo passato un intero pomeriggio insieme, seduti in quello stesso salotto con le tre signorine, ma non dalla parte dove eravamo allora, dall'altra. Io m'ero proposto di dimo- strarle dell'interessamento, ma le spiegazioni che esigeva lo facevano durare troppo a lungo. La mia falsita2 mi pesava producendomi un vero dolore. La signora Malfenti intervenne sorridendo: <> Diavolo! 1a2 stava la ragione del risentimento di zia Rosina ch'era molto grassa come il fratello e sperava tuttavia di dimagrire. <> Tentavo di conservare un aspetto affettuoso e dovevo invece trattenermi per non dirle un'insolenza. Zia Rosina non parve soddisfatta neppur allora. Essa non era mai stata male nell'ultimo tempo e non capiva perche1 avesse dovuto apparire malata. E la signora Malfenti le diede ragione: 84 <> disse rivolta a me. <> A me pareva. Era anzi evidente. Me ne andai subito. Porsi con grande cordialita2 la mano a zia Rosina sperando di rabbonirla, ma essa mi concedette la sua guardando altrove. Non appena ebbi varcata la soglia di quella casa il mio stato d'animo muto2. Che liberazione! Non avevo piu2 da studiare le intenzioni della signora Malfenti ne1 di forzarmi di piacere alla zia Rosina. Credo in verita2 che se non ci fosse stato il rude intervento di zia Rosina, quella politicona della signora Malfenti avrebbe raggiunto perfettamente il suo scopo ed io mi sarei allontanato da quella casa tutto contento di essere stato trattato bene. Corsi saltellando giu2 per le scale. Zia Rosina era stata quasi un commento della signora Malfenti. La signora Malfenti mi aveva proposto di restar lontano dalla sua casa per qualche giorno. Troppo buona la cara signora! Io l'avrei compiaciuta al di 1a2 delle sue aspetta- tive e non m'avrebbe rivisto mai piu2! M'avevano torturato, lei, la zia ed anche Ada! Con quale diritto? Perche1 avevo voluto sposarmi? Ma io non ci pensavo piu\! Com'era bella la liberta2! Per un buon quarto d'ora corsi per le vie accompagnato da tanto sentimento. Poi sentii il bisogno di una liberta2 ancora maggiore. Dovevo trovare il modo di segnare in modo defi- nitivo la mia volonta2 di non rimettere piu2 piede in quella casa. Scartai l'idea di scrivere una lettera con la quale mi sarei congedato. L'abbandono diveniva piu2 sdegnoso anco- ra se non ne comunicavo l'intenzione. Avrei semplicemente dimenticato di vedere Giovanni e tutta la sua famiglia. Trovai l'atto discreto e gentile e percio2 un po' ironico col quale avrei segnata la mia volonta2. Corsi da un fioraio e scelsi un magnifico mazzo di fiori che indirizzai alla signora Malfenti accompagnato dal mio biglietto da visita sul quale non scrissi altro che la data. Non occorreva altro. Era una data che non avrei dimenticata piu2 e non l'avrebbero dimen- ticata forse neppure Ada e sua madre: 5 Maggio, anniversa- rio della morte di Napoleone. Provvidi in fretta a quell'invio. Era importantissimo che giungesse il giorno stesso. Ma poi? Tutto era fatto, tutto, perche1 non c'era piu2 nulla da fare! Ada restava segregata da me con tutta la sua fami- 85 glia ed io dovevo vivere senza fare piu2 nulla, in attesa che qualcuno di loro fosse venuto a cercarmi e darmi l'occasione di fare o dire qualche cosa d'altro. Corsi al mio studio per riflettere e per rinchiudermi. Se avessi ceduto alla mia dolorosa impazienza, subito sarei ritornato di corsa a quella casa a rischio di arrivarvi prima del mio mazzo di fiori. I pretesti non potevano mancare. Potevo anche averci dimenticato il mio ombrello! Non volli fare una cosa simile. Con l'invio di quel mazzo di fiori io avevo assunta una bellissima attitudine che bisogna- va conservare. Dovevo ora stare fermo, perche1 la prossima mossa toccava a loro. Il raccoglimento ch'io mi procurai nel mio studiolo e da cui m'aspettavo un sollievo, chiari2 solo le ragioni della mia disperazione che s'esaspero2 fino alle lacrime. Io amavo Ada! Non sapevo ancora se quel verbo fosse proprio e continuai l'analisi. Io la volevo non solo mia, ma anche mia moglie. Lei, con quella sua faccia marmorea sul corpo acerbo, eppoi ancora lei con la sua serieta2, tale da non intendere il mio spirito che non le avrei insegnato, ma cui avrei rinunziato per sempre, lei che m'avrebbe insegnata una vita d'intelli- genza e di lavoro. Io la volevo tutta e tutto volevo da lei. Finii col conchiudere che il verbo fosse proprio quello: Io amavo Ada. Mi parve di aver pensata una cosa molto importante che poteva guidarmi. Via le esitazioni! Non importava piu2 di sapere se ella mi amasse. Bisognava tentare di ottenerla e non occorreva piu2 parlare con lei se Giovanni poteva dispor- ne. Prontamente bisognava chiarire tutto per arrivare subito alla felicita2 o altrimenti dimenticare tutto e guarire. Perche1 avevo da soffrire tanto nell'attesa? Quando avessi saputo -- e potevo saperlo solo da Giovanni -- che io definitivamente avevo perduta Ada, almeno non avrei piu2 dovuto lottare col tempo che sarebbe continuato a trascorrere lentamente sen- za ch'io sentissi il bisogno di sospingerlo. Una cosa definitiva e2 sempre calma perche1 staccata dal tempo. Corsi subito in cerca di Giovanni. Furono due le corse. Una verso il suo ufficio situato in quella via che noi conti- nuiamo a dire delle Case Nuove, perche1 cosi2 facevano i nostri antenati. Alte vecchie case che offuscano una via tanto vicina alla riva del mare poco frequentata alI'ora del 86 tramonto, e dove potei procedere rapido. Non pensai cam- minando, che a preparare piu2 brevemente che fosse possibi- le la frase che dovevo dirigergli. Bastava dirgli la mia deter- minazione di sposar sua figlia. Non avevo ne1 da conquiderlo ne1 da convincerlo. Quell'uomo d'affari avrebbe saputo la risposta da darmi non appena intesa la mia domanda. Mi preoccupava tuttavia la quistione se in un'occasione simile avrei dovuto parlare in lingua o in dialetto. Ma Giovanni aveva gia2 abbandonato l'ufficio e s'era reca- to al Tergesteo. Mi vi avviai. Piu2 lentamente perche1 sapevo che alla Borsa dovevo attendere piu2 tempo per potergli parlare da solo a solo. Poi, giunto in via Cavana, dovetti rallentare per la folla che ostruiva la stretta via. E fu proprio battendomi per passare traverso quella folla, che ebbi final- mente come in una visione la chiarezza che da tante ore cercavo. I Malfenti volevano ch'io sposassi Augusta e non volevano ch'io sposassi Ada e cio2 per la semplice ragione che Augusta era innamorata di me e Ada niente affatto. Niente affatto perche1 altrimenti non sarebbero intervenuti a divi- derci. M'avevano detto ch'io compromettevo Augusta, ma era invece lei che si comprometteva amandomi. Compresi tutto in quel momento, con viva chiarezza, come se qualcu- no della famiglia me l'avesse detto. E indovinai anche che Ada era d'accordo ch'io fossi allontanato da quella casa. Essa non m'amava e non m'avrebbe amato almeno finche1 la sorella sua m'avesse amato. Nell'affollata via Cavana avevo dunque pensato piu2 dirittamente che nel mio studio soli- tario Oggidi2, quando ritorno al ricordo di quei cinque giorni memorandi che mi condussero al matrimonio, mi stupisce il fatto che il mio animo non si sia mitigato all'apprendere che la povera Augusta mi amava. Io, ormai scacciato da casa Malfenti, amavo Ada irosamente. Perche1 non mi diede alcu- na soddisfazione la visione chiara che la signora Malfenti m'aveva allontanato invano, perche1 io in quella casa rimane- vo, e vicinissimo ad Ada, cioe2 nel cuore di Augusta? A me pareva invece una nuova offesa l'invito della signora Mal- fenti di non compromettere Augusta e cioe2 di sposarla. Per la brutta fanciulla che m'amava, avevo tutto il disdegno che non ammettevo avesse per me la sua bella sorella, che io amavo 87 Accelerai ancora il passo, ma deviai e mi diressi verso casa mia. Non avevo piu2 bisogno di parlare con Giovanni perche1 sapevo ormai chiaramente come condurmi; con un'evidenza tanto disperante che forse finalmente m'avrebbe data la pace staccandomi dal tempo troppo lento. Era anche perico- loso parlarne con quel maleducato di Giovanni. La signora Malfenti aveva parlato in modo ch'io non l'avevo intesa che 1a2 in via Cavana. Il marito era capace di comportarsi altri- menti. Forse m'avrebbe detto addirittura: "Perche1 vuoi spo- sare Ada? Vediamo! Non faresti meglio di sposare Augu- sta?". Perche1 egli aveva un assioma che ricordavo e che avrebbe potuto guidarlo in questo caso: "Devi sempre spie- gare chiaramente l'affare al tuo avversario perche1 allora appena sarai sicuro d'intenderlo meglio di lui!". E allora? Ne sarebbe conseguita un'aperta rottura. Solo allora il tem- po avrebbe potuto camminare come voleva, perche1 io non avrei piu2 avuta alcuna ragione d'ingerirmene: sarei arrivato al punto fermo! Ricordai anche un altro assioma di Giovanni e mi vi attaccai perche1 mi procurava una grande speranza. Seppi restarvi attaccato per cinque giorni, per quei cinque giorni che convertirono la mia passione in malattia. Giovanni sole- va dire che non bisognava aver fretta di arrivare alla liquida- zione di un affare quando da questa liquidazione non si puo2 attendersi un vantaggio: ogni affare arriva prima o poi da se1 alla liquidazione, come lo prova il fatto che la storia del mondo e2 tanto unga e che tanto pochi affari sono rimasti in sospeso. Finche1 non si e2 proceduti alla sua liquidazione, ogni affare puo2 ancora evolversi vantaggiosamente. Non ricordai che v'erano altri assiomi di Giovanni che dicevano il contrario e m'attaccai a quello. Gia2 a qualche cosa dovevo pur attaccarmi. Feci il proposito ferreo di non movermi finche1 non avessi appreso che qualche cosa di nuovo avesse fatto evolvere il mio affare in mio favore. E ne ebbi tale danno che forse per questo, in seguito, nessun mio proposito m'accompagno2 per tanto tempo. Non appena fatto il proposito, ricevetti un biglietto dalla signora Malfenti. Ne riconobbi la scrittura sulla busta, e prima di aprirlo, mi lusingai fosse bastato quel mio proposito ferreo, perche1 essa si pentisse di avermi maltrattato e mi corresse dietro. Quando trovai che non conteneva che le lettere p. r. che significavano il ringraziamento per i fiori che le avevo inviati, mi gettai sul mio letto e ficcai i denti nel guanciale quasi per inchiodarmivi e impedirmi di correr via a rompere il mio proposito. Quanta ironica serenita2 risultava da quelle iniziali! Ben maggiore di quella espressa dalla data ch'io avevo apposta al mio biglietto e che significava gia2 un proposito e forse anche un rimprovero. <1Remember>1 aveva detto Carlo I prima che gli tagliassero il collo e doveva aver pensata la data di quel giorno! Anch'io avevo esortata la mia avversaria a ricordare e temere! Furono cinque giorni e cinque notti terribili ed io ne sorvegliai le albe e i tramonti che significavano fine e princi- pio e avvicinavano l'ora della mia liberta2, la liberta2 di batter- mi di nuovo per il mio amore. Mi preparavo a quella lotta. Oramai sapevo come la mia fanciulla voleva io fossi fatto. M'e2 facile di ricordarmi dei propositi che feci allora, prima di tutto perche1 ne feci d'iden- tici in epoca piu2 recente, eppoi perche1 li annotai su un foglio di carta che conservo tuttora. Mi proponevo di diventare piu2 serio. Cio2 significava allora di non raccontare quelle barzel- lette che facevano ridere e mi diffamavano, facendomi an- che amare dalla brutta Augusta e disprezzare dalla mia Ada. Poi v'era il proponimento di essere ogni mattina alle otto nel mio ufficio che non vedevo da tanto tempo, per non discute- re sui miei diritti con l'Olivi, ma per lavorare con lui e poter assumere a suo tempo la direzione dei miei affari. Cio2 dove- va essere attuato in una epoca piu2 tranquilla di quella, come dovevo anche cessar di fumare piu2 tardi, cioe2 quando avessi riavuta la mia liberta2, perche1 non bisognava peggiorare quell'orribile intervallo. Ad Ada spettava un marito perfet- to. Percio2 v'erano anche varii proponimenti di dedicarmi a letture serie, eppoi di passare ogni giorno una mezz'oretta sulla pedana e di cavalcare un paio di volte alla settimana. Le ventiquattr'ore della giornata non erano troppe. Durante quei giorni di segregazione la gelosia piu2 amara fu la mia compagna di tutte le ore. Era un proposito eroico quello di voler correggersi di ogni difetto per prepararsi a conquistare Ada dopo qualche settimana. Ma intanto? In- tanto che io m'assoggettavo alla piu2 dura constrizione, si sarebbero tenuti tranquilli gli altri maschi della citta2 e non avrebbero cercato di portarmi via la mia donna? Fra di loro 89 v'era certamente qualcuno che non aveva bisogno di tanto esercizio per esser gradito. Io sapevo, io credevo di sapere che quando Ada avesse trovato chi faceva al caso suo, avreb- be subito consentito senza attendere di innamorarsi. Quan- do in quei giorni m'imbattevo in un maschio ben vestito, sano e sereno, l'odiavo, perche1 mi pareva facesse al caso di Ada. Di quei giorni, la cosa che meglio ricordo e2 la gelosia che s'era abbassata come una nebbia sulla rnia vita. Dell'atroce dubbio di vedermi portar via Ada in quei giorni non si puo2 ridere, ormai che si sa come le cose andaro- no a finire. Quando ripenso a quei giorni di passione sento un'ammirazione grande per la profetica anima mia. Varie volte, di notte, passai sotto le finestre di quella casa. Laggiu2 apparentemente continuavano a divertirsi come quando c'ero stato anch'io. Alla mezzanotte o poco prima, nel salotto si spegnevano i lumi. Scappavo pel timore di essere scorto da qualche visitatore che allora doveva lasciare la casa. Ma ogni ora di quei giorni fu affannosa anche per l'impa- zienza. Perche1 nessuno domandava di me? Perche1 non si moveva Giovanni? Non doveva egli meravigliarsi di non vedermi ne1 a casa sua ne1 al Tergesteo? Dunque era d'accor- do anche lui ch'io fossi stato allontanato? Interrompevo spesso le mie passeggiate di giorno e di notte per correre a casa ad accertarmi che nessuno fosse venuto a domandare di me. Non sapevo andare a letto nel dubbio, e destavo per interrogarla la povera Maria. Restavo per ore ad aspettare in casa, nel luogo ove ero piu2 facilmente raggiungibile. Ma nessuno domando2 di me ed e2 certo che se non mi fossi risolto a movermi io, sarei tuttavia celibe. Una sera andai a giocare al club. Era da molti anni che non mi facevo vedere per rispetto ad una promessa fatta a mio padre. Mi pareva che la promessa non potesse piu2 valere poiche1 mio padre non poteva aver previste tali mie dolorose circostanze e l'urgente mia necessita2 di procurarmi uno sva- go. Dapprima guadagnai con una fortuna che mi dolse per- che1 mi parve un indennizzo della mia sfortuna in amore. Poi perdetti e mi dolse ancora perche1 mi parve di soggiacere al giuoco come ero soggiaciuto all'amore. Ebbi presto disgusto del giuoco: non era degno di me e neppure di Ada. Tanto puro mi rendeva quell'amore! 90 Di quei giorni so anche che i sogni d'amore erano stati annientati da quella realta2 tanto rude. Il sogno era oramai tutt'altra cosa. Sognavo la vittoria invece che l'amore. Il mio sonno fu una volta abbellito da una visita di Ada. Era vestita di sposa e veniva con me all'altare, ma quando fummo lasciati soli non facemmo all'amore, neppure allora. Ero suo marito e avevo acquistato il diritto di domandarle: "Come hai potuto permettere ch'io fossi trattato cosi2?". Di altro diritto non mi premeva. Trovo in un mio cassetto degli abbozzi di lettere ad Ada, a Giovanni e alla signora Malfenti. Sono di quei giorni. Alla - signora Malfenti scrivevo una lettera semplice con la quale prendevo congedo prima d'intraprendere un lungo viaggio. Non ricordo pero2 di aver avuto una tale intenzione: non potevo lasciare la citta2 quando non ero ancora certo che nessuno sarebbe venuto a cercarmi. Quale sventura se fosse- ro venuti e non mi avessero trovato! Nessuna di quelle lettere e2 stata inviata. Credo anzi le avessi scritte solo per mettere in carta i miei pensieri. Da molti anni io mi consideravo malato, ma di una malat- tia che faceva soffrire piuttosto gli altri che me stesso. Fu allora che conobbi la malattia "dolente", una quantita2 di sensazioni fisiche sgradevoli che mi resero tanto infelice. S'iniziarono cosi2. Alla una di notte circa, incapace di prendere sonno, mi levai e camminai nella mite notte finche1 non giunsi ad un caffe2 di sobborgo nel quale non ero mai stato e dove percio2 non avrei trovato alcun conoscente, cio2 che mi pra molto gradito perche1 volevo continuarvi una discussione con la signora Malfenti, cominciata a letto e nella quale non volevo che nessuno si frammettesse. La signora Malfenti m'aveva fatti dei rimproveri nuovi. Diceva ch'io avevo tentato di "giocar di pedina" con le sue figliuole. Intanto se avevo tentato una cosa simile l'avevo certamente fatto con la sola Ada. Mi venivano i sudori freddi al pensare che forse in casa Malfenti oramai mi si movessero dei rim- proveri simili. L'assente ha sempre torto e potevano aver approfittato della mia lontananza per associarsi ai miei dan- ni. Nella viva luce del caffe2 mi difendevo meglio. Certo talvolta io avrei voluto toccare col mio piede quello di Ada ed una volta anzi m'era parso di averlo raggiunto, lei consenziente. Poi pero2 risulto2 che avevo premuto il pie- 91 de di legno del tavolo e quello non poteva aver parlato. Fingevo di pigliar interesse al gioco del biliardo. Un signo- re, appoggiato ad una gruccia, s'avvicino2 e venne a sedere proprio accanto a me. Ordino2 una spremuta e poiche1 il cameriere aspettava anche i miei ordini, per distrazione ordinai una spremuta anche per me ad onta ch'io non possa soffrire il sapore del limone. Intanto la gruccia appoggiata al sofa2 su cui sedevamo, scivolo2 a terra ed io mi chinai a raccoglierla con un movimento quasi istintivo. <> fece il povero zoppo riconoscendomi nel momento in cui voleva ringraziarmi. <> esclamai io sorpreso e tendendogli la mano. Eravamo stati compagni di scuola e non ci eravamo visti da molti anni. Sapevo di lui che, finite le scuole medie, era entrato in una banca, dove occupava un buon posto. Ero tuttavia tanto distratto che bruscamente gli domandai come fosse avvenuto ch'egli aveva la gamba destra troppo corta cosi2 da aver bisogno della gruccia. Di buonissimo umore, egli mi racconto2 che sei mesi prima s'era ammalato di reumatismi che avevano finito col danneg- giargli la gamba. M'affrettai di suggerirgli molte cure. E2 il vero modo per poter simulare senza grande sforzo una viva partecipazione. Egli le aveva fatte tutte. Allora suggerii ancora: <> Egli scherzo2 bonariamente: riteneva che neppure a me l'aria notturna potesse giovare e riteneva che chi non soffri- va di reumatismi, finche1 aveva vita, poteva ancora procurar- seli. Il diritto di andare a letto alle ore piccole era ammesso persino dalla costituzione austriaca. Del resto, contraria- mente all'opinione generale, il caldo e il freddo non avevano a che fare coi reumatismi. Egli aveva studiato la sua malattia ed anzi non faceva altro a questo mondo che studiarne le cause e i rimedi. Piu2 che per la cura aveva avuto bisogno di un lungo permesso dalla banca per poter approfondirsi in quello studio. Poi mi racconto2 che stava facendo una cura strana. Mangiava ogni giorno una quantita2 enorme di limo- ni. Quel giorno ne aveva ingoiati una trentina, ma sperava con l'esercizio di arrivare a sopportarne anche di piu2. Mi confido2 che i limoni secondo lui erano buoni anche per molte 92 altre malattie. Dacche1 li prendeva sentiva meno fastidio per il fumare esagerato, al quale anche lui era condannato. Io ebbi un brivido alla visione di tanto acido, ma, subito dopo, una visione un po' piu2 lieta della vita: i limoni non mi piacevano, ma se mi avessero data la liberta2 di fare quello che dovevo o volevo senz'averne danno e liberandomi da ogni altra constrizione, ne avrei ingoiati altrettanti anch'io. E liberta2 completa quella di poter fare cio2 che si vuole a patto di fare anche qualche cosa che piaccia meno. La vera schiavitu2 e2 la condanna all'astensione: Tantalo e non Er- cole. Poi Tullio finse anche lui di essere ansioso di mie notizie. Io ero ben deciso di non raccontargli del mio amore infelice, ma abbisognavo di uno sfogo. Parlai con tale esagerazione dei miei mali (cosi2 li registrai e sono sicuro che erano lievi) che finii con l'avere le lagrime agli occhi, mentre Tullio andava sentendosi sempre meglio credendomi piu2 malato di lui. Mi domando2 se lavoravo. Tutti in citta2 dicevano ch'io non facevo niente ed io temevo egli avesse da invidiarmi mentre in quell'istante avevo l'assoluto bisogno di essere commise- rato. Mentii! Gli raccontai che lavoravo nel mio ufficio, non molto, ma giornalmente almeno per sei ore e che poi gli affari molto imbrogliati ereditati da mio padre e da mia madre, mi davano da fare per altre sei ore. <> commento2 Tullio, e con un sorriso soddi- sfatto, mi concedette quello che ambivo, la sua commisera- zione: <>. La conclusione era esatta ed io ne fui tanto commosso che dovetti lottare per non lasciar trapelare le lagrime. Mi sentii piu2 infelice che mai e, in quel morbido stato di compassione di me stesso, si capisce io sia stato esposto a delle lesioni. Tullio s'era rimesso a parlare della sua malattia ch'era anche la sua principale distrazione. Aveva studiato l'anato- mia della gamba e del piede. Mi racconto2 ridendo che quan- do si cammina con passo rapido, il tempo in cui si svolge un passo non supera il mezzo secondo e che in quel mezzo secondo si muovevano nientemeno che cinquantaquattro muscoli. Trasecolai e subito corsi col pensiero alle mie gam- be a cercarvi la macchina mostruosa. Io credo di averla trovata. Naturalmente non riscontrai cinquantaquattro or- 93 digni, ma una complicazione enorme che perdette il suo ordine dacche1 io vi ficcai la mia attenzione. Uscii da quel caffe2 zoppicando e per alcuni giorni zoppicai sempre. Il camminare era per me divenuto un lavoro pesan- te, e anche lievemente doloroso. A quel groviglio di conge- gni pareva mancasse ormai l'olio e che, muovendosi, si ledessero a vicenda. Pochi giorni appresso, fui colto da un male piu2 grave di cui diro2 e che diminui2 il primo. Ma ancora oggidi2, che ne scrivo, se qualcuno mi guarda quando mi muovo, i cinquantaquattro movimenti s'imbarazzano ed io sono in procinto di cadere. Anche questa lesione io la devo ad Ada. Molti animali diventano preda dei cacciatori o di altri animali quando sono in amore. Io fui allora preda della malattia e sono certo che se avessi appreso della macchina mostruosa in altro momen- to, non ne avrei avuto alcun danno. Qualche segno su un foglio di carta che conservai, mi ricorda un'altra strana avventura di quei giorni. Oltre all'an- notazione di un'ultima sigaretta accompagnata dall'espres- sione della fiducia di poter guarire della malattia dei cin- quantaquattro movimenti, v'e2 un tentativo di poesia... su una mosca. Se non sapessi altrimenti, crederei che quei versi provengano da una signorina dabbene che da2 del tu agl'in- setti di cui canta, ma visto che sono stati stesi da me, devo credere che poiche1 io sono passato per di la2, tutti possano capitare dappertutto. Ecco come quei versi nacquero. A tarda notte ero ritorna- to a casa e invece che coricarmi m'ero recato nel mio studio- lo ove avevo acceso il gas. Alla luce una mosca si mise a tormentarmi. Riuscii a darle un colpo, lieve pero2 per non insudiciarmi. La dimenticai, ma poi la rividi in mezzo al tavolo come lentamente si rimetteva. Era ferma, eretta e pareva piu2 alta di prima perche1 una delle sue zampine era stata anchilosata, e non poteva flettersi. Con le due zampine posteriori si lisciava assiduamente le ali. Tento2 di muoversi, ma si ribalto2 sulla schiena. Si rizzo2 e ritorno2 ostinata al suo assiduo lavoro. Scrissi allora quei versi, stupito di aver scoperto che quel piccolo organismo pervaso da tanto dolore, fosse diretto nel suo sforzo immane da due errori: prima di tutto lisciando con tanta ostinazione le ali che non erano lese, l'insetto rivelava di non sapere da quale organo venisse il suo dolore; poi l'assiduita2 del suo sforzo dimostrava che c'era nella sua minuscola mente la fede fondamentale che la salute spetti a tutti e che debba certamente ritornare quando ci ha lasciato. Erano errori che si possono facilmente scusare in un insetto che non vive che la vita di una sola stagione, e non ha tempo di far dell'esperienza. Ma venne la domenica. Scadeva il quinto giorno dalla mia ultima visita in casa Malfenti. Io, che lavoro tanto poco, conservai sempre un grande rispetto per il giorno festivo che divide la vita in periodi brevi che la rendono piu2 sopportabi- le. Quel giorno festivo chiudeva anche una mia settimana faticosa e me ne competeva la gioia. Io non cambiai per nulla i miei piani ma per quel giorno non dovevano valere ed io avrei rivista Ada. Non avrei compromessi quei piani con alcuna parola, ma dovevo rivederla perche1 c'era anche la possibilita2 che l'affare si fosse gia2 cambiato in mio favore ed allora sarebbe stato un bel danno di continuare a soffrire senza scopo. Percio2, a mezzodi2, con la fretta che le mie povere gambe mi concedevano, corsi in citta2 e sulla via che sapevo la signora Malfenti e le figliuole dovevano percorrere al ritorno dalla messa. Era una festa piena di sole e, camminando, pensai che forse in citta2 m'aspettava la novita2 attesa, l'amore di Ada! Non fu cosi2, ma per un altro istante n'ebbi l'illusione. La fortuna mi favori2 in modo incredibile. M'imbattei faccia a faccia in Ada, nella sola Ada. Mi manco2 il passo e il fiato. Che fare? Il mio proponimento avrebbe voluto che mi tirassi in disparte e la lasciassi passare con un saluto misurato. Ma nella mia mente ci fu un po' di confusione perche1 prima c'erano stati altri proponimenti tra cui uno che ricordavo secondo il quale avrei dovuto parlare chiaro e apprendere dalla sua bocca il mio destino. Non mi trassi in disparte e quand'ella mi saluto2 come se ci fossimo lasciati cinque minu- ti prima, io m'accompagnai a lei. Ella mi aveva detto: <> Ed io: <> Ella accetto2 sorridendo. Ma dunque avrei dovuto parlare? Ella aggiunse che andava direttamente a casa sua, percio2 95 compresi che non avevo a disposizione che cinque minuti per parlare ed anche di quel tempo ne perdetti una parte a calcolare se sarebbe bastato per le cose importanti che dove- vo dire. Meglio non dirle che non dirle interamente. Mi confondeva anche il fatto che allora nella nostra citta2, per una fanciulla, era gia2 un'azione compromettente quella di lasciarsi accompagnare sulla via da un giovanotto. Ella me lo permetteva. Non potevo gia2 accontentarmi? Intanto la guar- davo, tentando di sentir di nuovo intero il mio amore anneb- biatosi nell'ira e nel dubbio. Riavrei almeno i miei sogni? Ella m'appariva piccola e grande nello stesso tempo, nell'ar- monia delle sue linee. I sogni ritornavano in folla anche accanto a lei, reale. Era il mio modo di desiderare e vi ritornai con gioia intensa. Spariva dal mio animo qualunque traccia d'ira o di rancore. Ma dietro di noi si senti2 un'invocazione esitante: <> Mi volsi indignato. Chi osava interrompere le spiegazioni che non avevo ancora iniziate? Un signorino imberbe, bruno e pallido, la guardava con occhi ansiosi. A mia volta guardai Ada nella folle speranza ch'essa invocasse il mio aiuto. Sarebbe bastato un suo segno ed io mi sarei gettato su quell'individuo a domandargli ragione della sua audacia. E magari avesse insistito. I miei mali sarebbero stati guariti subito se mi fosse stato concesso d'abbandonarmi ad un atto brutale di forza. Ma Ada non fece quel segno. Con un sorriso spontaneo perche1 mutava lievemente il disegno delle guance e della bocca ma anche la luce dell'occhio, ella gli tese la mano: <> Quel prenome mi fece male. Ella, poco prima, mi aveva chiamato col nome mio di famiglia. Guardai meglio quel signor Guido. Era vestito con un'ele- ganza ricercata e teneva nella destra inguantata un bastone dal manico d'avorio lunghissimo, che io non avrei portato neppure se m'avessero pagato percio2 una somma per ogni chilometro. Non mi rimproverai di aver potuto vedere in una simile persona una minaccia per Ada. Vi sono dei loschi figuri che vestono elegantemente e portano anche di tali bastoni. Il sorriso di Ada mi ricaccio2 nei piu2 comuni rapporti 96 mondani. Ada fece la presentazione. E sorrisi anch'io! Il sorriso di Ada ricordava un poco l'increspatura di un'acqua limpida sfiorata da una lieve brezza. Anche il mio ricordava un simile movimento, ma prodotto da un sasso che fosse stato gettato nell'acqua. Si chiamava Guido Speier. Il mio sorriso si fece piu2 spon- taneo perche1 subito mi si presentava l'occasione di dirgli qualche cosa di sgradevole: <> Cortesemente egli mi disse che riconosceva che al nome tutti potevano crederlo tale. Invece i documenti della sua famiglia provavano ch'essa era italiana da varii secoli. Egli parlava il toscano con grande naturalezza mentre io e Ada eravamo condannati al nostro dialettaccio. Lo guardavo per sentire meglio quello ch'egli diceva. Era un bellissimo giovane: le labbra naturalmente socchiuse la- sciavano vedere una bocca di denti bianchi e perfetti. L'oc- chio suo era vivace ed espressivo e, quando s'era scoperto il capo, avevo potuto vedere che i suoi capelli bruni e un po' ricciuti, coprivano tutto lo spazio che madre natura aveva loro destinato, mentre molta parte della mia testa era stata invasa dalla fronte. Io l'avrei odiato anche se Ada non fosse stata presente, ma soffrivo di quell'odio e cercai di attenuarlo. Pensai: "E troppo giovine per Ada". E pensai poi che la confidenza e la gentilezza ch'essa gli usava fossero dovute ad un ordine del padre. Forse era un uomo importante per gli affari del Malfenti e a me era parso che in simili casi tutta la famiglia fosse obbligata alla collaborazione. Gli domandai: <> Mi rispose che vi si trovava da un mese e che vi fon- dava una casa commerciale. Respirai! Potevo aver indovi- nato. Camminavo zoppicando, ma abbastanza disinvolto, ve- dendo che nessuno se ne accorgeva. Guardavo Ada e tenta- vo di dimenticare tutto il resto compreso l'altro che ci ac- compagnava. In fondo io sono l'uomo del presente e non penso al futuro quando esso non offuschi il presente con ombre evidenti. Ada camminava fra noi due e aveva sulla faccia, stereotipata, un'espressione vaga di lietezza che arri-- vava quasi al sorriso. Quella lietezza mi pareva nuova. Per 97 chi era quel sorriso? Non per me ch'essa non vedeva da tanto tempo? Prestai orecchio a quello che si dicevano. Parlavano di spiritismo e appresi subito che Guido aveva introdotto in casa Malfenti il tavolo parlante. Ardevo dal desiderio di assicurarmi che il dolce sorriso che vagava sulle labbra di Ada fosse mio e saltai nell'argo- mento di cui parlavano, improvvisando una storia di spiriti. Nessun poeta avrebbe potuto improvvisare a rime obbligate meglio di me. Quando ancora non sapevo dove sarei andato a finire, esordii dichiarando che ormai credevo anch'io negli spiriti per una storia capitatami il giorno innanzi su quella stessa via... anzi no!... sulla via parallela a quella e che noi scorgevamo. Poi dissi che anche Ada aveva conosciuto il professor Bertini ch'era morto poco tempo prima a Firenze ove s'era stabilito dopo il suo pensionamento. Seppimo della sua morte da una breve notizia su un giornale locale che io avevo dimenticata, tant'e2 vero che, quando pensavo al pro- fessore Bertini, io lo vedevo passeggiare per le Cascine nel suo meritato riposo. Ora, il giorno innanzi, su un punto che precisai della via parallela a quella che stavamo percorren- do, fui accostato da un signore che mi conosceva e che io sapevo di conoscere. Aveva un'andatura curiosa di donnetta che si dimeni per facilitarsi il passo... <> disse Ada ridendo. Il riso era mio ed incorato continuai: <> <> ancora Ada rise guardandomi ansio- samente per sentire la chiusa. <> dissi io fingendo spavento da quel grande attore che in me e2 andato perduto. <> Poco dopo essa si fermo2 dinanzi al portone di casa sua. Stringendogli la mano, disse a Guido che lo aspettava quella sera. Poi, salutando anche me, mi disse che se non temevo di annoiarmi andassi quella sera da loro a far baIlare il tavoli- 98 chi era quel sorriso? Non per me ch'essa non vedeva da tanto tempo? Prestai orecchio a quello che si dicevano. Parlavano di spiritismo e appresi subito che Guido aveva introdotto in casa Malfenti il tavolo parlante Ardevo dal desiderio di assicurarmi che il dolce sorriso che vagava sulle labbra di Ada fosse mio e saltai nell'argo- mento di cui parlavano, improvvisando una storia di spiriti. Nessun poeta avrebbe potuto improvvisare a rime obbligate meglio di me. Quando ancora non sapevo dove sarei andato a finire, esordii dichiarando che ormai credevo anch'io negli spiriti per una storia capitatami il giorno innanzi su quella stessa via... anzi no!... sulla via parallela a quella e che noi scorgevamo. Poi dissi che anche Ada aveva conosciuto il professor Bertini ch'era morto poco tempo prima a Firenze ove s'era stabilito dopo il suo pensionamento. Seppimo della sua morte da una breve notizia su un giornale locale che io avevo dimenticata, tant'e2 vero che, quando pensavo al pro- fessore Bertini, io lo vedevo passeggiare per le Cascine nel suo meritato riposo. Ora, il giorno innanzi, su un punto che precisai della via parallela a quella che stavamo percorren- do, fui accostato da un signore che mi conosceva e che io sapevo di conoscere. Aveva un'andatura curiosa di donnetta che si dimeni per facilitarsi il passo... <> disse Ada ridendo. Il riso era mio ed incorato continuai: <> <> ancora Ada rise guardandomi ansio- samente per sentire la chiusa. <> dissi io fingendo spavento da quel grande attore che in me e2 andato perduto. <> Poco dopo essa si fermo2 dinanzi al portone di casa sua. Stringendogli la mano, disse a Guido che lo aspettava quella sera. Poi, salutando anche me, mi disse che se non temevo di annoiarmi andassi quella sera da loro a far baIlare il tavoli- 98 quando caddi mi trovavo in compagnia di una persona afflit- ta da reumatismi e che zoppicava. Un impiegato e due facchini si trovavano in piedi accanto al tavolo di Giovanni. Doveva essersi verificato qualche disordine in una consegna di merci e Giovanni aveva uno di quei suoi interventi ruvidi nel funzionamento del suo magaz- zino del quale egli raramente si occupava volendo avere la mente libera per fare -- come diceva lui -- solo quello che nessun altro avrebbe potuto fare in vece sua. Urlava piu2 del consueto come se avesse voluto incidere nelle orecchie dei suoi dipendenti le sue disposizioni. Credo si trattasse di stabilire la forma in cui dovevano svolgersi i rapporti fra l'ufficio e il magazzino. <> urlava Giovanni passando dalla mano de- stra alla sinistra una carta ch'egli aveva strappata da un libro, <> Fissava in faccia i suoi interlocutori ora traverso gli occhia- li ed ora al di sopra di essi e concluse con un altro urlo: <> Voleva riprendere le sue spiegazioni da capo, ma a me sembrava di perdere troppo tempo. Avevo il sentimento curioso che affrettandomi avrei potuto meglio battermi per Ada, mentre poi m'accorsi con grande sorpresa che nessuno m'aspettava e che io nessuno aspettavo, e che non c'era niente dafare per me. Andai a Giovanni con la mano tesa: <> Egli fu subito da me, mentre gli altri si tiravano in di- sparte. <> domando2 con semplicita2. Io fui colto da una meraviglia che mi confuse. Era proprio questa la domanda che Ada non m'aveva fatta e cui avrei avuto diritto. Se non ci fossero stati quegli altri, io avrei parlato sinceramente con Giovanni che quella domanda m'aveva fatta e m'aveva provata la sua innocenza in quella ch'io oramai sentivo quale una congiura ai miei danni. Lui solo era innocente e meritava la mia fiducia. Forse subito allora non pensai con tanta chiarezza e ne e2 prova il fatto che non ebbi la pazienza di aspettare che l'impiegato ed i facchini si fossero allontanati. Eppoi volevo 101 no. Non risposi ne1 ringraziai. Dovevo analizzare quell'invito prima di accettarlo. Mi pareva avesse suonato come un atto di cortesia obbligata. Ecco: forse per me il giorno festivo si sarebbe chiuso con quell'incontro. Ma volli apparire cortese per lasciarmi aperte tutte le vie, anche quella di accettare quell'invito. Le domandai di Giovanni col quale avevo da parlare. Ella mi rispose che l'avrei trovato nel suo ufficio ove s'era recato per un affare urgente. Guido e io ci fermammo per qualche istante a guardar dietro all'elegante figurina che spariva nell'oscurita2 dell'a- trio della casa. Non so quello che Guido abbia pensato in quel momento. In quanto a me mi sentivo infelicissimo; perche1 ella non aveva fatto quell'invito prima a me e poi a Guido? Ritornammo insieme sui nostri passi, quasi fino al punto ove ci eravamo imbattuti con Ada. Guido, cortese e disin- volto (era proprio la disinvoltura quella ch'io piu2 di tutto invidiavo agli altri) parlo2 ancora di quella storia che io avevo improvvisato e che egli prendeva sul serio. Di vero, invece, in quella storia non c'era che questo: a Trieste, anche dopo morto il Bertini, viveva una persona che diceva delle bestia- lita2, camminava in modo che pareva si movesse sulle punte dei piedi ed aveva anche una voce strana. Ne avevo fatta la conoscenza in quei giorni e, per un momento, m'aveva ricordato il Bertini. Non mi dispiaceva che Guido si rompes- se la testa a studiare quella mia invenzione. Era stabilito ch'io non dovevo odiarlo perche1 egli per i Malfenti non era altro che un commerciante importante; ma m'era antipatico per la sua eleganza ricercata e il suo bastone. M'era anzi tanto antipatico che non vedevo l'ora di liberarmene. Sentii ch'egli concludeva: <> Non seppi aiutarlo nei suoi sforzi: <> 99 vanni. Giacche1 avevo visto la figlia, avrei potuto vedere anche il padre ch'era tanto meno importante. Dovevo far presto se volevo ancora trovarlo nel suo ufficio. Guido continuava ad almanaccare quanta parte di un miracolo si potesse attribuire alla disattenzione di chi lo fa o di chi vi assiste. Io volli congedarmi e apparire almeno altrettanto disinvolto di lui. Da cio2 provenne una fretta nell'interromperlo e nel lasciarlo molto simile ad una bruta- lita2: <> Io non volevo dimostrargli dell'antipatia tant'e2 vero che con le mie parole mi pareva di fargli una concessione, visto ch'io sono un positivista convinto ed ai miracoli non ci credo. Ma era una concessione fatta con grande malumore. M'allontanai zoppicando piu2 che mai e sperai che Guido non sentisse il bisogno di guardarmi dietro. Era proprio necessario ch'io parlassi con Giovanni. Intan- to m'avrebbe istruito come avrei dovuto comportarmi quella sera. Ero stato invitato da Ada, e dal comportamento di Giovanni avrei potuto comprendere se dovevo seguire quel- l'invito e non piuttosto ricordarmi che quell'invito contrav- veniva all'espresso volere della signora Malfenti. Chiarezza ci voleva nei miei rapporti con quella gente, e se a darmela non fosse bastata la domenica, vi avrei dedicato anche il lunedi2. Continuavo a contravvenire ai miei proponimenti e non me ne accorgevo. Anzi mi pareva di eseguire una risolu- zione presa dopo cinque giorni di meditazione. E cosi2 ch'io designavo la mia attivita2 di quei giorni. Giovanni m'accolse con un bel saluto gridato, che mi fece bene, e m'invito2 di prendere posto su una poltrona addossa- ta alla parete di faccia al suo tavolo. <> E subito dopo: <>. Arrossii! Ero pero2 in vena d'improvvisazione. Gli dissi che ero scivolato mentre uscivo dal caffe2, e designai proprio il caffe2 ove m'era capitato quell'accidente. Temetti ch'egli potesse attribuire la mia tombola ad annebbiamento della mente per l'alcool, e ridendo aggiunsi il particolare che 100 studiare se forse ad Ada non fosse stata impedita quella domanda dall'arrivo inopinato di Guido. Ma anche Giovanni m'impedi2 di parlare, manifestando una grande fretta di ritornare al suo lavoro. <> Si strinse nelle spalle in atto di dispregio. <> <> dissi simulando compiacenza, sco- tendo la testa e aprendo la bocca, movendo insomma tutto quello che potevo raggiungere per mio volere. Quel bel giovinotto sapeva anche sonare il violino? <> Speravo che Giovanni avesse scherzato e con l'esa- gerazione delle sue lodi avesse voluto significare che Guido non fosse altro che un tartassatore del violino. Ma egli scoteva la testa sempre con grande ammirazione. Gli strinsi la mano: <> M'avviai zoppicando alla porta. Fui fermato da un dub- bio. Forse avrei fatto meglio di non accettare quell'invito nel quale caso avrei dovuto prevenirne Giovanni. Mi volsi per ritornare a lui, ma allora m'accorsi ch'egli mi guardava con grande attenzione proteso per innanzi per vedermi piu2 da vicino. Questo non seppi sopportare e me ne andai! Un violinista! Se era vero ch'egli sonava tanto bene, io, semplicemente, ero un uomo distrutto. Almeno non avessi sonato io quell'istrumento o non mi fossi lasciato indurre di sonarlo in casa Malfenti. Avevo portato il violino in quella casa non per conquistare col mio suono il cuore della gente, ma quale un pretesto per prolungarvi le mie visite. Ero stato una bestia! Avrei potuto usare di tanti altri pretesti meno compromettenti! Nessuno potra2 dire ch'io m'abbandoni ad illusioni sul conto mio. So di avere un alto sentimento musicale e non e2 per affettazione ch'io ricerco la musica piu2 complessa; pero2 il mio stesso alto sentimento musicale m'avverte e m'avverti2 da anni, ch'io mai arrivero2 a sonare in modo da dar piacere a chi m'ascolta. Se tuttavia continuo a sonare, lo faccio per la 102 stessa ragione per cui continuo a curarmi. Io potrei sonare bene se non fossi malato, e corro dietro alla salute anche quando studio l'equilibrio sulle quattro corde. C'e2 una lieve paralisi nel mio organismo, e sul violino si rivela intera e percio2 piu2 facilmente guaribile. Anche l'essere piu2 basso quando sa che cosa sieno le terzine, le quartine e le sestine, sa passare dalle une alle altre con esattezza ritmica corne il suo occhio sa passare da un colore all'altro. Da me, invece, una di quelle figure, quando l'ho fatta, mi si appiccica e non me ne libero piu2, cosi2 ch'essa s'intrufola nella figura seguen- te e la sforma. Per mettere al posto giusto le note, io devo battermi il tempo coi piedi e con la testa, ma addio disinvol- tura, addio serenita2, addio musica. La rnusica che proviene da un organismo equilibrato e2 lei stessa il tempo ch'essa crea ed esaurisce. Quando la faro2 cosi2 saro2 guarito. Per la prima volta pensai di abbandonare il campo, lascia- re Trieste e andare altrove in cerca di svago. Non c'era nulla da sperare. Ada era perduta per me. Ne ero certo! Non sapevo io forse, ch'essa avrebbe sposato un uomo dopo di averlo vagliato e pesato come se si fosse trattato di conceder- gli un'onorificenza accademica? Mi pareva ridicolo perche1 veramente il violino fra esseri umani non avrebbe potuto contare nella scelta di un marito, rna cio2 non mi salvava. Io sentivo l'importanza di quel suono. Era decisiva come dagli uccelli canori. Mi rintanai nel mio studio e il giorno festivo per gli altri non era ancora finito! Trassi il violino dalla busta, indeciso se mandarlo in pezzi o suonarlo. Poi lo provai come se avessi voluto dargli l'ultimo addio e infine mi misi a studiare l'eter- no Kreutzer. In quello stesso posto avevo fatto percorrere tanti di quei chilometri al mio arco, che nel mio disorienta- mento mi rimisi a percorrerne macchinalmente degli altri. Tutti coloro che si dedicano a quelle maledette quattro corde sanno come, finche1 si viva isolati, si creda che ogni piccolo sforzo apporti un corrispondente progresso. Se cosi2 non fosse, chi accetterebbe di sottoporsi a quei lavori forzati senza termine, come se si avesse avuta la disgrazia di am- mazzare qualcuno? Dopo un po' mi parve che la mia lotta con Guido non fosse definitivamente perduta. Chissa2 che forse non mi fosse concesso d'intervenire fra Guido e Ada con un violino vittorioso? 103 Non era presunzione questa, ma il mio solito ottimismo da cui mai seppi liberarmi. Ogni minaccia di sventura m'atterri- sce dapprima, ma subito dopo e2 dimenticata nella fiducia piu2 sicura di saper evitarla. Li2, poi, non occorreva che rendere piu2 benevolo il mio giudizio sulle mie capacita2 di violinista. Nelle arti in genere si sa che il giudizio sicuro risulta dal confronto, che qui mancava. Eppoi il proprio violino echeg- gia tanto vicino all'orecchio che ha breve la via al cuore. Quando, stanco, smisi di suonare, mi dissi: <> Senz'alcuna esitazione mi recai dai Malfenti. Avevo ac- cettato l'invito e oramai non potevo mancare. Mi parve un buon augurio che la cameriera m'accogliesse con un sorriso gentile e la domanda se fossi stato male per non esser venuto per tanto tempo. Le diedi una mancia. Per bocca sua tutta la famiglia di cui essa era la rappresentante, mi faceva quella domanda. Essa mi condusse al salotto ch'era immerso nell'oscurita2 piu2 profonda. Arrivatovi dalla piena luce dell'anticamera, per un momento non vidi nulla e non osai movermi. Poi scorsi varie figure disposte intorno ad un tavolino, in fondo al salotto, abbastanza lontano da me. Fui salutato dalla voce di Ada che nell'oscurita2 mi parve sensuale. Sorridente, una carezza: <> Se continuava cosi2 io non li avrei certamente turbati. Da un altro punto della periferia del tavolino echeggio2 un'altra voce, di Alberta o forse di Augusta: <> Io ero ben risoluto di non lasciarmi mettere in disparte e avanzai risoluto verso il punto donde m'era provenuto il saluto di Ada. Urtai col ginocchio contro lo spigolo di quel tavolino veneziano ch'era tutto spigoli. Ne ebbi un dolore intenso, ma non mi lasciai arrestare e andai a cadere su un sedile offertomi non sapevo da chi, fra due fanciulle di cui una, quella alla mia destra, pensai fosse Ada e l'altra Augu- sta. Subito, per evitare ogni contatto con questa, mi spinsi verso l'altra. Ebbi pero2 il dubbio che mi sbagliassi e alla vicina di destra domandai per sentirne la voce: <> 104 Guido, che mi parve sedesse a me di faccia, m'interruppe. Imperiosamente grido2: <> Poi, piu2 mitemente: <> Io non ho alcun'avversione per i tentativi di qualunque genere di spiare il mondo di la2. Ero anzi seccato di non aver introdotto io in casa di Giovanni quel tavolino, giacche1 vi otteneva tale successo. Ma non mi sentivo di obbedire agli ordini di Guido e percio2 non mi raccolsi affatto. Poi m'ero fatti tanti di quei rimproveri per aver permesso che le cose arrivassero a quel punto senz'aver detta una parola chiara ad Ada, che giacche1 avevo la fanciulla accanto, in quell'oscuri- ta2 tanto favorevole, avrei chiarito tutto. Fui trattenuto solo dalla dolcezza di averla tanto vicina a me dopo di aver temuto di averla perduta per sempre. Intuivo la dolcezza delle stoffe tiepide che sfioravano i miei vestiti e pensavo anche che cosi2 stretti l'uno all'altra, il mio toccasse il suo piedino che di sera sapevo vestito di uno stivaletto laccato. Era addirittura troppo dopo un martirio tanto lungo. Parlo2 di nuovo Guido: <> Mi piaceva ch'egli continuasse ad occuparsi del tavolino. Oramai era evidente che Ada si rassegnava di portare quasi tutto il mio peso! Se non m'avesse amato non m'avrebbe sopportato. Era venuta l'ora della chiarezza. Tolsi la mia destra dal tavolino e pian pianino le posi il braccio alla taglia: <> dissi a bassa voce e avvicinando la mia faccia alla sua per farmi sentire meglio. La fanciulla non rispose subito. Poi, con un soffio di voce, pero2 quella di Augusta, mi disse: <> La sorpresa e il dispiacere quasi mi facevano crollare dal mio sedile. Subito sentii che se io dovevo finalmente elimi- nare quella seccante fanciulla dal mio destino, pure dovevo usarle il riguardo che un buon cavaliere quale son io deve tributare alla donna che lo ama e sia dessa la piu2 brutta che mai sia stata creata. Come m'amava! Nel mio dolore sentii il suo amore. Non poteva essere altro che l'amore che le aveva 105 suggerito di non dirmi ch'essa non era Ada, ma di farmi la domanda che da Ada avevo atteso invano e che lei invece certo s'era preparata di farmi subito quando m'avesse rivisto. Seguii un mio istinto e non risposi alla sua domanda, ma, dopo una breve esitazione, le dissi: <> Mi rimisi subito in equilibrio sul mio treppiede. Non pote- vo avere la chiarezza con Ada, ma intanto l'avevo completa con Augusta. Qui non potevano esserci altri malintesi. Guido ammoni2 di nuovo: <> Egli non lo sapeva, ma io avevo tuttavia bisogno di un po' di oscurita2 che m'isolasse e mi pemmettesse di raccogliermi. Avevo scoperto il mio errore e il solo equilibrio che avessi riconquistato era quello sul mio sedile. Avrei parlato con Ada, ma alla chiara luce. Ebbi il sospet- to che alla mia sinistra non ci fosse lei, ma Alberta. Come accertarmene? Il dubbio mi fece quasi cadere a sinistra, e, per riconquistare l'equilibrio, mi poggiai sul tavolino. Tutti si misero a urlare: <>. Il mio atto invo- lontario avrebbe potuto condurmi alla chiarezza. Donde veniva la voce di Ada? Ma Guido coprendo con la sua la voce di tutti, impose il silenzio che io, tanto volentieri, avrei imposto a lui. Poi con voce mutata, supplice (imbecille!) parlo2 con lo spirito ch'egli credeva presente: <> Egli prevedeva tutto: aveva paura che lo spirito ricordasse I'alfabeto greco. Io continuai la commedia sempre spiando l'oscurita2 alla ricerca di Ada. Dopo una lieve esitazione feci alzare il tavolino per sette volte cosi2 che la lettera G era acquisita. L'idea mi parve buona e per quanto la U che seguiva costas- se innumerevoli movimenti, dettai netto netto il nome di Guido. Non dubito che dettando il suo nome, io non fossi diretto dal desiderio di relegarlo fra gli spiriti. Quando il nome di Guido fu perfetto, Ada finalmente parlo2: 106 <> suggeri2. Sedeva proprio ac- canto a lui. Avrei voluto muovere il tavolino in modo da cacciarlo fra loro due e dividerli. <> disse Guido. Egli credeva di avere degli antenati, ma non mi faceva paura. La sua voce era alterata da una reale emozione che mi diede la gioia che prova uno schermidore quando s'accorge che l'avversario e2 meno temi- bile di quanto egli credesse. Non era mica a sangue freddo che egli faceva quegli esperimenti. Era un vero imbecille! Tutte le debolezze trovavano facilmente il mio compatimen- to, ma non la sua. Poi egli si rivolse allo spirito: <> Giacche1 egli voleva avere degli antenati, lo compiacqui movendo il tavolino una sola volta. <> mormoro2 Guido. Poi la conversazione con lo spirito cammino2 piu2 rapida. Allo spirito fu domandato se volesse dare delle notizie. Rispose di si2. D'affari od altre? D'affari! Questa risposta fu preferita solo perche1 per darla bastava movere il tavolo per una volta sola. Guido domando2 poi se si trattava di buone o di cattive notizie. Le cattive dovevano essere designate con due movimenti ed io, -- questa volta senz'alcun'esitazione, -- volli movere il tavolo per due volte. Ma il secondo movimen- to mi fu contrastato e doveva esserci qualcuno nella compa- gnia che avrebbe desiderato che le nuove fossero buone. Ada, forse? Per produrre quel secondo movimento mi gettai addirittura sul tavolino e vinsi facilmente! Le notizie erano cattive ! Causa la lotta, il secondo movimento risulto2 eccessivo e sposto2 addirittura tutta la compagnia. <> mormoro2 Guido. Poi, deciso, urlo2: <> Fu un comando cui molti nello stesso tempo ubbidirono e il salotto fu subito inondato dalla luce accesa in piu2 punti. Guido mi parve pallido! Ada s'ingannava sul conto di quel- l'individuo ed io le avrei aperti gli occhi. Nel salotto, oltre alle tre fanciulle, v'erano la signora Malfenti ed un'altra signora la cui vista m'ispiro2 imbarazzo e malessere perche1 credetti fosse la zia Rosina. Per ragioni 107 differenti le due signore ebbero da me un saluto compassato. Il bello si e2 ch'ero rimasto al tavolino, solo accanto ad Augusta. Era una nuova compromissione, ma non sapevo rassegnarmi d'accompagnarmi a tutti gli altri che attorniava- no Guido, il quale con qualche veemenza spiegava come avesse capito che il tavolo veniva mosso non da uno spirito ma da un malizioso in carne ed ossa. Non Ada, lui stesso aveva tentato di frenare il tavolino fattosi troppo chiacchie- rino. Diceva: <> Bello quel suo spiritismo: uno sforzo potente non poteva provenire da uno spirito! Guardai la povera Augusta per vedere quale aspetto aves- se dopo di aver avuta la mia dichiarazione d'amore per sua sorella. Era molto rossa, ma mi guardava con un sorriso benevolo. Solo allora si decise di confermare d'aver sentita quella dichiarazione: <> mi disse a bassa voce. Cio2 mi piacque molto. <> mormorai stringendole la mano non piccola, ma modellata perfettamente. Io ero disposto di diventare un buon amico per Augusta mentre prima di allora cio2 non sarebbe stato possibile perche1 io non so essere l'amico delle persone brutte. Mi sentivo una certa simpatia per la sua taglia che avevo stretta e che avevo trovata piu2 sottile di quanto l'avessi creduta. Anche la sua faccia era discreta, e pareva deforme solo causa quell'occhio che batteva una strada non sua. Avevo certamente esagerata quella deformi- ta2 ritenendola estesa fino alla coscia. Avevano fatto portare della limonata per Guido. Mi avvi- cinai al gruppo che tuttora l'attorniava e m'imbattei nella signora Malfenti che se ne staccava. Ridendo di gusto le domandai: <> Ella ebbe un lieve movimen- to di disprezzo con le labbra: <> disse chiaramente. Io mi lusingai che la mia vittoria potesse avere un'impor- tanza decisiva. Ada non poteva pensare altrimenti della madre. La vittoria ebbe subito l'effetto che non poteva 108 mancare in un uomo come son io. Mi spari2 ogni rancore e non volli che Guido soffrisse ulteriormente. Certo il mondo sarebbe meno aspro se molti mi somigliassero. Sedetti a lui da canto e, senza guardare gli altri, gli dissi: <> Guido tradi2 nella sua cera, che si schiari2, come la mia comunicazione fosse importante per lui. Non volle pero2 ammetterlo e mi disse: <> Rise soddisfatto, dicendomi: <> M'ero dimostrato piu2 forte di lui, infatti, ma presto dovet- ti sentirmi di lui piu2 debole. Ada mi guardava con occhio poco amico e m'aggredi2, le belle guancie infiammate: <> Mi manco2 il fiato e, balbettando, dissi: <> Era un po' tardi per attaccare Guido ed anzi, se avessi avuto un orecchio sensibile, avrei sentito che, mai piu2, in una lotta con lui, la vittoria avrebbe potuto essere mia. L'ira che Ada mi dimostrava era ben significativa. Come non intesi ch'essa era gia2 tutta sua? Ma io m'ostinavo nel pensie- ro ch'egli non la meritava perche1 non era l'uomo ch'essa cercava col suo occhio serio. Non l'aveva sentito persino la signora Malfenti? Tutti mi protessero e aggravarono la mia situazione. La zia Rosina aveva tuttavia il grosso corpo vibrante dal ridere e diceva ammirando: <> Mi spiacque che Guido fosse tanto amichevole. Gia2, a lui 109 non importava altro che di essere sicuro che le cattive notizie che il tavolino gli aveva date, non fossero state portate da uno spirito. Mi disse: <> Ada si volse e mi guardo2 con curiosita2. Essa stava per manifestare a Guido una devozione eccessiva perdonando- mi perche1 Guido m'aveva concesso il suo perdono. Glielo impedii: <> dissi deciso. <> Ada mi volse le spalle arcuandole in modo ch'ebbi tutto il sentimento d'essere stato schiaffeggiato. Persino i riccioli alla sua nuca mi parve significassero disdegno. Come sempre, invece che guardare e ascoltare, ero tut- t'occupato dal mio proprio pensiero. M'opprimeva il fatto che Ada si comprometteva orribilmente. Ne provavo un forte dolore come dinanzi alla rivelazione che la donna mia mi tradisse. Ad onta di quelle sue manifestazioni d'affetto per Guido, essa tuttavia poteva ancora essere mia, ma senti- vo che non le avrei mai perdonato il suo contegno. E il mio pensiero troppo lento per saper seguire gli avvenimenti che si svolgono senz'attendere che nel mio cervello si sieno cancellate le impressioni lasciatevi dagli avvenimenti prece- denti? Io dovevo tuttavia movermi sulla via segnatami dal mio proposito. Una vera, una cieca ostinazione. Volli anzi rendere il mio proposito piu2 forte registrandolo un'altra volta. Andai ad Augusta che mi guardava ansiosamente con un sincero sorriso incoraggiante sulla faccia e le dissi serio e accorato: <> <> mi disse supplice. <> Essa continuava a frapporsi fra me e Ada. Le dissi proprio per farle dispetto: 110 <> Zoppicai di nuovo verso Guido. Giunto accanto a lui, guardandomi in uno specchio, accesi una sigaretta. Nello specchio mi vidi molto pallido cio2 che per me e2 una ragione per impallidire di piu2. Lottai per sentirmi meglio ed apparire disinvolto. Nel duplice sforzo la mia mano distratta afferro2 il bicchiere di Guido. Una volta afferratolo non seppi far di meglio che vuotarlo. Guido si mise a ridere: <> Il sapore del limone m'e2 sempre sgradito. Quello dovette apparirmi velenoso addirittura perche1, prima di tutto, per aver bevuto dal suo bicchiere a me parve d'aver subito un contatto odioso con Guido eppoi perche1 fui colpito nello stesso tempo dall'espressione d'impazienza iraconda che si stampo2 sulla faccia di Ada. Chiamo2 subito la cameriera per ordinarle un altro bicchiere di limonata e insistette nel suo ordine ad onta che Guido dichiarasse di non aver piu2 sete. Allora fui veramente compassionevole. Essa si compro- metteva sempre piu2. <> le dissi sommessamente e guardandola come se mi fossi aspettata qualche spiegazione. <> Poi fui invaso dal timore che i miei occhi si bagnassero di lagrime. Volli salvarmi dal ridicolo. Gridai: <> Mi coprii gli occhi col fazzoletto e percio2 non ebbi piu2 bisogno di sorvegliare le mie lagrime e basto2 che badassi a non singhiozzare. Non dimentichero2 mai quell'oscurita2 dietro di quel fazzo- letto. Vi celavo le mie lagrime, ma anche un momento di pazzia. Pensavo ch'io le avrei detto tutto, ch'essa m'avrebbe inteso e amato e ch'io non le avrei perdonato mai piu2. Allontanai dalla mia faccia il fazzoletto, lasciai che tutti vedessero i miei occhi lagrimosi e feci uno sforzo per ridere e far ridere: <> In quel momento giunse Giovanni che mi saluto2 con la sua 111 solita grande cordialita2. Ne ebbi un piccolo conforto, che non duro2 a lungo, perche1 egli dichiaro2 ch'era venuto prima del solito per il desiderio di sentir suonare Guido. S'inter- ruppe per domandare ragione delle lagrime che mi bagnava- no gli occhi. Gli raccontarono dei miei sospetti sulla qualita2 delle sue spremute, ed egli ne rise. Io fui tanto vile d'associarmi con calore alle preghiere che Giovanni ri2volgeva a Guido perche1 suonasse. Ricordavo: non ero venuto quella sera per sentire il violino di Guido? Ed il curioso e2 che so d'aver sperato di rabbonire Ada con le mie sollecitazioni a Guido. La guardai sperando d'essere finalmente associato a lei per Ia prima volta in quella sera. Quale stranezza! Non avevo da parlarle e da non perdonar- le? Invece non vidi che le sue spalle e i riccioli sdegnosi alla sua nuca. Era corsa a trarre il violino dalla busta. Guido domando2 di essere lasciato in pace ancora per un quarto d'ora. Pareva esitante. Poi nei lunghi anni in cui lo conobbi feci l'esperienza ch'egli sempre esitava prima di fare le cose anche piu2 semplici di cui veniva pregato. Egli non faceva che cio2 che gli piaceva e, prima di consentire ad una preghiera, procedeva ad un'indagine nelle proprie cavita2 per vedere quello che laggiu2 si desiderava. Poi in quella memoranda serata ci fu per me il quarto d'ora piu2 felice. La mia chiacchiera capricciosa fece divertire tutti, Ada compresa. Era certamente dovuta alla mia eccita- zione, ma anche al mio sforzo supremo di vincere quel violino minaccioso che s'avvicinava, s'avvicinava... E quel piccolo tratto di tempo che gli altri per opera mia sentirono come tanto divertente, io lo ricordo dedicato ad una lotta affannosa. Giovanni aveva raccontato che nel tram, sul quale era rincasato, aveva assistito ad una scena penosa. Una donna ne era scesa quando il veicolo era ancora in movimento e tanto malamente da cadere e ferirsi. Giovanni descriveva con un poco di esagerazione la sua ansia all'accorgersi che quella donna s'apprestava a fare quel salto e in modo tale che era evidente sarebbe stata atterrata e forse travolta. Era ben doloroso di prevedere e di non essere piu2 in tempo di salvare. Io ebbi una trovata. Raccontai che per quelle vertigini che in passato m'avevano fatto soffrire, avevo scoperto un rime- 112 dio. Quando vedevo un ginnasta fare i suoi esercizi troppo in alto, o quando assistevo alla discesa da un tram in corsa di persona troppo vecchia o poco abile, mi liberavo da ogni ansia augurando loro dei malanni. Arrivavo persino a modu- lare le parole con cui auguravo loro di precipitare e sfracel- larsi. Cio2 mi tranquillava enormemente per cui potevo assi- stere del tutto inerte alla minaccia della disgrazia. Se i miei augurii poi non si compivano, potevo dirmi ancora piu\ con- tento. Guido fu incantato dalla mia idea che gli pareva una scoperta psicologica. L'analizzava come faceva di tutte le inezie, non vedeva l'ora di poter provare il rimedio. Ma faceva una riserva: che i malaugurii non facessero aumenta- re le disgrazie. Ada s'associo2 al suo riso ed ebbe per me persino un'occhiata d'ammirazione. Io, baggeo, ne ebbi una grande soddisfazione. Ma scoprii che non era vero ch'io non avrei piu2 saputo perdonarle: anche questo era un grande vantaggio. Si rise insieme moltissimo, da buoni ragazzi che si voglio- no bene. Ad un certo momento ero rimasto da una parte del salotto, solo con zia Rosina. Essa parlava ancora del tavoli- no. Abbastanza grassa, stava immobile sulla sua sedia senza guardarmi. Io trovai il modo di far capire agli altri che mi seccavo e tutti mi guardavano, senza farsi vedere dalla zia, ridendo discretamente. Per aumentare l'ilarita2 mi pensai di dirle senz'alcuna pre- parazione: <> Ci sarebbe stato da ridere se essa si fosse arrabbiata. Ma la signora invece di arrabbiarsi mi si dimostro2 gratissima e mi racconto2 che infatti s'era molto rimessa dopo di una recente malattia. Fui tanto stupito da quella risposta che la mia faccia dovette assumere un aspetto molto comico cosi2 che l'ilarita2 che avevo sperata non manco2. Poco dopo l'enigma mi fu spiegato. Seppi, cioe2, che non era zia Rosina, ma zia Maria, una sorella della signora Malfenti. Avevo cosi2 elimi- nato da quel salotto una fonte di malessere per me, ma non la maggiore. A un dato momento Guido domando2 il violino. Faceva a meno per quella sera dell'accompagnamento del piano, ese- guendo la <1Chaconne.>1 Ada gli porse il violino con un sorriso 113 di ringraziamento. Egli non la guardo2, ma guardo2 il violino come se avesse voluto segregarsi seco e con l'ispirazione. Poi si mise in mezzo al salotto volgendo la schiena a una buona parte della piccola societa2, tocco2 lievemente le corde con l'arco per accordarle e fece anche qualche arpeggio. S'inter- ruppe per dire con un sorriso: <> Ciarlatano! Egli volgeva le spalle anche ad Ada. Io la guardai ansiosamente per vedere se essa ne soffrisse. Non pareva! Aveva appoggiato il gomito su un tavolino e il mento sulla mano raccogliendosi per ascoltare. Poi, contro di me, si mise il grande Bach in persona. Giammai, ne1 prima ne1 poi, arrivai a sentire a quel modo la bellezza di quella musica nata su quelle quattro corde corne un angelo di Michelangelo in un blocco di marmo. Solo il mio stato d'animo era nuovo per me e fu desso che m'indusse a guardare estatico in su, come a cosa novissima. Eppure io lottavo per tenere quella musica lontana da me. Mai cessai di pensare: "Bada! Il violino e2 una sirena e si puo2 far piangere con esso senz'avere il cuore di un eroe!". Fui assaltato da quella musica che mi prese. Mi parve dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza e mitigandoli con sorrisi e carezze. Ma era Guido che parlava! Ed io cercavo di sottrar- mi alla musica dicendomi: "Per saper fare cio2, basta disporre di un organismo ritmico, una mano sicura e una capacita2 d'imitazione; tutte cose che io non ho, cio2 che non e2 un'infe- riorita2, ma una sventura". Io protestavo, ma Bach procedeva sicuro come il destino. Cantava in alto con passione e scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendeva per quanto l'orecchio e il cuore l'avessero anticipato: proprio al suo posto! Un attimo piu2 tardi e il canto sarebbe dileguato e non avrebbe potuto essere raggiunto dalla risonanza; un attimo prima e si sareb- be sovrapposto al canto, strozzandolo. Per Guido cio2 non avveniva: non gli tremava il braccio neppure affrontando Bach e cio2 era una vera inferiorita2. Oggi che scrivo ho tutte le prove di cio2. Non gioisco per aver visto allora tanto esattarnente. Allora ero pieno di odio e quella musica, ch'io accettavo come la mia anima stessa, non seppe addolcirlo. Poi venne la vita volgare di ogni 114 giorno e l'annullo2 senza che da parte mia vi fosse alcuna resistenza. Si capisce! La vita volgare sa fare tante di quelle cose. Guai se i geni se ne accorgessero! Guido cesso2 di suonare sapientemente. Nessuno plaudi2 fuori di Giovanni, e per qualche istante nessuno parlo2. Poi, purtroppo, sentii io il bisogno di parlare. Come osai farlo davanti a gente che il mio violino conosceva? Pareva parlas- se il mio violino che invano anelava alla musica e biasimasse l'altro sul quale -- non si poteva negarlo -- la musica era divenuta vita, luce ed aria. <> dissi e aveva tutto il suono di una concessio- ne piu2 che di un applauso. <> Io conoscevo la <1Chaconne>1 nota per nota. C'era stata una epoca in cui avevo creduto che, per progredire, avrei dovuto affrontare di simili imprese e per lunghi mesi passai il tempo a compitare battuta per battuta alcune composizioni del Bach. Sentii che in tutto il salotto non v'era per me che biasimo e derisione. Eppure parlai ancora lottando contro quell'osti- lita2. <> aggiunsi <> Io avevo probabilmente ragione, ma era anche certo ch'io non avrei neppur saputo fatturare l'arco a quel modo. Guido fu subito altrettanto spropositato quanto lo ero stato io. Dichiaro2: <> Egli montava sulle spalle di Bach, ma in quell'ambiente nessuno protesto2 mentre mi si aveva deriso perche1 io avevo tentato di montare soltanto sulle sue. Allora avvenne una cosa di minima importanza, ma che fu per me decisiva. Da una stanza abbastanza lontana da noi echeggiarono le urla della piccola Anna. Come si seppe poi, era caduta insanguinandosi le labbra. Fu cosi2 ch'io per qual- che minuto mi trovai solo con Ada perche1 tutti uscirono di corsa dal salotto. Guido, prima di seguire gli altri, aveva posto il suo prezioso violino nelle mani di Ada. <> domandai io ad Ada 115 vedendola esitante se seguire gli altri. Davvero che non m'ero ancora accorto, che l'occasione tanto sospirata s'era finalmente presentata. Ella esito2, ma poi una sua strana diffidenza ebbe il soprav- vento. Trasse il violino ancora meglio a se1: <> rispose <> Sedette col suo violino e a me parve che con quest'atto essa m'avesse invitato di parlare. Del resto, come avrei potuto io andar a casa senz'aver parlato? Che cosa avrei poi fatto in quella lunga notte? Mi vedevo ribaltarmi da destra a sinistra nel mio letto o correre per le vie o le bische in cerca di svago. No! Non dovevo abbandonare quella casa senz'esser- mi procurata la chiarezza e la calma. Cercai di essere semplice e breve. Vi ero anche costretto perche1 mi mancava il fiato. Le dissi: <> Ella mi guardo2 stupita e spaventata. Temetti che si met- tesse a strillare come la piccina, 1a2 fuori. Io sapevo che il suo occhio sereno e la sua faccia dalle linee tanto precise non sapevano l'amore, ma tanto lontana dall'amore come ora, non l'avevo mai vista. Incomincio2 a parlare e disse qualche cosa che doveva essere come un esordio. Ma io volevo la chiarezza: un si2 o un no! Forse m'offendeva gia2 quanto mi pareva un'esitazione. Per fare presto e indurla a decidersi, discussi il suo diritto di prendersi tempo: <> Volli mettere dell'enfasi nelle mie parole, ma, nella fretta, la misi fuori di posto e fini2 che quel povero nome di Augusta fu accompagnato da un accento e da un gesto di disprezzo. Fu cosi2 che levai Ada dall'imbarazzo. Essa non rilevo2 altro che l'offesa fatta ad Augusta: <> Poi appena ricordo2 che mi doveva una risposta: <> La frase acre doveva vendicare l'Augusta. Nella mia gran- 116 de confusione pensai che anche il senso della parola non avesse avuto altro scopo; se mi avesse schiaffeggiato credo che sarei stato esitante a studiarne la ragione. Percio2 ancora insistetti: <> Anche Ada fu piu2 dolce, ma parlo2 di nuovo di Augusta. <> Era una grande dolcezza di sentirmi invocare da Ada per la prima volta col mio prenome. Non era questo un invito a parlare ancora piu2 chiaro? Forse era perduta per me, o almeno non avrebbe accettato subito di sposarmi, ma intan- to bisognava evitare che si compromettesse di piu2 con Guido sul conto del quale dovevo aprirle gli occhi. Fui accorto, e prima di tutto le dissi che stimavo e rispettavo Augusta, ma che assolutamente non volevo sposarla. Lo dissi due volte per farmi intendere chiaramente: <>. Cosi2 potevo sperare di aver rabbonita Ada che prima aveva creduto io volessi offendere Augusta. <> Poi appena precipitai le cose, perche1 c'era del rumore sul corridoio e mi poteva essere tagliata la parola da un momen- to all'altro. <> Essa, dopo d'esser stata ad ascoltarmi con l'aspetto di chi non sa risolversi ad ammettere nel loro senso le parole che gli sono dirette, m'interruppe. Balzo\ in piedi sempre col violino e l'arco in mano, e mi soffio2 addosso delle parole offensive. Io feci del mio meglio per dimenticarle e vi riuscii. Ricordo solo che comincio2 col domandamni ad alta voce come avevo potuto parlare cosi2 di lui e di lei! Io feci gli occhi grandi dalla sorpresa perche1 mi pareva di non aver parlato che di lui solo. Dimenticai le tante parole sdegnose ch'essa 117 Mi diresse, ma non la sua bella, nobile e sana faccia arrossata dallo sdegno e dalle linee rese piu2 precise, quasi marmoree, dall'indignazione. Quella non dimenticai piu2 e quando pen- so al mio amore e alla mia giovinezza, rivedo la faccia bella e nobile e sana di Ada nel momento in cui essa m'elimino2 definitivamente dal suo destino. Ritornarono tutti in gruppo intorno alla signora Malfenti che teneva in braccio Anna ancora piangente. Nessuno si occupo di me o di Ada, ed io, senza salutare nessuno, uscii dal salotto; nel corridoio presi il mio cappello. Curioso! Nessuno veniva a trattenermi. Allora mi trattenni da solo, ricordando ch'io non dovevo mancare alle regole della buo- na educazione e che percio2 prima di andarmene dovevo salutare compitamente tutti. Vero e2 che non dubito io non sia stato impedito di abbandonare quella casa dalla convin- zione che troppo presto sarebbe cominciata per me la notte ancora peggiore delle cinque notti che l'avevano preceduta. Io che finalmente avevo la chiarezza, sentivo ora un altro bisogno: quello della pace, la pace con tutti. Se avessi saputo eliminare ogni asprezza dai miei rapporti con Ada e con gli altri, mi sarebbe stato piu2 facile di dormire. Perche1 aveva da sussistere tale asprezza? Se non potevo prendermela neppu- re con Guido il quale se anche non ne aveva alcun merito, certamente non aveva nessuna colpa di essere stato preferito da Ada! Essa era la sola che si fosse accorta della mia passeggiata sul corridoio e, quando mi vide ritornare, mi guardo2 ansiosa. Temeva di una scena? Subito volli rassicurarla. Le passai accanto e mormorai: <> Essa prese la mia mano e, rasserenata, la strinse. Fu un grande conforto. Io chiusi per un istante gli occhi per isolar- mi con la mia anima e vedere quanta pace gliene fosse derivata. Il mio destino volle che mentre tutti ancora si occupavano della bimba, io mi trovassi seduto accanto ad Alberta. Non l'avevo vista e di lei non m'accorsi che quando essa mi parlo2 dicendomi: <> Io cessai dall'analizzarmi perche1 mi vidi intero! Per avere 118 la pace io avrei dovuto fare in modo che quel salotto non mi fosse2 mai piu2 interdetto. Guardai Alberta! Somigliava ad Ada! Era un po' di lei piu2 piccola e portava sul suo organi- smo evidenti dei segni non ancora cancellati dell'infanzia. Facilmente alzava la voce, e il suo riso spesso eccessivo le contraeva la faccina e gliel'arrossava. Curioso! In quel mo- mento ricordai una raccomandazione di mio padre: "Scegli una donna giovine e ti sara2 piu2 facile di educarla a modo tuo". Il ricordo fu decisivo. Guardai ancora Alberta. Nel mio pensiero m'industriavo di spogliarla e mi piaceva cosi2 dolce e tenerella come supposi fosse. Le dissi: <> <> disse essa sorridendo e guar- dandomi mitemente, senz'imbarazzo o rossore. <> <> Mi venne un'idea che mi parve spiritosa e la dissi subito: <> Essa rise di cuore, ma io m'accorsi che perdevo il mio tempo, perche1 non era con tali scipitezze che si poteva conquistare una moglie e la pace. Bisognava essere serii. Qui poi era facile perche1 venivo accolto tutt'altrimenti che da Ada. Fui veramente serio. La mia futura moglie doveva intanto sapere tutto. Con voce commossa le dissi: <> Queste parole accompagnate da un atteggiamento di tri-- stezza non erano altro che la mia ultima dichiarazione d'a- more per Ada. Divenivo troppo serio e, sorridendo, ag- giunsi: <> Essa si fece molto seria per dirmi: <> <> la interruppi io con stizza. Mi sentivo di nuovo sotto la minaccia di essere espulso da quel salotto e corsi al riparo. C'era poi un solo modo per attenuare in Alberta l'orgoglio di aver potuto respingermi e io l'adottai non appena lo scopersi. Le dissi: <> Ridevo di un buon umore eccessivo che m'aveva colto in seguito alla stranezza del mio procedere. Non era nella parola che mettevo lo spirito di cui ero tanto orgoglioso, ma nelle azioni. Mi guardai d'intorno per trovare Augusta. Era uscita sul corridoio con un vassoio sul quale non v'era che un bicchiere semivuoto contenente un calmante per Anna. La seguii di corsa chiamandola per norne ed essa s'addosso2 alla parete per aspettarmi. Mi misi a lei di faccia e subito le dissi: <> La proposta era veramente rude. Io dovevo sposare lei e lei me, ed io non domandavo quello ch'essa pensasse ne1 pensavo potrebbe toccarmi di essere io costretto di dare delle spiegazioni. Se non facevo altro che quello che tutti volevano! Essa alzo2 gli occhi dilatati dalla sorpresa. Cosi2 quello sbilenco era anche piu2 differente del solito dall'altro. La sua faccia vellutata e bianca, dapprima impallidi2 di piu2, eppoi subito si congestiono2. Afferro2 con la destra il bicchiere che ballava sul vassoio. Con un filo di voce mi disse: <> Temetti si mettesse a piangere ed ebbi la curiosa idea di consolarla dicendole della mia tristezza. <> dissi serio e triste. <> Dinanzi al mio dolore essa si ricompose e si mise a guar- 120 damni commossa, riflettendo intensamente. Il suo sguardo somigliava ad una carezza che non mi faceva piacere. <> domando2. Che cosa significava questa frase sibillina? Preludiava ad un consenso? Voleva ricordare! Ricordare per tutta la vita da trascorrersi con me? Ebbi il sentimento di chi per ammazzarsi si sia messo in una posizione pericolosa ed ora sia costretto a faticare per salvarsi. Non sarebbe stato meglio che anche Au- gusta m'avesse rifiutato e che mi fosse stato concesso di ritorna- re sano e salvo nel mio studiolo nel quale neppure quel giorno stesso m'ero sentito troppo male? Le dissi: <> Stavo per dirle che non potevo rassegnarmi di divenire un estraneo per Ada e che percio2 mi contentavo di divenirle cognato. Sarebbe stato un eccesso, ed Augusta avrebbe di nuovo potuto credere che volessi dileggiarla. Percio2 dissi soltanto: <> Essa rimaneva tuttavia poggiata alla parete del cui soste- gno forse sentiva il bisogno; pero2 pareva piu2 calma ed il vassoio era ora tenuto da una sola mano. Ero salvo e cioe2 dovevo abbandonare quel salotto, o potevo restarci e dove- vo sposarmi? Dissi delle altre parole, solo perche1 impaziente di aspettare le sue che non volevano venire: <> Questa era una frase che nei lunghi giorni precedenti avevo preparata per Ada per indurla a dirmi di si2 anche senza sentire per me un grande amore. Augusta ansava leggermente e taceva ancora. Quel silen- zio poteva anche significare un rifiuto, il piu2 delicato rifiuto che si potesse immaginare: io quasi sarei scappato in cerca del mio cappello, in tempo per porlo su una testa salva. Invece Augusta, decisa, con un movimento dignitoso e che mai dimenticai, si rizzo2 e abbandono2 il sostegno della parete. Nel corridoio non largo essa si avvicino2 ancora di piu2 a me che le stavo di faccia. Mi disse: <> Mi porse la mano paffutella ch'io quasi istintivamente 121 baciai. Evidentemente non c'era piu2 la possibilita2 di fare altrimenti. Devo poi confessare che in quel momento fui pervaso da una soddisfazione che m'allargo2 il petto. Non avevo piu2 da risolvere niente, perche1 tutto era stato risolto. Questa era la vera chiarezza. Fu cosi2 che mi fidanzai. Fummo subito festeggiatissimi. Il mio somigliava un poco al grande successo del violino di Guido, tanti furono gli applausi di tutti. Giovanni mi bacio2 e mi diede subito del tu. Con eccessiva espressione di affetto mi disse: <> La mia futura suocera mi porse anch'essa la guancia che sfiorai. A quel bacio non sarei sfuggito neppure se avessi sposato Ada. <> mi disse con una disinvoltura incredibile e che non fu punita perche1 io non seppi ne1 volli protestare. Essa poi abbraccio2 Augusta e la grandezza del suo affetto si rivelo2 in un singhiozzo che le sfuggi2 interrompendo le sue manifestazioni di gioia. Io non potevo soffrire la signora Malfenti, ma devo dire che quel singhiozzo colori2, almeno per tutta quella sera, di una luce simpatica e importante il mio fidanzamento. Alberta, raggiante, mi strinse la mano: <> E Ada: <> Poi, a bassa voce: <>. Guido mi diede una grande sorpresa: <> Non dovevano dunque essere molti intimi se Ada non gli aveva parlato della mia corte! Che avessi davvero agito precipitosamente? Poco dopo pero2, Ada mi disse ancora: <> Era del resto bello di aver provocata tanta gioia in una famiglia. Non potevo goderne molto, solo perche1 ero molto 122 stanco. Ero anche assonnato. Cio2 provava che avevo agito con grande accortezza. La mia notte sarebbe stata buona. A cena Augusta ed io assistemmo muti ai festeggiamenti che ci venivano fatti. Essa senti2 il bisogno di scusarsi della sua incapacita2 di prender parte alla conversazione generale: <> Essa diceva sempre l'esatta verita2. Si trovava fra il riso e il pianto e mi guardo2. Volli accarezzarla anch'io con l'occhio e non so se vi riuscii. Quella stessa sera a quel tavolo subii un'altra lesione. Fui ferito proprio da Guido. Pare che poco prima ch'io fossi giunto per prendere parte alla seduta spiritistica, Guido avesse raccontato che nella mattina io avevo dichiarato di non essere una persona distrat- ta. Gli diedero subito tante di quelle prove ch'io avevo menti- to che, per vendicarsi, (o forse per far vedere ch'egli sapeva disegnare) fece due mie caricature. Nella prima ero rappre- sentato come, col naso in aria, mi poggiavo su un ombrello puntato a terra. Nella seconda l'ombrello s'era spezzato e il manico m'era penetrato nella schiena. Le due caricature raggiungevano lo scopo e facevano ridere col mezzuccio sem- plice che l'individuo che doveva rappresentarmi -- invero affatto somigliante, ma caratterizzato da una grande calvizie -- era identico nel primo e nel secondo schizzo e si poteva percio2 figurarselo tanto distratto da non aver cambiato di aspetto per il fatto che un ombrello lo aveva trafitto. Tutti risero molto e anzi troppo. Mi dolse intensamente il tentativo tanto ben riuscito di gettare su me del ridicolo. E fu allora che per la prima volta fui colto dal mio dolore lanci- nante. Quella sera mi dolsero l'avambraccio destro e l'anca. Un intenso bruciore, un formicolio nei nervi come se avesse- ro minacciato di rattrappirsi. Stupito portai la mano destra all'anca e con la mano sinistra afferrai l'avambraccio colpito. Augusta mi domando2: <> Risposi che sentivo un dolore al posto contuso da quella caduta al caffe2 della quale s'era parlato anche quella sera stessa. Feci subito un energico tentativo per liberami da quel dolore. Mi parve che ne sarei guarito se avessi saputo vendi- 123 carmi dell'ingiuria che m'era stata fatta. Domandai un pezzo di carta ed una matita e tentai di disegnare un individuo che veniva oppresso da un tavolino ribaltatoglisi addosso. Misi poi accanto a lui un bastone sfuggitogli di mano in seguito alla catastrofe. Nessuno riconobbe il bastone e percio2 l'offe- sa non riusci2 quale io l'avrei voluta. Perche1 poi si riconosces- se chi fosse quell'individuo e come fosse capitato in quella posizione, scrissi di sotto: <>. Del resto di quel disgraziato sotto al tavolino non si vedevano che le gambe, che avrebbero potuto somigliare a quelle di Guido se non le avessi storpiate ad arte, e lo spirito di vendetta non fosse intervenuto a peggiorare il mio dise- gno gia2 tanto infantile. Il dolore assillante mi fece lavorare in grande fretta. Certo giammai il mio povero organismo fu talmente pervaso dal desiderio di ferire e se avessi avuta in mano la sciabola invece di quella matita che non sapevo muovere, forse la cura sarebbe riuscita. Guido rise sinceramente del rnio disegno, ma poi osservo2 mitemente: <> Non gli aveva infatti nociuto ed era questa l'ingiustizia di cui mi dolevo. Ada prese i due disegni di Guido e disse di voler conser- varli. Io la guardai per esprimerle il mio rimprovero ed essa dovette stornare il suo sguardo dal mio. Avevo il diritto di rimproverarla perche1 faceva aumentare il mio dolore. Trovai una difesa in Augusta. Essa volle che sul mio disegno mettessi la data del nostro fidanzamento perche1 voleva conservare anche lei quello sgorbio. Un'onda calda di sangue inondo2 le mie vene a tale segno d'affetto che per la prima volta riconobbi tanto importante per me. Il dolore pero2 non cesso2 e dovetti pensare che se quell'atto d'affetto mi fosse venuto da Ada, esso avrebbe provocata nelle mie vene una tale ondata di sangue che tutti i detriti accumulatisi nei miei nervi ne sarebbero stati spazzati via. Quel dolore non m'abbandono2 piu2. Adesso, nella vec- chiaia, ne soffro meno perche1, quando mi coglie, lo soppor- to con indulgenza: "Ah! Sei qui, prova evidente che sono stato giovine?". Ma in gioventu2 fu altra cosa. Io non dico che il dolore sia stato grande, per quanto talvolta m'abbia impe- 124 dito il libero movimento o mi abbia tenuto desto per notti intere. Ma esso occupo2 buona parte della mia vita. Volevo guarirne! Perche1 avrei dovuto portare per tutta la vita sul mio corpo stesso lo stigma del vinto? Divenire addirittura il monumento ambulante della vittoria di Guido? Bisognava cancellare dal mio corpo quel dolore. Cosi2 cominciarono le cure. Ma, subito dopo, l'origine rabbiosa della malattia fu dimenticata e mi fu ora persino difficile di ritrovarla. Non poteva essere altrimenti: io avevo una grande fiducia nei medici che mi curarono e credetti loro sinceramente quando attribuirono quel dolore ora al ricam- bio ed ora alla circolazione difettosa, poi alla tubercolosi o a varie infezioni di cui qualcuna vergognosa. Devo poi confes- sare che tutte le cure m'arrecarono qualche sollievo tempo- raneo per cui ogni volta l'eventuale nuova diagnosi sembra- va confermata. Prima o poi risultava meno esatta, ma non del tutto erronea, perche1 da me nessuna funzione e2 ideal- mente perfetta. Una volta sola ci fu un vero errore: una specie di veterina- rio, nelle cui mani m'ero posto, s'ostino2 per lungo tempo ad attaccare il mio nervo sciatico coi suoi vescicanti e fini2 col- l'essere beffato dal mio dolore che improvvisamente, duran- te una seduta, salto2 dall'anca alla coppa, lungi percio2 da ogni connessione col nervo sciatico. Il cerusico s'arrabbio2 e mi mise alla porta ed io me ne andai-- me lo ricordo benissimo-- niente affatto offeso, ammirato invece che il dolore al nuovo posto non avesse cambiato per nulla. Rimaneva rabbioso e irraggiungibile come quando rn'aveva torturata l'anca. E strano come ogni parte del nostro corpo sappia dolere allo stesso modo. Tutte le altre diagnosi vivono esattissime nel mio corpo e si battono fra di loro per il primato. Vi sono delle giornate in cui vivo per la diatesi urica ed altre in cui la diatesi e2 uccisa, cioe2 guarita, da un'infiammazione delle vene. Io ho dei cassetti interi di medicinali e sono i soli cassetti miei che tengo io stesso in ordine. Io amo le mie medicine e so che quando ne abbandono una, prima o poi vi ritornero2. Del resto non credo di aver perduto il mio tempo. Chissa2 da quanto tempo e di quale malattia io sarei gia2 morto se il mio dolore in tempo non le avesse simulate tutte per indurmi a curarle prima ch'esse m'afferrassero. 125 Ma pur senza saper spiegarne l'intima natura, io so quan- do il mio dolore per la prima volta si formo2. Proprio per quel disegno tanto migliore del mio. Una goccia che fece traboc- care il vaso! Io sono sicuro di non aver mai prima sentito quel dolore. Ad un medico volli spiegarne l'origine, ma non m'intese. Chissa2? Forse la psico-analisi portera2 alla luce tutto il rivolgimento che il mio organismo subi2 in quei giorni e specialmente nelle poche ore che seguirono al mio fidanza- mento. Non furono neppure poche, quelle ore! Quando, tardi, la compagnia si sciolse, Augusta lietamen- te mi disse: <> L'invito mi piacque perche1 provava che avevo raggiunto il mio scopo e che niente era finito e tutto avrebbe continuato il giorno appresso. Essa mi guardo2 negli occhi e trovo2 i miei vivamente annuenti cosi2 da confortarla. Scesi quegli scalini, che non contai piu2, domandandomi: <> E un dubbio che m'accompagno2 per tutta la vita e oggidi2 posso pensare che l'amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore. Ma neppure dopo abbandonata quella casa, mi fu conces- so di andare a coricarmi e raccogliere il frutto della mia attivita2 di quella serata in un sonno lungo e ristoratore. Faceva caldo. Guido senti2 il bisogno di un gelato e m'invito2 ad accompagnarlo ad un caffe2. S'aggrappo2 amichevolmente al mio braccio ed io, altrettanto amichevolmente, sostenni il suo. Egli era una persona molto importante per me e non avrei saputo rifiutargli niente. La grande stanchezza che avrebbe dovuto cacciarmi a letto, mi rendeva piu2 arrendevo- le del solito. Entrammo proprio nella bottega ove il povero Tullio m'a- veva infettato con la sua malattia, e ci mettemmo a sedere ad un tavolo appartato. Sulla via il mio dolore che io ancora non sapevo quale compagno fedele mi sarebbe stato, m'aveva fatto soffrire molto e, per qualche istante, mi parve si atte- nuasse allorche1 mi fu concesso di sedere. La compagnia di Guido fu addirittura terribile. S'informa- va con grande curiosita2 della storia dei miei amori con Augu- sta. Sospettava ch'io lo ingannassi? Gli dissi sfacciatamente 126 che io di Augusta m'ero innamorato subito alla mia prima visita in casa Malfenti. Il mio dolore mi rendeva ciarliero, quasi avessi voluto gridare piu2 di esso. Ma parlai troppo e se Guido fosse stato piu2 attento si sarebbe accorto che io non ero tanto innamorato di Augusta. Parlai della cosa piu2 inte- ressante nel corpo di Augusta, cioe2 quell'occhio sbilenco che a torto faceva credere che anche il resto non fosse al suo vero posto. Poi volli spiegare perche1 non mi fossi fatto avanti prima. Forse Guido era meravigliato di avermi visto capitare in quella casa all'ultimo momento per fidanzarmi. Urlai: <> Mi dispiacque di aver cosi2 parlato anche di Ada, ma non v'era piu2 rimedio; era tanto difficile di isolare Augusta da Ada! Continuai abbassando la voce per sorvegliarmi meglio: <> Dissi poi che, per fare quei calcoli, avevo avuto bisogno di molto tempo e che percio2 m'ero astenuto da far visita ai Malfenti per cinque giorni. Finalmente la lingua abbandona- ta a se stessa era arrivata ad un po' di sincerita2. Ero vicino al pianto e, premendomi l'anca, mormorai: <> Guido disse che si compiaceva di scoprire in me una persona tanto previdente. Io osservai seccamente: <> Guido rise: <> Poi, senz'altra transizione, mi racconto2 seccamente ch'e- gli era in procinto di domandare la mano di Ada. M'aveva trascinato al caffe2 per farmi quella confessione oppure s'era seccato di aver dovuto starmi a sentire per tanto tempo a parlare di me e si procurava la rivincita? Io sono quasi sicuro d'esser riuscito a dimostrare la massi- ma sorpresa e la massima compiacenza. Ma subito dopo trovai il modo di addentarlo vigorosamente: 127 <1 <1no di lordare>1 in certi posti.>> La botta era forte e Guido arrossi2 dal dolore. Fu mite nella risposta perche1 ora gli mancava l'appoggio di tutto il suo piccolo pubblico entusiasta. <> comincio2 per guadagnar tempo. <> Parve soddisfatto della sua trovata, ma io ne fui soddisfat- to altrettanto perche1 mi parve una scusa e una sommissione. Cio2 basto2 a mitigarmi e, del resto, per nulla al mondo avrei voluto litigare col futuro marito di Ada. Proclamai che rara- mente avevo sentito un dilettante che suonasse cosi2 bene. A lui non basto2: osservo2 ch'egli poteva essere considerato quale un dilettante, solo perche1 non accettava di presentarsi come professionista. Non voleva altro? Gli diedi ragione. Era evidente ch'egIi non poteva essere considerato quale un dilettante. Cosi2 fummo di nuovo buoni amici. Poi, di punto in bianco, egli si mise a dir male delle donne. Restai a bocca aperta! Ora che lo conosco meglio, so ch'egli si lancia a un discorrere abbondante in qualsiasi direzione quando si crede sicuro di piacere al suo interlocutore. Io, poco prima, avevo parlato del lusso delle signorine Malfenti, ed egli ricomincio2 a parlare di quello per finire col dire di tutte le altre cattive qualita2 delle donne. La mia stanchezza m'impediva d'interromperlo e mi limitavo a continui segni d'assenso ch'erano gia2 troppo faticosi per me. Altrimenti, certo, avrei protestato. Io sapevo ch'io avevo ogni ragione di dir male delle donne rappresentate per me da Ada, Augusta e dalla mia futura suocera; ma lui non aveva alcuna ragione di prendersela col sesso rappresentato per lui dalla sola Ada che l'amava. Era ben dotto, e ad onta della mia stanchezza stetti a sentirlo con ammirazione. Molto tempo dopo scopersi ch'e- gli aveva fatte sue le geniali teorie del giovine suicida Wei- ninger. Per allora subivo il peso di un secondo Bach. Mi venne persino il dubbio ch'egli volesse curarmi. Perche1 altri- menti avrebbe voluto convincermi che la donna non sa esse- 128 re ne1 geniale ne1 buona? A me parve che la cura non riusci2 perche1 somministrata da Guido. Ma conservai quelle teorie e le perfezionai con la lettura del Weininger. Non guarisco- no pero2 mai, ma sono una comoda compagnia quando si corre dietro alle donne. Finito il suo gelato, Guido senti2 il bisogno di una boccata d'aria fresca e m'indusse ad accompagnarlo ad una passeg- giata verso la periferia della citta2. Ricordo: da giorni, in citta2, si anelava ad un poco di pioggia da cui si sperava qualche sollievo al caldo anticipato. Io non m'ero neppure accorto di quel caldo. Quella sera il cielo aveva cominciato a coprirsi di leggere nubi bianche, di quelle da cui il popolo spera la pioggia abbondante, ma una grande luna s'avanzava nel cielo intensamente azzurro do- v'era ancora limpido, una di quelle lune dalle guance gonfie che lo stesso popolo crede capaci di mangiare le nubi. Era infatti evidente che 1a2 dov'essa toccava, scioglieva e nettava. Volli interrompere il chiacchierio di Guido che mi costrin- geva ad un annuire continuo, una tortura, e gli descrissi il bacio nella luna scoperto dal poeta Zamboni: com'era dolce quel bacio nel centro delle nostre notti in confronto all'ingiustizia che Guido accanto a me commetteva! Parlan- do e scotendomi dal torpore in cui ero caduto a forza di assentire, mi parve che il mio dolore s'attenuasse. Era il premio per la mia ribellione e vi insistetti. Guido dovette adattarsi di lasciare per un momento in pace le donne e guardare in alto. Ma per poco! Scoperta, in seguito alle mie indicazioni, la pallida immagine di donna nella luna, ritorno2 al suo argomento con uno scherzo di cui rise fortemente, ma solo lui, nella via deserta: <> Faceva parte della sua teoria (o di quella del Weininger) che la donna non puo2 essere geniale perche1 non sa ricordare. Arrivammo sotto la via Belvedere. Guido disse che un po' di salita ci avrebbe fatto bene. Anche questa volta lo com- piacqui. Lassu2, con uno di quei movimenti che si confanno meglio ai giovanissimi ragazzi, egli si sdraio2 sul muricciuolo che arginava la via da quella sottostante. Gli pareva di fare un atto di coraggio esponendosi ad una caduta di una diecina di metri. Sentii dapprima il solito ribrezzo al vederlo esposto 129 a tanto pericolo, ma poi ricordai il sistema da me escogitato quella sera stessa, in uno slancio d'improvvisazione, per liberarmi di quell'affanno e mi misi ad augurare fervente- mente ch'egli cadesse. In quella posizione egli continuava a predicare contro le donne. Diceva ora che abbisognavano di giocattoli come i bambini, ma di alto prezzo. Ricordai che Ada diceva di amare molto i gioielli. Era dunque proprio di lei ch'egli parlava? Ebbi allora un'idea spaventosa! Perche1 non avrei fatto fare a Guido quel salto di dieci metri? Non sarebbe stato giusto di sopprimere costui che mi portava via Ada senz'amarla? In quel momento mi pareva che quando l'aves- si ucciso, avrei potuto correre da Ada per averne subito il premio. Nella strana notte piena di luce, a me era parso ch'essa stesse a sentire come Guido l'infamava. Debbo confessare ch'io in quel momento m'accinsi vera- mente ad uccidere Guido! Ero in piedi accanto a lui ch'era sdraiato sul basso muricciuolo ed esaminai freddamente come avrei dovuto afferrarlo per essere sicuro del fatto mio. Poi scopersi che non avevo neppur bisogno di afferrarlo. Egli giaceva sulle proprie braccia incrociate dietro la schie- na, e sarebbe bastata una buona spinta improvvisa per met- terlo senza rimedio fuori d'equilibrio. Mi venne un'altra idea che mi parve tanto importante da poter compararla alla grande luna che s'avanzava nel cielo nettandolo: avevo accettato di fidanzarmi ad Augusta per essere sicuro di dormir bene quella notte. Come avrei potuto dormire se avessi ammazzato Guido? Quest'idea salvo2 me e lui. Volli subito abbandonare quella posizione nella quale sovrastavo a Guido e che mi seduceva a quell'azione. Mi piegai sulle ginocchia abbattendomi su me stesso e arrivando quasi a toccare il suolo con la mia testa: <> urlai. Spaventato, Guido balzo2 in piedi a domandarmi delle spiegazioni. Io continuai a lamentarmi piu2 mitemente senza rispondere. Sapevo perche1 mi lamentavo: perche1 avevo vo- luto uccidere e forse, anche, perche1 non avevo saputo farlo. Il dolore e il lamento scusavano tutto. Mi pareva di gridare ch'io non avevo voluto uccidere e mi pareva di gridare anche che non era colpa mia se non avevo saputo farlo. Tutto era colpa della mia malattia e del mio dolore. Invece ricordo 130 benissimo che proprio allora il mio dolore scomparve del tutto e che il mio lamento rimase una pura commedia cui io invano cercai di dare un contenuto evocando il dolore e ricostruendolo per sentirlo e soffrirlo. Ma fu uno sforzo vano perche1 esso non ritorno2 che quando volle. Come al solito Guido procedeva per ipotesi. Fra l'altro mi domando2 se non si fosse trattato dello stesso dolore prodotto da quella caduta al caffe2. L'idea mi parve buona e assentii. Egli mi prese per il braccio e, amorevolmente, mi fece rizzare. Poi, con ogni riguardo, sempre appoggiandomi, mi fece scendere la piccola erta. Quando fummo giu2, dichiarai che mi sentivo un poco meglio e che credevo che, appoggiato a lui, avrei potuto procedere piu2 spedito. Cosi2 si andava finalmente a letto! Poi era la prima vera grande soddisfazio- ne che quel giorno mi fosse stata accordata. Egli lavorava per me, perche1 quasi mi portava. Ero io che finalmente gl'imponevo il mio volere. Trovammo una farmacia ancora aperta ed egli ebbe l'idea di mandarmi a letto accompagnato da un calmante. Costrui2 tutta una teoria sul dolore e sul sentimento esagerato dello stesso: un dolore si moltiplicava per l'esasperazione ch'esso stesso aveva prodotto. Con quella bottiglietta s'inizio2 la mia raccolta di medicinali, e fu giusto fosse stata scelta da Guido. Per dar base piu2 solida alla sua teoria, egli suppose ch'io avessi sofferto di quel dolore da molti giorni. Mi spiacque di non poter compiacerlo. Dichiarai che quella sera, in casa dei Malfenti, io non avevo sentito alcun dolore. Nel momento in cui m'era stata concessa la realizzazione del mio lungo so- gno, evidentemente non avevo potuto soffrire. E per essere sincero volli proprio essere come avevo asse- rito ch'io fossi e dissi piu2 volte a me stesso: "Io amo Augusta, io non amo Ada. Arno Augusta e questa sera arrivai alla realizzazione del mio lungo sogno". Cosi2 procedemmo nella notte lunare. Suppongo che Gui- do fosse affaticato dal mio peso, perche1 finalmente ammuto- li2. Mi propose pero2 di accompagnarmi fino a letto. Rifiutai e quando mi fu concesso di chiudere la porta di casa dietro di me, diedi un sospiro di sollievo. Ma certamente anche Gui- do dovette emettere lo stesso sospiro. Feci gli scalini della mia villa a quattro a quattro e in dieci minuti fui a letto. M'addormentai presto e nel breve periodo 131 che precede il sonno, non ricordai ne1 Ada ne1 Augusta, ma il solo Guido, cosi2 dolce e buono e paziente. Certo, non avevo dimenticato che poco prima avevo voluto ucciderlo, ma cio2 non aveva alcuna importanza perche1 le cose di cui nessuno sa e che non lasciarono delle tracce, non esistono. Il giorno seguente mi recai a casa della mia sposa un po' titubante. Non ero sicuro se gl'impegni presi la sera prima avessero il valore ch'io credevo di dover conferire loro. Scopersi che l'avevano per tutti. Anche Augusta riteneva d'essersi fidanzata, anzi piu2 sicuramente di quanto lo credes- si io. Fu un fidanzamento laborioso. Io ho il senso di averlo annullato varie volte e ricostituito con grande fatica e sono sorpreso che nessuno se ne sia accorto. Mai non ebbi la certezza d'avviarmi proprio al matrimonio, ma pare che tuttavia io mi sia comportato da fidanzato abbastanza amo- roso. Infatti io baciavo e stringevo al seno la sorella di Ada ogni qualvolta ne avevo la possibilita2. Augusta subiva le mie aggressioni come credeva che una sposa dovesse ed io mi comportai relativamente bene, solo perche1 la signora Mal- fenti non ci lascio2 soli che per brevi istanti. La mia sposa era molto meno brutta di quanto avessi creduto, e la sua piu2 grande bellezza la scopersi baciandola: il suo rossore! La2 dove baciavo sorgeva una fiamma in mio onore ed io baciavo piu2 con la curiosita2 dello sperimentatore che col fervore dell'amante. Ma il desiderio non manco2 e rese un po' piu2 lieve quella grave epoca. Guai se Augusta e sua madre non m'avessero impedito di bruciare quella fiamma in una sola volta come io spesso ne avrei avuto il desiderio. Come si avrebbe conti- nuato a vivere allora? Almeno cosi2 il mio desiderio conti- nuo2 a darmi sulle scale di quella casa la stessa ansia come quando le salivo per andare alla conquista di Ada. Gli scali- ni dispari mi promettevano che quel giorno avrei potuto far vedere ad Augusta che cosa fosse il fidanzamento ch'essa aveva voluto. Sognavo un'azione violenta che m'avrebbe ridato tutto il sentimento della mia liberta2. Non volevo mica altro io ed e2 ben strano che quando Augusta intese quello ch'io volevo, l'abbia interpretato quale un segno di febbre d'amore. Nel mio ricordo quel periodo si divide in due fasi. Nella 132 prima la signora Malfenti ci faceva spesso sorvegliare da Alberta, o cacciava nel salotto con noi la piccola Anna con una sua maestrina. Ada non fu allora mai associata in alcun modo a noi ed io dicevo a me stesso che dovevo compiacer- mene, mentre invece ricordo oscuramente di aver pensato una volta che sarebbe stata una bella soddisfazione per me di poter baciare Augusta in presenza di Ada. Chissa2 con quale violenza l'avrei fatto. La seconda fase s'inizio2 quando Guido ufficialmente si fidanzo2 con Ada e la signora Malfenti da quella pratica donna che era, uni2 le due coppie nello stesso salotto perche1 si sorvegliassero a vicenda. Della prima fase so che Augusta si diceva perfettamente soddisfatta di me. Quando non l'assaltavo, divenivo di una loquacita2 straordinaria. La loquacita2 era un mio bisogno. Me ne procurai l'opportunita2 figgendomi in capo l'idea che giacche1 dovevo sposare Augusta, dovessi anche imprender- ne l'educazione. L'educavo alla dolcezza, all'affetto e sopra tutto alla fedelta2. Non ricordo esattamente la forma che davo alle mie prediche di cui taluna m'e2 ricordata da lei che giammai le oblio2. M'ascoltava attenta e sommessa. Io, una volta, nella foga dell'insegnamento, proclamai che se essa avesse scoperto un mio tradimento, ne sarebbe conseguito il suo diritto di ripagarmi deIla stessa moneta. Essa, indignata, protesto2 che neppure col mio permesso avrebbe saputo tra- dirmi e che, da un mio tradimento, a lei non sarebbe risultata che la liberta2 di piangere. Io credo che tali prediche fatte per tutt'altro scopo che di dire qualche cosa, abbiano avuto una benefica influenza sul mio matrimonio. Di sincero v'era l'effetto ch'esse ebbero sull'animo di Augusta. La sua fedelta2 non fu mai messa a prova perche1 dei miei tradimenti essa mai seppe nulla, ma il suo affetto e la sua dolcezza restarono inalterati nei lunghi anni che passammo insieme, proprio come l'avevo indotta a promettermelo. Quando Guido si promise, la seconda fase del mio fidan- zamento s'inizio2 con un mio proponimento che fu espresso cosi2: "Eccomi ben guarito dal mio amore per Ada!". Fino ad allora avevo creduto che il rossore di Augusta fosse bastato per guarirmi, ma si vede che non si e2 mai guariti abbastanza! Il ricordo di quel rossore mi fece pensare ch'esso oramai ci 133 sarebbe stato anche fra Guido e Ada. Questo, molto meglio di quell'altro, doveva abolire ogni mio desiderio. E della prima fase il desiderio di violare Augusta. Nella seconda fui molto meno eccitato. La signora Malfenti non aveva certo sbagliato organizzando cosi2 la nostra sorveglian- za con tanto piccolo suo disturbo. Mi ricordo che una volta scherzando mi misi a baciare Augusta. Invece di scherzare con me Guido si mise a sua volta a baciare Ada. Mi parve poco delicato da parte sua, perche1 egli non baciava castamente come avevo fatto io per riguardo a loro, ma baciava Ada proprio nella bocca che addirittura suggeva. Sono certo che in quell'epoca io mi ero gia2 assuefatto a considerare Ada quale una sorella, ma non ero preparato a vederne far uso a quel modo. Dubito anche che a un vero fratello piacerebbe di veder manipolare cosi2 la sorella. Percio2, in presenza di Guido, io non baciai mai piu2 Augu- sta. Invece Guido, in mia presenza, tento2 un'altra volta di attirare a se1 Ada, ma fu dessa che se ne schermi2 ed egli non ripete1 piu2 il tentativo. Molto confusamente mi ricordo delle tante e tante sere che passammo insieme. La scena che si ripete1 all'infinito, s'impresse nella mia mente cosi2: tutt'e quattro eravamo seduti intorno al fine tavolo veneziano su cui ardeva una grande lampada a petrolio coperta da uno schermo di stoffa verde che metteva tutto nell'ombra, meno i lavori di ricamo cui le due fanciulle attendevano, Ada su un fazzoletto di seta che teneva libero in mano, Augusta su un piccolo telaio rotondo. Vedo Guido perorare e dev'essere successo di spesso che sia stato io solo a dargli ragione. Mi ricordo ancora quella testa dai capelli neri lievemente ricciuti di Ada, rilevati da un effetto strano che vi produceva la luce gialla e verde. Si discusse di quella luce e anche del colore vero di quei capelli. Guido, che sapeva anche dipingere, ci spiego2 come si dovesse analizzare un colore. Neppure questo suo inse- gnamento non lo dimenticai piu2 e ancora oggidi2, quando voglio intendere meglio il colore di un paesaggio, socchiudo gli occhi finche1 non spariscano molte linee e non si vedano che le sole luci che anch'esse s'abbrunano nel solo e vero colore. Pero2, quando mi dedico ad un'analisi simile, sulla 134 mia retina, subito dopo le immagini reali, quasi una reazione mia fisica, riappare la luce gialla e verde e i capelli sui quali per la prima volta educai il mio occhio. Non so dimenticare una sera che fra tutte fu rilevata da un'espressione di gelosia di Augusta e subito dopo anche da una mia riprovevole indiscrezione. Per farci uno scherzo, Guido e Ada erano andati a sedere lontano da noi, dall'altra parte del salotto, al tavolo Luigi XIV. Cosi2 io ebbi presto un dolore al collo che torcevo per parlare con loro. Augusta mi disse: <> Ed io, con una grande inerzia di pensiero, le dissi a bassa voce che non doveva crederlo perche1 Guido non amava le donne. Cosi2 m'era sembrato di scusarmi di essermi ingerito nei discorsi dei due amanti. Era invece una malvagia indi- screzione quella di riferire ad Augusta i discorsi sulle donne cui Guido s'abbandonava in mia compagnia, ma giammai in presenza di alcun altro della famiglia delle nostre spose. Il ricordo di quelle mie parole m'amareggio2 per varii giorni, mentre posso dire che il ricordo di aver voluto uccidere Guido non m'aveva turbato neppure per un'ora. Ma uccide- re e sia pure a tradimento, e2 cosa piu2 virile che danneggiare un amico riferendo una sua confidenza. Gia2 allora Augusta aveva torto di essere gelosa di Ada. Non era per vedere Ada ch'io a quel modo torcevo il mio collo. Guido, con la sua loquacita2, m'aiutava a trascorrere quel lungo tempo. Io gli volevo gia2 bene e passavo una parte delle mie giornate con lui. Ero legato a lui anche dalla gratitudine che gli portavo per la considerazione in cui egli mi teneva e che comunicava agli altri. Persino Ada stava ora a sentirmi attentamente quando parlavo. Ogni sera aspettavo con una certa impazienza il suono del <1gong>1 che ci chiamava a cena, e di quelle cene ricordo princi- palmente la mia perenne indigestione. Mangiavo troppo per un bisogno di tenermi attivo. A cena abbondavo di parole affettuose per Augusta; proprio quanto la mia bocca piena me lo permetteva, e i genitori suoi potevano aver solo la brutta impressione che il grande mio affetto fosse diminuito dalla mia bestiale voracita2. Si sorpresero che al mio ritorno dal viaggio di nozze non avessi riportato con me tanto appe- tito. Spari2 quando non si esigette piu2 da me di dimostrare 135 una passione che non sentivo. Non e2 permesso di farsi veder freddo con la sposa dai suoi genitori nel momento in cui ci si accinge di andar a letto con essa! Augusta ricorda special- mente le affettuose parole che le mormoravo a quel tavolo. Fra boccone e boccone devo averne inventate di magnifiche e resto stupito quando mi vengono ricordate, perche1 non mi sembrerebbero mie. Lo stesso mio suocero, Giovanni il furbo, si lascio2 ingan- nare e, finche1 visse, quando voleva dare un esempio di una grande passione amorosa, citava la mia per sua figlia, cioe2 per Augusta. Ne sorrideva beato da quel buon padre ch'egli era, ma gliene derivava un aumento di disprezzo per me, perche1 secondo lui, non era un vero uomo colui che metteva tutto il proprio destino nelle mani di una donna, e che sopra tutto non s'accorgeva che all'infuori della propria v'erano a questo mondo anche delle altre donne. Da cio2 si vede che non sempre fui giudicato con giustizia. Mia suocera, invece, non credette nel mio amore neppure quando la stessa Augusta vi si adagio2 piena di fiducia. Per lunghi anni essa mi squadro2 con occhio diffidente, dubbiosa del destino della figliuola sua prediletta. Anche per questa ragione io sono convinto ch'essa deve avermi guidato nei giorni che mi condussero al fidanzamento. Era impossibile d'ingannare anche lei che deve aver conosciuto il mio animo meglio di me stesso. Venne finalmente il giorno del mio matrimonio e proprio quel giorno ebbi un'ultima esitazione. Avrei dovuto essere dalla sposa alle otto del mattino, e invece alle sette e tre quarti mi trovavo ancora a letto fumando rabbiosamente e guardando la mia finestra su cui brillava, irridendo, il primo sole che durante quell'inverno fosse apparso. Meditavo di abbandonare Augusta! Diveniva evidente l'assurdita2 del mio matrimonio ora che non m'importava piu2 di restar attac- cato ad Ada. Non sarebbero mica avvenute di grandi cose se io non mi fossi presentato all'appuntamento! Eppoi: Augu- sta era stata una sposa amabile, ma non si poteva mica sapere come si sarebbe comportata la dimane delle nozze. E se subito m'avesse dato della bestia perche1 m'ero lasciato prendere a quel modo? Per fortuna venne Guido, ed io, nonche1 resistere, mi scusai del mio ritardo asserendo di aver creduto che fosse 136 stata stabilita un'altra ora per le nozze. Invece di rimprove- rarmi, Guido si mise a raccontare di se1 e delle tante volte ch'egli, per distrazione, aveva mancato a degli appuntamen- ti. Anche in fatto di distrazione egli voleva essere superiore a me e dovetti non dargli altro ascolto per arrivare a uscir di casa. Cosi2 avvenne che andai al matrimonio a passo di corsa. Arrivai tuttavia molto tardi. Nessuno mi rimprovero2 e tutti meno la sposa s'accontentarono di certe spiegazioni che Guido diede in vece mia. Augusta era tanto pallida che persino le sue labbra erano livide. Se anche non potevo dire di amarla, pure e2 certo che non avrei voluto farle del male. Tentai di riparare e commisi la bestialita2 d'attribuire al mio ritardo ben tre cause. Erano troppe e raccontavo con tanta chiarezza quello ch'io avevo meditato 1a2 nel mio letto, guar- dando il sole invernale, che si dovette ritardare la nostra partenza per la chiesa onde dar tempo ad Augusta di rimet- tersi. All'altare dissi di si2 distrattamente perche1 nella mia viva compassione per Augusta stavo escogitando una quarta spiegazione al mio ritardo e mi pareva la migliore di tutte. Invece, quando uscimmo dalla chiesa, m'accorsi che Au- gusta aveva ricuperati tutti i suoi colori. Ne ebbi una certa stizza perche1 quel mio si2 non avrebbe mica dovuto bastare a rassicurarla del mio amore. E mi preparavo a trattarla molto rudemente se si fosse rimessa tanto da darmi della bestia perche1 m'ero lasciato prendere a quel modo. Invece, a casa sua, approfitto2 di un momento in cui ci lasciarono soli, per dirmi piangendo: <> Io non protestai perche1 la cosa era stata tanto evidente che non si poteva. Ma, pieno di compassione, l'abbracciai. Poi di tutto questo non si parlo2 piu2 fra me ed Augusta perche1 il matrimonio e2 una cosa ben piu2 semplice del fidan- zamento. Una volta sposati non si discute piu2 d'amore e, quando si sente il bisogno di dirne, l'animalita2 interviene presto a rifare il silenzio. Ora tale animalita2 puo2 essere divenuta tanto umana da complicarsi e falsificarsi ed avviene che, chinandosi su una capigliatura femminile, si faccia an- che lo sforzo di evocarvi una luce che non c'e2. Si chiudono gli occhi e la donna diventa un'altra per ridivenire lei quando si 137 abbandona. A lei s'indirizza tutta la gratitudine e maggiore ancora se lo sforzo riusci2. E per questo che se io avessi da nascere un'altra volta (madre natura e2 capace di tutto!) accetterei di sposare Augusta, ma mai di promettermi con lei. Alla stazione Ada mi porse la guancia al bacio fraterno. Io la vidi solo allora, frastornato com'ero dalla tanta gente ch'era venuta ad accompagnarci e subito pensai: "Sei pro- prio tu che mi cacciasti in questi panni!". Avvicinai le mie labbra alla sua guancia vellutata badando di non sfiorarla neppure. Fu la prima soddisfazione di quel giorno, perche1 per un istante sentii quale vantaggio mi derivasse dal mio matrimonio: m'ero vendicato rifiutando d'approfittare del- l'unica occasione che m'era stata offerta di baciare Ada! Poi, mentre il treno correva, seduto accanto ad Augusta, dubitai di non aver fatto bene. Temevo ne fosse compromessa la mia amicizia con Guido. Pero2 soffrivo di piu2 quando pensavo che forse Ada non s'era neppure accorta che non avevo baciata la guancia che mi aveva offerta. Essa se ne era accorta, ma io non lo seppi che quando, a sua volta, molti mesi dopo, parti2 con Guido da quella stessa stazione. Tutti essa bacio2. A me solo offerse con grande cordialita2 la mano. Io gliela strinsi freddamente. La sua vendetta arrivava proprio in ritardo perche1 le circostanze erano del tutto mutate. Dal ritorno dal mio viaggio di nozze avevamo avuti dei rapporti fraterni e non si poteva spiegare perche1 mi avesse escluso dal bacio. 138 6 La moglie e l'amante Nella mia vita ci furono varii periodi in cui credetti di essere avvato alla salute e alla felicita2. Mai pero2 tale fede fu tanto forte come nel tempo in cui duro2 il mio viaggio di nozze eppoi qualche settimana dopo il nostro ritorno a casa. Co- mincio2 con una scoperta che mi stupi2: io amavo Augusta com'essa amava me. Dapprima diffidente, godevo intanto di una giornata e m'aspettavo che la seguente fosse tutt'altra cosa. Ma una seguiva e somigliava all'altra, luminosa, tutta gentilezza di Augusta ed anche -- cio2 ch'era la sorpresa -- mia. Ogni mattina ritrovavo in lei lo stesso commosso affetto e in me la stessa riconoscenza che, se non era amore, vi somiglia- va molto. Chi avrebbe potuto prevederlo quando avevo zoppicato da Ada ad Alberta per arrivare ad Augusta? Scoprivo di essere stato non un bestione cieco diretto da altri, ma un uomo abilissimo. E vedendomi stupito, Augusta mi diceva: <> Non so piu2 se dopo o prima dell'affetto, nel mio animo si formo2 una speranza, la grande speranza di poter finire col somigliare ad Augusta ch'era la salute personificata. Duran- te il fidanzamento io non avevo neppur intravvista quella salute, perche1 tutto immerso a studiare me in primo luogo eppoi Ada e Guido. La lampada a petrolio in quel salotto non era mai arrivata ad illuminare gli scarsi capelli di Augusta. Altro che il suo rossore! Quando questo sparve con la semplicita2 con cui i colori dell'aurora spariscono alla luce 139 diretta del sole, Augusta batte1 sicura la via per cui erano passate le sue sorelle su questa terra, quelle sorelle che possono trovare tutto nella legge e neIl'ordine o che altri- menti a tutto rinunziano. Per quanto la sapessi mal fondata perche1 basata su di me, io amavo, io adoravo quella sicurez- za. Di fronte ad essa io dovevo comportamni almeno con la modestia che usavo quando si trattava di spiritismo. Questo poteva essere e poteva percio2 esistere anche la fede nella vita. Pero2 mi sbalordiva; da ogni sua parola, da ogni suo atto risultava che in fondo essa credeva la vita eterna. Non che la dicesse tale: si sorprese aui che una volta io, cui gli errori ripugnavano prima che non avessi arnati i suoi, avessi sentito il bisogno di ricordargliene la brevita2. Macche1! Essa sapeva che tutti dovevamo morire, ma cio2 non toglieva che oramai- ch'eravamo sposati, si sarebbe rimasti insieme, insieme, insieme. Essa dunque ignorava che quando a questo mondo ci si univa, cio2 avveniva per un periodo tanto breve, breve, breve, che non s'intendeva come si fosse arrivati a darsi del tu dopo non essersi conosciuti per un tempo infinito e pronti a non rivedersi mai piu2 per un altro infinito tempo. Compre- si finalmente che cosa fosse la perfetta salute umana quando indovinai che il presente per lei era una verita2 tangibile in cui si poteva segregarsi e starci caldi. Cercai di esservi ammesso e tentai di soggiornarvi risoluto di non deridere me e lei, perche1 questo conato non poteva essere altro che la mia malattia ed io dovevo almeno guardarmi dall'infettare chi a me s'era confidato. Anche percio2, nello sforzo di proteggere lei, seppi per qualche tempo movermi come un uomo sano. Essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano di natura. Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare! Tutt'altro! La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto. E queste cose immobili avevano un'importanza enorme: l'anello di matrimonio, tutte le gemrne e i vestiti, il verde, il nero, quello da passeggio che andava in armadio quando si arrivava a casa e quello di sera che in nessun caso si avrebbe potuto indossare di giorno, ne1 quando io non m'adattavo di mettermi in marsina. E le ore dei pasti erano tenute rigida- mente e anche quelle del sonno. Esistevano, quelle ore, e si trovavano sempre al loro posto. 140 Di domenica essa andava a Messa ed io ve l'accompagnai talvolta per vedere come sopportasse l'immagine del dolore e della morte. Per lei non c'era, e quella visita le infondeva serenita2 per tutta la settimana. Vi andava anche in certi giorni festivi ch'essa sapeva a mente. Niente di piu2, mentre se io fossi stato religioso mi sarei garantita la beatitudine stando in chiesa tutto il giorno. C'erano un mondo di autorita2 anche quaggiu2 che la rassi- curavano. Intanto quella austriaca o italiana che provvedeva alla sicurezza sulle vie e nelle case ed io feci sempre del mio meglio per associarmi anche a quel suo rispetto. Poi v'erano i medici, quelli che avevano fatto gli studii regolari per salvarci quando -- Dio non voglia -- ci avesse a toccare qual- che malattia. Io ne usavo ogni giorno di quell'autorita2: lei, invece, mai. Ma percio2 io sapevo il mio atroce destino quan- do la malattia mortale m'avesse raggiunto, mentre lei crede- va che anche allora, appoggiata solidamente lassu2 e quaggiu2, per lei vi sarebbe stata la salvezza. Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perche1 m'accorgo che, analizzandola, la converto in malattia. E scrivendone, comincio a dubitare se quella salute non avesse avuto bisogno di cura o d'istruzione per guarire. Ma viven- dole accanto per tanti anni, mai ebbi tale dubbio. Quale importanza m'era attribuita in quel suo piccolo mondo! Dovevo dire la mia volonta2 ad ogni proposito, per la scelta dei cibi e delle vesti, delle compagnie e delle letture. Ero costretto ad una grande attivita2 che non mi seccava. Stavo collaborando alla costruzione di una famiglia patriar- cale e diventavo io stesso il patriarca che avevo odiato e che ora m'appariva quale il segnacolo della salute. E tutt'altra cosa essere il patriarca o dover venerare un altro che s'arro- ghi tale dignita2. Io volevo la salute per me a costo d'appiop- pare ai non patriarchi la malattia, e, specialmente durante il viaggio, assunsi talora volentieri l'atteggiamento di statua equestre. Ma gia2 in viaggio non mi fu sempre facile l'imitazione che m'ero proposta. Augusta voleva veder tutto come se si fosse trovata in viaggio d'istruzione. Non bastava mica essere stati a palazzo Pitti, ma bisognava passare per tutte quelle innu- merevoli sale, fermandosi almeno per qualche istante dinan- zi ad ogni opera d'arte. Io rifiutai d'abbandonare la prima 141 sala e non vidi altro, addossandomi la sola fatica di trovare dei pretesti alla mia infingardaggine. Passai una mezza gior- nata dinanzi ai ritratti dei fondatori di casa Medici e scopersi che somigliavano a Carnegie e Vanderbilt. Meraviglioso! Eppure erano della mia razza! Augusta non divideva la mia meraviglia. Sapeva che cosa fossero i <1Yankees,>1 ma non ancora bene chi fossi io. Qui la sua salute non la vinse ed essa dovette rinunziare ai musei. Le raccontai che una volta al Louvre, m'imbizzarrii talmente in mezzo a tante opere d'arte, che fui in procinto di mandare in pezzi la Venere. Rassegnata, Augusta disse: <> Infatti nella vita manca la monotonia dei musei. Passano i giorni capaci di cornice, ma sono ricchi di suoni che frastor- nano eppoi oltre che di linee e di colori anche di vera luce, di quella che scotta e percio2 non annoia. La salute spinge all'attivita2 e ad addossarsi un mondo di seccature. Chiusi i musei, cominciarono gli acquisti. Essa, che non vi aveva mai abitato, conosceva la nostra villa meglio di me e sapeva che in una stanza mancava uno specchio, in un'altra un tappeto e che in una terza v'era il posto per una statuina. Compero2 i mobili di un intero salotto e, da ogni citta2 in cui soggiornammo, fu organizzata alrneno una spedizione. A me pareva che sarebbe stato piu2 opportu- no e meno fastidioso di fare tutti quegli acquisti a Trieste. Ecco che dovevamo pensare alla spedizione, all'assicurazio- ne e alle operazioni doganali. <> E rise. Aveva quasi ragione. Obbiettai: <> Ma l'intraprendenza era una delle cose che in lei piu2 amavo. Era deliziosa quell'intraprendenza cosi2 ingenua! In- genua perche1 bisogna ignorare la storia del mondo per poter credere di aver fatto un buon affare col solo acquisto di un oggetto; e2 alla vendita che si giudica l'accortezza dell'ac- quisto. Credevo di trovarmi in piena convalescenza. Le mie lesio- 142 ni si erano fatte meno velenose. Fu da allora che l'atteggia- mento mio immutabile fu di lietezza. Era come un impegno che in quei giorni indimenticabili avessi preso con Augusta e fu l'unica fede che non violai che per brevi istanti, quando cioe2 la vita rise piu2 forte di me. La nostra fu e rimase una relazione sorridente perche1 io sorrisi sempre di lei, che credevo non sapesse e lei di me, cui attribuiva molta scienza e molti errori ch'essa -- cosi2 si lusingava -- avrebbe corretti. Io rimasi apparentemente lieto anche quando la malattia mi riprese intero. Lieto come se il mio dolore fosse stato sentito da me quale un solletico. Nel lungo cammino traverso l'Italia, ad onta della mia nuova salute, non andai immune da molte sofferenze. Era- vamo partiti senza lettere di raccomandazione e, spessissi- mo, a me parve che molti degl'ignoti fra cui ci movevamo, mi fossero nemici. Era una paura ridicola, ma non sapevo vin- cerla. Potevo essere assaltato, insultato e sopra tutto calun- niato, e chi avrebbe potuto proteggermi? Ci fu anche una vera crisi di questa paura della quale per fortuna nessuno, neppur Augusta, s'accorse. Usavo prende- re quasi tutti i giornali che m'erano offerti sulla via. Ferma- tomi un giorno davanti al banco di un giornalaio, mi venne il dubbio che egli, per odio, avrebbe potuto facilmente farmi arrestare come un ladro avendo io preso da lui un solo giornale e tenendone molti, sotto il braccio, comperati altro- ve e neppure aperti. Corsi via seguito da Augusta a cui non dissi la ragione della mia fretta. Mi legai d'amicizia con un vetturino e un cicerone in compagnia dei quali ero almeno sicuro di non poter essere accusato di furti ridicoli. Fra me e il vetturino c'era qualche evidente punto di contatto. Egli amava molto i vini dei Castelli e mi racconto2 che ad ogni tratto gli si gonfiavano i piedi. Andava allora all'ospedale e, guarito, ne veniva congedato con molte rac- comandazioni di rinunziare al vino. Egli allora faceva un proposito che diceva ferreo perche1, per materializzarlo, lo accompagnava con un nodo ch'egli allacciava alla catena di metallo del suo orologio. Ma quando io lo conobbi la sua catena gli pendeva sul panciotto, senza nodo. Lo invitai di venir a stare con me a Trieste. Gli descrissi il sapore del nostro vino, tanto differente da quello del suo, per assicurar- 143 lo dell'esito della drastica cura. Non ne volle sapere e rifiuto2 con una faccia in cui v'era gia2 stampata la nostalgia. Col cicerone mi legai perche1 mi parve fosse superiore ai Suoi colleghi. Non e2 difficile sapere di storia molto piu2 di me, ma anche Augusta con la sua esattezza e col suo <1Baedeker>1 verifico2 l'esattezza di molte sue indicazioni. Intanto era giovine e si andava di corsa traverso i viali seminati di statue. Quando perdetti quei due amici, abbandonai Roma. Il vetturino avendo avuto da me molto denaro, mi fece vedere come il vino gli attaccasse qualche volta anche la testa e ci getto2 contro una solidissima antica costruzione romana. Il cicerone poi si penso2 un giorno di asserire che gli antichi Romani conoscevano benissimo la forza elettrica e ne faces- sero largo uso. Declamo2 anche dei versi latini che dovevano farne fede. Ma mi colse allora un'altra piccola malattia da cui non dovevo piu2 guarire. Una cosa da niente: la paura d'invec- chiare e sopra tutto la paura di morire. Io credo abbia avuto origine da una speciale forma di gelosia. L'invecchiamento - mi faceva paura soIo perche1 m'avvicinava alla morte. Finche1 ero vivo, certamente Augusta non m'avrebbe tradito, ma mi figuravo che non appena morto e sepolto, dopo di aver provveduto acche1 la mia tomba fosse tenuta in pieno ordine e mi fossero dette le Messe necessarie, subito essa si sarebbe guardata d'intorno per darmi il successore ch'essa avrebbe circondato del medesimo mondo sano e regolato che ora beava me. Non poteva mica morire la sua bella salute perche1 ero morto io. Avevo una tale fede in quella salute che mi pareva non potesse perire che sfracellata sotto un intero treno in corsa. Mi ricordo che una sera, a Venezia, si passava in gondola per uno di quei canali dal silenzio profondo ad ogni tratto interrotto dalla luce e dal rumore di una via che su di esso improvvisamente s'apre. Augusta, come sempre, guardava le cose e accuratamente le registrava: un giardino verde e fresco che sorgeva da una base sucida lasciata all'aria dall'ac- qua che s'era ritirata; un campanile che si rifletteva nell'ac- qua torbida; una viuzza lunga e oscura con in fondo un fiume di luce e di gente. Io, invece, nell'oscurita2, sentivo, con pieno sconforto, me stesso. Le dissi del tempo che andava via e che presto essa avrebbe rifatto quel viaggio di nozze 144 con un altro. Io ne ero tanto sicuro che mi pareva di dirle una storia gia2 avvenuta. E mi parve fuori posto ch'essa si mettes- se a piangere per negare la verita2 di quella storia. Forse m'aveva capito male e credeva io le avessi attribuita l'inten- zione di uccidermi! Tutt'altro! Per spiegarmi meglio le de- scrissi un mio eventuale modo di rnorire: le mie gambe, nelle quali la circolazione era certamente gia2 povera, si sarebbero incancrenite e la cancrena dilatata, dilatata, sarebbe giunta a toccare un organo qualunque, indispensabile per poter tener aperti gli occhi. Allora li avrei chiusi, e addio patriarca! Sarebbe stato necessario stamparne un altro. Essa continuo2 a singhiozzare e a me quel suo pianto, nella tristezza enorme di quel canale, parve molto importante. Era forse provocato dalla disperazione per la visione esatta di quella sua salute atroce? Allora tutta l'umanita2 avrebbe singhiozzato in quel pianto. Poi, invece, seppi ch'essa nep- pur sapeva come fosse fatta la salute. La salute non analizza se stessa e neppur si guarda nello specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi. Fu allora ch'essa mi racconto2 di avermi amato prima di avermi conosciuto. M'aveva amato dacche1 aveva sentito il mio nome, presentato da suo padre in questa forma: Zeno Cosini, un ingenuo, che faceva tanto d'occhi quando sentiva parlare di qualunque accorgimento commerciale e s'affret- tava a prenderne nota in un libro di comandamenti, che pero2 smarriva. E se io non m'ero accorto della sua confusione al nostro primo incontro, cio2 doveva far credere che fossi stato confuso anch'io. Mi ricordai che al vedere Augusta ero stato distratto dalla sua bruttezza visto che m'ero atteso di trovare in quella casa le quattro fanciulle dall'iniziale in <1a>1 tutte bellissime. Ap- prendevo ora ch'essa m'amava da molto tempo, ma che cosa provava cio2? Non le diedi la soddisfazione di ricredermi. Quando fossi stato morto, essa ne avrebbe preso un altro. Mitigato il pianto, essa s'appoggio2 ancor meglio a me e, subito ridendo, mi domando2: <> Infatti, probabilmente, mi sarebbe stato concesso qualche tempo di putrefazione tranquilla. Ma la paura d'invecchiare non mi lascio2 piu2, sempre per la 145 paura di consegnare ad altri mia moglie. Non s'attenuo2 la paura quando la tradii e non s'accrebbe neppure per il pensiero di perdere nello stesso modo l'amante. Era tutt'al- tra cosa, che non aveva niente a che fare con l'altra. Quando la paura di morire m'assaliva, mi rivolgevo ad Augusta per averne conforto come quei bambini che porgono al bacio della mamma la manina ferita. Essa trovava sempre delle nuove parole per confortamni. In viaggio di nozze m'attri-- buiva ancora trent'anni di gioventu2 ed oggidi2 altrettanti. Io invece sapevo gia2 che le settimane di gioia del viaggio di nozze m'avevano sensibilmente accostato alle smorfie orri- bili dell'agonia. Augusta poteva dire quello che voleva, il conto era presto fatto: ogni settimana io mi accostavo di una settimana. Quando m'accorsi di esser colto troppo spesso dallo stesso dolore, evitai di stancarla col dirle sempre le stesse cose e, per avvertirla del mio bisogno di conforto, basto2 mormoras- si: <>. Ella sapeva allora esattamente cosa mi turbava e accorreva a coprirmi del suo grande affetto. Cosi2 riuscii ad avere il suo conforto anche quand'ebbi tutt'al- tri dolori. U n giorno, ammalato dal dolore di averla tradita, mormorai per svista: <>. Ne ebbi gran van- taggio perche1 anche allora il suo conforto mi fu prezioso. Ritornato dal viaggio di nozze, ebbi la sorpresa di non aver mai abitata una casa tanto comoda e calda. Augusta v'introdusse tutte le comodita2 che aveva avute nella propria, ma anche molte altre ch'essa stessa invento2. La stanza da bagno, che a memoria d'uomo era stata sempre in fondo a un corridoio a mezzo chilometro dalla mia stanza da letto, si accosto2 alla nostra e fu fornita di un numero maggiore di getti d'acqua. Poi una stanzuccia accanto al tinello fu con- vertita in stanza da caffe2. Imbottita di tappeti ed addobbata da grandi poltrone in pelle, vi soggiornavamo ogni giorno per un'oretta dopo la colazione. Contro mia voglia, vi era tutto il necessario per fumare. Anche il mio piccolo studio, per quanto io lo difendessi, subi2 delle modificazioni. Io temevo che i mutamenti me lo rendessero odioso e invece subito m'accorsi che solo allora era possibile viverci. Essa dispose la sua illuminazione in rnodo che potevo leggere seduto al tavolo, sdraiato sulla poltrona o coricato sul sofa2. Persino per il violino fu provveduto un leggi2o con la sua 146 brava lampadina che illuminava la musica senza ferire gli occhi. Anche cola2, e contro mia voglia, fui accompagnato da tutti gli ordigni necessarii per fumare tranquillamente. Percio2 in casa si costruiva molto e c'era qualche disordine che diminuiva la nostra quiete. Per lei, che lavorava per l'eternita2, il breve incomodo poteva non importare, ma per me la cosa era ben diversa. Mi opposi energicamente quan- do le venne il desiderio di impiantare nel nostro giardino una piccola lavanderia che implicava addirittura la costruzione di una casuccia. Augusta asseriva che la lavanderia in casa era una garanzia della salute dei <1be1be1s.>1 Ma intanto i <1be1be1s>1 non c'erano ed io non vedevo alcuna necessita2 di lasciarmi incomodare da loro prima ancora che arrivassero. Ella inve- ce portava nella mia vecchia casa un istinto che veniva dall'aria aperta, e, in amore, somigliava alla rondinella che subito pensa al nido. Ma anch'io facevo all'amore e portavo a casa fiori e gem- me. La mia vita fu del tutto rnutata dal mio matrimonio. Rinunziai, dopo un debole tentativo di resistenza, a disporre a mio piacere del tempo e m'acconciai al piu2 rigido orario. Sotto questo riguardo la mia educazione ebbe un esito splen- dido. Un giorno, subito dopo il nostro viaggio di nozze, mi lasciai innocentemente trattenere dall'andare a casa a cola- zione e, dopo aver mangiato qualche cosa in un <1bar,>1 restai fuori fino alla sera. Rientrato a notte fatta, trovai che Augu- sta non aveva fatto colazione ed era disfatta dalla fame. Non mi fece alcun rimprovero, ma non si lascio2 convincere d'aver fatto male. Dolcemente, ma risoluta, dichiaro2 che se non fosse stata avvisata prima, m'avrebbe atteso per la colazione fino all'ora del pranzo. Non c'era da scherzare! Un'altra volta mi lasciai indurre da un amico a restar fuori di casa fino alle due di notte. Trovai Augusta che m'aspettava e che batteva i denti dal freddo avendo trascurata la stufa. Ne segui2 anche una sua lieve indisposizione che rese indimenti- cabile la lezione inflittami. Un giorno volli farle un altro grande regalo: lavorare! Essa lo desiderava ed io stesso pensavo che il lavoro sarebbe stato utile per la mia salute. Si capisce che e2 meno malato chi ha poco tempo per esserlo. Andai al lavoro e, se non vi restai, non fu davvero colpa mia. Vi andai coi migliori pro- positi e con vera umilta2. Non reclamai di partecipare alla 147 direzione degli affari e domandai invece di tenere intanto il libro mastro. Davanti al grosso libro in cui le scritturazioni erano disposte con la regolarita2 di strade e case, mi sentii pieno di rispetto e cominciai a scrivere con mano tremante. Il figliuolo dell'Olivi, un giovanotto sobriamente elegan- te, occhialuto, dotto di tutte le scienze commerciali, assunse la mia istruzione e di lui davvero non ho da lagnarmi. Mi diede qualche seccatura con la sua scienza economica e la teoria della domanda e dell'offerta che a me pareva piu2 evidente di quanto egli non volesse ammettere. Ma si vedeva in lui un certo rispetto per il padrone, ed io gliene ero tanto piu2 grato in quanto non era ammissibile che l'avesse appreso da suo padre. Il rispetto della proprieta2 doveva far parte della sua scienza economica. Non mi rimprovero2 giammai gli errori di registrazione che spesso facevo; solo era incline ad attribuirli ad ignoranza e mi dava delle spiegazioni che veramente erano superflue. Il male si e2 che a forza di guardare gli affari, mi venne la voglia di farne. Nel libro, con grande chiarezza, arrivai a raffigurare la mia tasca e quando registravo un importo nel "dare" dei clienti mi pareva di tener in mano invece della penna il bastoncino del <1croupier>1 che raccoglie i denari sparsi sul tavolo da giuoco. Il giovine Olivi mi faceva anche vedere la posta che arriva- va e io la leggevo con attenzione e -- devo dirlo -- in principio con la speranza d'intenderla meglio degli altri. Un'offerta comunissima conquisto2 un giorno la mia attenzione appas- sionata. Anche prima di leggerla sentii moversi nel mio petto qualche cosa che subito riconobbi come l'oscuro pre- sentimento che talvolta veniva a trovarmi al tavolo da giuo- co. E difficile descrivere tale presentimento. Esso consiste in una certa dilatazione dei polmoni per cui si respira con volutta2 l'aria per quanto sia affurnicata. Ma poi c'e2 di piu2 : sapete subito che quando avrete raddoppiata la posta starete ancora meglio. Pero2 ci vuole della pratica per intendere tutto questo. Bisogna essersi allontanati dal tavolo da giuoco con le tasche vuote e il dolore di averlo trascurato; allora non sfugge piu2. E quando lo si ha trascurato, non c'e2 piu2 salvezza per quel giorno perche1 le carte si vendicano. Pero2 al tavolo verde e2 assai piu2 perdonabile di non averlo sentito che dinanzi al tranquillo libro mastro, ed infatti io lo percepii- 148 chiaramente, mentre gridava in me: "Compera subito quella frutta secca!". Ne parlai con tutta mitezza all'Olivi, naturalmente senza accennare della rnia ispirazione. L'Olivi rispose che quegli affari non li faceva che per conto terzi quando poteva realiz- zare un piccolo beneficio. Cosi2 egli eliminava dai miei affari- Ia possibilita2 dell'ispirazione e la riservava ai terzi. La notte rafforzo2 la mia convinzione: il presentimento era dunque in me. Respiravo tanto bene da non poter dormire. Augusta senti2 la mia inquietudine e dovetti dirgliene la ragione. Essa ebbe subito la mia stessa ispirazione e nel sonno arrivo2 a mormorare: <> Vero e2 che alla mattina, prima che uscissi, mi disse impen- sierita: <> Non lo volli perche1 sapevo che anche Giovanni dava assai poco peso alle ispirazioni. Arrivai all'ufficio ben deciso a battermi per la mia idea anche per vendicarmi dell'insonnia sofferta. La battaglia duro2 fino a mezzodi2 quando spirava il termine utile per accettare l'offerta. L'Olivi resto2 irremovibile e mi saldo2 con la solita osservazione: <> Risentito, ritornai per il momento al mio mastro, ben deciso di non ingerirmi piu2 di affari. Ma il sapore dell'uva sultanina mi resto2 in bocca ed ogni giorno al Tergesteo m'informavo del suo prezzo. Di altro non m'importava. Sali2 lento, lento come se avesse avuto bisogno di raccogliersi per prendere lo slancio. Poi in un giorno solo fu un balzo formi- dabile in alto. Il raccolto era stato miserabile e lo si sapeva appena ora. Strana cosa l'ispirazione! Essa non aveva previ- sto il raccolto scarso ma solo l'aumento di prezzo. Le carte si vendicarono. Intanto io non sapevo restare al mio mastro e perdetti ogni rispetto per i miei insegnanti, tanto piu2 che ora l'Olivi non pareva tanto sicuro di aver fatto bene. Io risi e derisi; fu la mia occupazione principale. Arrivo2 una seconda offerta dal prezzo quasi raddoppiato. L'Olivi, per rabbonirmi, mi domando2 consiglio ed io, trion- 149 fante, dissi che non avrei mangiato l'uva a quel prezzo. L'Olivi, offeso, mormoro2: <> E ando2 in cerca del compratore. Ne trovo2 uno per un quantitativo molto ridotto e, sempre con le migliori inten- zioni, ritorno2 da me e mi domando2 esitante: <> Risposi, sempre cattivo: <> Fini2 che l'Olivi perdette la forza della propria convinzione e lascio2 la vendita scoperta. Le uve continuarono a salire e noi si perdette tutto quello che sul piccolo quantitativo si poteva perdere. Ma l'Olivi si arrabbio2 con me e dichiaro2 che aveva giuoca- to solo per compiacermi. Il furbo dimenticava che io l'avevo consigliato di puntare sul rosso e ch'egli, per farmela, aveva puntato sul nero. La nostra lite fu insanabile. L'Olivi s'ap- pello2 a mio suocero dicendogli che fra lui e me la ditta sarebbe stata sempre danneggiata, e che se la mia famiglia lo desiderava, egli e suo figlio si sarebbero ritirati per lasciarmi il campo libero. Mio suocero decise subito in favore dell'Oli- vi. Mi disse: <> Anche Augusta fu indotta dal padre a convincermi di non ingerirmi piu2 nei miei propri affari. <> mi disse <> Io, irato, mi ritirai nella mia tenda, ossia nel mio studiolo. Per qualche tempo leggiucchiai e suonai, poi sentii il deside- rio di una attivita2 piu2 seria e poco manco2 non ritornassi alla chimica eppoi alla giurisprudenza. Infine, e non so veramen- te perche1, per qualche tempo mi dedicai agli studii di religio- ne. Mi parve di riprendere lo studio che avevo iniziato alla morte di mio padre. Forse questa volta fu per un tentativo energico di avvicinarmi ad Augusta e alla sua salute. Non bastava andare a Messa con lei; io dovevo anche andarci aItrimenti, leggendo cioe2 Renan e Strauss, il primo con diletto, il secondo sopportandolo come una punizione. Ne 150 dico qui solo per rivelare quale grande desiderio m'attaccas- se ad Augusta. E lei questo desiderio non indovino2 quando mi vide nelle mani i Vangeli in edizione critica. Preferiva l'indifferenza alla scienza e cosi2 non seppe apprezzare il massimo segno d'affetto che le avevo dato. Quando, come soleva, interrompendo la sua <1toilette>1 o le sue occupazioni in casa, s'affacciava alla porta della mia stanza per dirmi una parola di saluto, vedendomi chino su quei testi, torceva la bocca: <> La religione di cui Augusta abbisognava non esigeva del tempo per acquisirsi o per praticarsi. Un inchino e l'imrne- diato ritorno alla vita! Nulla di piu2. Da me la religione acquistava tutt'altro aspetto. Se avessi avuto la fede vera, io a questo mondo non avrei avuto che quella. Poi nella mia stanzetta magnificamente organizzata venne talvolta la noia. Era piuttosto un'ansia perche1 proprio allora mi pareva di sentirmi la forza per lavorare, ma stavo aspet- tando che la vita m'avesse imposto qualche compito. Nell'at- tesa uscivo frequentemente e passavo molte ore al Tergesteo o in qualche caffe2. Vivevo in una simulazione di attivita2. Un'attivita2 noiosis- sima. La visita di un amico d'Universita2, che aveva dovuto rimpatriare in tutta furia da un piccolo paese della Stiria per curarsi di una grave malattia, fu la mia Nemesi, benche1 non ne avesse avuto l'aspetto. Arrivo2 a me dopo di aver fatto a Trieste un mese di letto ch'era valso a convertire la sua malattia, una nefrite, da acuta in cronica e probabilmente inguaribile. Ma egli credeva di star meglio e s'apprestava lietamente a trasferirsi subito, durante la primavera, in qual- che luogo dal clima piu2 dolce del nostro, dove s'aspettava di essere restituito alla piena salute. Gli fu fatale forse di essersi indugiato troppo nel rude luogo nati2o. Io considero la visita di quell'uomo tanto malato, ma lieto e sorridente, come molto nefasta per me; ma forse ho torto: essa non segna che una data nella mia vita, per la quale bisognava pur passare. Il mio amico, Enrico Copler, si stupi2 ch'io nulla avessi saputo ne1 di lui ne1 della sua malattia di cui Giovanni doveva essere informato. Ma Giovanni, dacche1 era malato anche 151 lui, non aveva tempo per nessuno e non me ne aveva detto niente ad onta che ogni giorno di sole venisse nella mia villa per dormire qualche ora all'aria aperta. Fra' due malati si passo2 un pomeriggio lietissimo. Si parlo2 delle loro malattie, cio2 che costituisce il massimo svago per un malato ed e2 una cosa non troppo triste per i sani che stanno a sentire. Ci fu solo un dissenso perche1 Giovanni aveva bisogno dell'aria aperta che all'altro era proibita. Il dissenso si dileguo2 quando si levo2 un po' di vento che indusse anche Giovanni di restare con noi, nella piccola stanza calda. Il Copler ci racconto2 della sua malattia che non dava dolore ma toglieva la forza. Soltanto ora che stava meglio sapeva quanto fosse stato malato. Parlo2 delle medicine che gli erano state propinate e allora il mio interesse fu piu2 vivo. Il suo dottore gli aveva consigliato fra l'altro un efficace sistema per procurargli un lungo sonno senza percio2 avvele- narlo con veri sonniferi. Ma questa era la cosa di cui io avevo sopra tutto bisogno! Il mio povero amico, sentendo il mio bisogno di medicine, si lusingo2 per un istante che io fossi affetto dalla stessa sua malattia e mi consiglio2 di farmi vedere, ascoltare e analiz- zare. Augusta si mise a ridere di cuore e dichiaro2 ch'io non ero altro che un malato immaginario. Allora sul volto emaciato di Copler passo2 qualche cosa che somigliava ad un risenti- mento. Subito, virilmente, si libero2 dallo stato d'inferiorita2 a cui pareva fosse condannato, aggredendomi con grande energia: <> La sua parola sembrava quella di un sano ed io -- voglio essere sincero -- ne soffersi. Mio suocero s'associo2 a lui con grande energia, ma le sue parole non arrivarono a gettare un disprezzo sul malato immaginario, perche1 tradivano troppo chiaramente l'invidia per il sano. Disse che se egli fosse stato sano come me, invece di seccare il prossimo con le lamentele, sarebbe corso ai suoi cari e buoni affari, specie ora che gli era riuscito di 152 diminuire la sua pancia. Egli non sapeva neppure che il suo dimagrimento non veniva considerato come un sintomo fa- vorevole. Causa l'assalto del Copler, io avevo veramente l'aspetto di un malato e di un malato maltrattato. Augusta senti2 il bisogno di intervenire in mio soccorso. Carezzando la mano che avevo abbandonata sul tavolo, essa disse che la mia malattia non disturbava nessuno e ch'ella non era neppur convinta ch'io credessi di esser amrnalato, perche1 altrimenti non avrei avuto tanta gioia di vivere. Cosi2 il Copler ritorno2 allo stato d'inferiorita2 cui era condannato. Egli era del tutto solo a questo mondo e se poteva lottare con me in fatto di salute, non poteva contrappormi alcun affetto simile a quel- lo che Augusta m'offriva. Sentendo vivo il bisogno di un'in- fermiera, si rassegno2 di confessarmi piu2 tardi quando egli m'aveva invidiato per questo. La discussione continuo2 nei giorni seguenti con un tono piu2 calmo mentre Giovanni dormiva in giardino. E il Copler, dopo averci pensato su, asseriva ora che il malato immagina- rio era un malato reale, ma piu2 intimamente di questi ed anche piu2 radicalmente. Infatti i suoi nervi erano ridotti cosi2 da accusare una malattia quando non c'era, mentre la loro funzione normale sarebbe consistita nell'allarmare col dolo- re e indurre a correre al riparo. <> dicevo io. <> Si termino2 col trovarsi d'accordo sul fatto che un malato e l'altro si valevano. Proprio nella sua nefrite era mancato e mancava tuttavia un avviso dei nervi, mentre che i miei nervi, invece, erano forse tanto sensibili da avvisarmi della malattia di cui sarei morto qualche ventennio piu2 tardi. Erano dunque dei nervi perfetti e avevano l'unico svantag- gio di concedermi pochi giorni lieti a questo mondo. Essen- dogli riuscito di mettermi fra gli ammalati, il Copler fu soddisfattissimo. Non so perche1 il povero malato avesse la mania di parlare di donne e, quando non c'era mia moglie, non si parlava d'altro. Egli pretendeva che dal malato reale, almeno nelle malattie che noi sapevamo, il sesso s'affievolisse, cio2 ch'era una buona difesa dell'organismo, mentre dal malato imma- 153 ginario che non soffriva che pel disordine dei nervi troppo laboriosi (questa era la nostra diagnosi) esso fosse patologi- camente vivo. Io corroborai la sua teoria con la mia espe- rienza e ci compiangemmo reciprocamente. Ignoro perche1 non volli dirgli che io mi trovavo lontano da ogni sregolatez- za e cio2 da lungo tempo. Avrei almeno potuto confessare che mi ritenevo convalescente se non sano, per non offenderlo troppo e perche1 dirsi sano quando si conoscono tutte le complicazioni del nostro organismo e2 una cosa difficile. <> inquisi2 ancora il Copler. <> mormorai io per dirgli che non ero tanto malato. Intanto io non desideravo Ada che vedevo ogni sera. Quella, per me, era proprio la donna proibita. Il fru- sci2o delle sue gonne non mi diceva niente e, se mi fosse stato permesso di muoverle con le mie stesse mani, sarebbe stata la stessa cosa. Per fortuna non l'avevo sposata. Questa indif- ferenza era, o mi sembrava, una manifestazione di salute genuina. Forse il mio desiderio per lei era stato tanto violen- to da esaurirsi da se1. Pero2 la mia indifferenza si estendeva anche ad Alberta ch'era pur tanto carina nel suo vestitino accurato e serio da scuola. Che il possesso di Augusta fosse stato sufficiente a calmare il mio desiderio per tutta la fami- glia Malfenti? Cio2 sarebbe stato davvero molto morale! Forse non parlai della mia virtu2 perche1 nel pensiero io tradivo sempre Augusta, e anche ora, parlando col Copler, con un fremito di desiderio, pensai a tutte le donne che per lei trascuravo. Pensai alle donne che correvano le vie, tutte coperte, e dalle quali percio2 gli organi sessuali secondarii divenivano tanto importanti mentre dalla donna che si pos- sedeva scomparivano come se il possesso li avesse atrofizza- ti. Avevo sempre il vivo desiderio dell'avventura; quell'av- ventura che cominciava dall'ammirazione di uno stivaletto, di un guanto, di una gonna, di tutto quello che copre e altera la forma. Ma questo desiderio non era ancora una colpa. Il Copler pero2 non faceva bene ad analizzarmi. Spiegare a qualcuno come e2 fatto, e2 un modo di autorizzarlo ad agire come desidera. Ma il Copler fece anche di peggio, solo che tanto quando parlo2, come quando agi2, egli non poteva pre- vedere dove mi avrebbe condotto. Resta cosi2 importante nel mio ricordo la parola del Copler 154 che, quando la ricordo, essa rievoca tutte le sensazioni che vi si associarono e le cose e le persone. Avevo accompagnato in giardino il mio amico che doveva rincasare prima del tra- monto. Dalla mia villa, che giace su una collina, si aveva la vista del porto e del mare, vista che ora e2 intercettata da nuovi fabbricati. Ci fermammo a guardare lungamente il mare mosso da una brezza leggera che rimandava in miriadi di luci rosse la luce tranquilla del cielo. La penisola istriana dava riposo all'occhio con la sua mitezza verde che s'inoltra- va in arco enorme nel mare come una penombra solida. I moli e le dighe erano piccoli e insignificanti nelle loro forme rigidamente lineari, e l'acqua nei bacini era oscurata dalla sua immobilita2 o era forse torbida? Nel vasto panorama la pace era piccola in confronto a tutto quel rosso animato sull'acqua e noi, abbacinati, dopo poco volgemmo la schiena al mare. Sulla piccola spianata dinanzi alla casa, incombeva in confronto gia2 la notte. Dinanzi al portico, su una grande poltrona, il capo coper- to da un berretto e anche protetto dal bavero rialzato della pelliccia, le gambe avvolte in una coperta, mio suocero dormiva. Ci fermammo a guardarlo. Aveva la bocca spalan- cata, la mascella inferiore pendente come una cosa morta e la respirazione rumorosa e troppo frequente. Ad ogni tratto la sua testa ricadeva sul petto ed egli, senza destarsi, la rialzava. C'era allora un movimento delle sue palpebre co- me se avesse voluto aprire gli occhi per ritrovare piu2 facil- mente l'equilibrio e la sua respirazione cambiava di ritmo. Una vera interruzione del sonno. Era la prima volta che la grave malattia di mio suocero mi si presentasse con tanta evidenza e ne fui profondamente addolorato. Il Copler a bassa voce mi disse: <> Termino2 consigliando di chiamare il suo medico. Giovanni ci senti2 e aperse gli occhi. Parve subito meno malato e scherzo2 col Copler: <> Gli sembrava di aver dormito saporitamente e non pensa- va di aver avuto mancanza d'aria in faccia al vasto mare che 155 gliene mandava tanta! Ma la sua voce era fioca e la sua parola interrotta dall'ansare; aveva la faccia terrea e, levato- si dalla poltrona, si sentiva ghiacciare. Dovette rifugiarsi in casa. Lo vedo ancora muoversi traverso la spianata, la co- perta sotto il braccio, ansante ma ridendo, mentre ci manda- va il suo saluto. <> disse il Copler che non sapeva liberarsi dalla sua idea dominante. <> Parve anche a me che l'ammalato reale soffrisse poco. Mio suocero e anche il Copler riposano da molti anni a Sant'Anna, ma ci fu un giorno in cui passai accanto alle loro tombe e mi parve che per il fatto di trovarvisi da tanti anni sotto alle loro pietre, la tesi propugnata da uno di loro non fosse infirmata. Prima di lasciare il suo antico domicilio, il Copler aveva liquidati i suoi affari e percio2 come me non ne aveva affatto. Pero2, non appena lasciato il letto, non seppe restar tranquil- lo e, mancando di affari propri, comincio2 ad occuparsi di quelli degli altri che gli parevano molto piu2 interessanti. Ne risi allora, ma piu2 tardi anch'io dovevo apprendere quale sapore sgradevole avessero gli affari altrui. Egli si dedicava alla beneficenza ed essendosi pioposto di vivere dei soli interessi del suo capitale, non poteva concedersi il lusso di farla tutta a spese proprie. Percio2 organizzava delle collette e tassava amici e conoscenti. Registrava tutto da quel bravo uomo d'affari che era, ed io pensai che quel libro fosse il suo viatico e che io, nel caso suo, condannato a breve vita e privo di famiglia com'egli era, l'avrei arricchito intaccando il mio capitale. Ma egli era il sano immaginario e non toccava che gl'interessi che gli spettavano, non sapendo rassegnarsi di ammettere breve il futuro. Un giorno mi assali2 con la richiesta di alcune centinaia di corone per procurare un pianino ad una povera fanciulla la quale veniva gia2 sovvenzionata da me insieme ad altri, per suo mezzo, con un piccolo mensile. Bisognava far presto per approfittare di una buona occasione. Non seppi esimermi, ma, un po' di malagrazia, osservai che avrei fatto un buon affare se quel giorno non fossi uscito di casa. Io sono di tempo in tempo soggetto ad accessi di avarizia. Il Copler prese il denaro e se ne ando2 con una breve parola 156 di ringraziamento, ma 1'effetto delle mie parole si vide pochi giorni appresso e fu, purtroppo, importante. Egli venne ad informarmi che il pianino era a posto e che la signorina Carla Gerco e sua madre mi pregavano di andar a trovarle per ringraziarmi. Il Copler aveva paura di perdere il cliente e voleva legarmi facendomi assaporare la riconoscenza delle beneficate. Dapprima volli esimermi da quella noia assicu- randolo che ero convinto che egli sapesse fare la beneficenza piu2 accorta, ma insistette tanto che finii con l'accondiscen- dere: <> domandai ridendo. <> egli rispose <> Curiosa cosa che egli mettesse i miei denti assieme ai suoi, col peri2colo di comunicarmi la sua carie. Mi racconto2 dell'o- nesta2 di quella famiglia disgraziata che aveva perduto da qualche anno il suo capo di casa e che nella piu2 squallida miseria era vissuta nella piu2 rigida onesta2. Era una giornata sgradevole. Soffiava un vento diaccio ed io invidiavo il Copler che s'era messa la pelliccia. Dovevo trattenere con la mano il cappello che altrimenti sarebbe volato via. Ma ero di buon umore, perche1 andavo a racco- gliere la gratitudine dovuta alla mia filantropia. Percorrem- mo a piedi la Corsia Stadion, traversammo il Giardino Pub- blico. Era una parte della citta2 ch'io non vedevo mai. En- trammo in una di quelle case cosidette di speculazione, che i nostri antenati s'erano messi a fabbricare quarant'anni pri-- ma, in posti lontani dalla citta2 che subito li invase; aveva un aspetto modesto ma tuttavia piu2 cospicuo delle case che si fanno oggidi2 con le stesse intenzioni. La scala occupava una piccola area e percio2 era molto alta. Ci fermammo al primo piano dove arrivai molto prima del mio compagno, assai piu2 lento. Fui stupito che delle tre porte che davano su quel pianerottolo, due, quelle ai lati, fossero contrassegnate dal biglietto di visita di Carla Gerco, attaccatovi con chiodini, mentre la terza aveva anch'essa un biglietto ma con altro nome. Il Copler mi spiego2 che le Gerco avevano a destra la cucina e la camera da letto mentre a sinistra non c'era che una stanza sola, lo studio della signorina Carla. Avevano potuto subaffittare una parte del quartiere al centro e cosi2 l'affitto costava loro pochissimo, 157 ma avevano l'incomodo di dover passare il pianerottolo per recarsi da una stanza all'altra. Bussammo a sinistra, alla stanza da studio ove madre e figlia, avvisate della nostra visita, ci attendevano. Il Copler fece le presentazioni. La signora, una persona timidissima vestita di un povero vestito nero, con la testa rilevata da un biancore di neve, mi tenne un piccolo discorso che doveva aver preparato: erano onorate dalla mia visita e mi ringrazia- vano del cospicuo dono che avevo fatto loro. Poi essa non aperse piu2 bocca. Il Copler assisteva come un maestro che ad un esame ufficiale stia ad ascoltare la lezione ch'egli con grande fatica ha insegnato. Corresse la signora dicendole che non soltanto io avevo elargito il denaro per il pianino, ma che contribuivo anche al soccorso mensile ch'egli aveva loro raggranellato. Amava l'esattezza, lui. La signorina Carla si alzo2 dalla sedia ove era seduta accan- to al pianino, mi porse la mano e mi disse la semplice parola: <> Cio2 almeno era meno lungo. Ja mia carica di filantropo cominciava a pesarmi. Anch'io m'occupavo degli affari al- trui come un qualunque ammalato reale! Che cosa doveva vedere in me quella graziosa giovinetta? Una persona di grande riguardo ma non un uomo! Ed era veramente grazio- sa! Credo che essa volesse sembrare piu2 giovane di quanto non fosse, con la sua gonna troppo corta per la moda di quell'epoca a meno che non usasse per casa una gonna del tempo in cui non aveva ancora finito di crescere. La sua testa era pero2 di donna e, per la pettinatura alquanto ricercata, di donna che vuol piacere. Le ricche treccie brune erano dispo- ste in modo da coprire le orecchie e anche in parte il collo. Ero tanto compreso della mia dignita2 e temevo tanto l'oc- chio inquisitore del Copler che dapprima non guardai nep- pur bene la fanciulla; ma ora la so tutta. La sua voce aveva qualche cosa di musicale quando parlava e, con un'affetta- zione oramai divenuta natura, essa si compiaceva di stende- re le sillabe come se avesse voluto carezzare il suono che le riusciva di metterci. Percio2 e anche per certe sue vocali eccessivamente larghe persino per Trieste, il suo linguaggio aveva qualche cosa di straniero. Appresi poi che certi mae- stri, per insegnare l'emissione della voce, alterano il valore 158 delle vocali. Era proprio tutt'altra pronuncia di quella di Ada. Ogni suo suono mi pareva d'amore. Durante quella visita la signorina Carla sorrise sempre, forse immaginando di aver cosi2 stereotipata sulla faccia l'e- spressione della gratitudine. Era un sorriso un po' forzato; il vero aspetto della gratitudine. Poi, quando poche ore dopo cominciai a sognare Carla, immaginai che su quella faccia ci fosse stata una lotta fra la letizia e il dolore. Nulla di tutto questo trovai poi in lei ed una volta di piu2 appresi che la bellezza femminile simula dei sentimenti coi quali nulla ha a vedere. Cosi2 la tela su cui e2 dipinta una battaglia non ha alcun sentimento eroico. Il Copler pareva soddisfatto della presentazione come se le due donne fossero state opera sua. Me le descriveva: erano sempre liete del loro destino e lavoravano. Egli diceva delle parole che parevano tolte da un libro scolastico e, annuendo macchinalmente, pareva che io volessi conferma- re di aver fatti i miei studii e sapessi percio2 come dovessero essere fatte le povere donne virtuose prive di denaro. Poi egli domando2 a Carla di cantarci qualche cosa. Essa non volle dichiarando di essere raffreddata. Proponeva di farlo un altro giorno. Io sentivo con simpatia ch'essa temeva il nostro giudizio, ma avevo il desiderio di prolungare la seduta e m'associai alle preghiere di Copler. Dissi anche che non sapevo se m'avrebbe rivisto mai piu2, perche1 ero molto occupato. Il Copler, che pur sapeva ch'io a questo mondo non avevo alcun impegno, confermo2 con grande serieta2 quanto dicevo. Mi fu poi facile d'intendere ch'egli desidera- va che io non rivedessi piu2 Carla. Questa tento2 ancora di esimersi, ma il Copler insistette con una parola che somigliava ad un comando ed essa obbe- di2: com'era facile costringerla! Canto2 <1La mia bandiera.>1 Dal mio soffice sofa2 io seguivo il suo canto. Avevo un ardente desiderio di poterla ammirare. Come sarebbe stato bello di vederla rivestita di genialita2! Ma invece ebbi la sorpresa di sentire che la sua voce, quando cantava, perdeva ogni musicalita2. Lo sforzo l'alterava. Carla non sapeva neppure suonare e il suo accompagnamento monco rendeva ancor piu2 povera quella povera musica. Ricordai di trovarmi dinanzi ad una scolara e analizzai se il volume di voce fosse bastevole. Abbondante anzi! Nel pic- 159 colo ambiente ne avevo l'orecchio ferito. Pensai, per poter continuare ad incoraggiarla, che solo la sua scuola fosse cattiva. Quando cesso2, m'associai all'applauso abbondante e pa- rolaio di Copler. Egli diceva: <> Questo era certamente vero. Un'intera potente orchestra ci voleva su quella voce. lo dissi con grande sincerita2 che mi riservavo di riudire la signorina di 1a2 a qualche mese e che allora mi sarei pronunciato sul valore della sua scuola. Meno sinceramente aggiunsi che certamente quella voce meritava una scuola di primo ordine. Poi, per attenuare quanto di sgradevole ci poteva essere stato nelle mie prime parole, filosofai sulla necessita2 per una voce eccelsa, di trovare una scuola eccelsa. Questo superlativo coperse tutto. Ma poi, restato solo, fui meravigliato di aver sentito la necessita2 di essere sincero con Carla. Che gia2 l'avessi amata? Ma se non l'avevo ancora ben vista! Sulle scale dall'odore dubbio, il Copler disse ancora: <> Egli non sapeva che a quell'ora io sapevo qualcosa di piu2: quella voce apparteneva ad un ambiente piccolissimo dove si poteva gustare l'impressione d'ingenuita2 di quell'arte e so- gnare di portarci dentro l'arte, cioe2 vita e dolore. Nel lasciarmi, il Copler mi disse che m'avrebbe avvertito quando il maestro di Carla avrebbe organizzato un concerto pubblico. Si trattava di un maestro poco noto ancora in citta1, ma sarebbe certo divenuto una futura grande celebrita2. Il Copler ne era sicuro ad onta che il maestro fosse abbastanza vecchio. Pareva che la celebrita2 gli sarebbe venuta ora, dopo che il Copler lo conosceva. Due debolezze da morituri, quella del maestro e quella del Copler. Il curioso si e2 che sentii il bisogno di raccontare tale visita ad Augusta. Si potrebbe forse credere che sia stato per prudenza, visto che il Copler ne sapeva e che io non mi sentivo di pregarlo di tacere. Ma pero2 ne parlai troppo volentieri. Fu un grande sfogo. Fino ad allora non avevo da rimproverarmi altro che di aver taciuto con Augusta. Ecco che ora ero innocente del tutto. Ella mi domando2 qualche notizia della fanciulla e se fosse 160 bella. Mi fu difficile di rispondere: dissi che la povera fan- ciulla mi era parsa molto anemica. Poi ebbi una buona idea: <> Augusta aveva tanto da fare nella sua nuova casa e nella sua vecchia famiglia ove la chiamavano per farsi aiutare nell'assistenza al padre malato, che non vi penso2 piu2. Ma la mia idea era stata percio2 veramente buona. Il Copler pero2 riseppe da Augusta che io l'avevo avvertita della nostra visita e anche lui dimentico2 percio2 le qualita2 ch'egli aveva attribuite al malato immaginario. Mi disse in presenza di Augusta che di li2 a poco tempo avremmo fatta un'altra visita a Carla. Mi concedeva la sua piena fiducia. Nella mia inerzia subito fui preso dal desiderio di rivedere Carla. Non osai correre da lei temendo che il Copler avesse a risaperne. I pretesti pero2 non mi sarebbero mica mancati. Potevo andare da lei per offrirle un aiuto maggiore ad insa- puta del Copler, ma avrei dovuto prima essere sicuro che, a proprio vantaggio, ella avrebbe accettato di tacere. E se quell'ammalato reale fosse gia2 l'amante della fanciulla? Io, degli amrnalati reali, non sapevo proprio niente e poteva essere benissimo che avessero il costume di farsi pagare dagli altri le loro amanti. In quel caso sarebbe bastata una sola visita a Carla per compromettermi. Non potevo mettere a pericolo la pace della mia famigliuola; ossia: non la misi a pericolo finche1 il mio desiderio di Carla non ingrandi2. Ma esso ingrandi2 costantemente. Gia2 conoscevo quella fanciulla molto meglio che non quando le avevo stretta la mano per congedarmi da lei. Ricordavo specialmente quella treccia nera che copriva il suo collo niveo e che sarebbe stato necessario di allontanare col naso per arrivare a baciare la pelle ch'essa celava. Per stimolare il mio desiderio bastava io ricordassi che su un dato pianerottolo, nella stessa mia pic- cola citta2, era esposta una bella fanciulla e che con una breve passeggiata si poteva andare a prenderla! La lotta col pecca- to diventa in tali circostanze difficilissima perche1 bisogna rinnovarla ad ogni ora ed ogni giorno, finche1 cioe2 la fanciulla rimanga su quel pianerottolo. Le lunghe vocali di Carla mi chiamavano e forse proprio il loro suono m'aveva messo nell'anima la convinzione che quando la mia resistenza fosse sparita, altre resistenze non ci sarebbero state piu2. Pero2 m'era chiaro che potevo ingannarmi e che forse il Copler 161 vedeva le cose con maggior esattezza; anche questo dubbio valeva a diminuire la mia resistenza visto che la povera Augusta poteva essere salvata da un mio tradimento da Carla stessa che, come donna, aveva la missione della resi- stenza. Perche1 il mio desiderio avrebbe dovuto darmi un rimorso quando pareva fosse proprio venuto a tempo per salvarmi dal tedio che in quell'epoca mi minacciava? Non danneggia- va affatto i miei rapporti con Augusta, anzi tutt'altro. Io le dicevo oramai non piu2 soltanto le parole di affetto che avevo sempre avute per lei, ma anche quelle che nel mio animo andavano formandosi per l'altra. Non c'era mai stata una simile abbondanza di dolcezza in casa mia e Augusta ne pareva incantata. Ero sempre esatto in quello che io chiama- vo l'orario della famiglia. La mia coscienza e2 tanto delicata che, con le mie maniere, gia2 allora mi preparavo ad attenua- re il mio futuro rimorso. Che la mia resistenza non sia mancata del tutto e2 provato dal fatto che io arrivai a Carla non con uno slancio solo, ma a tappe. Dapprima per varii giorni giunsi solo fino al Giardino Pubblico e con la sincera intenzione di gioire di quel verde che apparisce tanto puro in mezzo al grigio delle strade e delle case che lo circondano. Poi, non avendo avuta la fortuna di imbattermi, come speravo, casualmente in lei, uscii dal Giardino per movermi proprio sotto le sue finestre. Lo feci con una grande emozione che ricordava proprio quella deliziosissima del giovinetto che per la prima volta accosta l'amore. Da tanto tempo ero privo non d'amore, ma delle corse che vi conducono. Ero appena uscito dal Giardino Pubblico che m'imbattei proprio faccia a faccia in mia suocera. Dapprima ebbi un dubbio curioso: di mattina, cosi2 di buon'ora, da quelle parti tanto lontane dalle nostre? Forse anche lei tradiva il marito ammalato. Seppi poi subito che le facevo un torto perche1 essa era stata a trovare il medico per averne conforto dopo una cattiva notte passata accanto a Giovanni. Il medico le aveva detto delle buone parole, ma essa era tanto agitata che presto mi lascio2 dimenticando persino di sorprendersi di avermi trovato in quel luogo visitato di solito da vecchi, bambini e balie. Ma mi basto2 di averla vista per sentirmi riafferrato dalla 162 mia famiglia. Camminai verso casa con un passo deciso, a cui battevo il tempo mormorando: <>. In quell'istante la madre di Augusta con quel suo dolore mi aveva dato il sentimento di tutti i miei doveri. Fu una buona lezione e basto2 per tutto quel giorno. Augusta non era in casa perche1 era corsa dal padre col quale rimase tutta la mattina. A tavola mi disse che avevano discusso se, dato lo stato di Giovanni, non avrebbero dovuto rimandare il matrimonio di Ada ch'era stabilito per la setti- mana dopo. Giovanni stava gia2 meglio. Pare che a cena si fosse lasciato indurre a mangiar troppo e l'indigestione aves- se assunto l'aspetto di un aggravamento del male. Io le raccontai di aver gia2 avute quelle notizie dalla madre in cui m'ero imbattuto la mattina al Giardino Pubblico. Neppure Augusta si meraviglio2 della mia passeggiata, ma io sentii il bisogno di darle delle spiegazioni. Le raccontai che preferivo da qualche tempo il Giardino Pubblico quale meta delle mie passeggiate. Mi sedevo su una panchina e vi legge- vo il mio giornale. Poi aggiunsi: <> Augusta, che a quel proposito si sentiva un poco colpevo- le, ebbe un aspetto di dolore e di rimpianto. Io, allora, mi sentii benissimo. Ma ero realmente purissimo perche1 passai il pomeriggio intero nel mio studio e potevo veramente credere di essere definitivamente guarito di ogni desiderio perverso. Leggevo oramai l'Apocalisse. E ad onta che fosse oramai assodato ch'io avevo l'autoriz- zazione di andare ogni mattina al Giardino Pubblico, tanto grande s'era fatta la mia resistenza alla tentazione che quan- do il giorno appresso uscii, mi diressi proprio dalla parte opposta. Andavo a cercare certa musica volendo provare un nuovo metodo del violino che m'era stato consigliato. Prima di uscire seppi che mio suocero aveva passata una notte ottima e che sarebbe venuto da noi in vettura nel pomerig- gio. Ne avevo piacere tanto per mio suocero quanto per Guido, che finalmente avrebbe potuto sposarsi. Tutto anda- va bene: io ero salvo ed era salvo anche mio suocero. Ma fu proprio la musica che mi ricondusse a Carla! Fra i metodi che il venditore m'offerse ve ne fu per errore uno che non era del violino ma del canto. Ne lessi accuratamente il 163 titolo: <>. Lasciai che il venditore s'occupasse di altri clienti e mi misi a leggere l'operetta. Devo dire che leggevo con un'agitazio- ne che forse somigliava a quella con cui il giovinetto depra- vato accosta le opere di pornografia. Ecco: quella era la via per arrivare a Carla; essa abbisognava di quell'opera e sa- rebbe stato un delitto da parte mia di non fargliela conosce- re. La comperai e ritornai a casa. L'opera di Garcia constava di due parti di cui una teorica e l'altra pratica. Continuai la lettura con l'intenione di inten- derla tanto bene da poter poi dare i miei consigli a Carla quando fossi andato da lei col Copler. Intanto avrei guada- gnato del tempo e avrei potuto tuttavia continuare a dorrnire i miei sonni tranquilli, pur sollazzandomi sempre col pensie- ro all'avventura che m'aspettava. Ma Augusta stessa fece precipitare gli avvenimenti. M'in- terruppe nella mia lettura per venir a salutammi, si chino2 su di me e sfioro2 la mia guancia con le sue labbra. Mi domando2 che cosa facessi e sentito che si trattava di un nuovo metodo, penso2 fosse per violino e non si curo2 di guardare meglio. Io, quand'essa mi lascio2, esagerai il pericolo che avevo corso e pensai che per la mia sicurezza avrei fatto bene di non tenere nel mio studio quel libro. Bisognava portarlo subito al suo destino, ed e2 cosi2 che fui costretto ad andar dritto verso la mia avventura. Avevo trovato qualche cosa di piu2 di un pretesto per poter fare quello ch'era il mio desiderio. Non ebbi piu2 esitazioni di sorta. Giunto su quel pianerot- tolo, mi rivolsi subito alla porta a sinistra. Pero2 dinanzi a quella porta m'arrestai per un istante ad ascoltare i suoni della ballata <1La mia bandiera>1 ch'echeggiavano gloriosamen- te sulle scale. Pareva che, per tutto quel tempo, Carla avesse continuato a cantare la stessa cosa. Sorrisi pieno di affetto e di desiderio per tanta infantilita2. Apersi poi cautamente la porta senza bussare ed entrai nella stanza in punta di piedi. Volevo vederla subito, subito. Nel piccolo ambiente la sua voce era veramente sgradevole. Essa cantava con grande entusiasmo e maggior calore che non quella volta della rnia prima visita. Era addirittura abbandonata sullo schienale 164 della sedia per poter emettere tutto il fiato dei suoi polmoni. Io vidi solo la testina fasciata dalle grosse treccie e mi ritirai colto da un'emozione profonda per aver osato tanto. Essa intanto era arrivata all'ultima nota che non voleva finire piu2 ed io potei ritornare sul pianerottolo e chiudere dietro di me la porta senza ch'essa di me s'accorgesse. Anche quell'ulti- ma nota aveva oscillato in su e in giu2 prirna di affermarsi sicura. Carla sentiva dunque la nota giusta e toccava ora al Garcia d'intervenire per insegnarle a trovarla piu2 presto. Bussai quando mi sentii piu2 calmo. Subito essa accorse ad aprire la porta ed io non dimentichero2 giammai la sua figuri- na gentile, poggiata allo stipite, mentre mi fissava coi suoi grandi occhi bruni prima di saper riconoscermi nell'oscurita2. Ma intanto io m'ero calmato in modo da venir ripreso da tutte le mie esitazioni. Ero avviato a tradire Augusta, ma pensavo che corne nei giorni precedenti avevo potuto con- tentarmi di giungere fino al Giardino Pubblico, tanto piu2 facilmente ora avrei potuto fermarmi a quella porta, conse- gnare quel libro compromettente e andarrnene pienamente soddisfatto. Fu un breve istante pieno di buoni propositi. Ricordai persino un consiglio strano che m'era stato dato per liberarmi dall'abitudine del fumo e che poteva valere in quell'occasione: talvolta, per contentarsi, bastava accende- re il cerino e gettare poi via e sigaretta e cerino. Mi sarebbe stato anche facile di far cosi2, perche1 Carla stessa, quando mi riconobbe, arrossi2 e accenno2 a fuggire vergognandosi -- come seppi poi -- di farsi trovare vestita di un povero e consunto vestitino di casa. Una volta riconosciuto, sentii il bisogno di scusarmi: <> Il suono delle parole -- o cosi2 mi parve -- era abbastanza brusco, ma non il significato, perche1 in complesso la lasciavo arbitra di decidere lei se avessi dovuto andarmene o restare e tradire Augusta. Essa subito decise, perche1 afferro2 la mia mano per tratte- nermi piu2 sicuramente e mi fece entrare. L'emozione m'o- scuro2 la vista e ritengo sia stata provocata non tanto dal dolce contatto di quella mano, ma da quella familiarita2 che mi parve decidesse del mio e del destino di Augusta. Percio2 credo di essere entrato con qualche riluttanza e, quando 165 rievoco la storia del mio primo tradimento, ho il sentimento di averlo compiuto perche1 trascinatovi. La faccia di Carla era veramente bella cosi2 arrossata. Fui deliziosamente sorpreso all'accorgermi che se non ero stato aspettato da lei, essa pur aveva sperata la mia visita. Essa mi disse con grande compiacenza: <> Io, certo, se avessi voluto, avrei potuto prenderla subito fra le mie braccia, ma non ci pensavo neppure. Ci pensavo tanto poco che non risposi neppure alle sue parole che mi parevano compromettenti e mi rimisi a parlare del Garcia e della necessita2 di quel libro per lei. Ne parlai con una furia che mi porto2 a qualche parola meno considerata. Garcia le avrebbe insegnato il modo di rendere le note solide come il metallo e dolci come l'aria. Le avrebbe spiegato come una nota non possa rappresentare che una linea retta e anzi un piano, ma un piano veramente levigato. Il mio fervore spari2 solo quand'essa m'interruppe per manifestarmi un suo dubbio doloroso: <> Fui stupito della sua domanda. Io avevo fatta una critica rude, ma non ne avevo la coscienza e protestai in piena buona fede. Protestai tanto bene che mi parve di esser ritornato, sempre parlando del solo canto, all'amore che tanto imperiosamente m'aveva trascinato in quella casa. E le mie parole furono tanto amorose che lasciarono tuttavia trasparire una parte di sincerita2: <> Quale potenza aveva tuttavia nel mio animo il pensiero di Augusta, se continuavo ostinatamente a protestare di non essere stato trascinato dal mio desiderio! Carla stette a sentire le mie parole lusinghiere, ch'essa non era neppure al caso di analizzare. Non era molto colta, ma, con mia grande sorpresa, compresi che non mancava di buon senso. Mi racconto2 ch'essa stessa aveva dei forti dubbi sul suo talento e sulla sua voce: sentiva che non faceva dei 166 progressi. Spesso, dopo una certa quantita2 di ore di studio, essa si concedeva lo svago e il premio di cantare <1La mia>1 <1bandiera>1 sperando di scoprire nella propria voce qualche nuova qualita2. Ma era sempre la stessa cosa: non peggio e forse sempre abbastanza bene come le assicuravano quanti la udivano ed io anche (e qui mi mando2 dai suoi begli occhi bruni un lampo mitemente interrogativo che dimostrava com'essa avesse bisogno di essere rassicurata sul senso delle mie parole che ancora le sembrava dubbio) ma un vero progresso non c'era. Il maestro diceva che in arte non c'era- no progressi lenti, ma grandi salti che portavano alla meta e che un bel giorno essa si sarebbe destata grande artista. <> aggiunse guardando nel vuoto e rivedendo forse tutte le sue ore di noia e di dolore. Si dice onesto prima di tutto quello ch'e2 sincero e da parte mia sarebbe stato onestissimo di consigliare alla povera fanciulla di lasciare lo studio del canto e divenire la mia amante. Ma io non ero ancora giunto tanto lontano dal Giardino Pubblico, eppoi, se non altro, non ero molto sicuro del mio giudizio nell'arte del canto. Da alcuni istanti io ero fortemente preoccupato da una sola persona: quel noioso Copler che passava ogni festa nella mia villa con me e con mia moglie. Sarebbe stato quello il momento di trovare un pretesto per pregare la fanciulla di non raccontare al Copler della mia visita. Ma non lo feci non sapendo come travestire la mia domanda e fu bene perche1 pochi giorni appresso il povero mio amico ammalo e subito dopo mori2. Intanto le dissi ch'essa avrebbe trovato nel Garcia tutto quello che cercava, e per un istante solo, ma solo per un istante, essa ansiosamente aspetto2 dei miracoli da quel libro. Presto pero2, trovandosi dinanzi a tante parole, dubito2 del- l'efficacia della magia. Io leggevo le teorie del Garcia in italiano, poi in italiano gliele spiegavo e, quando non basta- va, gliele traducevo in triestino, ma essa non sentiva moversi niente nella sua gola e una vera efficacia in quel libro essa avrebbe potuto riconoscere solo se si fosse manifestata in quel punto. Il male e2 che anch'io, poco dopo, ebbi la convin- zione che in mano mia quel libro non valeva molto. Riveden- do per ben tre volte quelle frasi e non sapendo che famnene, mi vendicai della mia incapacita2 criticandole liberamente. Ecco che il Garcia perdeva il suo e il mio tempo per provare 167 che poiche1 la voce umana sapeva produrre varii suoni non era giusto di considerarla quale uno strumento solo. Anche il violino allora avrebbe dovuto essere considerato quale un conglomerato di strumenti. Ebbi forse torto di comunicare a Carla tale mia critica, ma accanto ad una donna che si vuole conquistare e2 difficile di trattenersi dall'approfittare di un'occasione che si presenti per dimostrare la propria supe- riorita2. Essa infatti m'ammiro2, ma proprio fisicamente al- lontano2 da se1 il libro ch'era il nostro Galeotto, ma che non ci accompagno2 fino alla colpa. Io ancora non mi rassegnai di rinunziarvi e lo rimandai ad altra mia visita. Quando il Copler mori2 non- ve ne fu pi~ di bisogno. Era rotto qualun- que nesso fra quella casa e la mia e cosi2 il mio procedere non poteva essere frenato che dalla mia coscienza. Ma intanto eravamo divenuti abbastanza intimi, di un'in- timita2 maggiore di quanto si avrebbe potuto attendersi da quella mezz'ora di conversazione. Io credo che l'accordo in un giudizio critico unisca intimamente. La povera Carla approfitto2 di tale intimita2 per mettermi a parte delle sue tristezze. Dopo l'intervento del Copler, in quella casa si viveva modestamente ma senza grandi privazioni. Il mag- gior peso per le due povere donne era il pensiero del futuro. Perche1 il Copler portava loro a date ben precise il suo soccorso, ma non permetteva di calcolarvi con sicurezza; egli non voleva pensieri e preferiva li avessero loro. Poi non dava gratuitamente quei denari: era il vero padrone in quella casa e intendeva di essere informato di ogni piccolezza. Guai se si permettevano una spesa non preventivamente approva- ta da lui! La madre di Carla, poco tempo prima, era stata indisposta e Carla, per poter accudire alle faccende domesti- che, aveva trascurato per qualche giorno di cantare. Infor- matone dal maestro, il Copler fece una scenata e se ne ando2 dichiarando che allora non valeva la pena di seccare dei valentuomini per indurli a soccorrerle. Per varii giorni esse vissero nel terrore temendo di essere abbandonate al loro destino. Poi, quando ritorno2, rinnovo2 patti e condizioni e stabili2 esattamente per quante ore al giorno Carla dovesse sedere al pianoforte e quante ne potesse dedicare alla casa. Minaccio2 anche di venir a sorprenderle a tutte le ore del giorno. <> concludeva la fanciulla <> E di nuovo mi strinse la rnano. Poiche1 io non risposi subito, essa temette ch'io mi sentissi solidale col Copler, e aggiunse: <> Questa frase voleva essere un complimento diretto a mne, ma anche al Copler. La sua figura presentatamni con tanta antipatia da Carla, era nuova per me e destava proprio la mia simpatia. Avrei voluto somigliargli mentre il desiderio che mi aveva portato in quella casa me ne rendeva tanto dissimile! Era ben vero che alle due donne egli portava i denari altrui, ma dava tutta l'opera propria, una parte della propria vita. Quella rabbia, ch'egli dedicava loro, era veramente paterna. Ebbi pero2 un dubbio: e se a tale opera fosse stato indotto dal desiderio? Senz'esitare domandai a Carla: <> <> rispose Carla con vivacita2. <> Visto ch'io mi misi a ridere, Carla si spiego2 meglio: <> Ecco il vantaggio dei malati reali; appariscono piu2 vecchi di quanto non sieno. Feci un debole tentativo di somigliare al Copler. Sorriden- do per non spaventare troppo la povera fanciulla, le dissi che anch'io, quando mi occupavo di qualcuno, finivo col diveni- re molto imperioso. In complesso anch'io trovavo che quan- do si studiava un'arte si dovesse farlo seriamente. Poi m'in- vestii tanto bene nella mia parte che cessai persino di sorri- dere. Il Copler aveva ragione d'essere severo con una giovi- netta che non poteva intendere il valore del tempo: bisogna- va anche ricordare quante persone facevano dei sacrifici per aiutarla. Ero veramente serio e severo. 169 Venne cosi2 per me l'ora di andare a colazione e special- mente quel giorno non avrei voluto far aspettare Augusta. Porsi la mano a Carla e allora m'avvidi com'essa fosse palli- da. Volli confortarla: <> Essa ringrazio2, ma pareva tuttavia abbattuta. Poi seppi che vedendomi arrivare, essa subito aveva indovinata quasi la verita2 e aveva pensato ch'io fossi innamorato di lei e quindi salva. Poi invece -- e proprio quando m'accinsi ad andarmene -- essa credette che anch'io fossi innamorato solo dell'arte e del canto e che percio2 se essa non avesse cantato bene e fatto dei progressi, l'avrei abbandonata. Mi parve abbattutissima. Fui preso da compassione e, visto che non c'era altro tempo da perdere, la rassicurai col mezzo ch'essa stessa aveva designato quale il piu2 efficace. Ero gia2 alla porta che l'attrassi a me, spostai accuratamente col naso la grossa treccia dal suo collo cui cosi2 giunsi con le labbra e sfiorai persino coi denti. Aveva l'apparenza di uno scherzo ed anch'essa fini2 col riderne, ma soltanto quando io la lasciai. Fino a quel momento essa era rimasta inerte e stupita fra le mie braccia. Mi segui2 sul pianerottolo e, quando cominciai a scendere, mi domando2 ridendo: <> <> risposi io gia2 incerto. Poi piu2 deciso: <>. Quindi, in seguito al desiderio di non compromettermi troppo, aggiunsi: <>. Ella non muto2 di espressione in quel breve tempo: assenti2 alla prima malsicura promessa, assenti2 riconoscente alla seconda e assenti2 anche al mio terzo proposito, sempre sorridendo. Le donne sanno sempre quello che vogliono. Non ci furono esitazioni ne1 da parte di Ada che mi respinse, ne1 dall'Augusta che mi prese, e neppure da Carla, che mi lascio2 fare. Sulla via mi trovai subito piu2 vicino ad Augusta che non a Carla. Respirai l'aria fresca, aperta ed ebbi pieno il senti- mento della mia liberta2. Io non avevo fatto altro che uno scherzo che non poteva perdere tale suo carattere perche1 era finito su quel collo e sotto quella treccia. Infine Carla aveva 170 accettato quel bacio come una promessa di affetto e sopra tutto di assistenza. Quel giorno a tavola, pero2, cominciai veramente a soffri- re. Tra me e Augusta stava la mia avventura, come una grande ombra fosca che mi pareva impossibile non fosse vista anche da lei. Mi sentivo piccolo, colpevole e malato, e sentivo il dolore al fianco come un dolore simpatico che riverberasse dalla grande ferita alla mia coscienza. Mentre distrattamente fingevo di mangiare, cercai il sollievo in un proposito ferreo: "Non la rivedro2 piu2" pensai "e se, per riguardo, la dovro2 rivedere, sara2 per l'ultima volta". Non si pretendeva poi mica tanto da me: un solo sforzo, quello di non rivedere piu2 Carla. Augusta, ridendo, mi domando2: <> Mi misi a ridere anch'io. Era un grande sollievo quello di poter parlare. Le parole non erano quelle che avrebbero potuto dare la pace intera perche1 per dire quelle sarebbe occorso di confessare eppoi promettere, ma, non potendo altrimenti, era gia2 un bel sollievo di dirne delle altre. Parlai abbondantemente, sempre lieto e buono. Poi trovai ancora di meglio: parlai della piccola lavanderia ch'essa tanto desi- derava e che io fino ad allora le aveva rifiutata, e le diedi subito il permesso di costruirla. Essa fu tanto commossa del mio non sollecitato permesso che si alzo2 e venne a darmi un bacio. Ecco un bacio ch'evidentemente cancellava quell'al- tro, ed io mi sentii subito meglio. Fu cosi2 ch'ebbimo la lavanderia e ancora oggidi2, quando passo dinanzi alla minuscola costruzione, ricordo che Augu- sta la volle e Carla la consenti2. Segui2 un pomeriggio incantevole riempito dal nostro af- fetto. Nella solitudine la mia coscienza era piu2 seccante. La parola e l'affetto di Augusta valevano a calmarla. Uscimmo insieme. Poi l'accompagnai da sua madre e passai anche tutta la serata con lei. Prima di mettermi a dormire, come m'avviene di spesso, guardai lungamente mia moglie che gia2 dormiva raccolta nella sua lieve respirazione. Anche dormendo essa era tutta ordinata, con le coperte fino al mento e i capelli non abbon- danti riuniti in una breve treccia annodata alla nuca. Pensai: "Non voglio procurarle dei dolori. Mai!". Mi addormentai 171 tranquillo. Il giorno seguente avrei chiarita la mia relazione con Carla e avrei trovato il modo di rassicurare la povera fanciulla sul suo avvenire, senza percio2 essere obbligato di darle dei baci. Ebbi un sogno bizzarro: non solo baciavo il collo di Carla, ma lo mangiavo. Era pero2 un collo fatto in modo che le ferite ch'io le infliggevo con rabbiosa volutta2 non sangui- navano, e il collo restava percio2 sempre coperto dalla sua bianca pelle e inalterato nella sua forma lievemente arcua- ta. Carla, abbandonata fra le mie braccia, non pareva sof- frisse dei miei morsi. Chi invece ne soffriva era Augusta che improvvisamente era accorsa. Per tranquillarla le dice- vo: <>. Il sogno ebbe l'aspetto di un incubo soltanto quando in mezzo alla notte mi destai e la mia mente snebbiata pote1 ricordarlo, ma non prima, perche1 finche1 duro2, neppure la presenza di Augusta m'aveva levato il sentimento di soddi- sfazione ch'esso mi procurava. Non appena desto, ebbi la piena coscienza della forza del mio desiderio e del pericolo ch'esso rappresentava per Au- gusta e anche per me. Forse nel grembo della donna che mi dormiva accanto gia2 s'iniziava un'altra vita di cui sarei stato responsabile. Chissa2 quello che avrebbe preteso Carla quan- do fosse stata la mia amante? A me pareva desiderosa del godimento che fino ad allora le era stato conteso, e come avrei io saputo provvedere a due famiglie? Augusta doman- dava l'utile lavanderia, l'altra avrebbe domandata qualche altra cosa, ma non meno costosa. Rividi Carla mentre sul pianerottolo mi salutava ridendo dopo di essere stata bacia- ta. Essa gia2 sapeva ch'io sarei stato la sua preda. N'ebbi spavento e 1a2, solo e nell'oscurita2, non seppi trattenere un gemito. Mia moglie, subito desta, mi domando2 che cosa avessi ed io risposi con una breve parola, la prima che mi si fosse affacciata alla mente quando seppi rimettermi dallo spaven- to di vedermi interrogato in un momento in cui mi pareva di aver gridata una confessione: <> Ella rise e cerco2 di consolarmi senza percio2 tagliare il sonno cui s'aggrappava. M'invio2 la frase stessa che sempre 172 mi diceva quando mi vedeva spaventato del tempo che anda- va via: <> L'esortazione giovo2: non ci pensai piu2 e mi riaddormen- tai. La parola nella notte e2 come un raggio di luce. Illumina un tratto di realta2 in confronto al quale sbiadiscono le costru- zioni della fantasia. Perche1 avevo tanto da temere della povera Carla di cui ancora non ero l'amante? Era evidente che avevo fatto di tutto per spaventarmi della mia situazio- ne. Infine, il <1be1be1>1 che avevo evocato nel grembo di Augusta finora non aveva dato altro segno di vita che la costruzione della lavanderia. Mi alzai sempre accompagnato dai migliori propositi. Corsi al mio studio e preparai in una busta qualche poco di denaro che volevo offrire a Carla nello stesso istante in cui le avrei annunziato il mio abbandono. Pero2 mi sarei dichiarato pronto di mandarle per posta dell'altro denaro ogni qualvol- ta essa me ne avesse domandato scrivendomi ad un indirizzo che le avrei fatto sapere. Proprio quando m'accingevo ad uscire, Augusta m'invito2 con un dolce sorriso ad accompa- gnarla in casa del padre. Era arrivato da Buenos Aires il padre di Guido per assistere alle nozze, e bisognava andare a farne la conoscenza. Essa certamente si curava meno del padre di Guido che di me. Voleva rinnovare la dolcezza del giorno prima. Ma la cosa non era piu2 la stessa: a me pareva fosse male lasciar trascorrere del tempo fra il mio buon proposito e la sua esecuzione. Intanto che noi camminava- mo sulla via uno accanto all'altro e, all'apparenza, sicuri del nostro affetto, l'altra si riteneva gia2 amata da me. Cio2 era male. Sentii quella passeggiata come una vera e propria costrizione. Trovammo Giovanni che stava realmente meglio. Solo non poteva mettere gli stivali per una certa gonfiezza ai piedi cui egli non attribuiva importanza ed io in allora neppure. Si trovava in salotto col padre di Guido cui mi presento2. Augu- sta ci lascio2 subito per andare a raggiungere la madre e la sorella. Il signor Francesco Speier mi parve un uomo molto meno istruito del figlio. Era piccolo, tozzo, sulla sessantina, di poche idee e di poca vivacita2, forse anche perche1 in seguito 173 ad una malattia aveva l'orecchio molto indebolito. Ficcava qualche parola spagnuola nel suo italiano: <> I due vecchi parlavano di affari, e Giovanni ascoltava attentamente perche1 quegli affari erano molto importanti per il destino di Ada. Stetti ad ascoltare distrattamente. Sentii che il vecchio Speier aveva deciso di liquidare i suoi affari nell'Argentina e di consegnare a Guido tutti i suoi <1duros>1 perche1 li impiegasse alla fondazione di una ditta a Trieste; poi egli sarebbe ritornato a Buenos Aires per vivere con la moglie e con la figlia con un piccolo podere che gli rimaneva. Non compresi perche1 raccontasse in mia presenza a Giovanni tutto cio2, ne1 lo so neppur oggi. A me parve che ambedue a un dato punto cessassero di parlare, guardandomi come se avessero aspettato da me un consiglio ed io, per essere gentile, osservai: <> Giovanni urlo2 subito: <> Lo scoppio di voce ricordava i suoi migliori tempi, ma e2 certo che se egli non avesse urlato tanto, il signor Francesco non avrebbe rilevata la mia osser- vazione. Cosi2, invece, impallidi2 e disse: <> Giovanni, sempre urlando, cerco2 di rassicurarlo: <> Il signor Francesco tuttavia non parve molto rasserenato ed aspettava proprio da me una parola che lo rassicurasse. Io la diedi subito e abbondante perche1 il vecchio ora sentiva meno di prima. Poi il discorso fra i due uomini d'affari continuo2, ma io mi guardai bene dall'intervenire piu2 oltre. Giovanni mi guarda- va di tempo in tempo al disopra degli occhiali per sorvegliar- mi e il suo respiro pesante pareva una minaccia. Pario2 poi a lungo e mi domando2 a un dato punto: <> Io annuii fervidamente. Tanto piu2 fervido dovette apparire il mio consenso in quanto ogni mio atto era reso piu2 espressivo dalla rabbia che 174 sempre piu2 mi pervadeva. Che cosa stavo facendo in quel luogo lasciando trascorrere il tempo utile per effettuare i miei buoni propositi? Mi obbligavano di trascurare un'opera tanto utile a me e ad Augusta! Stavo preparando una scusa per andarmene, ma in quel momento il salotto fu invaso dalle donne accompagnate da Guido. Questi, subito dopo l'arrivo del padre, aveva regalato alla sposa un magnifico anello. Nessuno mi guardo2 o saluto2, nernmeno la piccola Anna. Ada aveva gia2 al dito la gemma splendente e, sempre poggiando il braccio sulla spalla del fidanzato, la faceva vedere al padre. Le donne guardavano anche loro estatiche. Neppure gli anelli m'interessavano. Se non portavo nep- pure quello matrimoniale perche1 m'impediva la circolazione del sangue! Senza salutare infilai la porta del salotto, andai alla porta di casa e m'accinsi ad uscire. Augusta pero2 s'accor- se della mia fuga e mi raggiunse in tempo. Fui stupito del suo aspetto sconvolto. Le sue labbra erano pallide come il gior- no del nostro matrimonio, poco prima che andassimo in chiesa. Le dissi che avevo un affare di premura. Poi essendo- mi in buon punto ricordato che pochi giorni prima, per un capriccio, avevo comperato degli occhiali leggerissimi da presbite che poi non avevo provati dopo di averli posti nel taschino del panciotto dove li sentivo, le dissi che avevo un appuntamento con un oculista per farmi esaminare la vista che da qualche tempo mi pareva indebolita. Essa rispose che avrei potuto andarmene subito, ma che mi pregava di fare prima i miei convenevoli col padre di Guido. Mi strinsi nelle spalle dall'impazienza, ma tuttavia la compiacqui. Rientrai nel salotto e tutti gentilmente mi salutarono. In quanto a me, sicuro che ora mi mandavano via, ebbi persino un momento di buon umore. Il padre di Guido che in tanta famiglia non si raccapezzava bene, mi domando2: <> <> dissi io <> Tutti risero ed io me ne andai trionfalmente accompagna- to anche da un saluto abbastanza lieto da parte di Augusta. Andavo via tanto ordinatamente dopo di aver corrisposto a tutte le formalita2 legali, che potevo camminare sicuro. Ma v'era un altro motivo che mi liberava dai dubbi che fino a 175 casa di mio suocero per allontanarmene piu2 che fosse possi- bile, cioe2 fino da Carla. In quella casa e non per la prima volta (cosi2 mi pareva) mi prospettavano di congiurare bassa- mente ai danni di Guido. Innocentemente e in piena distra- zione io avevo parlato di quel podere che si trovava nell'Ar- gentina, e Giovanni subito aveva interpretate le mie parole come se fosseo state meditate per danneggiare Guido presso suo padre. Con Guido mi sarebbe stato facile di spiegarmi se fosse abbisognato: con Giovanni e gli altri, che mi sospetta- vano capace di simili macchinazioni, bastava la vendetta. Non che io mi fossi proposto di correre a tradire Augusta. Facevo pero2 alla luce del sole quello che desideravo. Una visita a Carla non implicava ancora niente di male ed anzi, se io da quelle parti mi fossi imbattuto ancora una volta in mia suocera e se essa mi avesse domandato che cosa io fossi andato a farvi, le avrei subito risposto: <> Fu percio2 quella la sola volta che andai da Carla senza ricordare Augusta. Tanto mi aveva offeso il contegno di mio suocero! Sul pianerottolo non sentii echeggiare la voce di Carla. Ebbi un istante di terrore: che essa fosse uscita? Bussai e subito entrai prima che qualcuno me ne avesse dato il per- messo. Carla v'era bensi2, ma con lei si trovava anche sua madre. Cucivano assieme in un'associazione che potra2 esse- re frequente, ma che io mai prima avevo vista. Lavoravano ambedue allo stesso grande lenzuolo, ai suoi lembi, una molto lontana dall'altra. Ecco ch'io ero corso da Carla e arrivavo a Carla accompagnata dalla madre. Era tutt'altra cosa. Non si potevano attuare ne1 i buoni ne1 i cattivi proposi- ti. Tutto continuava a restare in sospeso. Molto accesa, Carla si levo2 in piedi mentre la vecchia lentamente si levo2 gli occhiali che ripose in una busta. Io intanto credetti di poter essere indignato per altra ragione che non fosse quella di vedermi interdetto di chiarire subito l'animo mio. Non erano queste le ore che il Copler aveva destinate allo studio? Salutai gentilmente la vecchia signora e mi fu difficile persino di sottopormi a tale atto di gentilez- za. Salutai anche Carla quasi senza guardarla. Le dissi: <> e accennai al Garcia che si trovava intatto sul tavolo al 176 posto ove l'avevamo lasciato <> M'assisi al posto che avevo occupato il giorno prima e subito apersi il libro. Carla tento2 dapprima di sorridermi, ma visto che io non corrisposi alla sua gentilezza, sedette con una certa sollecitudine di obbedienza accanto a me, per guardare. Era esitante; non comprendeva. Io la guardai e vidi che sulla sua faccia si distendeva qualche cosa che pote- va significare sdegno e ostinazione. Mi figurai che cosi2 usas- se di accogliere i rimproveri del Copler. Solo essa non era ancora sicura che i miei rimproveri fossero proprio quelli che il Copler le indirizzava perche1 -- come me lo disse poi -- ricordava ch'io il giorno prima l'avevo baciata e percio2 cre- deva di esser per sempre rassicurata sulla mia ira. Era percio2 sempre ancora pronta a convertire quel suo sdegno in un sorriso amichevole. Debbo dire qui, perche1 piu2 tardi non ne avro2 il tempo, che questa sua fiducia di avermi addomestica- to definitivamente con quel solo bacio che m'aveva conces- so, mi dispiacque enormemente: una donna che pensa cosi2 e2 molto pericolosa. Ma in quel momento il mio animo era proprio quello stesso del Copler, carico di rimproveri e di risentimento. Mi misi a leggere ad alta voce proprio quella parte che il giorno prima avevamo gia2 letta e che io stesso avevo demolita, pedantescamente, e non commentando altrimenti, pesando sul alcune parole che mi parevano piu2 significative. Con voce un po' tremante Carla m'interruppe: <> Cosi2 fui finalmente obbligato di dire parole mie. Anche la parola propria puo2 dare un po' di salute. La mia non soltanto fu piu2 mite del mio animo e del mio comportamento, ma addirittura mi ricondusse alla vita di societa2: <> e accompagnai subito l'appellativo vez- zeggiativo con un sorriso che poteva essere anche di amante <> Sentii finalmente anche il bisogno di usare un riguardo alla povera vecchia signora che certamente nel corso della sua vita e per quanto poco fortunata fosse stata, non si era mai trovata in un frangente simile. Inviai anche a lei un 177 sorriso che mi costo2 piu2 fatica di quello regalato a Carla: <> le dissi <> Continuai ostinatamente a leggere. Carla certamente si sentiva meglio, e sulle sue labbra carnose errava qualche cosa che somigliava ad un sorriso. La vecchia invece appari- va sempre come un povero anirnale catturato e restava in quella stanza solo perche1 la sua timidezza le impediva di trovare il modo di andarsene. Io poi, a nessun prezzo avrei tradito il mio desiderio di buttarla fuori di quella stanza. Sarebbe stata una cosa grave e compromettente. Carla fu piu2 decisa: con molto riguardo mi prego2 di so- spendere per un momento quella lettura e, rivoltasi alla madre, le disse che poteva andarsene e che il lavoro a quel lenzuolo l'avrebbero continuato nel pomeriggio. La signora s'avvicino2 a me, esitante se porgermi la mano. Io gliela strinsi addirittura affettuosamente e le dissi: <> Sembrava volessi deplorare ch'essa ci lasciasse. La signo- ra se ne ando2 dopo di aver posto su di una sedia il lenzuolo ch'essa fino ad allora aveva tenuto in grembo. Poi Carla la segui2 per un istante sul pianerottolo per dirle qualche cosa mentre io smaniavo di averla finalmente accanto. Rientro2, chiuse dietro di se1 la porta e ritornando al suo posto ebbe di nuovo attorno alla bocca qualche cosa di rigido che ricorda- va l'ostinazione su una faccia infantile. Disse: <> <> gridai io e l'aggredii con un abbraccio violento che mi porto2 a baciarla prima in bocca eppoi subito sul punto stesso ove avevo baciato il giorno prima. Curioso! Essa si mise a piangere dirottamente e si sottras- se a me. Disse singhiozzando che aveva sofferto troppo di avermi visto entrare a quel modo. Essa piangeva per quella solita compassione di se1 stesso che tocca a chi vede compian- to il proprio dolore. Le lacrime non sono espresse dal dolo- re, ma dalla sua storia. Si piange quando si grida all'ingiusti- zia. Era infatti ingiusto di obbligare allo studio quella bella fanciulla che si poteva baciare. 178 In complesso andava peggio di quanto m'ero figurato. Dovetti spiegarmi e per far presto non mi presi il tempo necessario per inventare e raccontai l'esatta verita2. Le dissi della mia impazienza di vederla e di baciarla. Io m'ero proposto di venir da lei di buon'ora; in questo proposito avevo persino passata la notte. Naturalmente non seppi dire che cosa mi prefiggessi di fare venendo da lei, ma cio2 era poco importante. Era vero che la stessa dolorosa impazienza l'avevo sentita quando avevo voluto andare da lei per dirle che volevo abbandonarla per sempe e quand'ero accorso per prenderla fra le mie braccia. Poi le raccontai degli avveni- menti della mattina e come mia moglie m'avesse obbligato di uscire con lei e m'avesse condotto da mio suocero ove ero stato immobilizzato ad ascoltare come si discorreva di affari che non mi toccavano. Infine, con grandi sforzi arrivo a svincolarmi e a fare la lunga via a passo celere e che cosa trovo?... La stanza tutta ingombra di quel lenzuolo! Carla scoppio2 a ridere perche1 comprese che in me non v'era niente del Copler. Il riso sulla sua bella faccia pareva l'arcobaleno. Ed io la baciai ancora. Essa non rispondeva alle mie carezze, ma le subiva sommessa, un atteggiamento ch'io adoro forse perche1 amo il sesso debole in proporzione diretta della sua debolezza. Per la prima volta essa mi rac- conto2 d'aver saputo dal Copler ch'io amavo tanto mia moglie: <> aggiunse ed io vidi passare sulla sua bella faccia I'ombra del proposito serio <> Io a quel proposito tanto saggio non credetti molto perche1 quella stessa bocca che lo esprimeva non sapeva neppur allora sottrarsi ai miei baci. Carla parlo2 lungamente. Voleva evidentemente destare la mia compassione. Ricordo tutto quello ch'essa mi disse e cui credetti solo quando essa spari2 dalla mia vita. Finche1 l'ebbi accanto, sempre la paventai come una donna che prima o poi avrebbe approfittato del suo ascendente su di me per rovina- re me e la mia famiglia. Non le credetti quand'essa m'assicu- ro2 che non domandava altro che di essere sicura della pro- pria vita e della vita della madre. Ora lo so con certezza ch'essa mai ebbe il proposito di ottenere da me piu2 di quanto le occorresse, e quando penso a lei arrossisco dalla vergogna 179 di averla compresa e amata tanto male. Essa, poverina, non ebbe nulla da me. Io le avrei dato tutto, perche1 io sono di quelli che pagano i proprii debiti. Ma aspettavo sempre che rne lo domandasse. Mi racconto2 dello stato disperato in cui s'era trovata alla morte di suo padre. Per mesi e mesi lei e la vecchia erano state obbligate a lavorare giorno e notte a certi ricami che venivano commessi loro da un mercante. Ingenuamente essa credeva che l'aiuto dovesse venire dalla provvidenza divina tant'e2 vero che talvolta per ore era rimasta alla fine- stra per guardare sulla via, donde doveva giungere. Venne invece il Copler. Ora essa si diceva contenta del suo stato, ma lei e sua madre passavano le notti inquiete perche1 l'aiuto che veniva concesso era ben precario. Se un giorno fosse risultato ch'essa non aveva ne1 la voce ne1 il talento per cantare? Il Copler le avrebbe abbandonate. Poi egli parlava di farla apparire su un teatro di li a pochi mesi. E se ci fosse stato un vero e proprio fiasco? Sempre nello sforzo di destare la mia compassione, essa mi racconto2 che la disgrazia finanziaria della sua famiglia aveva anche travolto un suo sogno d'amore: il suo fidanzato l'aveva abbandonata. Io ero sempre lontano dalla compassione. Le dissi: <> Essa rise perche1 le impedivo di parlare. Io vidi cosi2 dinanzi a me un uomo che mi segnava la via. Era da lungo tempo trascorsa l'ora in cui avrei dovuto trovarmi a colazione a casa. Avrei voluto andarmene. Per quel giorno bastava. Ero ben lontano da quel rimorso che m'aveva tenuto desto durante la notte, e l'inquietudine che m'aveva trascinato da Carla era del tutto scomparsa. Ma tranquillo non ero. E, forse, mio destino di non esserlo mai. Non avevo rimorsi perche1 intanto Carla m'aveva promesso tanti baci che volevo a nome di un'amicizia che non poteva offendere Augusta. Mi parve di scoprire la ragione del mal- contento che come al solito faceva serpeggiare vaghi dolori nel mio organismo. Carla mi vedeva in una luce falsa! Carla poteva disprezzarmi vedendomi tanto desideroso dei suoi baci quando amavo Augusta! Quella stessa Carla che faceva mostra di stimarmi tanto perche1 di me aveva tanto bisogno! 180 Decisi di conquistarmi la sua stima e dissi delle parole che dovevano dolermi come il ricordo di un crimine vigliacco, come un tradimento commesso per libera elezione, senza necessita2 e senza nessun vantaggio. Ero quasi alla porta e con l'aspetto di persona serena che a malincuore si confessi, dissi a Carla: <> Poi le raccontai per filo e per segno la storia del mio matrimonio, come mi fossi innamorato della sorella maggio- re di Augusta che non aveva voluto saperne di me perche1 innamorata di un altro, come poi avessi tentato di sposare un'altra delle sue sorelle che pure mi respinse e come infine mi adattassi di sposare lei. Carla credette subito nell'esattezza di questo racconto. Poi seppi che il Copler ne aveva appreso qualche cosa a casa mia e le aveva riferito dei particolari non del tutto veri, ma quasi, ch'io avevo ora rettificato e confermato. <> domando2 essa pensierosa. <> dissi io. C'era qualche centro proibitivo che agiva ancora in me. Avevo detto di stimare mia moglie, ma non avevo mica ancora detto di non amarla. Non avevo detto che mi piaces- se, ma neppure che non potesse piacermi. In quel momento mi pareva di essere molto sincero; ora so di aver tradito con quelle parole tutt'e due le donne e tutto l'amore, il mio e il loro. A dire il vero non ero ancora tranquillo; dunque mancava ancora qualche cosa. Mi sovvenni della busta dei buoni propositi e l'offersi a Carla. Essa l'aperse e me la restitui2 dicendomi che pochi giorni prima il Copler le aveva portata la mesata e che per il momento essa proprio non aveva bisogno di danaro. La mia inquietudine aumento2 per un'an- tica idea che m'ero fatta che le donne veramente pericolose non accettano poco denaro. Essa si avvide del mio malessere e con un'ingenuita2 deliziosa e che apprezzo solamente ora che ne scrivo, mi domando2 poche corone con le quali avreb- be acquistati dei piatti di cui le due donne erano state private da una catastrofe in cucina. Ma poi avvenne una cosa che lascio2 un segno indelebile nella mia memoria. Al momento di andarmene io la baciai, 181 ma questa volta, con tutta intensita2, essa rispose al mio bacio. Il mio veleno aveva agito. Essa disse con tanta inge- nuita2: <> Poi aggiunse con malizia: <> Sul pianerottolo essa domando2 ancora: <> Scendendo rapidamente le scale io le dissi: <> Ecco che qualche cosa restava tuttavia in sospeso nei nostri rapporti; tutto il resto era stato chiaramente stabilito. Me ne derivo2 tale malessere, che quando arrivai all'aria aperta, indeciso mi mossi nella direzione opposta a quella della mia casa. Avrei quasi avuto il desiderio di ritornare subito subito da Carla per spiegarle ancora qualche cosa: il mio amore per Augusta. Si poteva farlo perche1 io non avevo detto di non amarla. Soltanto, come conclusione a quella vera storia che avevo raccontata, avevo dimenticato di dire che oramai io amavo veramente Augusta. Carla, poi, ne aveva dedotto che non l'amavo affatto e percio2 aveva corri- sposto tanto fervidamente al mio bacio, sottolineandolo con una dichiarazione di amore. Mi pareva che, se non ci fosse stato tale episodio, io avrei potuto sopportare piu2 facilmente lo sguardo confidente di Augusta. E pensare che poco prima io ero stato lieto di apprendere che Carla sapesse del mio amore per mia moglie e che cosi2, per sua decisione, l'avven- tura ch'io avevo cercata mi venisse offerta nella forma di un'amicizia condita da baci. Al Giardino Pubblico sedetti su una panchina e, col basto- ne, segnai distrattamente sulla ghiaia la data di quel gior- no. Poi risi amaramente: sapevo che quella non era la data che avrebbe segnato la fine dei miei tradimenti. Anzi, s'ini-- ziavano quel giorno. Dove avrei potuto trovare io la forza per non ritornare da quella donna tanto desiderabile che m'aspettava? Poi avevo gia2 assunti degl'impegni, degl'im- pegni d'onore. Avevo avuto dei baci e non m'era stato con- cesso di dare che il controvalore di alcune terraglie. Era pro- 182 prio un conto non saldato quello che ora mi legava a Carla. La colazione fu triste. Augusta non aveva domandate delle spiegazioni per il mio ritardo ed io non le diedi. Avevo paura di tradirmi, tanto piu2 che nel breve percorso dal Giardino a casa mi ero baloccato con l'idea di raccontarle tutto e la storia del mio tradimento poteva percio2 essere segnata sulla mia faccia onesta. Questo sarebbe stato l'unico mezzo per salvarmi. Raccontandole tutto mi sarei messo sotto la sua protezione e sotto la sua sorveglianza. Sarebbe stato un atto di tale decisione che allora in buona fede avrei potuto segnare la data di quel giorno come un avviamento all'onesta2 e alla salute. Si parlo2 di molte cose indifferenti. Cercai di essere lieto, ma non seppi neppur tentare di essere affettuoso. A lei mancava il fiato; certo aspettava una spiegazione che non venne. Poi essa ando2 a continuare il suo grande lavoro di riporre i panni d'inverno in armadi speciali. La intravvidi di spesso nel pomeriggio, tutta intenta al suo lavoro, 1a2, in fondo al corridoio lungo, aiutata dalla fantesca. Il suo grande dolore non interrompeva la sua sana attivita2. Inquieto, passai spesso dalla mia stanza da letto alla ca- mera da bagno. Avrei voluto chiamare Augusta e dirle almeno che l'amavo perche1 a lei -- povera sempliciona! -- questo sarebbe bastato. Ma invece continuai a meditare e a fumare. Passai naturalmente per varie fasi. Ci fu persino un mo- mento in cui quell'accesso di virtu2 fu interrotto di una viva impazienza di veder arrivare il giorno appresso per poter correre da Carla. Puo2 essere che anche questo desiderio fosse stato ispirato da qualche buon proposito. In fondo la grande difficolta2 era di poter, cosi2 solo, impegnarsi a legarsi al dovere. La confessione che m'avrebbe procurata la colla- borazione di mia moglie era impensabile; restava dunque Carla sulla cui bocca avrei potuto giurare con un ultimo bacio! Chi era Carla? Nemmeno il ricatto era il massimo pericolo che con lei correvo! Il giorno appresso essa sarebbe stata la mia amante: chissa2 quello che ne sarebbe poi conse- guito! Io la conoscevo solo per quanto me ne aveva detto quell'imbecille del Copler e in base ad informizioni prove- nienti da costui, un uomo piu2 accorto di me come ad esempio 183 l'Olivi, non avrebbe neppure accettato di contrarre un affare commerciale. Tutta la sana, bella attivita2 di Augusta intorno alla mia casa era sprecata. La cura drastica del matrimonio che avevo intrapresa nella mia affannosa ricerca della salute era fallita. Io rimanevo malato piu2 che mai e sposato ai danni miei e degli altri. Piu2 tardi, quando fui effettivamente l'amante di Carla, riandando col pensiero a quel triste pomeriggio non arrivai a intendere perche1 prima d'impegnarmi piu2 oltre, non mi fossi arrestato con un virile proposito. Avevo tanto pianto il mio tradimento prima di commetterlo, che si sarebbe dovuto credere facile da evitarlo. Ma del senno di poi si puo2 sempre ridere e anche di quello di prima, perche1 non serve. Fu marcata in quelle ore angosciose in caratteri grandi nel mio vocabolario alla lettera C (Carla) la data di quel giorno con 1 annotazione: <>. Ma il primo tradimento effettivo, che impegnava a tradimenti ulteriori, segui2 soltan- to il giorno dopo. A una tarda ora, non sapendo fare di meglio, presi un bagno. Sentivo una bruttura sul mio corpo e volevo lavarmi. Ma quando fui in acqua pensai: "Per nettarmi dovrei essere capace di sciogliemmi tutto in quest'acqua". Mi vestii poi, cosi2 privo di volonta2, che neppure m'asciugai accuratamen- te. Il giorno spari2 ed io restai alla finestra a guardare le nuove foglie verdi degli alberi del mio giardino. Fui co2lto da brividi e con una certa soddisfazione pensai fossero di feb- bre. Non la morte desiderai ma la malattia, una malattia che mi servisse di pretesto per fare quello che volevo, o che me lo impedisse. Dopo aver esitato per tanto tempo, Augusta venne a cercarmi. Vedendola tanto dolce e priva di rancore, si au- mentarono da me i brividi fino a farmi battere i denti. Spaventata, essa mi costrinse di mettemmi a letto. Battevo sempre i denti dal freddo, ma gia2 sapevo di non aver la febbre e le impedii di chiamare il medico. La pregai di spegnere la lampada, di sedere accanto a me e di non parla- re. Non so per quanto tempo restammo cosi2: riconquistai il necessario calore e anche qualche fiducia. Avevo pero2 la mente ancora tanto offuscata che quando essa riparlo2 di chiamare il medico, le dissi che sapevo la ragione del mio 184 malore e che glielo avrei detto piu2 tardi. Ritornavo al propo- sito di confessare. Non mi rimaneva aperta altra via per liberarmi da tanta oppressione. Cosi2 restammo ancora per vario tempo muti. Piu2 tardi m'accorsi che Augusta s'era levata dalla sua poltrona e mi si accostava. Ebbi paura: forse essa aveva indovinato tutto. Mi prese la mano, l'accarezzo2, poi leggermente poggio2 la sua mano sulla mia testa per sentire se scottasse, e infine mi disse: <> Mi meravigliai delle strane parole e nello stesso tempo che passassero traverso un singhiozzo soffocato. Era evidente ch'essa non alludeva alla mia avventura. Come avrei io potuto prevedere di essere fatto cosi2? Con una certa rudezza le domandai: <> Confusa essa mormoro2: <> Finalmente compresi: essa credeva ch'io soffrissi per l'im- minenza del matrimonio di Ada. A me parve ch'essa vera- mente mi facesse torto: io non ero colpevole di un simile delitto. Mi sentii puro e innocente come un neonato e subito liberato da ogni oppressione. Saltai dal letto: <> La baciai e abbracciai con pieno desiderio e il mio accento fu improntato a tale sincerita2 ch'essa si vergogno2 del suo sospetto. Anche lei ebbe la ingenua faccia sgombera da ogni nube e andammo presto a cena ambedue affamati. A quello stesso tavolo, dove avevamo sofferto tanto, poche ore prima, sede- vamo ora come due buoni compagni in vacanza. Ella mi ricordo2 che le avevo promesso di dirle la ragione del mio malessere. Io finsi una malattia, quella malattia che doveva damni la facolta2 di fare senza colpa tutto quello che mi piaceva. Le raccontai che gia2 in compagnia dei due vecchi signori, alla mattina, m'ero sentito scoraggiato profonda- mente. Poi ero andato a prendere gli occhiali che l'oculista m'aveva prescritti. Forse quel segno di vecchiezza m'aveva avvilito maggiormente. E avevo camminato per le vie della 185 citta2 per ore ed ore. Raccontai anche qualche cosa delle immaginazioni che tanto mi avevano fatto soffrire e ricordo che contenevano persino un abbozzo di confessione. Non so in quale connessione con la malattia immaginaria, parlai anche del nostro sangue che girava, girava, ci teneva eretti, capaci al pensiero e all'azione e percio2 alla colpa e al rimor- so. Essa non capi2 che si trattava di Carla, ma a me parve di averlo detto. Dopo cena inforcai gli occhiali e finsi lungamente di legge- re il mio giornale, ma quei vetri m'annebbiavano la vista. Ne ebbi un aumento del mio turbamento lieto come di alcolizza- to. Dissi di non poter intendere quello che leggevo. Conti- nuavo a fare il malato. La notte la passai pressoche1 insonne. Aspettavo l'abbrac- cio di Carla con pieno grande desiderio. Desideravo proprio lei, la fanciulla dalle ricche treccie fuori di posto e la voce tanto musicale quando la nota non le era imposta. Ella era resa desiderabile anche da tutto cio2 che per lei avevo gia2 sofferto. Fui accompagnato tutta la notte da un ferreo pro- posito. Sarei stato sincero con Carla prima di farla mia e le avrei detta l'intera verita2 sui miei rapporti con Augusta. Nella mia solitudine mi misi a ridere: era molto originale di andare alla conquista di una donna con in bocca la dichiara- zione d'amore per un'altra. Forse Carla sarebbe ritornata alla sua passivita2! E che percio2? Per il momento nessun suo atto avrebbe potuto diminuire il pregio della sua sottomis- sione di cui mi sembrava di poter essere sicuro. La mattina seguente vestendomi mormoravo le parole che le avrei dette. Prima di essere mia, Carla doveva sapere che Augusta col suo carattere e anche con la sua salute (avrei potuto spendere molte parole per spiegare quello ch'io in- tendessi per salute cio2 che avrebbe anche servito ad educare Carla) aveva saputo conquistare il mio rispetto, ma anche il mio amore. Prendendo il caffe2, ero tanto assorto nel preparare un tanto elaborato discorso, che Augusta non ebbe da me altro segno di affetto che un lieve bacio prima di uscire. Se ero tutto suo! Andavo da Carla per riaccendere la mia passione per lei. Non appena entrai nella stanza di studio di Carla, ebbi un tale sollievo al trovarla sola e pronta, che subito l'attirai a me 186 e appassionatamente l'abbracciai. Fui spaventato dall'ener- gia con la quale essa mi respinse. Una vera violenza! Essa non voleva saperne ed io rimasi a bocca aperta in mezzo alla stanza, dolorosamente deluso. Ma Carla subito rimessasi mormoro2: <> Assunsi l'aspetto di un visitatore cerimonioso finche1 l'im- portuno non passo2. Poi chiudemmo la porta. Essa impallidi2 vedendo che giravo anche la chiave. Cosi2 tutto era chiaro. Poco dopo essa mormoro2 fra le mie braccia con voce soffo- cata: <> M'aveva dato del tu, e questo fu decisivo. Io poi avevo subito risposto: <> Avevo dimenticato che avrei voluto prima chiarire qual- che cosa. Subito dopo io avrei voluto cominciare a parlare dei miei rapporti con Augusta avendo tralasciato di farlo prima. Ma era difficile per il momento. Parlando con Carla d'altro in quel momento sarebbe stato come diminuire l'importanza della sua dedizione. Anche il piu2 sordo fra gli uomini sa che non si puo2 fare una cosa simile, per quanto tutti sappiano che non c'e2 confronto fra l'importanza di quella dedizione prima che avvenga e immediatamente dopo. Sarebbe una grande offesa per una donna, che aperse le braccia per la prima volta, sentirsi dire: <>. Ma che ieri? Tutto quello che avvenne il giorno prima deve apparire indegno di essere menzionato e se ad un gentiluomo avviene di non sentire cosi2, tanto peggio per lui e deve fare in modo che nessuno se ne avveda. E certo che io ero quel gentiluomo che non sentiva cosi2 perche1 nella simulazione sbagliai come la sincerita2 non sa- prebbe. Le domandai: <> Volevo dimostrarmi grato o rimproverarla? Probabil- mente non era che un tentativo per iniziare delle spiega- zioni. 187 Essa un po' stupita guardo2 in alto per vedere il mio aspetto: <> e sorrise affettuosa- mente per provarmi che non intendeva di rimproverarmi. Ricordai che le donne esigono si dica che sono state prese. Poi, essa stessa si accorse di aver sbagliato, che le cose si prendono e le persone si accordano e mormoro2: <> Fui preso dal mio dolore al fianco con tale intensita2 che dovetti cessare dall'abbracciarla. Dunque l'importanza del- le mie sconsiderate parole non era stata esagerata da me? Era proprio la mia menzogna che aveva indotta Carla di divenire mia? Ecco che se ora avessi pensato di parlare del mio amore per Augusta, Carla avrebbe avuto il diritto di rimproverarmi nientemeno che di un tranello! Rettifiche e spiegazioni non erano piu2 possibili per il momento. Ma in seguito ci sarebbe stata l'opportunita2 di spiegarsi e di chiari- re. Aspettando che si presentasse, ecco che si costituiva un nuovo legame fra me e Carla. Li2, accanto a Carla, rinacque intera la mia passione per Augusta. Ora non avrei avuto che un desiderio: correre dalla mia vera moglie, solo per vederla intenta al suo lavoro di formica assidua, mentre metteva in salvo le nostre cose in un'atmosfera di canfora e di naftalina. Ma restai al mio dovere, che fu gravissimo per un episodio che mi turbo2 molto dapprima perche1 m'apparve come un'al- tra minaccia della sfinge con la quale avevo da fare. Carla mi racconto2 che subito dopo che me n'ero andato il giorno prima, era venuto il maestro di canto e che essa lo aveva semplicemente messo alla porta. Non seppi celare un gesto di contrarieta2. Era lo stesso che avvisare il Copler della nostra tresca! <> esclamai. Essa si mise a ridere e si rifugio2 questa volta di sua iniziati- va fra le mie braccia: <> Era carina, ma non poteva piu2 conquistarmi. Trovai subi- 188 to anch'io un atteggiamento che mi stava bene, quello del pedagogo, perche1 mi dava anche la possibilita2 di sfogare quel rancore che c'era in fondo all'anima mia per la donna che non mi permetteva di parlare come avrei voluto di mia moglie. <> le dissi <> Avevo prospettata l'eventualita2 del mio abbandono in modo ch'essa proprio non poteva offendersene e infatti se ne commosse. Poi, con l'evidente intenzione di avvilirla, le dissi che con mia moglie bastava io manifestassi un desiderio per vederlo esaudito. <> disse lei rassegnata <> Poi tento2 di comunicarmi la sua antipatia per quel maestro. Ogni giorno doveva subire la compagnia di quel vecchione antipatico che le faceva ripetere per infini- te volte gli stessi esercizi che non giovavano a nulla, proprio a nulla. Essa non ricordava di aver passato qualche bel giorno che quando il maestro si ammalava. Aveva anche sperato che morisse, ma essa non aveva fortuna. Divenne infine addirittura violenta nella sua disperazio- ne. Ripete1, aumentandolo, il suo lamento di non aver fortu- na: era disgraziata, irreparabilmente disgraziata. Quando ricordava che m'aveva subito amato perche1 le era sembrato che dal mio fare, dal mio dire, dai miei occhi, venisse una promessa di vita meno rigida, meno obbligata, meno noiosa, doveva piangere. Cosi2 conobbi subito i suoi singhiozzi e mi seccarono; erano violenti fino a scuotere, pervadendolo, il suo debole organismo. Mi sembrava di subire immediatamente un bru- . sco assalto alla mia tasca e alla mia vita. Le domandai: <> Carla singhiozzo2: <> Pensai irritato ch'essa volesse che io corressi a comprarle tutte quelle cose, solo per procurarle l'occupazione che pre- diligeva. Non dimostrai dell'ira, grazie al cielo e obbedii alla voce del dovere che gridava: "accarezza la fanciulla che si abbandono2 a te!". L'accarezzai. Passai la mia mano legger- 189 mente sui suoi capelli. Ne risulto2 che i suoi singhiozzi si calmarono e le sue lagrime fluirono abbondanti e non tratte- nute come la pioggia che segue ad un temporale. <> disse essa ancora <> Quella sua comunicazione, ch'ero il suo primo amante, designazione che preparava il posto ad un secondo, non mi commosse molto. Era una dichiarazione che arrivava in ritardo perche1 da una buona mezz'ora l'argomento era stato abbandonato. Eppoi era una nuova minaccia. Una donna crede di avere tutti i diritti verso il suo primo amante. Dolcemente le mormorai all'orecchio: <> La dolcezza della voce mascherava il tentativo di pareg- giare le due partite. Poco dopo io la lasciai perche1 a nessun prezzo avrei voluto arrivare tardi a colazione. Prima di andarmene trassi di nuovo di tasca la busta che io dicevo dei buoni propositi perche1 un ottimo proposito l'aveva creata. Sentivo il biso- gno di pagare per sentirmi piu2 libero. Carla rifiuto2 dolce- mente di nuovo quel denaro ed io allora mi arrabbiai forte- mente, ma seppi trattenermi dal manifestare questa rabbia, se non urlando delle parole dolcissime. Gridavo per non picchiarla, ma nessuno avrebbe potuto accorgersene. Dissi che ero arrivato al colmo dei miei desideri possedendola e che adesso volevo aver il senso di possederla ancor piu2 mantenendola completamente. Percio2 doveva guardarsi dal farmi arrabbiare perche1 ne soffrivo troppo. Volendo correre via, riassunsi in poche parole il mio concetto che divenne -- cosi2 gridato -- molto brusco. <> Essa, spaventata, cesso2 dal resistere e prese la busta men- tre mi guardava ansiosa studiando che cosa fosse la verita2, il mio urlo d'odio oppure la parola d'amore con cui le veniva concesso tutto quello ch'essa aveva desiderato. Si rassereno2 un poco quando prima di andarmene sfiorai con le mie labbra la sua fronte. Sulle scale mi venne il dubbio, ch'essa, disponendo di quei denari e avendo sentito ch'io m'incarica- vo del suo avvenire, avrebbe messo alla porta anche il Co- 190 to anch'io un atteggiamento che mi stava bene, quello del pedagogo, perche1 mi dava anche la possibilita2 di sfogare quel rancore che c'era in fondo all'anima mia per la donna che non mi permetteva di parlare come avrei voluto di mia moglie. <> le dissi <> Avevo prospettata l'eventualita2 del mio abbandono in modo ch'essa proprio non poteva offendersene e infatti se ne commosse. Poi, con l'evidente intenzione di avvilirla, le dissi che con mia moglie bastava io manifestassi un desiderio per vederlo esaudito. <> disse lei rassegnata <> Poi tento2 di comunicarmi la sua antipatia per quel maestro. Ogni giorno doveva subire la compagnia di quel vecchione antipatico che le faceva ripetere per infini-- te volte gli stessi esercizi che non giovavano a nulla, proprio a nulla. Essa non ricordava di aver passato qualche bel giorno che quando il maestro si ammalava. Aveva anche sperato che morisse, ma essa non aveva fortuna. Divenne infine addirittura violenta nella sua disperazio- ne. Ripete1, aumentandolo, il suo lamento di non aver fortu- na: era disgraziata, irreparabilmente disgraziata. Quando ricordava che m'aveva subito amato perche1 le era sembrato che dal mio fare, dal mio dire, dai miei occhi, venisse una promessa di vita meno rigida, meno obbligata, meno noiosa, doveva piangere. Cosi2 conobbi subito i suoi singhiozzi e mi seccarono; erano violenti fino a scuotere, pervadendolo, il suo debole organismo. Mi sembrava di subire immediatamente un bru- . sco assalto alla mia tasca e alla mia vita. Le domandai: <> Carla singhiozzo2: <> Pensai irritato ch'essa volesse che io corressi a comprarle tutte quelle cose, solo per procurarle l'occupazione che pre- diligeva. Non dimostrai dell'ira, grazie al cielo e obbedii alla voce del dovere che gridava: "accarezza la fanciulla che si abbandono2 a te!". L'accarezzai. Passai la mia mano legger- 189 mente sui suoi capelli. Ne risulto2 che i suoi singhiozzi si calmarono e le sue lagrime fluirono abbondanti e non tratte- nute come la pioggia che segue ad un temporale. <> disse essa ancora <> Quella sua comunicazione, ch'ero il suo primo amante, designazione che preparava il posto ad un secondo, non mi commosse molto. Era una dichiarazione che arrivava in ritardo perche1 da una buona mezz'ora l'argomento era stato abbandonato. Eppoi era una nuova minaccia. Una donna crede di avere tutti i diritti verso il suo primo amante. Dolcemente le mormorai all'orecchio: <> La dolcezza della voce mascherava il tentativo di pareg- giare le due partite. Poco dopo io la lasciai perche1 a nessun prezzo avrei voluto arrivare tardi a colazione. Prima di andarmene trassi di nuovo di tasca la busta che io dicevo dei buoni propositi perche1 un ottimo proposito l'aveva creata. Sentivo il biso- gno di pagare per sentirmi piu2 libero. Carla rifiuto2 dolce- mente di nuovo quel denaro ed io allora mi arrabbiai forte- mente, ma seppi trattenermi dal manifestare questa rabbia, se non urlando delle parole dolcissime. Gridavo per non picchiarla, ma nessuno avrebbe potuto accorgersene. Dissi che ero arrivato al colmo dei miei desideri possedendola e che adesso volevo aver il senso di possederla ancor piu2 mantenendola completamente. Percio2 doveva guardarsi dal farmi arrabbiare perche1 ne soffrivo troppo. Volendo correre via, riassunsi in poche parole il mio concetto che divenne -- cosi2 gridato -- molto brusco. <> Essa, spaventata, cesso2 dal resistere e prese la busta men- tre mi guardava ansiosa studiando che cosa fosse la verita2, il mio urlo d'odio oppure la parola d'amore con cui le veniva concesso tutto quello ch'essa aveva desiderato. Si rassereno2 un poco quando prima di andarmene sfiorai con le mie labbra la sua fronte. Sulle scale mi venne il dubbio, ch'essa, disponendo di quei denari e avendo sentito ch'io m'incarica- vo del suo avvenire, avrebbe messo alla porta anche il Co- 190 pler nel caso in cui egli nel pomeriggio fosse venuto da lei. Avrei voluto risalire quelle scale per andare ad esortarla di non compromettermi con un atto simile. Ma non v'era tem- po e dovetti correr via. Io temo che il dottore che leggera2 questo mio manoscritto abbia a pensare che anche Carla sarebbe stata un soggetto interessante alla psico-analisi. A lui sernbrera2 che quella dedizione, preceduta dal congedo al maestro di canto, fosse stata troppo rapida. Anche a me sembrava che in premio del suo amore, essa si fosse attesa da me troppe concessioni. Occorsero molti, ma molti mesi, perche1 io intendessi meglio la povera fanciulla. Probabilmente essa s'era lasciata pren- dere per liberarsi dall'inquietante tutela del Copler, e dovet- te essere per lei una ben dolorosa sorpresa all'accorgersi che s'era concessa invano perche1 da lei si continuava a pretende- re proprio quello che le pesava tanto, cioe2 il canto. Si trova- va ancora fra le mie braccia e apprendeva che doveva conti- nuare a cantare. Da cio2 un'ira e un dolore che non trovavano le parole giuste. Per ragioni differenti dicemmo cosi2 ambe- due delle stranissime parole. Quand'essa mi volle bene, riebbe tutta la naturalezza che il calcolo le aveva tolto. Io la naturalezza non la ebbi mai con lei. Correndo via pensai ancora: "Se essa sapesse quanto io ami mia moglie si comporterebbe altrimenti". Quando lo seppe si comporto2 infatti altrimenti. All'aria aperta respirai la liberta2 e non sentii il dolore di averla compromessa. Fino al giorno dopo c'era tempo e avrei forse trovato un riparo alle difficolta2 che mi minaccia- vano. Correndo verso casa ebbi anche il coraggio di prender- mela con l'ordine sociale, come se esso fosse stato la colpa dei miei trascorsi. Mi pareva avrebbe dovuto essere tale da permettere di tempo in tempo (non sempre) di fare all'amo- re, senz'aver a temerne delle conseguenze, anche con le donne che non si amano affatto. Di rimorso non v'era traccia in me. Percio2 io penso che il rimorso non nasca dal rimpianto di una mala azione gia2 commessa, ma dalla visione della propria colpevole disposizione. La parte superiore del corpo si china a guardare e giudicare l'altra parte e la trova defor- me. Ne sente ribrezzo e questo si chiama rimorso. Anche nella tragedia antica la vittima non ritornava in vita e tutta- via il rimorso passava. Cio2 significava che la deformita2 era 191 guarita e che ormai il pianto altrui non aveva alcuna impor- tanza. Dove poteva esserci posto per il rimorso in me che con tanta gioia e tanto affetto correvo dalla mia legittima moglie? Da molto tempo non m'ero sentito tanto puro. A colazione, senz'alcun sforzo, fui lieto ed affettuoso con Augusta. Non ci fu quel giorno alcuna nota stonata fra di noi. Niente di eccessivo: ero come dovevo essere con la donna onestamente e sicuramente mia. Altre volte ci furono degli eccessi d'affettuosita2 da parte mia, ma solamente quando nel mio animo si combatteva una lotta fra le due donne ed eccedendo nelle manifestazioni d'affetto m'era piu2 facile di celare ad Augusta che fra noi c'era l'ombra per il momento abbastanza potente di un'altra donna. Posso an- che dire che percio2 Augusta mi preferiva quando non ero tutto e con grande sincerita2 suo. Io stesso ero un po' stupito della mia calma e l'attribuivo al fatto ch'ero riuscito di far accettare a Carla quella busta dei buoni propositi. Non che con quella credessi di averia salda- ta. Ma mi pareva che avevo cominciato a pagare un'indul- genza. Disgraziatamente per tutta la durata della mia rela- zione con Carla, il denaro resto2 la mia preoccupazione prin- cipale. Ad ogni occasione ne mettevo in disparte in un posto ben celato della mia biblioteca, per essere preparato a far fronte a qualunque esigenza dell'amante che tanto temevo. Cosi2 quel denaro, quando Carla m'abbandono2 lasciandome- lo, servi2 per pagare tutt'altra cosa. Dovevamo passare la sera in casa di mio suocero ad un pranzo cui non erano invitati che i membri della famiglia e che doveva sostituire il tradizionale banchetto, preludio alle nozze che dovevano aver luogo due giorni appresso. Guido voleva approfittare per sposarsi del miglioramento di Gio- vanni, ch'egli credeva non avrebbe durato. Andai con Augusta di buon'ora nel pomeriggio da mio suocero. Sulla via le ricordai ch'essa il giorno prima aveva sospettato ch'io soffrissi tuttavia per quelle nozze. Essa si vergogno2 del suo sospetto ed io parlai molto di quella mia innocenza. Se ero ritornato a casa non ricordando neppure che quella stessa sera v'era la solennita2 che doveva prepara- re quelle nozze! Quantunque non vi fossero altri invitati che noi di fami- glia, i vecchi Malfenti volevano che il banchetto fosse prepa- 192 rato solennemente. Augusta era stata pregata di aiutare a preparare la sala e la tavola. Alberta non ne voleva sapere. Poco tempo prima essa aveva ottenuto un premio ad un concorso per una commedia in un atto e s'accingeva ora alacremente alla riforma del teatro nazionale. Cosi2 restam- mo intorno a quella tavola io ed Augusta coadiuvati da una cameriera e da Luciano, un ragazzo dell'ufficio di Giovanni che dimostrava altrettanto talento per l'ordine in casa quan- to per quello d'ufficio. Aiutai a trasportare sulla tavola dei fiori e a distribuirli in bell'ordine. <> dissi scherzando ad Augusta <> Piu2 tardi andammo a trovare gli sposi ritornati allora da una visita ufficiale. S'erano messi nel cantuccio piu2 riposto del salotto e suppongo che fino al nostro arrivo si fossero baciucchiati. La sposina non aveva neppur smesso il suo abito da passeggio ed era tanto bellina, cosi2 arrossata dal caldo. Io credo che gli sposi, per celare ogni traccia dei baci che si erano scambiati, volessero darci ad intendere che avessero discusso di scienza. Era una sciocchezza, forse anche scon- veniente! Volevano allontanarci dalla loro intimita2 o crede- vano che i loro baci potessero dolere a qualcuno? Cio2 pero2 non guasto2 il mio buon umore. Guido m'aveva detto che Ada non voleva credergli che certe vespe sapevano paraliz- zare con una puntura altri insetti anche piu2 forti di loro per conservarli cosi2 paralizzati, vivi e freschi, quale nutrimento per la loro discendenza. Io credevo di ricordare ch'esisteva qualche cosa di tanto mostruoso in natura, ma in quel mo- mento non volli concedere una soddisfazione a Guido: <> gli dissi ridendo. Lasciammo gli sposi per permettere loro di occuparsi di cose piu2 liete. Io pero2 cominciavo a trovare alquanto lungo il pomeriggio e avrei voluto andare a casa ad aspettare nel mio studio l'ora del pranzo. Nell'anticamera trovammo il dottor Paoli che usciva dalla stanza da letto di mio suocero. Era un medico giovine che aveva pero2 gia2 saputo conquistarsi una buona clientela. Era 193 biondissimo e bianco e rosso come un ragazzone. Nel poten- te organismo il suo occhio era pero2 tanto importante da rendere seria ed imponente tutta la sua persona. Gli occhiali lo facevano apparire piu2 grande e il suo sguardo s'attaccava alle cose come una carezza. Ora che conosco bene tanto lui che il Dottor S. -- quello della psico-analisi -- mi pare che l'occhio di questi sia indagatore per intenzione, mentre nel dottor Paoli lo e2 per una sua instancabile curiosita2. Il Paoli vede esattamente il suo cliente, ma anche la moglie di questi e la sedia su cui poggia. Dio sa quale dei due conci meglio i suoi clienti! Durante la malattia di mio suocero io andai spesso dal Paoli per indurlo a non fare intendere alla fami- glia che la catastrofe che la minacciava era imminente, e ricordo che un giorno, guardandomi piu2 a lungo di quanto mi fosse piaciuto, mi disse sorridendo: <> Egli era un buon osservatore perche1 infatti io in quel momento adoravo mia moglie che soffriva tanto per la ma- lattia del padre e che io giornalmente tradivo. Ci disse che Giovanni stava anche meglio del giorno pri- ma. Adesso egli non aveva altre preoccupazioni perche1 la stagione era molto favorevole, e riteneva che gli sposi sere- namente potessero mettersi in viaggio. <> ag- giunse cautamente <> La sua prognosi s'avvero2 perche1 intervennero le complicazion- imprevedibili. Al momento di congedarsi si ricordo2 che noi conoscevamo certo Copler al cui letto era stato chiamato quel giorno stesso a consulto. Lo aveva trovato colpito da una paralisi renale. Racconto2 che la paralisi s'era annunciata con un orrendo male di denti. Qui fece una prognosi grave, ma, secondo il solito, attenuata da un dubbio: <> Augusta, dalla compassione, ebbe le lagrime agli occhi e mi prego2 di correre subito dal nostro povero amico. Dopo un'esitazione, ottemperai al suo desiderio, e volentieri, per- che1 la mia anima improvvisamente si riempi2 di Carla. Co- m'ero stato duro con la povera fanciulla! Ecco che, sparito il Copler, essa rimaneva 1a2, solitaria su quel pianerottolo, nient'affatto compromettente perche1 tagliata da ogni comu- 194 nicazione col mio mondo. Era necessario correre da lei per cancellare l'impressione che doveva averle fatto il mio duro contegno della mattina. Ma, prudentemente, andai prima di tutto dal Copler. Dovevo pur poter dire ad Augusta che lo avevo visto. Conoscevo gia2 il modesto ma comodo e decente quartiere che il Copler abitava in Corsia Stadion. Un vecchio pensio- nato gli aveva ceduto tre delle sue cinque stanze. Fui ricevu- to da questi, un grosso uomo, ansante, dagli occhi rossi, che camminava inquieto su e giu2 per un breve corridoio oscuro. Mi racconto2 che il medico curante se ne era andato da poco, dopo di aver constatato che il Copler si trovava in agonia. Il vecchio parlava a bassa voce, sempre ansando, come se avesse temuto di turbare la quiete del moribondo. Anch'io abbassai la mia. E una forma di rispetto come lo sentiamo noi uomini, mentre non e2 ben certo se al moribondo non piacerebbe di piu2 di venir accompagnato per l'ultimo tratto di via da voci chiare e forti che gli ricorderebbero la vita. Il vecchio mi disse che il moribondo era assistito da una suora. Pieno di rispetto mi fermai per qualche tempo dinanzi alla porta di quella camera nella quale il povero Copler col suo rantolo, dal ritmo tanto esatto, misurava il suo ultimo tempo. La sua respirazione rumorosa era composta da due suoni: esitante pareva que llo prodotto dall'aria ch'egli ispi- rava, precipitoso quello che nasceva dall'aria espulsa. Fretta di morire? Una pausa seguiva i due suoni ed io pensai che quando quella pausa si fosse allungata, allora si sarebbe iniziata la nuova vita. Il vecchio voleva ch'io entrassi in quella stanza, ma io non volli. Troppi moribondi m'avevano guatato con un'espres- sione di rimprovero. Non attesi che quella pausa s'allungasse e corsi da Carla. Bussai alla porta del suo studio ch'era chiusa a chiave, ma nessuno rispose. Impazientito presi la porta a calci e allora dietro di me si aperse la porta del quartiere. La voce della madre di Carla domando2: <> Poi la vecchia timorosa si sporse e, quando alla luce gialla che veniva dalla sua cucina m'ebbe ricono- sciuto, m'accorsi che la sua faccia si era coperta di un intenso rossore rilevato dalla nitida bianchezza dei suoi capelli. Car- la non c'era, ed essa si profferse di andar a prendere la chiave 195 dello studio per ricevermi in quella stanza ch'essa riteneva fosse la sola degna di ricevermi. Ma io le dissi di non scomo- darsi, entrai nella sua cucina e sedetti senz'altro su una sedia di legno. Sul focolare, sotto ad una pentola, ardeva un modesto mucchio di carbone. Le dissi di non trascurare per causa mia la cucinatura della cena. Essa mi rassicuro2. Cuci- nava dei fagiuoli, che non erano mai troppo cotti. La poverta2 del cibo che si preparava nella casa le cui spese dovevo oramai sostenere io solo, m'ammorbidi2 e smorzo2 la stizza che provavo per non aver trovata pronta la mia amante. La signora rimase in piedi ad onta ch'io ripetutamente l'avessi invitata di sedere. Bruscamente le raccontai ch'ero venuto a portare alla signorina Carla un bruttissima notizia: il Copler era moribondo. Alla vecchia caddero le bra-ccia e subito senti2 il bisogno di sedere. <> mormoro2 <> Poi si ricordo2 che quello che toccava al Copler era peggio di quello che toccava a lei e aggiunse un compianto: <> Aveva gia2 la faccia irrorata dalle lagrime. Essa, evidente- mente, non sapeva che se il pover'uomo non fosse morto a tempo, sarebbe stato buttato fuori di quella casa. Anche questo mi rassicuro2. Com'ero circondato dalla piu2 assoluta discrezione! Volli tranquillarla e le dissi che quello che il Copler aveva fatto per loro fino allora, avrei continuato a farlo io. Essa protesto2 che non era per se1 stessa ch'essa piangeva, visto che sapeva ch'esse erano circondate da tanta buona gente, ma per il destino del loro grande benefattore. Volle sapere di quale malattia morisse. Raccontandole come la catastrofe s'era annunciata, ricordai quella discus- sione ch'io tempo prima avevo avuta col Copler sull'uti- lita2 del dolore. Ecco che da lui i nervi dei denti s'erano agitati e s'erano messi a chiamare aiuto perche1, ad un metro di distanza da loro, i reni avevano cessato di funzio- nare. Ero tanto indifferente al fato del mio amico di cui avevo sentito poco prima il rantolo, che continuavo a gio- cherellare con le sue idee. Se fosse stato ancora a sentir- mi, gli avrei detto che si capiva cosi2 come dall'ammalato immaginario i nervi potessero legittimamente dolere per 196 una malattia scoppiata a qualche chilometro di distanza. Fra la vecchia e me c'era ben poco ancora da discorrere ed accettai di andar ad aspettare Carla nel suo studio. Presi in mano il Garcia e tentai di leggerne qualche pagina. Ma l'arte del canto mi toccava poco. La vecchia mi raggiunse di nuovo. Era inquieta perche1 non vedeva giungere Carla. Mi racconto2 ch'era andata a comperare dei piatti di cui avevano urgente bisogno. La mia pazienza stava proprio per esaurirsi. Irosamente le domandai: <> Cosi2 mi liberai della vecchia che borbotto2 andandosene: <> Cio2 mi procuro2 un momento d'ilarita2 perche1 io sapevo ch'erano stati distrutti tutti quelli che c'erano in casa e non dalla vecchia, ma proprio da Carla. Poi seppi che Carla era tutt'altro che dolce con la madre che percio2 aveva una paura folle di parlare troppo dei fatti della figlia coi suoi protettori. Pare che una volta, ingenuarnente, avesse raccontato a Co- pler del fastidio che risultava a Carla dalle lezioni di canto. Il Copler se ne adiro2 con Carla e questa se la prese con la madre. Ed e2 cosi2 che quando la mia deliziosa amante finalmente mi raggiunse, io l'amai violentemente e irosamente. Essa, incantata, balbettava: <> Le spiegai che spesso io venivo preso da gravi mali di testa e, quando mi ritrovai nello stato che, se non avessi valorosa- mente resistito, m'avrebbe ricondotto di corsa da Augusta, riparlai di quei mali e seppi domarmi. Andavo facendomi. Intanto piangemmo insieme il povero Copler; proprio assieme! Del resto Carla non era indifferente all'atroce fine del suo benefattore. Parlandone si scolori2: <> disse. <> E per la prima volta, timidamente, mi propose di restare con lei la notte intera. Io non ci pensavo neppure e non avrei 197 saputo prolungare nemmeno di mezz'ora il mio soggiorno in quella stanza. Ma, sempre attento di non rivelare alla povera fanciulla il mio animo di cui ero il primo io a dolermi, feci delle obbiezioni dicendole che una cosa simile non era possi- bile perche1 in quella casa c'era anche sua madre. Con vero disdegno essa arcuo2 le labbra: <> Allora le raccontai del banchetto di nozze che m'aspettava a casa, ma poi sentii il bisogno di dirle che mai mi sarebbe stato possibile di passare una notte con lei. Nel proposito di bonta2 che avevo fatto poco prima, arrivavo a domare ogni mio accento che percio2 resto2 sempre affettuoso, ma mi pareva che ogni altra concessione che le avessi fatta od anche soltanto fatta sperare, sarebbe equivaluta ad un nuovo tradi- mento ad Augusta che io non volevo commettere. In quel momento sentivo quali erano i miei piu2 forti legami con Carla: il mio proposito d'affettuosita2 eppoi le menzogne dette da me sui miei rapporti con Augusta e che pian pianino, nel corso del tempo, bisognava attenuare ed anzi cancellare. Percio2 iniziai quella stessa sera tale opera, naturalmente con la debita prudenza perche1 era tuttavia troppo facile di ricordare il frutto che aveva avuto la mia bugia. Le dissi che io sentivo fortemente i miei obblighi verso mia moglie ch'era una donna tanto stimabile che certa- mente avrebbe meritato di essere amata meglio e cui mai avrei voluto far sapere come la tradivo. Carla m'abbraccio2: <> A me spiaceva sentir dare della poverina ad Augusta, ma ero riconoscente alla povera Carla della sua mitezza. Era una buona cosa ch'essa non odiasse mia moglie. Volli dimo- strarle la mia riconoscenza e mi guardai d'attorno alla ricer- ca di un segno di affetto. Finii col trovarlo. Regalai anche a lei la sua lavanderia: le permisi di non richiamare il maestro di canto. Carla ebbe un impeto di affetto che mi secco2 abbastanza, ma che sopportai valorosamente. Poi mi racconto2 ch'essa non avrebbe mai abbandonato il canto. Cantava tutto il giorno, ma a modo suo. Voleva anzi farmi sentire subito una 198 sua canzone. Ma io non ne volli sapere e alquanto villana- mente corsi via. Percio2 penso che anche quella notte essa abbia meditato il suicidio, ma io non le lasciai mai il tempo di dirmelo. Ritornai dal Copler perche1 dovevo portare ad Augusta le ultime notizie dell'ammalato per farle credere che io avessi passate con lui quelle ore. Il Copler era morto da due ore circa, subito dopo ch'io me n'ero andato. Accompagnato dal vecchio pensionato che aveva continuato a misurare col suo passo il piccolo corridoio, entrai nella stanza mortuaria. Il cadavere, gia2 vestito, giaceva sul nudo materazzo del letto. Teneva nelle mani il crocifisso. A bassa voce il pensionato mi racconto2 che tutte le formalita2 erano state compiute e che una nipote dell'estinto sarebbe venuta a passare la notte presso il cadavere. Cosi2 avrei potuto andamnene sapendo che al mio povero amico si dava tutto quel poco che ancora poteva occorrergli, ma restai per qualche minuto a guardarlo. Avrei amato di sentirmi sgorgare dagli occhi una lacrima sincera di com- pianto per il poverino che tanto aveva lottato con la malattia fino a tentar di trovare un accordo con essa. <> dissi. La malattia per la quale esistevano tanti farmachi, l'aveva brutalmente ucciso. Pareva un'irrisione. Ma la mia lacrima manco2. La faccia emaciata del Copler non era mai apparsa tanto forte come nella rigidezza della morte. Pareva prodotta dallo scalpello in un marmo colorato e nessuno avrebbe potuto prevedere che vi sovrastasse imminente la putrefazione. Era tuttavia una vera vita che quella faccia manifestava: disapprovava sdegnosamente forse me, l'am- malato immaginario, o fors'anche Carla, che non voleva cantare. Trasalii un momento sembrandomi che il morto ricominciasse a rantolare. Subito ritornai alla mia calma di critico quando m'accorsi che quello che m'era sembrato un rantolo non era che l'ansare, aumentato dall'emozione, del pensionato. Il quale poi m'accompagno2 alla porta e mi prego2 di racco- mandarlo se avessi conosciuto chi avrebbe potuto aver biso- gno di un quartierino come quello: <> Alzo2 per la prima volta la voce in cui echeggio2 un risenti- 199 mento ch'era senza dubbio destinato al povero Copler che gli aveva lasciato libero il quartiere senza il debito preavviso. Corsi via promettendo tutto quello che voleva. Da mio suocero trovai che la compagnia s'era messa in quel momento a tavola. Mi domandarono delle notizie ed io, per non compromettere la gaiezza di quel convito, dissi che il Copler viveva tuttavia e che c'era dunque ancora qualche speranza. A me parve che quell'adunanza fosse ben triste. Forse tale impressione si fece in me alla vista di mio suocero condanna- to ad una minestrina e ad un bicchiere di latte, mentre attorno a lui tutti si caricavano dei cibi piu2 prelibati. Aveva tutto il suo tempo libero, lui, e lo impiegava per guardare in bocca agli altri. Vedendo che il signor Francesco si dedicava attivamente all'antipasto, mormoro2 : <> Poi, quando il signor Francesco giunse al terzo bicchierino di vino bianco, brontolo2 sottovoce: <> L'augurio non m'avrebbe disturbato se non avessi man- giato e bevuto anch'io a quel tavolo, e non avessi saputo che la medesima metamorfosi sarebbe stata augurata anche al vino che passava per la mia bocca. Percio2 mi misi a mangiare e a bere di nascosto. Approfittavo di qualche momento in cui mio suocero ficcava il grosso naso nella tazza del latte o rispondeva a qualche parola che gli era stata rivolta, per inghiottire dei grossi bocconi o per tracannare dei grandi bicchieri di vino. Alberta, solo per il desiderio di far ridere la gente, avviso2 Augusta ch'io bevevo troppo. Mia moglie, scherzosamente, mi minaccio2 coll'indice. Questo non fu male ma fu male perche1 cosi2 non valeva piu2 la pena di mangiare di nascosto. Giovanni, che fino ad allora non s'era quasi ricordato di me, mi guardo2 sopra gli occhiali con un'occhiataccia di vero odio. Disse: <> e ripete1 piu2 volte l'ultima parola che non significava proprio un complimento. Per 1-effetto del vino, quella parola offensiva accompa- gnata da una risata generale, mi caccio2 nell'animo un deside- rio veramente irragionevole di vendetta. Attaccai mio suo- cero dal suo lato piu2 debole: la sua malattia. Gridai che non 200 era un vero uomo non chi abusava dei cibi ma colui che supinamente s'adattava alle prescrizioni del medico. Io, nel caso suo, sarei stato ben altrimenti indipendente. Alle nozze di mia figlia -- se non altro per affetto -- non avrei mica permesso che mi si impedisse di mangiare e di bere. Giovanni osservo2 con ira: <> <> Era la prima volta che mi riusciva di vantarmi della mia debolezza, e accesi subito una sigaretta per illustrare le mie parole. Tutti ridevano e raccontavano al signor Francesco come la mia vita fosse piena di ultime sigarette. Ma quella non era l'ultima e mi sentivo forte e combattivo. Pero2 per- detti subito l'appoggio degli altri quando versai del vino a Giovanni nel suo grande bicchiere d'acqua. Avevano paura che Giovanni bevesse e urlavano per impedirglielo finche1 la signora Malfenti non pote1 afferrare e allontanare quel bic- chiere. <> domando2 mitemente Gio- vanni guardandomi con curiosita2. <> Egli non aveva fatto un solo gesto per approfittare del vino che gli avevo offerto. Mi sentii veramente avvilito e vinto. Mi sarei quasi gettato ai piedi di mio suocero per chiedergli perdono. Ma anche quello mi parve un suggerimento del vino e lo respinsi. Domandando perdono avrei confessata la mia colpa, mentre il banchetto continuava e sarebbe durato abbastanza per offrirmi l'opportunita2 di riparare a quel primo scherzo tanto mal riuscito. C'e2 tempo a tutto a questo mondo. Non tutti gli ubriachi sono preda immediata di ogni suggerimento del vino. Quando ho bevuto troppo, io analizzo i miei conati come quando sono sereno e probabilmente con lo stesso risultato. Continuai ad osservarmi per intendere come fossi arrivato a quel pensiero malvagio di danneggiare mio suoce- ro. E m'accorsi d'essere stanco, mortalmente stanco. Se tutti avessero saputo quale giornata io avevo trascorsa, m'avreb bero scusato. Avevo presa e violentemente abbandonata per ben due volte una donna ed ero ritornato due volte a mia moglie per rinnegare anche lei per due volte. La mia fortuna fu che allora, per associazione, nel mio ricordo fece capolino 201 quel cadavere su cui invano avevo tentato di piangere, e il pensiero alle due donne sparve; altrimenti avrei finito col parlare di Carla. Non avevo sempre il desiderio di confessar- mi anche quando non ero reso piu2 magnanimo dall'azione del vino? Finii col parlare del Copler. Volevo che tutti sapessero che quel giorno avevo perduto il mio grande ami- co. Avrebbero scusato il mio contegno. Gridai che il Copler era morto, veramente morto e che fino ad allora ne avevo taciuto per non rattristarli. Guarda! Guarda! Ecco che finalmente sentii salirmi le lacrime agli occhi e dovetti volgere altrove lo sguardo per celarle. Tutti risero perche1 non mi credettero e allora intervenne l'ostinazione ch'e2 proprio il carattere piu2 evidente del vino. Descrissi il morto: <> Ci fu un silenzio generale interrotto da Guido che esclamo2: <> L'osservazione era giusta. Avevo mancato ad un proponi- mento che ricordavo! Non ci sarebbe stato il verso di ripara- re? Mi misi a ridere sgangheratamente: <> Tutti mi guardavano per raccapezzarsi. <> soggiunsi seriamente <> Tutti mi credettero, ma l'indignazione fu generale. Gio- vanni proclamo2 che se non avesse temuto di farsi del male sottoponendosi ad uno sforzo, m'avrebbe gettato un piatto sulla testa. Era infatti imperdonabile ch'io avessi turbata la festa con una simile notizia inventata. Se fosse stata vera non ci sarebbe stata colpa. Non avrei fatto meglio di dire loro di nuovo la verita2? Il Copler era morto e, non appena fossi stato solo, avrei trovate le lacrime pronte per piangerlo, spontanee e abbondanti. Cercai le parole, ma la signora Malfenti, con quella sua gravita2 di gran signora m'interruppe: <> Obbedii subito persino col pensiero che si stacco2 definiti- vamente dal morto: "Addio! Aspettarni! Ritornero2 a te subito dopo!". 202 Era venuta l'ora del brindisi. Giovanni aveva ottenuta la concessione dal medico di sorbire a quell'ora un bicchierino di champagne. Gravemente sorveglio2 come gli versarono il vino, e rifiuto2 di portare il bicchiere alle labbra finche1 non fosse stato colmo. Dopo di aver fatto un augurio serio e disadorno ad Ada e a Guido, lo voto2 lentamente fino all'ulti- ma goccia. Guardandomi biecamente mi disse che l'ultimo sorso l'aveva votato proprio alla mia salute. Per annullare l'augurio, che io sapevo non buono, con ambe le mani sotto la tovaglia feci le corna. Il ricordo del resto della serata e2 per me un poco confuso. So che per iniziativa di Augusta, a quel tavolo, poco dopo si disse un mondo di bene di me citandomi quale un modello di marito. Mi fu perdonato tutto e persino mio suocero si fece piu2 gentile. Soggiunse pero2 che sperava che il marito di Ada si dimostrasse buono come me, ma anche nello stesso tempo un miglior negoziante e soprattutto una persona. . . e cercava la parola. Non la trovo2 e nessuno intorno a noi la reclamo2; neppure il signor Francesco che per avermi visto per la prima volta quella stessa mattina, poco poteva conoscermi. Dal canto mio non mi offesi. Come mitiga il proprio animo il sentimento di avere dei grossi torti da riparare! Accettavo con grato animo tutte le insolenze a patto fossero accompa- gnate da quell'affetto che non meritavo. E nella mia rnente, confusa dalla stanchezza e dal vino, sereno del tutto, acca- rezzai la mia immagine di buon marito che non diviene meno buono per essere adultero. Bisognava essere buoni, buoni, buoni, ed il resto non importava. Mandai con la mano un bacio ad Augusta che lo accolse con un sorriso riconoscente. Poi vi fu a quel tavolo chi volle approfittare della mia ebbrezza per ridere e fui costretto di dire un brindisi. Avevo finito con l'accettare perche1 in quel momento mi pareva che sarebbe stata una cosa decisiva di poter fare cosi2 in pubblico dei buoni propositi. Non che io dubitassi in quel momento di me, perche1 mi sentivo proprio quale ero stato descritto, ma sarei divenuto anche migliore quando avessi affermato un proposito dinanzi a tante persone che in certo modo l'avreb- bero sottoscritto. Ed e2 cosi2 che nel brindisi parlai solo di me e di Augusta. Feci per la seconda volta in quei giorni la storia del mio matrimonio. L'avevo falsificata per Carla tacendo del mio 203 innamoramento per mia moglie; qui la falsificai altrimenti perche1 non parlai delle due persone tanto importanti nella storia del mio matrimonio, cioe2 Ada e Alberta. Raccontai le mie esitazioni di cui non sapevo consolarmi perche1 m'aveva- no derubato di tanto tempo di felicita2. Poi, per cavalleria, attribuii anche ad Augusta delle esitazioni. Ma essa nego2 ridendo vivacemente. Ritrovai il filo del discorso con qualche difficolta2. Raccon- tai come finalmente fossimo arrivati al viaggio di nozze e avessimo fatto all'amore in tutti i musei d'Italia. Ero tanto bene immerso fino al collo nella menzogna che vi cacciai dentro anche quel dettaglio bugiardo che non serviva ad alcuno scopo. Eppoi si dice che nel vino ci sia la verita2. Augusta m'interruppe una seconda volta per mettere le cose a posto e racconto2 come essa avesse dovuto evitare i musei per il pericolo che, per causa mia, correvano i capola- vori. Non s'accorgeva che cosi rivelava non la falsita2 di quel particolare soltanto! Se ci fosse stato a quel tavolo un osser- vatore, avrebbe presto fatto a scoprire di quale natura fosse quell'amore ch'io prospettavo in un ambiente ove non aveva potuto svolgersi. Ripresi il lungo, slavato discorso raccontando l'arrivo in casa nostra e come ambedue ci fossimo messi a perfezionarla facendo2 questo e quello e fra l'altro anche una lavanderia. Sempre ridendo, Augusta m'interruppe di nuovo: <> Tutti annuirono rumorosamente. Risi anch'io accorgen- domi che per opera mia si era arrivati ad una vera lietezza rumorosa quale e2 di prammatica in simili occasioni. Ma non trovai piu2 nulla da dire. Mi pareva di aver parlato per ore. Ingoiai vari altri bicchieri di vino uno dopo l'altro: <> Mi rizzai per un momento per vedere se avesse fatte le corna sotto la tovaglia. <> e aggiunsi, dopo aver tracannato il vino: <> obliando che al primo bicchiere non era stata aggiunta tale dichiarazione. <> E ne avrei bevuti parecchi di quei bicchieri per i loro figliuoli, se non ne fossi stato finalmente impedito. Per quei 204 poveri innocenti io avrei bevuto tutto il vino che si trovava su quel tavolo. Poi tutto divenne anche piu2 oscuro. Chiaramente ricordo una cosa sola: la mia principale preoccupazione era di non apparire ubriaco. Mi tenevo eretto e parlavo poco. Diffida- vo di me stesso, sentivo il bisogno di analizzare ogni parola prima di dirla. Mentre il discorso generale si svolgeva, io dovevo rinunziare a prendervi parte perche1 non mi si lascia- va il campo di chiarire il mio torbido pensiero. Volli iniziare un discorso io stesso e dissi a mio suocero: <1 e2 caduto di due punti?>> Avevo detto una cosa che non mi concerneva affatto e che avevo sentito dire in Borsa; volevo solo parlare di affari, roba seria di cui un ubriaco di solito non si ricorda. Ma pare che per mio suocero la cosa fosse meno indifferente e mi diede del corvo dalle male nuove. Con lui non ne indovinavo una. Allora mi occupai della mia vicina, Alberta. Si parlo2 di amore. A lei interessava in teoria e a me, per il momento, non interessava affatto in pratica. Percio2 era bello parlarne. Mi domando2 delle idee ed io ne scopersi subito una che parve risultare evidente dalla mia esperienza della giornata stessa. Una donna era un oggetto che variava di prezzo ben piu2 di qualunque valore di Borsa. Alberta mi fraintese e credette che io volessi dire una cosa saputa da tutti, cioe2 che una donna di una certa eta2 aveva tutt'altro valore che ad un'altra. Mi spiegai piu2 chiaramente: una donna poteva avere un alto valore ad una certa ora della mattina, nessunis- simo a mezzodi2, per valere nel pomeriggio il doppio che alla mattina e finire alla sera con un valore addirittura negativo. Spiegai il concetto di valore negativo: una donna aveva tale valore quando un uomo calcolava quale somma sarebbe pronto a pagare per mandarla molto ma molto lontano da lui. Tuttavia la povera commediografa non vedeva la giustez- za della mia scoperta mentre io, ricordando il movimento di valore che quel giorno stesso avevano subito Carla e Augu- sta, ne ero sicuro. Intervenne il vino quando volli spiegarmi meglio e deviai assolutamente. <> le dissi <> Accompagnai subito alle parole l'atto. Rossa, rossa ella sottrasse il piede e, volendo apparire spiritosa, disse: <> Devo confessare che anch'io sentivo quel piedino ben altrimenti che un'arida teoria, ma protestai gridando con l'aria piu2 candida del mondo: <> Le fantasie del vino sono veri avvenimenti. Per lungo tempo io ed Alberta non dimenticammo che io avevo toccato una parte del suo corpo avvisandola che lo facevo per goderne. La parola aveva rilevato l'atto e l'atto la parola. Finche1 essa non si sposo2 ebbe per me un sorriso e un rossore, poi, invece, rossore ed ira. Le donne son fatte cosi2. Ogni giorno che sorge porta loro una nuova interpretazione del passato. Dev'essere una vita poco monotona la loro. Da me, invece, l'interpretazione di quel mio atto fu sempre la stessa: il furto di un piccolo oggetto dal sapore intenso e fu colpa di Alberta se in certa epoca cercai di far ricordare quell'atto mentre invece piu2 tardi avrei pagato qualche cosa perche1 fosse dimenticato del tutto. Ricordo anche che prima di lasciare quella casa avvenne un'altra cosa e ben piu2 grave. Restai, per un istante, solo con Ada. Giovanni si era coricato da tempo e gli altri2 prendeva- no congedo dal signor Francesco che andava all'albergo accompagnato da Guido. Io guardai Ada lungamente vestita tutta di pizzi bianchi, le spalle e le braccia nude. Restai lungamente muto benche1 sentissi il bisogno di dirle qualche cosa; ma, dopo analizzata, sopprimevo qualunque frase che mi venisse alle labbra. Ricordo che analizzai anche se mi fosse permesso di dirle: "Come mi fa piacere che finalmente ti sposi e sposi il mio grande amico Guido. Ora appena sara2 tutto finito fra di noi". Volevo dire una bugia perche1 tutti sapevano che fra di noi tutto era finito da varii mesi, ma mi pareva che quella bugia fosse un bellissimo complimento ed e2 certo che una donna, vestita cosi2, domanda complimenti e se ne compiace. Pero2 dopo lunga riflessione non ne feci nulla. Soppressi quelle parole perche1 nel mare di vino in cui 206 nuotavo, trovai una tavola che mi salvo2. Pensai che avevo torto di rischiare l'affetto di Augusta per fare un piacere ad Ada che non mi voleva bene. Ma, nel dubbio che per qual- che istante mi turbo2 la mente, eppoi anche quando con uno sforzo da quelle parole mi staccai, diedi ad Ada una tale occhiata che essa si alzo2 e usci2 dopo di essersi voltata a sorvegliarmi con spavento, pronta forse di mettersi a correre. Anche una propria occhiata si ricorda quanto e forse meglio di una parola; e2 piu2 importante di una parola perche1 non v'e2 in tutto il vocabolario una parola che sappia spoglia- re una donna. Io so ora che quella mia occhiata falso2 le parole che avevo ideate, semplificandole. Essa per gli occhi di Ada, aveva tentato di penetrare al di 1a2 dei vestiti e anche della sua epidermide. E aveva certamente significato: "Vuoi venire intanto subito a letto con me?". Il vino e2 un grande pericolo specie perche1 non porta a galla la verita2. Tutt'altro che la verita2 anzi: rivela dell'individuo specialmente la storia passata e dimenticata e non la sua attuale volonta2; getta capricciosamente alla luce anche tutte le ideucce con le quali in epoca piu2 o meno recente si balocco2 e che si e2 dimenticate; trascura le cancellature e legge tutto quello ch'e2 ancora percettibile nel nostro cuore. E si sa che non v'e2 modo di cancellarvi niente tanto radicalmente, come si fa di un giro errato su di una cambiale. Tutta la nostra storia vi e2 sempre leggibile e il vino la grida, trascurando quello che poi la vita vi aggiunse. Per andare a casa, Augusta ed io prendemmo una vettura. Nell'oscurita2 mi parve fosse mio dovere di baciare e abbrac- ciare mia moglie perche1 in simili incontri molte volte avevo usato cosi2 e temevo che, se non l'avessi fatto, essa avrebbe potuto pensare che fra di noi ci fosse qualche cosa di mutato. Non v'era nulla di cambiato fra di noi: il vino gridava anche questo! Ella aveva sposato Zeno Cosini che, immutato, le stava accanto. Che cosa importava se quel giorno io avevo posseduto delle altre donne di cui il vino, per rendermi piu2 lieto, aumentava il numero ponendo fra di esse non so piu2 se Ada o Alberta? Ricordo che, addormentandomi, rividi per un istante la faccia marmorea del Copler sul letto di morte. Pareva do- mandasse giustizia, cioe2 le lacrime ch'io gli avevo promesse. 207 Ma non le ebbe neppure allora perche1 il sonno mi abbraccio2 annientandomi. Prima pero2 mi scusai col fantasma: "Aspet- ta ancora un poco. Sono subito da te!". Con lui non fui piu2 giammai, perche1 non assistetti neppure al suo funerale. Avevamo tanto da fare in casa ed io anche fuori, che non ci fu tempo per lui. Se ne parlo2 talvolta, ma solo per ridere ricordando che il mio vino lo aveva tante volte ammazzato e fatto risuscitare. Anzi egli resto2 proverbiale in famiglia e quando i giornali, come avviene spesso, annunziano e smen- tiscono la morte di qualcuno, noi diciamo: <>. La mattina dopo mi levai con un po' di male di testa. Mi affanno2 un poco il mio dolore al fianco, probabilmente perche1 finche1 era durato l'effetto del vino, non lo avevo sentito affatto e subito ne avevo perduta l'abitudine. Ma in fondo non ero triste. Augusta contribui2 alla mia serenita2 dicendomi che sarebbe stato male se io non fossi andato a quella cena di nozze, perche1 prima del mio arrivo le era sembrato di assistere ad un mortorio. Non avevo dunque da aver rimorso del mio contegno. Poi sentii che una cosa sola non mi era stata perdonata: l'occhiataccia ad Ada! Quando c'incontrammo nel pomeriggio, Ada mi porse la mano con un'ansieta2 che aumento2 la mia. Forse pero2 le pesava sulla coscienza quella sua fuga ch'era stata tutt'altro che gentile. Ma anche la mia occhiata era stata una gran brutta azione. Ricordavo esattamente il movimento del mio occhio e capivo come non sapesse dimenticare chi ne era stato trafitto. Bisognava riparare con un contegno accurata- mente fraterno. Si dice che quando si soffre per aver bevuto troppo, non ci sia miglior cura che di berne dell'altro. Io quella mattina, andai a rianimarmi da Carla. Andai da lei proprio col deside- rio di vivere piu2 intensamente ed e2 quello che riconduce all'alcool, ma, camminando verso di lei, avrei desiderato ch'essa m'avesse fornita tutt'altra intensita2 di vita del giorno prima. Mi accompagnavano dei propositi poco precisi ma tutti onesti. Sapevo di non poter abbandonarla subito, ma potevo avviarmi a quell'atto tanto morale pian pia- nino. Intanto avrei continuato a parlarle di mia moglie. Senza sorprendersene, un bel giorno essa avrebbe saputo com'io amassi mia moglie. Avevo nella mia giubba un'altra 208 busta con del denaro per essere pronto ad ogni evenienza. Arrivai da Carla, e un quarto d'ora dopo essa mi rimpro- verava con una parola che per la sua giustezza lungamente mi risono2 all'orecchio: <>. Non sono conscio di essere stato rude proprio allora. Avevo cominciato a parlarle di mia moglie, e le lodi tributate ad Augusta erano risonate all'orecchio di Carla come tanti rimproveri rivolti a lei. Poi fu Carla che mi feri2. Per passare il tempo, le avevo raccontato come mi fossi seccato al banchetto, specie per un brindisi che avevo detto e ch'era stato assolutamente spro- positato. Carla osservo2: <> E mi diede anche un bacio per rimeritarmi del poco amore che portavo a mia moglie. Intanto lo stesso desiderio d'intensificare la mia vita, che mi aveva tratto da Carla, m'avrebbe riportato subito ad Augusta, ch'era la sola con cui avrei potuto parlare del mio amore per lei. Il vino preso come cura era gia2 di troppo o volevo oramai tutt'altro vino. Ma quel giorno la mia relazio- ne con Carla doveva ingentilirsi, coronarsi finalmente di quella simpatia che -- come seppi piu2 tardi -- la povera giovi- netta meritava. Essa piu2 volte m'aveva offerto di cantarmi una canzonetta, desiderosa di avere il mio giudizio. Ma io non avevo voluto saperne di quel canto di cui non mi impor- tava nemmeno piu2 l'ingenuita2. Le dicevo che giacche1 essa rifiutava di studiare, non valeva la pena di cantare piu2. La mia era proprio una grave offesa ed essa ne sofferse. Seduta accanto a me, per non farmi vedere le sue lacrime essa guardava immota le mani che teneva intrecciate in grembo. Ripete1 il suo rimprovero: <> Buon diavolo come sono, mi lasciai intenerire da quelle lacrime e pregai Carla di squarciarmi le orecchie con la sua grande voce nel piccolo ambiente. Essa ora se ne schermiva e dovetti persino minacciare di andarmene se non fossi stato compiaciuto. Devo riconoscere che mi sembro2 per un istante anche di aver trovato un pretesto per riconquistare almeno temporaneamente la mia liberta2, ma, alla minaccia, la mia 209 umile serva si reco2 con gli occhi bassi a sedere al pianoforte. Dedico2 poi un istante breve al raccoglimento e si passo2 la mano sul viso quasi a scacciarne ogni nube. Vi riusci2 con una prontezza che mi sorprese e la sua faccia, quando fu scoperta da quella mano, non ricordava affatto il dolore di prima. Ebbi subito una grande sorpresa. Carla diceva la sua canzo- netta, la raccontava, non la gridava. Le grida -- come essa poi mi disse -- le erano state imposte dal suo maestro; ora le aveva congedate insieme a lui. La canzonetta triestina: <1Fazzo l'amor xe vero>1 <1Cossa ghe xe de mal>1 <1Vole1 che a sedes'ani>1 <1Stio la2 come un cocal...>1 e2 una specie di racconto o di confessione. Gli occhi di Carla brillavano di malizia e confessavano anche piu2 delle parole. Non c'era paura di sentirsi leso il timpano ed io m'avvicinai a lei, sorpreso e incantato. Sedetti accanto a lei ed essa allora racconto2 la canzonetta proprio a me, socchiudendo gli occhi per dirmi con la nota piu2 lieve e piu2 pura che quei sedici anni volevano la liberta2 e l'amore. Per la prima volta vidi esattamente la faccina di Carla: un ovale purissimo interrotto dalla profonda ed arcuata incava- tura degli occhi e degli zigomi tenui, reso anche piu2 puro da un biancore niveo, ora ch'essa teneva la faccia rivolta a me e alla luce, e percio2 non offuscata da alcuna ombra. E quelle linee dolci in quella carne che pareva trasparente, e celava tanto bene il sangue e le vene forse troppo deboli per poter apparire, domandavano affetto e protezione. Ora ero pronto di accordarle tanto affetto e protezione, incondizionatamente, ed anche nel momento in cui mi sarei sentito tanto disposto di ritornare ad Augusta, perche1 essa in quel momento non domandava che un affetto paterno che potevo concedere senza tradire. Quale soddisfazione! Re- stavo 1a2 con Carla, le accordavo quello che la sua faccina ovale domandava e non mi allontanavo da Augusta! Il mio affetto per Carla si ingentili2. Da allora, quando sentivo il bisogno di onesta2 e di purezza, non occorse piu2 abbandonar- la, ma potei restare con lei e cambiare discorso. Questa nuova dolcezza era dovuta alla sua faccina ovale 210 che io allora avevo scoperto o al suo talento musicale? Innegabile il talento! La strana canzonetta triestina finisce con una strofa in cui la stessa giovinetta proclama di essere vecchia e malandata e che ormai non ha piu2 bisogno di altra liberta2 che di morire. Carla continuava a profondere malizia e lietezza nel verso povero. Era tuttavia la giovinezza che si fingeva vecchia per proclamare meglio da quel punto di vista il suo diritto. Quando termino2 e mi trovo2 in piena ammirazione, an- ch'essa per la prima volta oltre che amarmi mi volle vera- mente bene. Sapeva che a me quella canzonetta sarebbe piaciuta di piu2 del canto che le insegnava il suo maestro: <> aggiunse con tristezza <1 non si possa trarre da cio2 il necessario per vivere.>> La convinsi facilmente che le cose non stavano cosi2. V'e- rano a questo mondo molte grandi artiste che dicevano e non cantavano. Essa si fece dire dei nomi. Era beata di apprendere quanto importante avrebbe potuto divenire la sua arte. <> aggiunse ingenuamente <> Io sorrisi e non discussi. La sua arte era anch'essa certa- mente difficile ed essa lo sapeva perche1 era quella la sola arte che conoscesse. Quella canzonetta le era costata uno studio lunghissimo. L'aveva detta e ridetta correggendo l'intona- zione di ogni parola, di ogni nota. Adesso ne studiava un'al- tra, ma l'avrebbe saputa soltanto di 1i2 a qualche settimana. Prima non voleva farla sentire. Seguirono dei momenti deliziosi in quella stanza ove fino ad allora non s'erano svolte che delle scene di brutalita2. Ecco che Carla s'apriva anche una carriera. La carriera che m'a- vrebbe liberato di lei. Molto simile a quella che per lei aveva sognato il Copler! Le proposi di trovarle un maestro. Essa dapprima si spavento2 della parola, ma poi si lascio2 convince- re facilmente quando le dichiarai che si poteva provare, e ch'essa sarebbe rimasta libera di congedarlo quando le fosse sembrato noioso o poco utile. Anche con Augusta mi trovai quel giorno molto bene. Avevo l'animo tranquillo come se fossi ritornato da una passeggiata e non dalla casa di Carla o come avrebbe dovuto 211 averlo il povero Copler quando abbandonava quella casa nei giorni in cui non gli avevano dato motivo di arrabbiarsi. Ne godetti come se fossi giunto a un'oasi. Per me e per la mia salute sarebbe stato gravissimo se tutta la mia lunga relazio- ne con Carla si fosse svolta in un'eterna agitazione. Da quel giorno, come risultato della bellezza estetica, le cose si svol- sero piu2 calme con le lievi interruzioni necessarie a rianima- re tanto il mio amore per Carla, quanto quello per Augusta. Ogni mia visita a Carla significava bensi2 un tradimento per Augusta, ma tutto era presto dimenticato in un bagno di salute e di buoni propositi. Ed il buon proposito non era brutale ed eccitante come quando avevo nella strozza il desiderio di dichiarare a Carla che non l'avrei rivista mai piu2. Ero dolce e paterno: ecco che di nuovo io pensavo alla sua carriera. Abbandonare ogni giorno una donna per correrle dietro il giorno appresso, sarebbe stata una fatica a cui il mio povero cuore non avrebbe saputo reggere. Cosi2, invece, Carla restava sempre in mio potere ed io l'avviavo ora in una direzione ed ora in un'altra. Per lungo tempo i propositi buoni non furono tanto forti da indurmi a correre per la citta2 in cerca del maestro che avrebbe fatto per Carla. Mi baloccavo col proposito buono, restando sempre seduto. Poi un bel giorno Augusta m confi- do2 che si se2ntiva madre ed allora il mio proposito per un istante ingiganti2 e Carla ebbe il suo maestro. Avevo esitato tanto anche perche1 era evidente che, anche senza maestro, Carla aveva saputo avviarsi ad un lavoro veramente serio nella sua nuova arte. Ogni settimana essa sapeva dirmi una canzonetta nuova, analizzata accurata- mente nell'atteggiamento e nella parola. Certe note avreb- bero abbisognato di essere levigate un poco, ma forse avreb- bero finito per l'affinarsi da se1. Una prova decisiva che Carla era una vera artista, io l'avevo nel modo come essa perfezio- nava continuamente le sue canzonette senza mai rinunziare alle cose migliori ch'essa aveva saputo far sue di prim'acchi- to. La indussi spesso a ridirmi il suo primo lavoro e vi trovavo aggiunto ogni volta qualche accento nuovo ed effi- cace. Data la sua ignoranza, era meraviglioso che nel grande sforzo di scoprire una forte espressione, non le fosse mai capitato di cacciare nella canzonetta dei suoni falsi o esage- rati. Da vera artista, essa aggiungeva ogni giorno una pie- 212 truccia al piccolo edificio, e tutto il resto restava intatto. Non la canzonetta era stereotipata, ma il sentimento che la detta- va. Carla, prima di cantare, si passava sempre la mano sulla faccia e dietro quella mano si creava un istante di raccogli- mento che bastava a piombarla nella commediola ch'essa doveva costruire. Una commedia non sempre puerile. Il mentore ironico di <1Rosina te xe nata in un casoto>1 minacciava, ma non troppo seriamente. Pareva che la can- tante avvertisse di sapere ch'era la storia di ogni giorno. Il pensiero di Carla era un altro, ma finiva con l'arrivare allo stesso risultato: <> essa diceva. Avvenne qualche volta che Carla inconsapevolmente riaccendesse il mio amore per Augusta e il mio rimorso. Infatti cio2 si avvero2 ogni qualvolta ella si permise dei movi- menti offensivi contro la posizione tanto solidamente occu- pata da mia moglie. Era sempre vivo il suo desiderio di avermi tutto suo per una notte intera; mi confido2 che le pareva che, per non aver dormito uno accanto all'altro, fossimo meno intimi. Volendo abituarmi ad essere piu2 dolce con lei, non mi rifiutai risolutamente di compiacerla, ma quasi sempre pensai che non sarebbe stato possibile di fare una cosa simile a meno che non mi fossi rassegnato di trovare alla mattina Augusta ad una finestra donde mi avesse aspet- tato la notte intera. Eppoi, non sarebbe stato questo un nuovo tradimento a mia moglie? Talvolta, cioe2 quando cor- revo a Carla pieno di desiderio, mi sentivo propenso di accontentarla, ma subito dopo ne vedevo l'impossibilita2 e la sconvenienza. Ma cosi2 non si arrivo2 per lungo tempo ne1 ad eliminare la prospettiva della cosa ne1 a realizzarla. Appa- rentemente si era d'accordo: prima o poi avremmo passata una notte intera insieme. Intanto ora ce n'era la possibilita2 perche1 io avevo indotto le Gerco di congedare quegl'inquili- ni che tagliavano la loro casa in due parti, e Carla aveva finalmente la sua camera da letto. Ora avvenne che poco dopo le nozze di Guido, mio suo- cero fu colto da quella crisi che doveva ucciderlo ed io 213 ebbi l'imprudenza di raccontare a Carla che mia moglie do- veva passare una notte al capezzale di suo padre per conce- dere un riposo a mia suocera. Non ci fu piu2 il caso di esimer- si: Carla pretese che passassi con lei quella stessa notte ch'era tanto dolorosa per mia moglie. Non ebbi il coraggio di ribellarmi a tale capriccio e mi vi acconciai col cuore pesante. Mi preparai a quel sacrificio. Non andai da Carla alla mattina e cosi2 corsi da lei alla sera con pieno desiderio dicendomi anche ch'era infantile di credere di tradire piu2 gravemente Augusta perche1 la tradivo in quel momento in cui essa per altre cause soffriva. Percio2 arrivai persino a spazientirmi perche1 la povera Augusta mi tratteneva per spiegarmi come avessi dovuto muovermi per avere pronte le cose di cui potevo aver bisogno a cena, per la notte ed anche per il caffe2 della mattina dopo. Carla m'accolse nello studio. Poco dopo colei ch'era sua madre e serva ci servi2 una cenetta squisita a cui io aggiunsi i dolci che avevo portato con me. La vecchia ritorno2 poi per sparecchiare ed io veramente avrei voluto coricarmi subito, ma era veramente ancora troppo di buon'ora e Carla m'in- dusse di starla a sentir cantare. Essa passo2 tutto il suo reper- torio e fu quello certamente la parte migliore di quelle ore, perche1 l'ansieta2 con cui aspettavo la mia amante, andava ad aumentare il piacere che sempre m'aveva dato la canzonetta di Carla. <> le dichia- rai ad un certo momento dimenticando che sarebbe stato impossibile di mettere tutto un pubblico nello stato d'animo in cui mi trovavo io. Ci coricammo infine nello stesso letto in una stanzuccia piccola e del tutto disadorna. Pareva un corridoio stroncato da una parete. Non avevo ancora sonno e mi disperavo al pensiero che, se ne avessi avuto, non avrei potuto dormire con tanta poca aria a mia disposizione. Carla fu chiamata dalla voce timida di sua madre. Essa, per rispondere, ando2 all'uscio e lo socchiuse. La sentii come con voce concitata domandava alla vecchia che cosa volesse. Timidamente l'altra disse delle parole di cui non percepii il senso e allora Carla urlo2 prima di sbattere l'uscio in faccia alla madre: 214 <> Cosi2 appresi che Carla, tormentata di notte dalla paura, dormiva sempre nella sua antica stanza da letto con la ma- dre, ove aveva un altro letto, mentre quello sul quale dove- vamo dormire insieme restava vuoto. Era certamente per paura ch'essa m'aveva indotto di fare quella partaccia ad Augusta. Confesso2 con una maliziosa allegria cui non parte- cipai, che con me si sentiva piu2 sicura che con sua madre. Mi diede da pensare quel letto in prossimita2 di quella stanza da studio solitaria. Non l'avevo mai visto prima. Ero geloso! Poco dopo fui sprezzante anche per il contegno che Carla aveva avuto con quella sua povera madre. Era fatta un po' differentemente di Augusta che aveva rinunziato alla mia compagnia pur di assistere i suoi genitori. Io sono special- mente sensibile a mancanze di riguardo verso i proprii geni- tori, io, che avevo sopportato con tanta rassegnazione le bizze del mio povero padre. Carla non pote1 accorgersi ne1 della mia gelosia ne1 del mio disprezzo. Soppressi le manifestazioni di gelosia ricordando come non avessi alcun diritto ad essere geloso visto che passavo buona parte delle mie giornate augurandomi che qualcuno mi portasse via la mia amante. Non v'era neppure alcuno scopo di far vedere il mio disprezzo alla povera giovinetta ormai che gia2 mi baloccavo di nuovo col desiderio di abbandonarla definitivamente, e quantunque il mio sde- gno fosse ora ingrandito anche dalle ragioni che poco prima avrebbero provocata la mia gelosia. Quello che occorreva era di allontanarsi al piu2 presto da quella piccola stanzuccia non contenente di piu2 di un metro cubo di aria, per soprap- piu2 caldissima. Non ricordo neppure bene il pretesto che addussi per allontanarmi subito. Affannosamente mi misi a vestirmi. Parlai di una chiave che avevo dimenticato di consegnare a mia moglie per cui essa, se le fosse occorso, non avrebbe potuto entrare in casa. Feci vedere la chiave che non era altra che quella che io avevo sempre in tasca, ma che fu presentata come la prova tangibile della verita2 delle mie asserzioni. Carla non tento2 neppure di fermarmi; si vesti2 e m'accompagno2 fin giu2 per farmi luce. Nell'oscurita2 delle scale, mi parve ch'essa mi squadrasse con un'occhiata inqui- 215 sitrice che mi turbo2: cominciava essa a intendermi? Non era tanto facile, visto ch'io sapevo simulare troppo bene. Per ringraziarla perche1 mi lasciava andare, continuavo di tempo in tempo ad applicare le mie labbra sulle sue guancie e simulavo di essere pervaso tuttavia dallo stesso entusiasmo che m'aveva condotto da lei. Non ebbi poi ad avere alcun dubbio della buona riuscita della mia simulazione. Poco prima, con un'ispirazione d'amore, Carla m'aveva detto che il brutto nome di Zeno, che m'era stato appioppato dai miei genitori, non era certamente quello che spettava alla mia persona. Essa avrebbe voluto ch'io mi chiamassi Dario e 1i2, nell'oscurita2, si congedo2 da me appellandomi cosi2. Poi s'ac- corse che il tempo era minaccioso e m'offerse di andar a prendere per me un ombrello. Ma io assolutamente non potevo sopportarla piu2 oltre, e corsi via tenendo sempre quella chiave in mano nella cui autenticita2 cominciavo a credere anch'io. L'oscurita2 profonda della notte veniva interrotta di tratto in tratto da bagliori abbacinanti. Il mugolio del tuono pareva lontanissimo. L'aria era ancora tranquilla e soffocante quan- to nella stessa stanzetta di Carla. Anche i radi goccioloni che cadevano erano tiepidi. In alto, evidente, c'era la minaccia ed io mi misi a correre. Ebbi la ventura di trovare in Corsia Stadion un portone ancora aperto e illuminato in cui mi rifugiai proprio a tempo! Subito dopo il nembo s'abbatte1 sulla via. Lo scroscio di pioggia fu interrotto da una ventata furiosa che parve portasse con se1 anche il tuono tutt'ad un tratto vicinissimo. Trasalii! Sarebbe stato un vero compro- mettermi se fossi stato ammazzato dal fulmine, a quell'ora, in Corsia Stadion! Meno male ch'ero noto anche a mia moglie come un uomo dai gusti bizzarri che poteva correre fin 1i2 di notte e allora c'e2 sempre la scusa a tutto. Dovetti rimanere in quel portone per piu2 di un'ora. Pare- va sempre che il tempo volesse mitigarsi, ma subito ripren- deva il suo furore sempre in altra forma. Ora grandinava. Era venuto a tenermi compagnia il portinaio della casa e dovetti regalargli qualche soldo perche1 ritardasse la chiusura del portone. Poi entro2 nel portone un signore vestito di bianco e grondante d'acqua. Era vecchio, magro e secco. Non lo rividi mai piu2, ma non so dimenticarlo per la luce del suo occhio nero e per l'energia ch'emanava da tutta la sua 216 personcina. Bestemmiava per essere stato infradiciato a quel modo. A me e2 sempre piaciuto d'intrattenermi con la gente che non conosco. Con loro mi sento sano e sicuro. E addirittura un riposo. Devo stare attento di non zoppicare, e sono salvo. Quando finalmente il tempo si mitigo2, io mi recai subito non a casa mia, ma da mio suocero. Mi pareva in quel momento di dover correre subito all'appello e vantarmi di esservi. Mio suocero s'era addormentato e Augusta, ch'era aiuta- ta da una suora, pote1 venire da me. Essa disse che avevo fatto bene di venire e si getto2 a piangere fra le mie braccia. Aveva visto soffrire suo padre orrendamente. S'accorse che ero tutto bagnato. Mi fece adagiare in una poltrona e mi coperse con delle coperte. Poi per qualche tempo pote1 restamni accanto. Io ero molto stanco e anche nel breve tempo in cui essa pote1 restare con me, lottai col sonno. Mi sentivo molto innocente perche1 intanto non l'ave- vo tradita restando lontano dal domicilio coniugale per tutta una notte. Era tanto bella l'innocenza che tentai di aumen- tarla. Incominciai a dire delle parole che somigliavano ad una confessione. Le dissi che mi sentivo debole e colpevole, e, visto che a questo punto essa mi guardo2 domandando delle spiegazioni, subito ritirai la testa nel guscio e, gettan- domi nella filosofia, le raccontai che il sentimento della colpa io l'avevo ad ogni mio pensiero, ad ogni mio respiro. <> disse Augusta; <> Diceva delle parole adatte ad accompagnare le sue lacri- me che continuavano a scorrere. A me parve ch'essa non avesse ben cornpresa la differenza che correva fra il mio pensiero e quello dei religiosi, ma non volli discutere e al suono monotono del vento che s'era rinforzato, con la tran- quillita2 che mi dava anche quel mio slancio alla confessione, m'addormentai di un lungo sonno ristoratore. Quando venne la volta del maestro di canto, tutto fu regolato in poche ore. Io da tempo l'avevo scelto, e, per dire il vero, m'ero arrestato al suo nome, prima di tutto perche1 217 era il maestro piu2 a buon mercato di Trieste. Per non com- promettermi, fu Carla stessa che ando2 a parlare con lui. Io non lo vidi mai, ma devo dire che oramai so molto di lui ed e2 una delle persone che piu2 stimo a questo mondo. Dev'essere un semplicione sano cio2 che e2 strano per un artista che viveva per la sua arte, come questo Vittorio Lali. Insomma un uomo invidiabile perche1 geniale e anche sano. Intanto sentii subito che la voce di Carla s'ammorbidi2 e divenne piu2 flessibile e piu2 sicura. Noi avevamo avuto paura che il maestro le avesse imposto uno sforzo come aveva fatto quello scelto dal Copler. Forse egli s'adatto2 al desiderio di Carla, ma sta di fatto che resto2 sempre nel genere da lei prediletto. Solo molti mesi dopo essa s'accorse di essersene lievemente allontanata, affinandosi. Non cantava piu2 le can- zonette triestine e poi neppure le napoletane, ma era passata ad antiche canzoni italiane e a Mozart e a Schubert. Ricordo specialmente una <> attribuita al Mozart, e nei giorni in cui sento meglio la tristezza della vita e rimpiango l'acerba fanciulla che fu mia e che io non amai, la <> mi echeggia all'orecchio come un rimprovero. Rive- do allora Carla travestita da madre che trae dal suo seno i suoni piu2 dolci per conquistare il sonno al suo bambino. Eppure essa, ch'era stata un'amante indimenticabile, non poteva essere una buona madre, dato ch'era una cattiva figlia. Ma si vede che saper cantare da madre e2 una caratteri- stica che copre ogni altra. Da Carla seppi la storia del suo maestro. Egli aveva fatto qualche anno di studii al Conservatorio di Vienna ed era poi venuto a Trieste ove aveva avuto la fortuna di lavorare per il nostro maggiore compositore colpito da cecita2. Scriveva le sue composizioni sotto dettatura, ma ne aveva anche la fiducia, che i ciechi devono concedere inteia. Cosi2 ne conob- be i propositi, le convinzioni tanto mature e i sogni sempre giovanili. Presto egli ebbe nell'anima tutta la musica, an- che quella che occorreva a Carla. Mi fu descritto anche il suo aspetto; giovine, biondo, piuttosto robusto, dal vesti- to negletto, una camicia molle non sempre di bucato, una cravatta che doveva essere stata nera, abbondante e sciolta, un cappello a cencio dalle falde spropositate. Di po- che parole -- a quanto mi diceva Carla e devo crederle per- che1 pochi mesi appresso con lei si fece ciarliero ed essa me lo 218 disse subito, -- e tutt'intento al compito che s'era assunto. Ben presto la mia giornata subi2 delle complicazioni. Alla mattina portavo da Carla oltre che amore anche un'amara gelosia, che diveniva molto meno amara nel corso della giornata. Mi pareva impossibile che quel giovinotto non approfittasse della buona, facile preda. Carla pareva stupita ch'io potessi pensare una cosa simile, ma io lo ero altrettanto al vederla stupita. Non ricordava piu2 come le cose si erano svolte tra me e lei? Un giorno arrivai a lei furibondo di gelosia ed essa spaven- tata si dichiaro2 subito pronta di congedare il maestro. Io non credo che il suo spavento fosse prodotto solo dalla paura di vedersi privata del mio appoggio, perche1 in quell'epoca io ebbi da lei delle manifestazioni di affetto di cui non posso dubitare e che alle volte mi resero beato, mentre, quando mi trovavo in altro stato d'animo, mi seccarono sembrandomi atti ostili ad Augusta ai quali, e per quanto mi costasse, ero obbligato d'associarmi. La sua proposta m'imbarazzo2. Che mi trovassi nel momento dell'amore o del pentimento, io non volevo accettare un suo sacrificio. Doveva pur esserci qualche comunicazione fra' miei due stati d'essere ed io non volevo diminuire la mia gia2 scarsa liberta2 di passare dall'uno all'altro. Percio2 non sapevo accettare una tale proposta che invece mi rese piu2 cauto cosi2 che anche quando ero esaspera- to dalla gelosia, seppi celarla. Il mio amore si fece piu2 iroso e fini2 che quando la desideravo e anche quando non la deside- ravo affatto, Carla mi sembro2 un essere inferiore. Mi tradiva o di lei non m'importava nulla. Quando non l'odiavo non ricordavo che ci fosse. Io appartenevo all'ambiente di salute e di onesta2 in cui regnava Augusta a cui ritornavo subito col corpo e l'anima non appena Carla mi lasciava libero. Data l'assoluta sincerita2 di Carla, io so esattamente per quanto lunghissimo tempo essa fu tutta mia, e la mia gelosia ricorrente di allora non puo2 essere considerata che quale una manifestazione di un recondito senso di giustizia. Doveva pur toccarmi quello che meritavo. Prima si innamoro2 il maestro. Credo che il primo sintomo del suo amore sia consistito in certe parole che Carla mi riferi2 con aria di trionfo ritenendo segnassero il primo suo grinde successo artistico pel quale le competesse una mia lode. Egli le avreb- be detto che oramai s'era tanto affezionato al suo compito di 219 maestro che, se essa non avesse potuto pagarlo, egli avrebbe continuato ad impartirle gratuitamente le sue lezioni. Io le avrei dato uno schiaffo, ma venne poi il momento in cui potei pretendere di saper gioire di quel suo vero trionfo. Essa poi dimentico2 il crampo che alla prima aveva colto tutta la mia faccia come di chi ficca i denti in un limone e accetto2 serena la lode tardiva. Egli le aveva raccontati tutti gli affari- proprii che non erano molti: musica, miseria e famiglia. La sorella gli aveva dati dei grandi dispiaceri ed egli aveva saputo comunicare a Carla una grande antipatia per quella donna ch'essa non conosceva. Quell'antipatia mi parve mol- to compromettente. Cantavano ora insieme delle canzoni sue che mi parvero povera cosa tanto quando amavo Carla quanto allorche1 la sentivo come una catena. Puo2 tuttavia essere che fossero buone ad onta che io non ne abbia piu2 sentito parlare. Egli diresse poi delle orchestre negli Stati Uniti e forse cola2 si cantano anche quelle canzoni. Ma un bel giorno essa mi racconto2 ch'egli le aveva chiesto di diventare sua moglie, e ch'essa aveva rifiutato. Allora io passai due quarti d'ora veramente brutti: il primo quando mi sentii tanto invaso dall'ira che avrei voluto aspettare il mae- stro per gettarlo fuori a furia di calci, ed il secondo quando non trovai il verso per conciliare la possibilita2 della continua- zione della mia tresca, con quel matrimonio ch'era in fondo una bella e morale cosa e una ben piu2 sicura semplificazione della mia posizione che non la carriera di Carla ch'essa immaginava d'iniziare in mia compagnia. Perche1 quel benedetto maestro s'era scaldato a quel modo e tanto presto? Oramai, in un anno di relazione, tutto s'era attenuato fra me e Carla, anche il cipiglio mio quando l'ab- bandonavo. I rimorsi miei erano oramai sopportabilissimi e quantunque Carla avesse ancora ragione di dirmi rude in amore, pareva ch'essa ci si fosse abituata. Cio2 doveva esserle riuscito anche facile, perche1 io non fui mai tanto brutale come nei primi giorni della nostra relazione e, sopportato quel primo eccesso, il resto dovette esserle sembrato in confronto mitissimo. Percio2 anche quando Carla non m'importava piu2 tanto, mi fu sempre facile prevedere che il giorno appresso io non sarei stato contento di venir a cercare la mia amante e di non trovarla piu2. Certo sarebbe stato bellissimo allora di saper 220 tornare da Augusta senza il solito intermezzo con Carla ed in quel momento io me ne sentivo capacissimo; ma prima avrei voluto provare. Il mio proposito in quel momento dev'esse- re stato circa il seguente: "Domani la preghero2 di accettare la proposta del maestro, ma oggi glielo impediro2". E con grande sforzo continuai a comportarmi da amante. Adesso, dicendone, dopo di aver registrate tutte le fasi della mia avventura, potrebbe sembrare ch'io facessi il tentativo di far sposare da altri la mia amante e di conservarla mia, cio2 che sarebbe stata la politica di un uomo piu2 avveduto di me e piu2 equilibrato, sebbene altrettanto corrotto. Ma non e2 vero: essa doveva decidervisi solo la dimane. E2 percio2 che solo allora cesso2 quel mio stato ch'io m'ostino a qualificare d'in- nocenza. Non era piu2 possibile adorare Carla per un breve periodo della giornata eppoi odiarla per ventiquattr'ore con- tinue, e levarsi ogni mattina ignorante come un neonato a rivivere la giornata, tanto simile alle precedenti, per sor- prendersi delle avventure che essa apportava e che avrei dovuto sapere a mente. Cio2 non era piu2 possibile. Mi si prospettava l'eventualita2 di perdere per sempre la mia amante se non avessi saputo domare il mio desiderio di liberarmene. Io subito lo domai! Ed e2 cosi2 che quel giorno, quando di lei non m'importo2 piu2 , feci a Carla una scena d'amore che per la sua falsita2 e la sua furia somigliava a quella che, preso dal vino, avevo fatto ad Augusta quella notte in vettura. Solo che qui mancava il vino ed io finii col commovermi veramente al suono delle mie parole. Le dichiarai ch'io l'amavo, che non sapevo piu2 restare senza di lei e che d'altronde mi pareva di esigere da lei il sacrificio della sua vita, visto che io non potevo offrirle niente che potesse eguagliare quanto le veniva offerto dal Lali. Fu proprio una nota nuova nella nostra relazione che pur aveva avuto tante ore di grande amore. Essa stava a sentire le mie parole beandovisi. Molto piu2 tardi si accinse a convin- cermi che non era il caso di affliggersi tanto perche1 il Lali s'era innamorato. Essa non ci pensava affatto! Io la ringraziai, sempre col medesimo fervore che ora pero2 non arrivava piu2 a commovermi. Sentivo un certo peso allo stomaco: evidentemente ero piu2 compromesso che mai. Il mio apparente fervore invece che diminuire aumento2, solo 221 per permettermi di dire qualche parola d'ammirazione pel povero Lali. Io non volevo mica perderlo, io volevo salvarlo, ma per il giorno dopo. Quando si tratto2 di risolvere se tenere o congedare il maestro, andammo presto d'accordo. Io non avrei poi volu- to privarla oltre che del matrimonio anche della carriera. Anche lei confesso2 che al suo maestro ci teneva: ad ogni lezione aveva la prova della necessita2 della sua assistenza. M'assicuro2 che potevo vivere tranquillo e fiducioso: essa amava me e nessun altro. Evidentemente il mio tradimento s'era allargato ed este- so. M'ero attaccato alla mia amante di una nuova affettuosi- ta2 che legava di nuovi legami e invadeva un territorio finora riservato solo al mio affetto legittimo. Ma ritornato a casa mia, anche questa affettuosita2 non esisteva piu2 e si riversava aumentata su Augusta. Per Carla non avevo altro che una profonda sfiducia. Chissa2 che cosa c'era di vero in quella proposta di matrimonio! Non mi sarei meravigliato se un bel giorno, senza aver sposato quell'altro, Carla m'avesse rega- lato un figlio dotato di un grande talento per la musica. E ricominciarono i ferrei propositi che m'accompagnavano da Carla, per abbandonarmi quand'ero con lei e per riprender- mi quando non l'avevo ancora lasciata. Tutta roba senza conseguenze di nessun genere. E non vi furono altre conseguenze da queste novita2. L'e- state passo2 e si porto2 via mio suocero. Io ebbi poi un gran da fare nella nuova casa commerciale di Guido ove lavorai piu2 che in qualunque altro posto, comprese le varie facolta2 universitarie. Di questa mia attivita2 diro2 piu2 tardi. Passo2 anche l'inverno eppoi sbocciarono nel mio giardinetto le prime foglie verdi e queste non mi videro mai tanto accascia- to come quelle dell'anno prima. Nacque mia figlia Antonia. Il maestro di Carla era sempre a nostra disposizione, ma Carla tuttavia non ne voleva sapere affatto ed io neppure, ancora. Vi furono invece delle gravi conseguenze nei miei rapporti con Carla per avvenimenti che veramente non si sarebbero creduti importanti. Passarono quasi inavvertiti e furono rile- vati solo dalle conseguenze che lasciarono. Precisamente agli albori di quella primavera, io dovetti accettare di andare a passeggiare con Carla al Giardino 222 Pubblico. Mi sembrava una grave compromissione, ma Car- la desiderava tanto di camminare al braccio mio al sole, che finii col compiacerla. Non doveva mai esserci concesso di vivere neppure per brevi istanti da marito e moglie ed anche questo tentativo fini2 male. Per gustare meglio il nuovo improvviso tepore che veniva dal cielo nel quale sembrava il sole avesse riacquistato da poco l'imperio, sedemmo su una panchina. Il giardino, nelle mattine dei giorni feriali, era deserto e a me sembrava, che non movendomi, il rischio di venir osservato fosse ancora diminuito. Invece, appoggiato con l'ascella alla sua gruccia, a passi lenti, ma enormi, s'avvicino2 a noi Tullio, quello dei cinquantaquattro muscoli e, senza guardarci, s'assise pro- prio accanto a noi. Poi levo2 la testa, il suo si scontro2 nel mio sguardo e mi saluto2: <> S'era messo a sedere proprio accanto a me e nella mia sorpresa io mi movevo in modo da impedirgli la vista di Carla. Ma lui, dopo di avermi stretta la mano, mi domando2: <> S'aspettava di venir presentato. Mi sottomisi: <> Poi continuai a mentire e so da Tuttlio stesso che la seconda menzogna basto2 a rivelargli tutto. Con un sorriso forzato dissi: <> Il mentitore dovrebbe tener presente che per essere cre- duto non bisogna dire che le menzogne necessarie. Col suo buon senso popolare, quando c'incontrammo di nuovo, Tul- lio mi disse: <> Io allora avevo gia2 perduto Carla e con grande volutta2 gli confermai ch'egli aveva colto nel segno, ma gli raccontai con tristezza che oramai essa m'aveva abbandonato. Non mi credette ed io gliene fui grato. Mi pareva che la sua incredu- lita2 fosse un buon auspicio. Carla fu colta da un malumore quale io non le avevo mai 223 visto. Io so ora che da quel momento comincio2 la sua ribel- lione. Subito non me ne avvidi perche1 per stare a sentire Tullio, che si era messo a raccontarmi della sua malattia e delle cure che intraprendeva, io le volgevo le spalle. Piu2 tardi appresi che una donna, quando anche si lasci trattare con meno gentilezza sempre salvo in certi istanti, non am- mette di venir rinnegata in pubblico. Essa manifesto2 il suo sdegno piuttosto verso il povero zoppo che verso me e non gli rispose quand'egli le indirizzo2 la parola. Neppure io stavo a sentire Tullio perche1 per il momento non arrivavo ad interessarmi delle sue cure. Lo guardavo nei suoi piccoli occhi per intendere che cosa egli pensasse di quell'incontro. Sapevo che egli ormai era pensionato e che avendo tutto il giorno libero poteva facilmente invadere con le sue chiac- chiere tutto il piccolo ambiente sociale della nostra Trieste di allora. Poi, dopo una lunga meditazione, Carla si levo2 per lasciar- ci. Mormoro2: <> e si avvio2. Io sapevo che l'aveva con me e, sempre tenendo conto della presenza di Tullio, cercai di conquistare il tempo ne- cessario per placarla. Le domandai il permesso di accompa- gnarla avendo da dirigermi dalla sua parte stessa. Quel suo saluto secco significava addirittura l'abbandono e fu quella la prima volta in cui seriamente lo temetti. La dura minaccia mi toglieva il fiato. Ma Carla stessa ancora non sapeva dove s'avviasse con quel suo passo deciso. Dava sfogo a una stizza del momento che fra poco l'avrebbe lasciata. Mattese e poi mi cammino2 accanto senza parole. Quando fummo a casa, fu presa da un impeto di pianto che non mu- spavento2 perche1 la indusse a rifugiarsi fra le mie braccia. Io le spiegai chi fosse Tullio e quanto danno sarebbe potuto venirmi dalla sua lingua. Vedendo che piangeva tuttavia, ma sempre fra le mie braccia, osai un tono piu2 risoluto: voleva dunque compromettermi? Non avevamo sempre detto che avremmo fatto di tutto per risparmiare dei dolori a quella povera donna ch'era tuttavia mia moglie e la madre di mia figlia? Parve che Carla si ravvedesse, ma volle restare sola per calmarsi. Io corsi via contentone. 224 Dev'essere da quest'avventura che le venne ad ogni istan- te il desiderio di apparire in pubblico quale mia moglie. Pareva che, non volendo sposare il maestro, intendesse costringermi di occupare una parte maggiore del posto che a lui rifiutava. Mi secco2 per lungo tempo perche1 prendessi due sedie ad un teatro, che avremmo poi occupate venendo da parti diverse per trovarci seduti uno accanto all'altro come per caso. Io con lei raggiunsi soltanto ma varie volte il Giardino Pubblico, quella pietra miliare dei miei trascorsi, cui ora arrivavo dall'altra parte. Oltre, mai! Percio2 la mia amante fini2 col somigliarmi troppo. Senz'alcuna ragione, ad ogni istante, se la prendeva con me in scoppi di collera improvvisi. Presto si ravvedeva, ma bastavano per rendermi tanto eppoi tanto buono e docile. Spesso la trovavo che si scioglieva in lacrime e non arri2vavo mai ad ottenere da lei una spiegazione del suo dolore. Forse la colpa fu mia perche1 non insistetti abbastanza per averla. Quando la conobbi meglio, cioe2 quando essa mi abbandono2, non abbisognai di altre spiegazioni. Essa, stretta dal bisogno, s'era gettata in quell'avventura con me, che proprio non facevo per lei. Fra le mie braccia era divenuta donna e -- amo supporlo -- donna onesta. Naturalmente che cio2 non va attribuito ad alcun merito mio, tanto piu2 che tutto mio fu il danno. Le capito2 un nuovo capriccio che dapprima mi sorprese e subito dopo teneramente mi commosse: volle vedere mia moglie. Giurava che non le si sarebbe avvicinata e che si sarebbe comportata in modo da non esser scorta da lei. Le promisi che quando avessi saputo di un'uscita di mia moglie ad un'ora precisa, gliel'avrei fatto sapere. Essa doveva vede- re mia moglie non vicino alla mia villa, luogo deserto ove il singolo e2 troppo osservato, ma in qualche affollata via della citta2. In quel torno di tempo mia suocera fu colpita da un malore agli occhi per cui dovette bendarseli per varii giorni. S'an- noiava mortalmente e, per indurla a tener rigidamente la cura, le sue figliuole si dividevano la guardia presso di lei: mia moglie alla mattina, e Ada fino alle quattro precise del pomeriggio. Con risoluzione istantanea io dissi a Carla che mia moglie abbandonava la casa di mia suocera ogni giorno alle quattro precise. Neppure adesso so esattamente perche1 io abbia presentata Ada a Carla quale mia moglie. E certo 225 che io, dopo la domanda di matrimonio fattale dal maestro, sentivo il bisogno di vincolare meglio la mia amante a me e puo2 essere che abbia creduto che quanto piu2 bella avesse trovata mia moglie, tanto piu2 avrebbe apprezzato l'uomo che le sacrificava (per modo di dire) una donna simile. Augusta in quel tempo non era altro che una buona balia sanissima. Puo2 avere influito sulla mia decisione anche la prudenza. Avevo certamente ragione di temere gli umori- della mia amante e se essa si fosse lasciata trascinare a qualche atto inconsulto con Ada, cio2 non avrebbe avuto importanza visto che questa m'aveva gia2 dato prova che mai avrebbe tentato di diffamarmi presso mia moglie. Se Carla m'avesse compromesso con Ada, a questa avrei raccontato tutto e per dire il vero con una certa soddisfa- zione. Ma la mia politica ebbe un esito non prevedibile davvero. Indottovi da una certa ansieta2, andai la mattina appresso da Carla piu2 di buon'ora del solito. La trovai mutata del tutto dal giorno prima. Una grande serieta2 aveva invaso il nobile ovale della sua faccina. Volli baciarla, ma essa mi respinse eppoi si lascio2 sfiorare dalle mie labbra le guancie, tanto per indurmi a starla ad ascoltare docilmente. Sedetti a lei di faccia dall'altra parte del tavolo. Essa, senza troppo affret- tarsi, prese un foglio di carta su cui fino al mio arrivo aveva scritto e lo ripose fra certa musica che giaceva sul tavolo. Io a quel foglio non feci attenzione e solo piu2 tardi appresi ch'era una lettera ch'essa scriveva al Lali. Eppure io ora so che persino in quel momento l'animo di Carla era conteso da dubbi. Il suo occhio serio si posava su di me indagando; poi lo rivolgeva alla luce della finestra per meglio isolarsi e studiare il proprio animo. Chissa2! Se avessi subito indovinato meglio quello che in lei si dibatteva, avrei potuto ancora conservarmi la mia deliziosa amante. Mi racconto2 del suo incontro con Ada. L'aveva attesa dinanzi alla casa di mia suocera e, quando la vide arrivare, subito la riconobbe. <> Tacque per un istante per dominare la commozione che le chiudeva la gola. Poi continuo2: <> <> gridai io sorpreso. <> Ada triste! Se rideva e sorrideva sempre; anche quella stessa mattina in cui l'avevo vista per un istante a casa mia. Ma Carla era meglio informata di me: <> Mi racconto2 sempre piu2 commossa che aveva saputo farsi rivolgere una parola -- oh! dolcissima! -- da Ada. Questa aveva lasciato cadere il suo fazzoletto e Carla lo raccolse e glielo porse. La sua breve parola di ringraziamento commos- se Carla fino alle lacrime. Ci fu poi dell'altro ancora fra le due donne: Carla asseriva che Ada avesse anche notato ch'essa piangeva e che si fosse divisa da lei con un'occhiata accorata di solidarieta2. Per Carla tutto era chiaro: mia mo- glie sapeva ch'io la tradivo e ne soffriva! Da cio2 il proposito di non vedermi piu2 e di sposare il Lali. Non sapevo come difendermi! M'era facile di parlare con piena antipatia di Ada ma non di mia moglie, la sana balia che non s'accorgeva affatto di quello che avveniva nell'ani- mo mio, tutt'intenta com'era al suo ministero. Domandai a Carla se essa non avesse notata la durezza dell'occhio di Ada, e se non si fosse accorta che la sua voce era bassa e rude, priva di alcuna dolcezza. Per riavere subito l'amore di Carla, io ben volentieri avrei attribuiti a mia moglie molti altri delitti, ma non si poteva perche1, da un anno circa, io con la mia amante non facevo altro che portarla ai sette cieli. Mi salvai altrimenti. Fui preso io stesso da una grande emozione che mi spinse le lacrime agli occhi. Mi pareva di poter legittimamente commiserarmi. Senza volerlo, m'ero gettato in un ginepraio in cui mi sentivo infelicissimo. Quella confusione fra Ada e Augusta era insopportabile. La verita2 era che mia moglie non era tanto bella e che Ada (era di lei che Carla si prendeva di tanta compassione) aveva avuti dei grandi torti verso di me. Percio2 Carla era veramente ingiusta nel giudicarmi. Le lacrime resero Carla piu2 mite: <> Ad onta del giuramento essa fini2 col tradirla per l'ultima volta. Avrebbe voluto dividersi da me per sempre con un ultimo bacio, ma io quel bacio lo accordavo in un'unica forma, altrimenti me ne sarei andato pieno di rancore. Per- cio2 essa si rassegno2. Mormoravamo ambedue: <> Fu un istante delizioso. Il proposito fatto a due aveva un effetto che cancellava qualsiasi colpa. Eravamo innocenti e beati! Il mio benevolo destino m'aveva riservato un istante di felicita2 perfetta. Mi sentivo tanto felice che continuai la commedia fino al momento di dividerci. Non ci saremmo visti mai piu2. Essa rifiuto2 la busta che portavo sempre nella mia tasca e non volle neppure un ricordo mio. Bisognava cancellare dalla nostra nuova vita ogni traccia dei trascorsi passati. Allora la baciai volentieri paternamente sulla fronte com'essa aveva voluto prima. Poi, sulle scale, ebbi un'esitazione perche1 la cosa si faceva un poco troppo seria mentre se avessi saputo che essa la dimane sarebbe stata tuttavia a mia disposizione, il pensiero al futuro non mi sarebbe venuto cosi2 presto. Essa, dal suo pianerottolo, mi guardava scendere ed io, un po' ridendo, le gridai: <> Essa si ritrasse sorpresa e quasi spaventata e si allontano2 dicendo: <> Io mi sentii tuttavia sollevato di aver osato di dire la parola che poteva avviarmi ad un altro ultimo abbraccio quando l'avrei desiderato. Privo di desiderii e privo di impegni, passai tutta una bella giornata con mia moglie eppoi nell'uf- ficio di Guido. Devo dire che la mancanza d'impegni m'avvi- cinava a mia moglie e a mia figlia. Ero per loro qualche cosa piu2 del solito: non solo gentile, ma un vero padre che dispo- ne e comanda serenamente, tutta la mente rivolta alla sua casa. Andando a letto mi dissi in forma di proponimento: <> 228 Prima di addormentarsi, Augusta senti2 il bisogno di confi- darmi un grande segreto: essa lo aveva saputo dalla madre quel giorno stesso. Alcuni giorni prima Ada aveva sorpreso Guido mentre abbracciava una loro domestica. Ada aveva voluto fare la superba, ma poi la fantesca s'era fatta insolen- te e Ada l'aveva messa alla porta. Il giorno prima erano stati ansiosi di sentire come Guido avrebbe preso la cosa. Se si fosse lagnato, Ada avrebbe domandato la separazione. Ma Guido aveva riso e protestato che Ada non aveva visto bene; pero2 non aveva niente in contrario che, anche innocente, quella donna per cui diceva di sentire una sincera antipatia, fosse stata allontanata di casa. Pareva che ora le cose si fossero appianate. A me importava di sapere se Ada avesse avute le traveg- gole quando aveva sorpreso il marito in quella posizione. C'era ancora la possibilita2 di un dubbio? Perche1 bisognava ricordare che quando due s'abbracciano, hanno tutt'altra posizione che quando l'una netta le scarpe dell'altro. Ero di ottimo umore. Sentivo persino il bisogno di dimostrarmi giusto e sereno nel giudicare Guido. Ada era certamente di carattere geloso e poteva avvenire che essa avesse viste diminuite le distanze e spostate le persone. Con voce accorata Augusta disse ch'essa era sicura che Ada aveva visto bene e che ora per troppo affetto giudicava male. Aggiunse: <> Io, che mi sentivo sempre piu2 innocente, le regalai la frase: <> Poi, prima d'addormentarmi, monnorai: <> Ero abbastanza sincero di rimproverargli esattamente quella parte della sua azione ch'io non avevo da rimprovera- re a me stesso. La mattina appresso mi levai col desideri2o vivo che alme- no quella prima giornata avesse a somigliare esattamente a quella precedente. Era probabile che i proponimenti deli- ziosi del giorno prima non avrebbero impegnata Carla piu2 di me, ed io me ne sentivo del tutto libero. Erano stati troppo belli per essere impegnativi. Certo l'ansia di sapere quello 229 che ne pensasse Carla mi faceva correre. Il desiderio sarebbe stato di trovarla pronta per un altro proponimento. La vita sarebbe corsa via, ricca bensi2 di godimenti, ma anche piu2 di sforzi per migliorarsi, ed ogni mio giorno sarebbe stato dedicato in gran parte al bene ed in piccolissima al rimorso. L'ansia c'era, perche1 in tutto quell'anno per me tanto ricco di propositi, Carla non ne aveva avuto che uno: Dimostrare di volermi bene. L'aveva rnantenuto e c'era una certa diffi- colta2 d'inferirne se ora le sarebbe stato facile di tenere il nuovo proposito che rompeva il vecchio. Carla non c'era a casa. Fu una grande disillusione e mi morsi le dita dal dispiacere. La vecchia mi fece entrare in cucina. Mi racconto2 che Carla sarebbe ritornata prima di sera. Le aveva detto che avrebbe mangiato fuori e percio2 su quel focolare non c'era neppure quel piccolo fuoco che vi- ardeva di solito: <> mi domando2 la vecchia facendo gli occhi grandi per la sorpresa. Pensieroso e distratto, mormorai: <> Me ne andai dopo di aver salutato gentilmente. Digrigna- vo i denti, ma di nascosto. Ci voleva del tempo per darmi il coraggio di arrabbiarmi pubblicamente. Entrai nel Giardino Pubblico e vi passeggiai per una mezz'ora per prendermi il tempo d'intendere meglio le cose. Erano tanto chiare che non ci capivo piu2 niente. Tutt'ad un tratto, senz'alcuna pieta2, venivo costretto di tenere un proposito simile. Stavo male, realmente male. Zoppicavo e lottavo anche con una specie di affanno. Io ne ho di quegli affanni: respiro benissi- mo, ma conto i singoli respiri, perche1 devo farli uno dopo l'altro di proposito. Ho la sensazione che se non stessi atten- to, morrei soffocato. A quell'ora avrei dovuto andare al mio ufficio o meglio a quello di Guido. Ma non era possibile di allontanarmi cosi2 da quel posto. Che cosa avrei fatto poi? Ben dissimile era questa dalla giornata precedente! Almeno avessi conosciuto l'indirizzo di quel maledetto maestro che a forza di cantare a mie spese m'aveva portata via la mia amante. Finii col ritornare dalla vecchia. Avrei trovata una parola da mandare a Carla per indurla a rivedermi. Gia2 il piu2 230 difficile era di averla al piu2 presto a tiro. Il resto non avrebbe offerto delle grandi difficolta2. Trovai la vecchia seduta accanto ad una finestra della cucina, intenta a rammendare una calza. Essa si levo2 gli occhiali e, quasi timorosa, mi mando2 uno sguardo interroga- tore. Io esitai! Poi le domandai: <> A me pareva di raccontare tale nuova a me stesso. Carla me l'aveva ben detta due volte, ma io il giorno prima vi avevo fatto poca attenzione. Quelle parole di Carla avevano colpito l'orecchio e ben chiaramente perche1 ve le avevo ritrovate, ma erano scivolate via senza penetrare oltre. Adesso appena arrivavano ai visceri che si contorcevano dal dolore. La vecchia mi guardo2 anch'essa esitante. Certamente ave- va paura di commettere delle indiscrezioni che avrebbero potuto esserle rimproverate. Poi scoppio2, tutta gioia evi- dente: <> Ora rideva di gusto, la maledetta vecchia, che io avevo sempre creduto informata dei miei rapporti con Carla. L'a- vrei picchiata volentieri, ma poi mi limitai a dire che prima avrei atteso che il maestro si facesse una posizione. A me, insomma, pareva che la cosa fosse precipitata. Nella sua gioia la signora divenne per la prima volta loquace con me. Non era del mio parere. Quando ci si sposava da giovani si doveva fare la carriera dopo di essersi sposati. Perche1 occorreva farla prima? Carla aveva cosi2 pochi bisogni. La sua voce, ora, sarebbe costata meno, visto che nel marito avrebbe avuto il maestro. Queste parole che potevano significare un rimprovero alla mia avarizia, mi diedero un'idea che mi parve magnifica e che per il momento mi sollevo2. Nel plico che portavo sempre nella mia tasca di petto, doveva esserci oramai un bell'im- porto. Lo trassi di tasca, lo chiusi e lo consegnai alla vecchia perche1 lo desse a Carla. Avevo forse anche il desiderio di pagare finalmente in modo decoroso la mia amante, ma il desiderio piu2 forte era di rivederla e riaverla. Carla m'avreb- be rivisto tanto nel caso in cui avesse voluto restituirmi il denaro quanto in quello in cui le fosse stato comodo di 231 tenerlo, perche1 allora avrebbe sentito il bisogno di ringra- ziarmi. Respirai: tutto non era ancora finito per sempre! Dissi alla vecchia che la busta conteneva poco denaro residuo di quello consegnatomi per loro dagli amici del povero Copler. Poi, molto rasserenato, mandai a dire a Carla che io restavo il suo buon amico per tutta la vita e che, se essa avesse avuto bisogno di un appoggio, avrebbe potuto rivolgersi liberamente a me. Cosi2 potei mandarle il mio indirizzo ch'era quello dell'ufficio di Guido. Partii con un passo molto piu2 elastico di quello che m'ave- va condotto cola2. Ma quel giorno ebbi un violento litigio con Augusta. Si trattava di cosa da poco. Io dicevo che la minestra era troppo salata ed essa pretendeva di no. Ebbi un accesso folle d'ira perche1 mi sembrava ch'essa mi deridesse e trassi a me con violenza la tovaglia cosi2 che tutte le stoviglie della tavola volarono a terra. La piccina ch'era in braccio alla bambinaia si mise a strillare, cio2 che mi mortifico2 grandemente perche1 la piccola bocca sembrava mi rimpro- verasse. Augusta impallidi2 come sapeva impallidire lei, prese la fanciulla in braccio e usci2. A me parve che anche il suo fosse un eccesso: mi avrebbe ora lasciato mangiare solo come un cane? Ma subito essa, senza la bambina, rientro2, riapparecchio2 la tavola, sedette dinanzi al proprio piatto nel quale mosse il cucchjaio come se avesse voluto accingersi a mangiare. Io, fra me e me, bestemmiavo, ma gia2 sapevo d'essere stato un giocattolo in mano di forze sregolate della natura. La natura che non trovava difficolta2 nell'accumularle, ne trovava ancor meno nello scatenarle. Le mie bestemmie andavano ora contro Carla che fingeva di agire solo a vantaggio di mia moglie. Ecco come me l'aveva conciata! Augusta, per un sistema cui rimase fedele fino ad oggi, quando mi vede in quelle condizioni, non protesta, non piange, non discute. Quand'io mitemente mi misi a doman- darle scusa, essa volle spiegare una cosa: non aveva riso, aveva soltanto sorriso nello stesso modo che m'era piaciuto tante volte e che tante volte avevo vantato. Mi vergognai profondamente. Supplicai che la bambina fosse portata subito con noi e quando l'ebbi fra le mie braccia, lungamente giuocai con lei. Poi la feci sedere sulla 232 mia testa e sotto la sua vesticciola che mi copriva la faccia, asciugai i miei occhi che s'erano bagnati delle lacrime che Augusta non aveva sparse. Giuocavo con la bambina, sa- pendo che cosi2, senz'abbassarmi a fare delle scuse, mi riavvi- cinavo ad Augusta ed infatti le sue guancie avevano gia2 riacquistato il colore consueto. Poi anche quella giornata fini2 molto bene e il pomeriggio somiglio2 a quello precedente. Era proprio la stessa cosa come se alla mattina avessi trovata Carla al solito posto. Non m'era mancato lo sfogo. Avevo ripetutamente domandato scusa perche1 dovevo indurre Augusta di ritornare al suo sorriso materno quando dicevo o facevo delle bizzarrie. Guai se avesse dovuto sopprimere anche uno dei soliti suoi sorrisi affettuosi che mi parevano il giudizio piu2 completo e benevolo che si potesse dare su di me. Alla sera riparlammo di Guido. Pareva che la sua pace con Ada fosse completa. Augusta si meravigliava della bonta2 di sua sorella. Questa volta pero2 toccava a me di sorridere perche1 era evidente ch'ella non ricordava la propria bonta2 che era enorme. Le domandai: <> Ella esito2: <> esclamo2 <> Ella non amava Guido; penso talvolta che gli tenesse rancore perche1 m'aveva fatto soffrire. Pochi mesi dopo, Ada regalo2 a Guido due gemelli e Guido non comprese mai perche1 gli facessi delle congratulazioni tanto calorose. Ecco che avendo dei figliuoli, anche secondo il giudizio di Augusta, le serve di casa potevano essere sue senza pericolo per lui. Alla mattina seguente, pero2, quando in ufficio trovai sul mio tavolo una busta al mio indirizzo scritto da Carla, respi- rai. Ecco che niente era finito e che si poteva continuare a vivere munito di tutti gli elementi necessarii. In brevi parole Carla mi dava un appuntamento per le undici della mattina al Giardino Pubblico, all'ingresso posto di faccia alla sua casa. Ci saremmo trovati non nella sua stanza, ma tuttavia in un posto vicinissimo alla stessa. Non seppi aspettare e arrivai all'appuntamento un quarto d'ora prima. Se Carla non fosse stata al posto indicato, io mi 233 sarei recato dritto dritto a casa sua, cio2 che sarebbe stato ben piu2 comodo. Anche quella era una giornata pregna della nuova prima- vera dolce e luminosa. Quando abbandonai la rumorosa Corsia Stadion ed entrai nel giardino, mi trovai nel silenzio della campagna che non si puo2 dire interrotto dal lieve, continuo stormire delle piante lambite dalla brezza. Con passo celere m'avviavo ad uscire dal giardino quando Carla mi venne incontro. Aveva in mano la mia busta e mi si avvicinava senza un sorriso di saluto, anzi con una rigida decisione sulla faccina pallida. Portava un semplice vestito di tela dal tessuto grosso traversato da striscie azzurre, che le stava molto bene. Pareva anch'essa una parte del giardino. Piu2 tardi, nei momenti in cui piu2 la odiai, le attribuii l'inten- zione di essersi vestita cosi2 per rendersi piu2 desiderabile nel momento stesso in cui mi si rifiutava. Era invece il primo giorno di primavera che la vestiva. Bisogna anche ricordare che nel mio lungo ma brusco amore, l'adornamento della mia donna aveva avuto piccolissima parte. Io ero sempre andato direttamente a quella sua stanza da studio, e le donne modeste sono proprio molto semplici quando restano in casa. Essa mi porse la mano ch'io strinsi dicendole: <> Come sarebbe stato piu2 decoroso per me se durante tutto quel colloquio io fossi rimasto cosi2 mite! Carla pareva commossa e, quando parlava, una specie di convulso le faceva tremare le labbra. Talvolta anche nel cantare quel movimento delle labbra le impediva la nota. Mi disse: <> Vedendola vicina alle lacrime, subito la compiacqui pren- dendo la busta che mi ritrovai poi in mano, lungo tempo dopo di aver abbandonato quel luogo. <> Feci questa domanda non pensando ch'essa vi aveva ri- sposto il giorno prima. Ma era possibile che, desiderabile come la vedevo, essa si contendesse a me? <> rispose la fanciulla con qualche dolcezza <> Nel suo pensiero continuava dunque ad avere importanza la bellezza di Ada. Se io fossi stato sicuro che il suo abbando- no era causato da lei, avrei avuto il modo di correre al riparo. Le avrei fatto sapere che Ada non era mia moglie e le avrei fatto vedere Augusta col suo occhio sbilenco e la sua figura di balia sana. Ma non erano oramai piu2 importanti gl'impe- gni presi da lei? Bisognava discutere quelli. Cercai di parlare calmo mentre anche a me le labbra tremavano, ma dal desiderio. Le raccontai che ancora ella non sapeva quanto mia essa fosse e come non avesse piu2 il diritto di disporre di se1. Nella mia testa si moveva la prova scientifica di quanto volevo dire, cioe2 quel celebre esperi- mento di Darwin su una cavalla araba, ma, grazie al Cielo, sono quasi sicuro di non averne parlato. Devo pero2 aver parlato di bestie e della loro fedelta2 fisica, in un balbettio senza senso. Abbandonai poi gli argomenti piu2 difficili che non erano accessibili ne1 a lei ne1 a me in quel momento e dissi: <> L'afferrai rudemente per la mano sentendo il bisogno di un atto energico, non trovando nessuna parola che sapesse supplirvi. Essa si levo2 con tanta energia dalla mia stretta come se fosse stata la prima volta ch'io mi fossi perrnessa una cosa simile. <> disse con l'atteggiamento di chi giura <> Non v'era dubbio! Il sangue che le colori2 improvvisamen- te le guancie vi era spinto dal rancore per l'uomo che verso di lei non aveva assunto alcun impegno. E si spiego2 anche meglio: <> 235 Era evidente che la mia donna correva via, sempre piu2 lontano da me. Io le corsi dietro follemente, con certi salti simili a quelli di un cane cui venga conteso un saporito pezzo di carne. Ripresi la sua mano con violenza: <> proposi <> Ecco che per la prima volta rinunziavo ad Augusta! E mi parve una liberazione perche1 era dessa che voleva togliermi Carla. Essa si tolse di nuovo alla mia stretta e disse seccamente: <> Saltai ancora: <> <> essa disse con orgoglio. <> Mi sentivo perduto e nella mia rabbia, simile al cane che, quando non puo2 raggiungere il boccone desiderato, addenta le vesti di chi glielo contende, dissi: <> Non sentivo l'esatto suono delle mie parole. Sapevo di gridare dal dolore. Essa ebbe invece un'espressione d'indi- gnazione di cui non avrei creduto capace il suo occhio bruno e mite di gazzella: <> Mi volse le spalle e con passo celere s'avvio2 verso l'uscita. Io gia2 avevo rimorso delle parole dette, offuscato pero2 dalla grande sorpresa che oramai mi fosse interdetto di trattare Carla con meno dolcezza. Quella mi teneva inchiodato al posto. La piccola figurina azzurra e bianca, con un passo breve e celere, raggiungeva gia2 l'uscita, quando mi decisi di correrle dietro. Non sapevo quello che le avrei detto, ma era impossibile che ci si separasse cosi2. La fermai al portone di casa sua e le dissi solo sinceramen- te il grande dolore di quel momento: <> Essa procedette oltre senza rispondermi ed io la seguii 236 anche sulle scale. Poi mi guardo2 con quel suo occhio nernico: <> Sentii appena allora le note sincopate del <1Saluto>1 dello Schubert ridotto dal Liszt. Quantunque dalla mia infanzia io non abbia maneggiata ne1 una sciabola ne1 un bastone, io non sono un uomo pauro- so. Il grande desiderio che m'aveva commosso fino ad allo- ra, era improvvisamente sparito. Del maschio non resta in me che la combattivita2. Avevo domandato imperiosamente una cosa che non mi competeva. Per diminuire il mio errore adesso bisognava battersi, perche1 altrirnenti il ricordo di quella donna che minacciava di farrni punire dal suo sposo, sarebbe stato atroce. <> le dissi. <> Mi batteva il cuore non per paura, ma per il timore di non comportarmi bene. Continuai a salire accanto a lei. Ma improvvisamente essa si fermo2, s'appoggio2 al muro e si mise a piangere senza parole. Lassu2 continuavano ad echeggiare le note del <1Saluto>1 su quel pianoforte che io avevo pagato. Il pianto di Carla rese quel suono molto commovente. <> do- mandai. <> disse essa appena capace di articolare quella breve parola. <> le dissi. <> Scesi lentamente le scale, fischiettando anch'io il <1Saluto>1 di Schubert. Non so se sia stata un'illusione, ma a me parve ch'essa mi chiamasse: <> In quel momento essa avrebbe potuto chiarnarmi anche con quello strano nome di Dario ch'essa sentiva quale un vezzeggiativo e non mi sarei fermato. Avevo un grande desiderio di andarmene e ritornavo anche un volta, puro, ad Augusta. Anche il cane cui a forza di pedate si impedisce l'approccio alla femmina, corre via purissimo, per il momento. Quando il giorno dopo fui ridotto nuovamente allo stato in cui m'ero trovato al momento d'avviarmi al Giardino Pubblico, mi parve semplicemente di essere stato un vigliac- 237 co: essa m'aveva chiamato sebbene non col nome dell'amo- re, ed io non avevo risposto! Fu il primo giorno di dolore cui seguirono molti altri di desolazione amara. Non compren- dendo piu2 perche1 mi fossi allontanato cosi2, mi attribuivo la colpa di aver avuto paura di quell'uomo o paura dello scan- dalo. Avrei ora nuovamente accettata qualunque compro- missione, come quando avevo proposto a Carla quella lunga passeggiata traverso alla citta2. Avevo perduto un momento favorevole e sapevo benissimo che certe donne ne hanno per una volta sola. A me sarebbe bastata quella sola volta. Decisi subito di scrivere a Carla. Non m'era possibile di lasciar trascorrere neppur un sol giomo di piu2 senza fare un tentativo per riavvicinarmi a lei. Scrissi e riscrissi quella lettera per mettere in quelle poche parole tutto l'accorgi- mento di cui ero capace. La riscrissi tante volte anche perche1 lo scriverla era un grande conforto per me; era lo sfogo di cui abbisognavo. Le domandavo perdono per l'ira che le avevo dimostrata, asserendo che il grande mio amore abbisognava di tempo per calmarsi. Aggiungevo: <> e scrissi questa frase tante volte sempre digrignando i denti. Poi le dicevo che non sapevo perdonarmi le parole che le avevo dirette e sentivo il bisogno di domandarle scusa. Io non potevo, purtroppo, offrirle quello che il Lali le offriva e di cui ella era tanto degna. Io mi figuravo che la lettera avrebbe avuto un grande effetto. Giacche1 il Lali sapeva tutto, Carla gliel'avrebbe fatta vedere e per il Lali avrebbe potuto esser vantaggioso di avere un amico della mia qualita2. Sognai persino che ci si sarebbe potuti avviare a una dolce vita a tre, perche1 il mio amore era tale che per il momento io avrei vista raddolcita la mia sorte se mi fosse stato permesso di fare anche solo la corte a Carla. Il terzo giorno ricevetti da lei un breve biglietto. Non vi venivo invocato affatto ne1 come Zeno ne1 come Dario. Mi diceva soltanto: <>. Parlava di Ada, natural- mente. Il momento favorevole non aveva continuato e dalle don- ne non continua mai se non lo si ferma prendendole per le treccie. Il mio desiderio si condenso2 in una bile furiosa. Non 238 contro Augusta! L'animo mio era tanto pieno di Carla che ne avevo rimorso e mi costringevo con Augusta ad un sorriso ebete, stereotipato, che a lei pareva autentico. Ma dovevo fare qualche cosa. Non potevo mica aspettare e soffrire cosi2 ogni giorno! Non volevo piu2 scriverle. La carta scritta per le donne ha troppo poca importanza. Bisognava trovare di meglio. Senza un proposito esatto, m'avviai di corsa al Giardino Pubblico. Poi, molto piu2 lentamente, alla casa di Carla e, giunto a quel pianerottolo, bussai alla porta della cucina. Se ve n'era la possibilita2, avrei evitato di vedere il Lali, ma non mi sarebbe dispiaciuto d'imbattermi in lui. Sarebbe stata la crisi di cui sentivo di aver bisogno. La vecchia signora, come al solito, era al focolare su cui ardevano due grandi fuochi. Fu stupita al vedermi, ma poi rise da quella buona innocente ch'essa era. Mi disse: <> Mi fu facile di farla ciarlare. Mi racconto2 che gli amori di Carla con Vittorio erano grandi. Quel giorno lui e la madre venivano a desinare da loro. Aggiunse ridendo: <>. Sorrideva di quella felicita2, maternamente. Mi racconto2 che di 1i2 a poche settimane si sarebbero sposati. Avevo un cattivo sapore in bocca, e quasi mi sarei avviato alla porta per andarmene. Poi mi trattenni sperando che la ciarla della vecchia avrebbe potuto suggerirmi qualche buo- na idea o darmi qualche speranza. L'ultimo errore, ch'io avevo commesso con Carla, era stato proprio di correre via prima di aver studiato tutte le possibilita2 che potevano esser- mi offerte. Per un istante credetti anche di avere la mia idea. Doman- dai alla vecchia se proprio avesse deciso di fare da serva alla figlia fino alla propria morte. Le dissi ch'io sapevo che Carla non era molto dolce con lei. Essa continuo2 a lavorare assiduamente accanto al focola- re, ma stava a sentirmi. Fu di un candore ch'io non meritavo. Si lagno2 di Carla che perdeva la pazienza per cose da niente. Si scusava: 239 <> Ma sperava che adesso le cose sarebbero andate meglio. I rnalumori di Carla sarebbero diminuiti, ora ch'era felice. Eppoi Vittorio, da bel principio, s'era messo a dimostrarle un grande rispetto. Infine, sempre intenta a foggiare certe forme con un intruglio di pasta e di frutta aggiunse: <> Con una certa ansia tentai di convincerla. Le dissi che poteva benissimo liberarsi da tanta schiavitu2. Non c'ero io? Avrei continuato a passarle il mensile che fino ad allora avevo concesso a Carla. Io volevo oramai mantenere qual- cuno! Volevo tenere con me la vecchia che mi pareva parte della figlia. La vecchia mi manifesto2 la sua riconoscenza. Ammirava la mia bonta2, si mise a ridere all'idea che le si potesse proporre di lasciare la figlia. Era una cosa che non si poteva pensare. Ecco una dura parola che ando2 a battere contro la mia fronte che si curvo2! Ritornavo a quella grande solitudine dove non c'era Carla e neppure visibile una via che condu- cesse a lei. Ricordo che feci un ultimo sforzo per illudermi che quella via potesse rimanere almeno segnata. Dissi alla vecchia, prima di andarmene , che poteva avvenire che di 1i2 a qualche tempo essa fosse di altro umore. La pregavo allora di voler ricordarsi di me. Uscendo da quella casa ero pieno di sdegno e di rancore, proprio come se fossi stato maltrattato quando m'accingevo ad una buona azione. Quella vecchia m'aveva proprio offeso con quel suo scoppio di riso. Lo sentivo risonare ancora nelle orecchie e significava non mica solo l'irrisione alla mia ulti- ma proposta. Non volli andare da Augusta in quello stato. Prevedevo il mio destino. Se fossi andato da lei, avrei finito col maltrat- tarla ed essa si sarebbe vendicata con quel suo grande pallo- re che mi faceva tanto male . Preferii di camminare le vie con un passo ritmico che avrebbe potuto avviare ad un poco d'ordine il mio animo. E infatti l'ordine venne! Cessai di lagnarmi del mio destino e vidi me stesso come se una grande luce m'avesse proiettato intero sul selciato che guardavo. Io 240 non domandavo Carla, io volevo il suo abbraccio e preferi- bilmente il suo ultimo abbraccio. Una cosa ridicola! Mi ficcai i denti nelle labbra per gettare il dolore, cioe2 un poco di serieta2, sulla mia ridicola immagine. Sapevo tutto di me stesso ed era imperdonabile che soffrissi tanto perche1 mi veniva offerta una opportunita2 unica di svezzamento. Carla non c'era piu2 propri2o come tante volte l'avevo desiderato. Con tale chiarezza nell'animo, quando poco dopo, in una via eccentrica della citta2, cui ero pervenuto senz'alcun pro- posito, una donna imbellettata mi fece un cenno, io corsi senz'esitazione a lei. Arrivai ben tardi a colazione, ma fui tanto dolce con Augusta ch'essa fu subito lieta. Non fui pero2 capace di baciare la mia bimba e per varie ore non seppi neppure mangiare. Mi sentivo ben sudicio! Non finsi alcuna malattia come avevo fatto altre volte per celare e attenuare il delitto e il rimorso. Non mi pareva di poter trovare conforto in un proposito per l'avvenire, e per la prima volta non ne feci affatto. Occorsero molte ore per ritornare al ritmo solito che mi traeva dal fosco presente al luminoso avvenire. Augusta s'accorse che c'era qualche cosa di nuovo in me. Ne rise: <> Si2! Quella donna del sobborgo non somigliava a nessun'al- tra e io l'avevo in me. Passai anche il pomeriggio e la sera con Augusta. Essa era occupatissima ed io le stavo accanto inerte. Mi pareva di essere trasportato cosi2, inerte, da una corrente, una corrente di acqua limpida: la vita onesta della mia casa. M'abbandonavo a quella corrente che mi trasportava ma non mi nettava. Tutt'altro! Rilevava la mia sozzura. Naturalmente nella lunga notte che segui2 arrivai al propo- sito. Il primo fu il piu2 ferreo. Mi sarei procurata un'arma per abbattermi subito quando mi fossi sorpreso avviato a quella parte della citta2. Mi fece bene quel proposito e mi mitigo2. Non gemetti mai nel mio letto ed anzi simulai il respiro regolare del dormente. Cosi2 ritornai all'antica idea di purifi- carmi con una confessione a mia moglie, propri2o come quan- d'ero stato in procinto di tradirla con Carla. Ma era oramai una confessione ben difficile e non per la gravita2 del misfat- 241 to, ma per la complicazione da cui era risultato. Di fronte a un giudice quale era mia moglie, avrei pur dovuto accampa- re le circostanze attenuanti e queste sarebbero risultate solo se avessi potuto dire della violenza impensata con cui era stata spezzata la mia relazione con Carla. Ma allora sarebbe occorso di confessare anche quel tradi- mento oramai antico. Era piu2 puro di questo, ma (chissa2?) per una moglie piu2 offensivo. A forza di studiarmi arrivai a dei propositi sempre piu2 ragionevoli. Pensai di evitare il ripetersi di un trascorso simile affrettandomi ad organizzare un'altra relazione quale quella che avevo perduta e di cui si vedeva avevo bisogno. Ma anche la donna nuova mi spaventava. Mille pericoli avrebbero insidiato me e la mia famigliuola. A questo mon- do un'altra Carla non c'era, e con lacrime amarissime la rimpiansi, lei, la dolce, la buona, che aveva persino tentato di amare la donna ch'io amavo e che non vi era riuscita solo perche1 io le avevo messo dinanzi un'altra donna e proprio quella che non amavo affatto! 242 7 Storia di un'associazione commerciale Fu Guido che mi volle con lui nella sua nuova casa commer- ciale. Io morivo dalla voglia di farne parte, ma son sicuro di non avergli mai lasciato indovinare tale mio desiderio. Si capisce che, nella mia inerzia, la proposta di quell'attivita2 in compagnia di un amico, mi fosse simpatica. Ma c'era dell'al- tro ancora. Io non avevo ancora abbandonata la speranza di poter divenire un buon negoziante, e mi pareva piu2 facile di progredire insegnando a Guido, che facendomi insegnare dall'Olivi. Tanti a questo mondo apprendono soltanto ascol- tando se stessi o almeno non sanno apprendere ascoltando gli altri. Per desiderare quell'associazione avevo anche altre ragio- ni. Io volevo essere utile a Guido! Prima di tutto gli volevo bene e benche1 egli volesse sembrare forte e sicuro, a me pareva un inerme abbisognante di una protezione che io volentieri volevo accordargli. Poi anche nella mia coscienza e non solo agli occhi di Augusta, mi pareva che piu2 m'attac- cavo a Guido e piu2 chiara risultasse la mia assoluta indiffe- renza per Ada. Insomma io non aspettavo che una parola di Guido per mettermi a sua disposizione, e questa parola non venne prima, solo perche1 egli non mi credeva tanto inclinato al commercio visto che non avevo voluto saperne di quello che mi veniva offerto in casa mia. Un giorno mi disse: <> Fu la sua prima allusione chiara al suo proposito di tener- mi con lui. Veramente io non avevo fatta altra pratica di contabilita2 che in quei pochi mesi in cui avevo tenuto il libro mastro per l'Olivi, ma ero certo d'essere il solo contabile che non fosse stato un estraneo per Guido. Si parlo2 chiaramente per la prima volta dell'eventualita2 di una nostra associazione quand'egli ando2 a scegliere i mobili per il suo ufficio. Ordino2 senz'altro due scrivanie per la stanza della direzione. Gli domandai arrossendo: <> Rispose: <> Sentii per lui una tale riconoscenza che quasi l'avrei ab- bracciato. Quando fummo usciti dalla bottega, Guido, un po' imba- razzato, mi spiego2 che ancora non era al caso di offrirmi una posizione in casa sua. Lasciava a mia disposizione quel posto nella sua stanza, solo per indurmi a venir a tenergli compa- gnia ogni qualvolta mi fosse piaciuto. Non voleva obbligarmi a nulla ed anche lui restava libero. Se il suo commercio fosse andato bene m'avrebbe concesso un posto nella direzione della sua casa. Parlando del suo commercio, la bella faccia bruna di Guido si faceva molto seria. Pareva ch'egli avesse gia2 pensa- te tutte le operazioni a cui voleva dedicarsi. Guardava lonta- no, al disopra della mia testa, ed io mi fidai tanto nella serieta2 delle sue meditazioni, che mi volsi anch'io a guardare quello ch'egli vedeva, cioe2 quelle operazioni che dovevano portargli fortuna. Egli non voleva camminare ne1 la via per- corsa con tanto successo da nostro suocero ne1 quella della modestia e della sicurezza battuta dall'Olivi. Tutti costoro, per lui, erano dei commercianti all'antica. Bisognava segui- re tutt'altra via, ed egli volentieri si associava a me perche1 mi riteneva non ancora rovinato dai vecchi. Tutto cio2 mi parve vero. Mi veniva regalato il mio primo successo commerciale ed arrossii dal piacere una seconda 244 volta. Fu cosi2 e per la gratitudine della stima ch'egli m'aveva dimostrato, ch'io lavorai con lui e per lui ora piu2 ora meno intensamente, per ben due anni, senz'altro compenso che la gloria di quel posto nella stanza direttoriale. Fino ad allora fu quello certamente il piu2 lungo periodo ch'io avessi dedica- to ad una stessa occupazione. Non posso vantarmene solo perche1 tale mia attivita2 non diede alcun frutto ne1 a me ne1 a Guido ed in commercio -- tutti lo sanno -- non si puo2 giudica- re che dal risultato. Io conservai la fiducia d'esser avviato ad un grande com- mercio per circa tre mesi, il tempo occorrente a fondare quella ditta. Seppi che a me sarebbe toccato non solo di regolare dei particolari come la corrispondenza e la contabi- lita2, ma anche di sorvegliare gli affari. Guido conservo2 tutta- via un grande ascendente su di me, tanto che avrebbe potuto anche rovinarmi e solo la mia buona fortuna glielo impedi2. Bastava un suo cenno perche1 accorressi a lui. Cio2 desta la mia stupefazione ancora adesso che ne scrivo, dopo che ho avuto il tempo di pensarci per tanta parte della mia vita. E scrivo ancora di questi due anni perche1 il mio attacca- mento a lui mi sembra una chiara manifestazione della mia malattia. Che ragione c'era di attaccarsi a lui per apprendere il grande commercio e subito dopo restare attaccato a lui per insegnargli quello piccolo? Che ragione c'era di sentirsi bene in quella posizione solo perche1 mi sembrava significasse una grande indifferenza per Ada la mia grande amicizia per Guido? Chi esigeva da me tutto questo? Non bastava a provocare la nostra indifferenza reciproca l'esistenza di tutti quei marmocchi cui davamo assiduamente la vita? Io non volevo male a Guido, ma non sarebbe stato certamente l'amico che avrei liberamente prescelto. Ne vidi sempre tanto chiaramente i difetti che il suo pensiero spesso mi irritava, quando non mi commoveva qualche suo atto di debolezza. Per tanto tempo gli portai il sacrificio della mia liberta2 e mi lasciai trascinare da lui nelle posizioni piu2 odiose solo per assisterlo! Una vera e propria manifestazione di malattia o di grande bonta2, due qualita2 che sono in rapporto molto intimo fra di loro. Cio2 rimane vero se anche col tempo fra noi si sviluppo2 un grande affetto come succede sempre fra gente dabbene che si vede ogni giorno. E fu un grande affetto il mio! Allorche1 245 egli scomparve, per lungo tempo sentii com'egli mi mancava ed anzi l'intera vita mi sembro2 vuota poiche1 tanta parte ne era stata invasa da lui e dai suoi affari. Mi viene da ridere al ricordare che subito, nel nostro primo affare, l'acquisto dei mobili, sbagliammo in certo qual modo un termine. Ci eravamo accollati i mobili e non ci decidevamo ancora a stabilire l'ufficio. Per la scelta dell'uffi- cio, fra me e Guido c'era una divergenza di opinione che la ritardo2. Da mio suocero e dall'Olivi io avevo sempre visto che per rendere possibile la sorveglianza del magazzino, l'ufficio vi era contiguo. Guido protestava con una smorfia di disgusto: <> Egli assicurava che avrebbe saputo organizzare la sor- veglianza anche da lontano, ma intanto esitava. Un bel giorno il venditore di mobili gl'intimo2 di ritirarli perche2 altrimenti li avrebbe gettati sulla strada e allora lui corse a stabilire un ufficio, l'ultimo che gli era stato offerto, privo di un magazzino nelle vicinanze, ma proprio al centro della citta2. E percio2 che il magazzino non lo ebbimo mai piu2. L'ufficio si componeva di due vaste stanze bene illuminate e di uno stanzino privo di finestre. Sulla porta di questo stanzino inabitabile fu appiccicato un bollettino con l'iscrizio- ne in lettere lapidarie: <1Contabilita2;>1 poi, delle altre due porte l'una ebbe il bollettino: <1Cassa>1 e l'altra fu addobbata dalla designazione tanto inglese di <1Privato.>1 Anche Guido aveva studiato il commercio in Inghilterra e ne aveva riportato delle nozioni utili. La <1Cassa>1 fu, come di dovere, fornita di una magnifica cassa di ferro e del cancello tradizionale. La nostra stanza <1Privata>1 divenne una camera di lusso splendidamente tappezzata di un colore bruno velluto e fornita delle due scrivanie, di un sofa2 e di varie comodissime poltrone. Poi venne l'acquisto dei libri e dei vari utensili. Qui la mia parte di direttore fu indiscussa. Io ordinavo e le cose arriva- vano. Invero avrei preferito di non essere seguito tanto prontamente, ma era mio dovere di dire tutte le cose che occorrevano in un ufficio. Allora credetti di scoprire la grande differenza che c'era fra me e Guido. Quanto sapevo io, mi serviva per parlare e a lui per agire. Quand'egli arrivava a sapere quello che sapevo io e non piu2, lui compe- rava. E vero che talvolta in commercio fu ben deciso a non 246 far nulla, cioe2 a non comperare ne1 vendere, ma anche questa mi parve una risoluzione di persona che crede di saper molto. Io sarei stato piu2 dubbioso anche nell'inerzia. In quegli acquisti fui molto prudente. Corsi dall'Olivi a prendere le misure per i copialettere e per i libri di contabili- ta2. Poi il giovane Olivi m'aiuto2 ad aprire i libri e mi spiego2 anche una volta la contabilita2 a partita doppia, tutta roba non difficile, ma che si dimentica tanto facilmente. Quando si sarebbe arrivati al bilancio, egli m'avrebbe spiegato anche quello. Non sapevamo ancora quello che avremmo fatto in quel- l'ufficio (adesso so che neppure Guido allora lo sapeva) e si discuteva di tutta la nostra organizzazione. Ricordo che per giorni si parlo2 dove avremmo messi gli altri impiegati se di essi avessimo avuto bisogno. Guido suggeriva di metterne quanti potessero capirvi nella <1Cassa.>1 Ma il piccolo Luciano, l'unico nostro impiegato per il momento, dichiarava che 1a2 dove c'era la cassa, non potessero esserci altre persone fuori di quelle addette alla cassa stessa. Era ben dura di dover accettare delle lezioni dal nostro galoppino! Io ebbi un'ispi- razione: <> Era una cosa che m'era stata detta a Trieste. <> disse Guido. <> Si mise a spiegare a Luciano in lungo e in largo come non si usasse piu2 di maneggiare tanto denaro. Gli assegni giravano dall'uno all'altro in tutti gl'importi che si voleva. Fu una bella vittoria la nostra, e Luciano tacque. Costui ebbe un grande vantaggio da quanto apprese da Guido. Il nostro galoppino e2 oggidi2 un commerciante di Trieste assai rispettato. Egli mi saluta ancora con una certa umilta2 attenuata da un sorriso. Guido spendeva sempre una parte della giornata ad insegnare dapprima a Luciano, poi a me e quindi all'impiegata. Ricordo ch'egli aveva accarezzato per lungo tempo l'idea di fare il commercio in commissione per non arrischiare il proprio denaro. Spiego2 l'essenza di tale commercio a me e, visto che evidentemente io capivo troppo presto, si mise a spiegarlo a Luciano che per molto tempo stette a sentirlo coi segni della piu2 viva attenzione, i grandi 247 occhi lucenti nella faccia ancora imberbe. Non si puo2 dire che Guido abbia perduto il suo tempo, perche1 Luciano e2 il solo fra di noi che sia riuscito in quel genere di commercio. Eppoi si dice che la scienza e2 quella che vince! Intanto da Buenos Aires arrivarono i <1Pesos.>1 Fu un affare serio! A me era parsa dapprima una cosa facile, ma invece il mercato di Trieste non era preparato a quella moneta esoti- ca. Ebbimo di nuovo bisogno del giovine Olivi che c'insegno2 il modo di realizzare quegli assegni. Poi, perche1 a un dato punto fummo lasciati soli, sembrando all'Olivi di averci condotti a buon porto, Guido si trovo2 per varii giorni con le tasche gonfie di corone, finche1 non trovammo la via ad una Banca che ci sbrigo2 dell'incomodo fardello consegnandoci un libretto assegni di cui presto apprendemmo a far uso. Guido senti2 il bisogno di dire all'Olivi che gli facilitava il cosidetto impianto: <> Ma il giovinotto che del commercio aveva un altro concet- to, rispose: <> Guido resto2 a bocca aperta, comprese troppo bene come gli succedeva sempre e si attacco2 a quella teoria che propino2 a chi la volle. Ad onta della sua Scuola Superiore, Guido aveva un concetto poco preciso del dare e dell'avere. Stette a guarda- re con sorpresa come io costituii il Conto Capitale ed anche come registrassi le spese. Poi fu tanto dotto di contabilita2 che quando gli si proponeva un affare, lo analizzava prima di tutto dal punto di vista contabile. Gli pareva addirittura che la conoscenza della contabilita2 conferisse al mondo un nuo- vo aspetto. Egli vedeva nascere debitori e creditori dapper- tutto anche quando due si picchiavano o si baciavano. Si puo2 dire ch'egli entro2 in commercio armato della massi- ma prudenza. Rifiuto2 una quantita2 di affari ed anzi per sei mesi li rifiuto2 tutti con l'aria tranquilla di chi sa meglio: <> diceva, e il monosillabo pareva il risultato di un calcolo preciso anche quando si trattava di un articolo ch'egli non aveva mai visto. Ma tutta quella riflessione era stata sprecata a vedere come l'affare eppoi il suo eventuale bene- 248 ficio o la sua perdita avrebbe dovuto passare traverso ad una contabilita2. Era l'ultima cosa che egli aveva appreso e s'era sovrapposta a tutte le sue nozioni. Mi duole di dover dire tanto male del mio povero amico, ma devo essere veritiero anche per intendere meglio me stesso. Ricordo quanta intelligenza egli impiego2 per ingom- brare il nostro piccolo ufficio di fantasticherie che c'impedi- vano ogni sana operosita2. A un dato punto, per iniziare il lavoro di commissione, lanciammo per posta un migliaio di circolari. Guido fece questa riflessione: che le considereranno!>> La frase sola non avrebbe impedito nulla, me egli se ne compiacque troppo e cominicio2 a gettare per aria le circolari chiuse per spedire solo quelle che cadevano dalla parte dell'indirizzo. L'esperimento ricordava qualche cosa di simi- le ch'io avevo fatto in passato, ma tuttavia a me sembre di non essere mai arrivato a tale punto. Naturalmente io non raccolsi ne1 spedii le circolari da lui eliminate, perche1 non potevo essere certo che non ci fosse stata realmente una seria ispirazione che lo avesse diretto in quell'eliminazione e dovessi percio2 non sprecare i francobolli che toccava di pagare a lui. La mia buona sorte m'impedi2 di venir rovinato do Guido, ma la stessa buona sorte m'impedi2 pure di prendere una parte troppo attiva nei suoi affari. Lo dico ad alta voce perche1 altri a Trieste pensa che non sia stato cosi2: durante il tempo che passai con lui, non intervenni mai con un'ispira- zione qualunque, del genere di quella della frutta secca. Mai lo spinsi ad un affare e mai gliene impedii alcuno. Ero l'ammonitore! Lo spingevo all'attivita2, all'oculatezza. Ma non avrei osato di gettare sul tavolo da giuoco i suoi denari. Accanto a lui io mi feci molto inerte. Cercai di metterlo sulla retta via e forse non ci riuscii per troppa inerzia. Del resto, quando due si trovano insieme, non spetta loro di decidere chi dei due deve essere Don Quijote e chi Sancio Panza. Egli faceva l'affare ed io da buon Sancio lo seguivo lento lento nei miei libri dopo di averlo esaminato e criticato come dovevo. Il commercio in commissione fiascheggio2 competament, 249 ma senz'arrecarci alcun danno. Il solo che c'invio2 delle merci fu un cartolaio di Vienna, e una parte di quegli oggetti di cancelleria furono venduti da Luciano che pian pianino arri- vo2 a sapere quanta commissione ci spettasse e se la fece concedere quasi tutta da Guido. Guido fini2 con l'accondi- scendere perche1 erano piccolezze, eppoi perche1 il primo affare liquidato cosi2 doveva portare fortuna. Questo primo affare ci lascio2 lo strascico nel camerino dei ripostigli di una quantita2 di oggetti di cancelleria che dovemmo pagare e tenere. Ne avevamo per il consumo di molti anni di una casa commerciale ben piu2 attiva della nostra. Per un paio di mesi quel piccolo ufficio luminoso, nel centro della citta2, fu per noi un ritrovo gradevole. Vi si lavorava ben poco (io credo vi si abbiano conchiusi in tutto due affari in imballaggi usati vuoti per i quali nello stesso giorno s'incontrarono da noi la domanda e l'offerta e da cui ricavammo un piccolo utile) e vi si chiacchierava molto, da buoni ragazzi, anche con quell'innocente di Luciano, il qua- le, quando si parlava d'affari, s'agitava come altri della sua eta2 quando sente dire di donne. Allora m'era facile di divertirmi da innocente con gli innocenti perche1 non avevo ancora perduto Carla. E di quell'epoca ricordo con piacere la giornata intera. La sera, a casa, avevo molte cose da raccontare ad Augusta e potevo dirle tutte quelle che si riferivano all'ufficio, senz'alcun'ec- cezione e senza dover aggiungervi qualche cosa per falsarle. Non mi preoccupava affatto quando Augusta impensieri- ta esclamava: <> Denari? A quelli non ci avevamo ancora neppur pensato. Noi sapevamo che prima bisognava fermarsi a guardare, studiare le merci, il paese e anche il nostro <1Hinterland.>1 Non s'improvvisava mica cosi2 una casa di commercio! E anche Augusta s'acquietava alle mie spiegazioni. Poi nel nostro ufficio fu ammesso un ospite molto rumoro- so. Un cane da caccia di pochi mesi, agitato e invadente. Guido lo amava molto e aveva organizzato per lui un ap- provvigionamento regolare di latte e carne. Quando non avevo da fare ne1 da pensare, lo vedevo anch'io con piacere saltellare per l'ufficio in quei quattro o cinque atteggiamenti che noi sappiamo interpretare dal cane e che ce lo rendono 250 tanto caro. Ma non mi pareva fosse al suo posto con noi, cosi rumoroso e sudicio! Per me la presenza di quel cane nel nostro uffico, fu la prima prova che Guido forni2 di non essere degno di dirigere una casa commerciale. Cio2 provava un'assenza assoluta di serieta2. Tentai di spiegargli che il cane non poteva promovere i nostri affari, ma non ebbi il coraggio di insistere ed egli con una risposta qualunque mi fece tacere. Percio2 mi parve di dover dedicarmi io all'educazione di quel mio collega e gli assestai con grande volutta2 qualche calcio quando Guido non c'era. Il cane guaiva e dapprima ritornava a me credendo io l'avessi urtato per errore. Ma un secondo calcio gli spiegava meglio il primo ed allora egli si rincantucciava e finche1 Guido non arrivava nell'ufficio non v'era pace. Mi pentii poi di aver imperversato su di un innocente, ma troppo tardi. Colmai il cane di gentilezze, ma esso non si fido2 piu2 di me ed in presenza di Guido diede chiaro segno della sua antipatia. <> disse Guido. <> Per far dileguare i sospetti di Guido, quasi quasi gli avrei raccontato in quale modo io avevo saputo conquistarmi l'antipatia del cane. Ebbi presto una scaramuccia con Guido su una questione che veramente non avrebbe dovuto importarmi tanto. Occu- patosi con tanta passione di contabilita2, egli si mise in capo di mettere le sue spese di famiglia nel conto delle spese genera- li. Dopo di essermi consultato con l'Olivi, io mi vi opposi e difesi gl'interessi del vecchio <1Cada.>1 Non era infatti possibile di mettere in quel conto tutto cio2 che spendeva Guido, Ada eppoi anche quello che costarono i due gemelli quando nacquero. Erano delle spese che incombevano personal- mente a Guido e non alla ditta. Poi, in compenso, suggerii di scrivere a Buenos Aires per accordarsi per un salario per Guido. Il padre si rifiuto2 di concederlo osservando che Gui- do percepiva gia2 il settantacinque per cento dei benefici mentre a lui non toccava che il residuo. A me parve una risposta giusta mentre Guido si mise a scrivere delle lunghe lettere al padre per discutere la quistione da un punto di vista superiore, come egli diceva. Buenos Aires era molto lontana 251 e cosi2 la corrispondenza duro2 finche1 duro2 la nostra casa. Ma io vinsi il mio punto! Il conto spese generali rimase puro e non fu inquinato dalle spese particolari di Guido e il capitale fu compromesso intero dal crollo della casa, ma proprio intero senza deduzioni. La quinta persona ammessa nel nostro ufficio (calcolando anche Argo) fu Carmen. Io assistetti alla sua assunzione all'impiego. Ero venuto all'ufficio dopo di essere stato da Carla e mi sentivo molto sereno, di quella serenita2 delle otto di mattina del principe di Talleyrand. Nell'oscuro corridoio vidi una signorina e Luciano mi disse ch'essa voleva parlare con Guido in persona. Io avevo qualche cosa da fare e la pregai di attendere 1a2 fuori. Guido entro2 poco dopo nella nostra stanza evidentemente senz'aver vista la signorina e Luciano venne a porgergli il biglietto di presentazione di cui la signorina era fornita. Guido lo lesse e poi: <> disse seccamente levandosi la giubba perche1 faceva caldo. Ma subito dopo ebbe un'esitazione: <> La fece entrare ed io la guardai soltanto quando vidi che Guido s'era gettato con un balzo sulla propria giubba per indossarla e s'era rivolto alla fanciulla con la bella faccia bruna arrossata e gli occhi scintillanti. Ora io sono sicuro di aver viste delle fanciulle altrettanto belle di Carmen, ma non di una bellezza tanto aggressiva cioe2 tanto evidente alla prima occhiata. Di solito le donne prima si creano per il proprio desiderio mentre questa non aveva bisogno di tale prima fase. Guardandola sorrisi e anche risi. Mi pareva simile ad un industriale che corresse per il mondo gridando l'eccellenza dei suoi prodotti. Si presentava per avere un impiego, ma io avrei avuto voglia d'intervenire nelle trattative per domandarle: <>. Io vidi che la sua faccia non era tinta, ma i colori ne erano tanto precisi, tanto azzurro il candore e tanto simile a quello della frutta matura il rossore, che l'artificio vi era simulato alla perfezione. I suoi grandi occhi bruni rifrangevano una tale quantita2 di luce che ogni loro movimento aveva una grande importanza. Guido l'aveva fatta sedere ed essa modestamente guarda- va la punta del proprio ombrellino o piu2 probabilmente il 252 proprio stivaletto verniciato. Quand' egli le parlo2, essa levo2 rapidamente gli occhi e glieli rivolse sulla faccia cosi2 lumino- si, che il mio povero principale ne fu proprio abbattuto. Era vestita modestamente, me cio2 non le giovava perche1 ogni modestia sul suo corpo s'annullava. solo gli stivaletti erano di lusso e ricordavano un po' la carta bianchissima che Velasquez metteva sotto ai piedi dei suoi modelli. Anche Velasquez, per staccare Carmen dall'ambiente, l'avrebbe poggiata sul nero di lacca. Nella mia serenita2 io stetti a sentire curiosamente. Guido le domando2 se conoscesse la stenografia. Essa confesso2 di non conoscerla affatto, ma aggiunse che aveva una grande pratica di scrivere sotto dettatura. Curioso! Quella figura alta, slanciata e tanto armonica, produceva una voce roca. Non seppi celare la mia sorpresa: <> le domandai. <> mi rispose. <> e fu tanto sorpresa che l'occhiata in cui m'avvolse fu anche piu2 intensa. Non sapeva di avere una voce tanto stonata ed io dovetti supporre che anche il suo piccolo orecchio non fosse tanto perfetto come appariva. Guido le domando2 se conoscesse l'inglese, il francese o il tedesco. Egli le lasciava la scelta visto che noi ancora non sapevamo di quale lingua avremmo avuto bisogno. Carmen rispose che sapeva un po' di tedesco, ma pochissimo. Guido non prendeva mai alcuna decisione senza ragio- nare: <> La signorina aspettava la parola decisiva che a me pa- reva fosse gia2 stata detta e, per affrettarla, racconto2 ch'es- sa nel nuovo impiego cercava anche la possibilita2 d'imprati- chirsi e che percio2 si sarebbe contentata di un salario ben modesto. Uno dei primi effetti della bellezza femminile su di un uomo e2 quello di levargli l'avarizia. Guido si strinse nelle spalle per significare che di cose tanto insignificanti non si occupava, le stabili2 il salario ch'essa riconoscente accetto2 e le raccomando2 con grande serieta di studiare la stenografia. Questa raccomandazione egli la fece solo per riguardo a me col quale s'era compromesso dichiarando che il primo impie- 253 gato ch'egli avesse assunto sarebbe stato uno stenografo perfetto. Quella sera stessa raccontai del mio nuovo collega a mia moglie. Essa ne fu oltremodo spiacente. Senza ch'io gliel'a- vessi detto, essa penso2 subito che Guido avesse assunto al suo servizio quella fanciulla per farsene un'amante. Io di- scussi con lei e, pur ammenttendo che Guido si comportava un poco da innamorato, asserii ch'egli avrebbe potuto ria- versi da quel colpo di fulmine senza che vi fossero delle conseguenze. La fanciulla, in complesso, pareva dabbene. Pochi giorni dopo -- non so se per caso -- abbimo in ufficio la visita di Ada. Guido non c'era ancora ed essa si fermo2 con me un istante per domandarmi a che ora sarebbe venuto. Poi, con passo esitante, si reco2 nell stanza vicina ove in quel momento non c'erano che Carmen e Luciano. Carmen stava esercitandosi alla macchina da scrivere, tutt'assorta a rin- tracciarvi le singole lettere. Alzo2 i begli occhi per guardare Ada che la fissava. Come erano different le due donne! Si somigliavano un poco, ma Carmen pareva un' Ada caricata. Io pensai che veramente l'una che pur era vestita piu2 ricca- mente all'altra, ad onta che in quell'istante portasse un modesto grembiule per non insudiciare il suo vestito alla macchina, toccava la parte di amante. Non so se a questo mondo vi siano dei dotti che saprebbero dire perche1 il bellis- simo occhio di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e fosse percio2 un vero organo per guardare le cose e le persone e non per sbalordirle. Cosi2 Carmen ne sopporto2 benissimo l'occhiata sdegnosa, ma anche curiosa; v'era den- tro fors'anche un poco d'invidia, o ve la misi io? Questa fu l'ultima volta in cui io vidi Ada ancora bella, proprio quale s'era rifiutata a me. Poi venne la sua disastrosa gravidanza e i due gemelli ebbero bisogno dell'intervento del chirurgo per venire all'aria. Subito dopo fu colpita da quella malattia che le tolse ogni bellezza. Percio2 io ricordo tanto bene quella visita. Ma la ricordo anche perche1 in quel memento tutta la mia simpatia ando2 a lei dalla bellezza mite e modesta abbattuta da quella tanto differente dell'altra. Io non amavo certo Carmen e non ne sapevo altro che i magni- fici occhi, gli splendidi colori, poi la voce roca e infine il modo -- di cui essa era innocente -- come era stata ammessa li2 254 dentro. Volli invece proprio bene ad Ada in quel momento, ed e2 una cosa ben strana di voler bene ad una donna che si desidero2 ardentemente, che non si ebbe e di cui ora non importa niente. In complesso si arriva cosi2 alle stesse condi- zioni in cui ci si troverebbe qualora essa avesse aderito ai nostri desiderii, ed e2 sorprendente di poter constatare anco- ra una volta come certe cose per cui viviamo hanno una ben piccola importanza. Volli abbreviarle il dolore e la precedetti all'altra stanza. Guido, che subito dopo entro2, si fece molto rosso alla vista della moglie. Ada gli disse una ragione plausibilissima per cui era venuta, ma subito dopo e in atto di lasciarci, gli domando2: <> <> disse Guido e, per celare la sua confusione, non trovo2 di meglio che d'interrompersi per domandare se qual- cuno fosse venuto a cercarlo. Poi, avuta la mia risposta negativa, ebbe ancora una smorfia di dispiacere come se avesse sperato una visita importante, mentre io sapevo che non aspettavamo proprio nessuno e appena allora disse ad Ada con un aspetto d'indifferenza che finalmente gli riusci2 di assumere: <> Io mi divertii moltissimo all'udire ch'egli sbagliava anche il sesso della persona di cui aveva bisogno. La venuta di Carmen apporto2 una grande vita nel nostro ufficio. Non parlo della vivacita2 che veniva dai suoi occhi, dalla gentile sua figura e dai colori della sua faccia; parlo proprio di affari. Guido ebbe una spinta al lavoro dalla presenza di quella fanciulla. Prima di tutto volle dimostrare a me e a tutti gli altri che la nostra impiegata era necessaria, ed ogni giorno inventava dei nuovi lavori cui partecipava anche lui. Poi, per un lungo tempo, la sua attivita2 fu un mezzo per corteggiare piu2 efficacemente la fanciulla. Rag- giunse un'efficacia inaudita. Doveva insegnarle la forma della lettera ch'egli dettava e correggerle l'ortografia di mol- te moltissime parole. Lo fece sempre dolcemente. Qualun- que compenso da parte della fanciulla non sarebbe stato eccessivo. Pochi degli affari inventati da lui in amore gli diedero un frutto. Una volta lavoro2 lungamente intorno ad un affare in 255 un articolo che risulto2 essere proibito. Ci trovammo ad un certo punto di fronte ad un uomo dalla faccia contratta dal dolore sui cui calli noi, senza saperlo, eravamo montati. Voleva sapere che cosa c'entrassimo noi in quell'articolo e supponeva fossimo mandatarii di potenti concorrenti esteri. La prima volta era sconvolto e temeva il peggio. Quando indovino2 la nostra ingenuita2, ci rise in faccia e ci assicuro2 che non saremmo riusciti a nulla. Fini2 ch'ebbe ragione, ma pri- ma che ci acconciassimo alla condanna duro2 non poco tempo e da Cannen furono scritte non poche lettere. Trovammo che l'articolo era irraggiungibile perche1 circondato da trin- cee. Io non dissi nulla di tale affare ad Augusta, ma essa ne parlo2 a me perche1 Guido ne aveva parlato ad Ada per dimostrarle quanto da fare avesse il nostro stenografo. Ma l'affare che non fu fatto, rimase molto importante per Gui- do. Ne parlo2 ogni giorno. Era convinto che in nessun'altra citta2 del mondo sarebbe avvenuta una cosa simile. Il nostro ambiente commerciale era miserabile ed ogni commerciante intraprendente vi veniva strangolato. Cosi2 toccava anche a lui. Nella folle, disordinata sequela di affari che in quell'epoca passo2 per le nostre mani, ve ne fu uno che addirittura ce le brucio2. Non lo cercammo noi; fu l'affare che ci assalto2. Vi fummo cacciati dentro da un dalmata, certo Tacich, il cui padre aveva lavorato all'Argentina col padre di Guido. Ven- ne dapprima a trovarci solo per avere da noi delle informa- zioni commerciali che noi seppimo procurargli. Il Tacich era un bellissimo giovine, anzi troppo bello. Alto, forte, aveva una faccia olivastra in cui si fondevano in un'intonazione deliziosa l'azzurro fosco degli occhi, le lun- ghe sopracciglia e i brevi folti mustacchi bruni dai riflessi aurei. Insomma v'era in lui un tale intonato studio di colore che a me parve l'uomo nato per accompagnarsi a Carmen. Anche a lui parve cosi2 e venne a trovarci ogni giorno. La conversazione nel nostro ufficio durava ogni giorno per delle ore, ma non fu mai noiosa. I due uomini lottavano per conquistare la donna e, come tutti gli animali in amore, sfoggiavano le loro migliori qualita2. Guido era un po' tratte- nuto dal fatto che il dalmata veniva a trovarlo anche a casa sua e conosceva percio2 Ada, ma niente poteva piu2 danneg- giarlo agli occhi di Carmen; io, che conoscevo tanto bene 256 quegli occhi, lo seppi subito mentre il Tacich lo apprese molto piu2 tardi e, per avere piu2 frequentemente il pretesto di vederla, compro2 da noi anziche1 dal fabbricante, varii vagoni di sapone che pago2 per qualche percento piu2 cari. Poi, sempre per amore, ci ficco2 in quell'affare disastroso. Suo padre aveva osservato che, costantemente in certe stagioni, il solfato di rame saliva e in altre calava di prezzo. Decise percio2 di comperarne per speculazione nel momento piu2 favorevole, in Inghilterra, una sessantina di tonnellate. Noi parlammo a lungo di quell'affare ed anzi lo preparammo mettendoci in relazione con la casa inglese. Poi il padre telegrafo2 al figlio che il buon momento gli sembrava giunto e disse anche il prezzo al quale sarebbe stato disposto di concludere l'affare. Il Tacich, innamorato com'era, corse da noi e ci consegno2 l'affare avendone in premio una bella, grande, carezzevole occhiata da Carmen. Il povero dalmata incasso2 riconoscente l'occhiata non sapendo ch'era una ma- nifestazione d'amore per Guido. Mi ricordo la tranquillita2 e la sicurezza con cui Guido s'accinse all'affare che infatti si presentava facilissimo per- che1 in Inghilterra si poteva fissare la merce per consegna al nostro porto donde veniva ceduta, senz'esserne rimossa, al nostro compratore. Egli fisso2 esattamente l'importo che voleva guadagnare e col mio aiuto stabili2 quale limite doves- se stabilire al nostro amico inglese per l'acquisto. Con l'aiuto del vocabolario combinammo insieme il dispaccio in inglese. Una volta speditolo, Guido si frego2 le mani e si rnise a calcolare quante corone gli sarebbero piovute in cassa in premio di quella lieve e breve fatica. Per tenersi favorevoli gli dei, trovo2 giusto di promettere una piccola provvigione a me e quindi, con qualche malizia, anche a Carmen che all'affare aveva collaborato con i suoi occhi. Ambedue vo- lemmo rifiutare, ma egli ci supplico2 di fingere almeno di accettare. Temeva altrimenti il nostro malocchio ed io lo compiacqui subito per rassicurarlo. Sapevo con certezza matematica che da me non potevano venirgli che i migliori- auguri, ma capivo ch'egli potesse dubitarne. Quaggiu2 quan- do non ci vogliamo male ci amiamo tutti, ma pero2 i nostri vivi desideri accompagnano solo gli affari cui partecipiamo. L'affare fu vagliato in tutti i sensi ed anzi ricordo che Guido calcolo2 persino per quanti mesi, col beneficio che ne 257 avrebbe tratto, avrebbe potuto mantenere la sua famiglia e l'ufficio, cioe2 le sue due famiglie, come egli diceva talvolta o i suoi due uffici come diceva tale altra quando si seccava molto in casa. Fu vagliato troppo, quell'affare, e non riusci2 forse per questo. Da Londra capito2 un breve dispaccio: <1<>>1 eppoi l'indicazione del prezzo di quel giorno del solfato, piu2 elevato di molto di quello concessoci dal nostro compratore. Addio affare. Il Tacich ne fu informato e poco dopo abbandono2 Trieste. In quell'epoca io cessai per circa un mese di frequentare l'ufficio e percio2, per le mie mani, non passo2 una lettera che giunse alla ditta, dall'aspetto inoffensivo, ma che doveva avere gravi conseguenze per Guido. Con essa, quella ditta inglese ci confermava il suo dispaccio e finiva con l'informar- ci che notava il nostro ordine valido sino a revoca. Guido non ci penso2 affatto di dare tale revoca ed io, quando ritor- nai in ufficio, non ricordai piu2 quell'affare. Cosi2 varii mesi appresso, una sera, Guido venne a cercarmi a casa con un dispaccio ch'egli non intendeva e che credeva fosse stato indirizzato a noi per errore ad onta che portasse chiaro il nostro indirizzo telegrafico che io avevo fatto regolarmente notare non appena fummo installati nel nostro ufficio. Il dispaccio conteneva solo tre parole: <<60 <1tons settled>>,>1 ed io lo intesi subito, cio2 che non era difficile perche1 quello del solfato di rame era il solo affare grosso che avessimo tratta- to. Glielo dissi: si capiva da quel dispaccio che il prezzo, che noi avevamo fissato per l'esecuzione del nostro ordine, era stato raggiunto e che percio2 eravamo felici proprietari di sessanta tonnellate di solfato di rame. Guido protesto2: <> Pensai subito io che nel nostro ufficio dovesse esserci la lettera di conferma del primo dispaccio, mentre Guido non ricordava di averla ricevuta. Lui, inquieto, propose di corre- re subito all'ufficio per vedere se ci fosse, cio2 che mi fu molto gradito perche1 mi seccava quella discussione dinanzi ad Augusta la quale ignorava che io per un mese non m'ero fatto vedere in ufficio. Corremmo all'ufficio. Guido era tanto dispiacente di ve- dersi costretto a quel primo grande affare che, per esimerse- 258 ne, sarebbe corso fino a Londra. Aprimmo l'ufficio; poi, a tastoni nell'oscurita2, trovammo la via alla nostra stanza e raggiungemmo il gas, per accenderlo. Allora la lettera fu subito trovata ed era fatta come io l'avevo supposta; c'infor- mava cioe2 che il nostro ordine valido sino a revoca era stato eseguito. Guido guardo2 la lettera con la fronte contratta non so se dal dispiacere o dallo sforzo di voler annientare col suo sguardo quanto si annunciava esistente con tanta semplicita2 di parola. <> osservo2 <> Non era certo un rimprovero diretto a me perche1 io ero stato assente dall'ufficio e, per quanto avessi saputo trovare subito la lettera sapendo ove doveva trovarsi, prima di allora non l'avevo mai vista. Ma per nettarmi piu2 radicalmene da ogni rimprovero, lo rivolsi deciso a lui: <> La fronte di Guido si spiano2. Alzo2 le spalle e mormoro2: <> Poco dopo mi lascio2 ed io ritornai a casa mia. Ma il Tacich ebbe ragione: in certe stagioni il solfato di rame andava giu2, giu2, ogni giorno piu2 giu2 e noi avevamo nell'esecuzione del nostro ordine e nella immediata impossi- bilita2 di cedere la merce a quel prezzo ad altri, l'opportunita2 di studiare tutto il fenomeno. La nostra perdita aumento2. Il primo giorno Guido mi domando2 consiglio. Avrebbe potuto vendere con una perdita piccola in confronto di quella che dovette sopportare poi. Io non volli dare dei consigli, ma non trascurai di ricordargli la convinzione del Tacich secon- do la quale il ribasso avrebbe dovuto continuare per oltre cinque mesi. Guido rise: <> Ricordo che tentai pure di correggerlo, dicendogli che quel provinciale da molti anni passava il suo tempo nella piccola cittadina dalmata a guardare il solfato di rame. Io non posso avere alcun rimorso per la perdita che Guido subi2 in quell'affare. Se mi avesse ascoltato gli sarebbe stata ri- sparmiata. 259 Piu2 tardi discutemmo l'affare del solfato di rame con un agente, un uomo piccolo, grassoccio, vivo e accorto, che ci biasimo2 di aver fatto quell'acquisto, ma che non sembrava di dividere l'opinione del Tacich. Secondo lui il solfato di ra- me, per quanto facesse un mercato a se1, pur risentiva la fluttuazione del prezzo del metallo. Guido da quell'intervi- sta acquisto2 una certa sicurezza. Prego2 l'agente di tenerlo informato di ogni movimento del prezzo; avrebbe aspettato volendo vendere non soltanto senza perdita, ma con un piccolo utile. L'agente rise discretamente eppoi nel corso del discorso disse una parola ch'io notai perche1 mi parve molto vera: <> Guido non ne fece caso. Io ammirai pero2 anche lui, perche1 all'agente non racconto2 per quale via noi fossimo arrivati all'acquisto. Glielo dissi ed egli ne meno2 vanto. Avrebbe temuto, mi disse, di screditare noi e anche la nostra merce raccontando la storia di quell'acquisto. Poi, per parecchio tempo, non parlammo piu2 del solfato, finche1 cioe2 non venne da Londra una lettera con la quale ci si invitava al pagamento e a dare istruzioni per la spedizione. Ricevere, immagazzinare sessanta tonnellate! A Guido co- mincio2 a girare la testa. Facemmo i calcoli di quanto avrem- mo speso per conservare tale merce per varii mesi. Una somma enorme! Io non dissi niente, ma il sensale che volen- tieri avrebbe vista la merce arrivare a Trieste perche1 allora prima o poi avrebbe avuto l'incarico di venderla, fece osser- vare a Guido che quella somma che a lui pareva enorme, non era gran cosa se espressa in "percenti" sul valore della merce. Guido si mise a ridere perche1 l'osservazione gli pareva strana: <> Egli avrebbe finito col lasciarsi convincere dal calcolo dell'agente, evidentemente giusto, visto che con un piccolo movimento in su del prezzo, le spese sarebbero state coperte ad usura, se in quel momento non fosse stato arrestato da una sua cosidetta ispirazione. Quando gli avveniva di avere 260 un'idea commerciale proprio sua, egli ne era addirittura allucinato e non c'era posto nella sua mente per altre consi- derazioni. Ecco la sua idea: la merce gli era stata venduta franco Trieste da gente che doveva pagarne il trasporto dall'Inghilterra. Se egli ora avesse ceduta la merce ai suoi stessi venditori che avrebbero percio2 risparmiato le spese per tale trasporto, egli avrebbe potuto fruire di un prezzo ben piu2 vantaggioso di quello che gli veniva offerto a Trieste. La cosa non era tanto vera, ma, per fargli piacere, nessuno la discusse. Una volta liquidata la faccenda, egli ebbe un sorri- so un po' amarognolo sulla sua faccia che allora parve pro- prio di pensatore pessimista e disse: <> Invece se ne parlo2 ancora. Egli non ebbe mai piu2 quella sua bella sicurezza nel rifiutare degli affari e, quando alla fine dell'anno gli feci vedere quanti denari avevamo perduti , egli mormoro2: <> La mia assenza dall'ufficio era stata provocata dall'abban- dono di Carla. Non avevo piu2 potuto assistere agli amori di Carmen e Guido. Essi si guardavano, si sorridevano, in mia presenza. Me ne andai sdegnosamente con una risoluzione che presi di sera al momento di chiudere l'ufficio e senza dirne nulla a nessuno. M'aspettavo che Guido m'avrebbe chiesta la ragione di tale abbandono e mi preparavo allora di dargli il fatto suo. Io potevo essere molto severo con lui visto ch'egli non sapeva assolutamente nulla delle mie gite al Giardino Pubblico. Era una specie di gelosia la mia, perche1 Carmen m'appari- va quale la Carla di Guido, una Carla piu2 mite e sottomessa. Anche con la seconda donna egli era stato piu2 fortunato di me, come con la prima. Ma forse -- e cio2 mi forniva una ragione ad un nuovo rimprovero per lui -- egli doveva anche tale fortuna a quelle sue qualita2 ch'io gl'invidiavo e che continuavo a considerare quali inferiori: parallelamente alla sua sicurezza sul violino, correva anche la sua disinvoltura nella vita. Io oramai sapevo con certezza di aver sacrificato Carla ad Augusta. Quando riandavo col pensiero a quei due anni di felicita2 che Carla m'aveva concessi, m'era difficile 261 d'intendere come essa -- essendo fatta nel modo che ora sapevo -- avesse potuto sopportarmi per tanto tempo. Non l'avevo io offesa ogni giorno per amore ad Augusta? Di Guido invece sapevo con certezza ch'egli avrebbe saputo godersi Carmen senza neppur ricordarsi di Ada. Nel suo animo disinvolto due donne non erano troppo. Confrontan- domi con lui, mi pareva di essere addirittura innocente. Io avevo sposata Augusta senz'amore e tuttavia non sapevo tradirla senza soffrirne. Forse anche lui aveva sposata Ada senz'amore, ma -- per quanto ora di Ada non m'importasse affatto -- ricordavo l'amore ch'essa mi aveva ispirato e mi pareva che poiche1 io l'avevo amata tanto, al suo posto sarei stato anche piu2 delicato di quanto non lo fossi ora al mio. Non fu Guido che venne a cercarmi. Fui io che da solo ritornai a quell'ufficio a cercare il sollievo ad una grande noia. Egli si comporto2 in conformita2 ai patti del nostro contratto secondo i quali io non avevo alcun obbligo ad un'attivita2 regolare nei suoi affari e quando s'imbatteva in me a casa o altrove, mi dimostrava la solita grande amicizia di cui gli ero sempre grato e non sembrava ricordare ch'io avessi lasciato vuoto il posto a quel tavolo ch'egli aveva comperato per me. Fra noi due non c'era che un solo imba- razzo: il mio. Quando ritornai al mio posto m'accolse come se dall'ufficio io fossi stato assente per un giorno solo, m'e- spresse con calore il suo piacere di aver riacquistata la mia compagnia e, sentito il mio proposito di riprendere il mio lavoro, esclamo2: <> Infatti trovai il mastro ed anche il giornale al punto ove li avevo lasciati. Luciano mi disse: <> M'accorsi infatti che in quell' ufficio si lavorava ben poco e finche1 la perdita subita col solfato di rame non ci vivifico2, vi si meno2 una vita veramente idillica. Io ne conclusi subito che Guido non sentisse piu2 tanto urgente il bisogno di lavorare per far muovere Carmen sotto la sua direzione e, altrettanto 262 presto, che il periodo della corte da loro fosse passato e che oramai essa fosse divenuta la sua amante. L'accoglienza di Carmen mi porto2 una sorpresa perche1 essa subito senti2 il bisogno di ricordarmi una cosa che io avevo completamente dimenticata. Pare che prima di ab- bandonare quell'ufficio, in quei giorni in cui ero corso dietro a tante donne perche1 non m'era stato possibile di raggiunge- re la mia, io avessi aggredita anche Carmen. Essa mi parlo2 con grande serieta2 e con qualche imbarazzo: aveva piacere di rivedermi perche1 pensava io volessi bene a Guido e che i miei consigli potrebbero essergli utili, e voleva intrattenere con me -- se io vi consentivo -- una bella, una fraterna amicizia. Mi disse proprio qualche cosa di simile porgendo- mi con un gesto largo la sua destra. Sulla sua faccia tanto bella che sempre pareva dolce, vi fu un atteggiamento molto severo per rilevare la pura fraternita2 della relazione che mi veniva offerta. Allora ricordai ed arrossii. Forse se avessi ricordato pri- ma, non sarei ritornato a quell'ufficio mai piu2. Era stata una cosa tanto breve e ficcata in mezzo a tante altre azioni dello stesso valore, che se ora non fosse stata ricordata, si avrebbe potuto credere non fosse esistita mai. Pochi giorni dopo l'abbandono di Carla, io m'ero messo a esaminare i libri facendomi aiutare da Carmen e pian pianino per veder meglio nella stessa pagina, avevo passato il mio braccio intorno alla sua vita che poi avevo stretta sempre piu2. Con un balzo Carmen s'era sottratta a me ed io allora avevo abbandonato l'ufficio. Io avrei potuto difendermi con un sorriso inducendola a sorridere con me perche1 le donne sono tanto propense a sorridere di delitti siffatti! Avrei potuto dirle: <> O avrei potuto rispondere anche da persona seria, scusan- domi con lei e anche con Guido: <> Invece mi manco2 la parola. La mia gola -- credo -- era chiusa dal rancore solidificatovisi e non potevo parlare. Tutte queste donne che mi respingevano risolutamente da- 263 vano addirittura una tinta tragica alla mia vita. Non avevo mai avuto un periodo tanto disgraziato. Invece di una rispo- sta non mi sarei trovato pronto che a digrignare i denti, cosa poco comoda dovendo celarla. Forse mi manco2 la parola anche pel dolore di veder cosi2 recisamente esclusa una spe- ranza che tuttavia accarezzavo. Non posso fare a meno di confessarlo: meglio che con Carmen non avrei potuto rim- piazzar l'amante che avevo perduta, quella fanciulla tanto poco compromettente che non m'aveva chiesto altro che il permesso di vivermi accanto finche1 non domando2 quello di non vedermi piu2. Un'amante in due e2 l'amante meno com- promettente. Certamente allora non avevo chiarite tanto bene le mie idee, ma le sentivo e adesso le so. Divenendo l'amante di Carmen io avrei fatto il bene di Ada e non avrei danneggiato di troppo Augusta. Ambedue sarebbero state tradite molto meno che se Guido ed io avessimo avuta una donna intera per ciascuno. La risposta a Carmen io la diedi varii giorni appresso, ma ancora oggidi2 ne arrossisco. L'orgasmo in cui m'aveva gettato l'abbandono di Carla doveva sussistere tuttavia per farmi arrivare ad un punto simile. Ne ho rimorso come di nessun'al- tra azione della mia vita. Le parole bestiali che ci lasciamo scappare rimordono piu2 fortemente delle azioni piu2 nefande cui la nostra passione c'induca. Naturalmente designo come parole solo quelle che non sono azioni, perche1 so benissimo che le parole di Jago, per esempio, sono delle vere e proprie azioni. Ma le azioni, comprese le parole di Jago, si commetto- no per averne un piacere o un beneficio e allora tutto l'organi- smo, anche quella parte che poi dovrebbe erigersi a giudice, vi partecipa e diventa dunque un giudice molto benevolo. Ma la stupida lingua agisce a propria e a soddisfazione di qualche piccola parte dell'organismo che senza di essa si sente vinta e procede alla simulazione di una lotta quando la lotta e2 finita e perduta. Vuole ferire o vuole accarezzare. Si muove sempre in mezzo a dei traslati mastodontici. E quando son roventi, le parole scottano chi le ha dette. Io avevo osservato ch'essa non aveva piu2 i colori che l'avevano fatta ammettere tanto prontamente nel nostro ufficio. Mi figurai fossero andati perduti per una sofferenza che non ammisi avesse potuto essere fisica e l'attribuii all'a- more per Guido. Del resto noi uomini siamo molto inclinati 264 a compiangere le donne che si abbandonarono agli altri. Non vediamo mai quale vantaggio se ne possano aspettare. Possiamo magari amare l'uomo di cui si tratta -- come avve- niva nel caso mio -- ma non sappiamo neppure allora dimen- ticare come di solito vadano a finire quaggiu2 le avventure d'amore. Sentii una sincera compassione per Carmen come non l'avevo sentita mai per Augusta o per Carla. Le dissi: <>. Essa non me lo permise, perche1, come tutte le donne in quei frangenti, anch'essa credette che ogni ammonimento sia un'ag- sessione. Arrossi2 e balbetto2: <>. E subito dopo per farmi tacere: <>. Percio2 non mi fu concesso di predicarle la morale e fu un danno per me. Predicandole la morale certamente sarei arrivato ad un grado superiore di sincerita2, magari tentando di prenderla di nuovo tra le mie braccia. Non m'arrovellerei piu2 di aver voluto assumere quell'aspetto bugiardo di Men- tore. Per varii giorni di ogni settimana, Guido non si faceva neppure vedere in ufficio perche1 s'era appassionato alla caccia e alla pesca. Io, invece, dopo il mio ritorno, per qualche tempo vi fui assiduo, occupatissimo nel mettere a giorno i libri. Ero spesso solo con Carmen e Luciano che mi consideravano quale il loro capo ufficio. Non mi pareva che Carmen soffrisse per l'assenza di Guido e mi figurai ch'essa l'amasse tanto da gioire al sapere che si divertiva. Doveva anche essere avvisata dei giorni in cui egli sarebbe stato assente, perche1 non tradiva alcuna attesa ansiosa. Sapevo da Augusta che Ada invece non era fatta cosi2, perche1 si lagnava amaramente delle frequenti assenze del marito. Del resto non era questa la sua unica lagnanza. Come tutte le donne non amate, essa si lagnava con lo stesso calore delle offese grandi e di quelle piccole. Non soltanto Guido la tradiva, ma quando era in casa suonava sempre il violino. Quel violino, che m'aveva fatto tanto soffrire, era una specie di lancia di Achille per la varieta2 delle sue prestazioni. Appresi ch'era passato anche per il nostro ufficio ove aveva promossa la corte a Carmen con delle bellissime variazioni sul <1Barbie->1 <1re>1 Poi era ripartito perche1 in ufficio non occorreva piu2 ed 265 era ritornato a casa ove risparmiava a Guido la noia di dover conversare con la moglie. Fra me e Carmen non ci fu mai piu2 nulla. Ben presto io ebbi per lei un sentimento d'indifferenza assoluta come se essa avesse cambiato di sesso, qualche cosa di simile a quello che provavo per Ada. Una viva compassione per ambedue e nient'altro. Proprio cosi2. Guido mi colmava di gentilezze. Io credo che in quel mese in cui l'avevo lasciato solo, avesse imparato ad apprezzare la mia compagnia. Una donnina come Carmen puo2 essere gradevole di tempo in tempo, ma non si puo2 mica sopportar- la per giornate intere. Egli m'invito2 a caccia e a pesca. Aborro la caccia e decisamente mi rifiutai di accompagnar- velo. Invece, una sera, spintovi dalla noia, finii con l'andare con lui a pesca. Al pesce manca ogni mezzo di comunicazio- ne con noi e non puo2 destare la nostra compassione. Se boccheggia anche quand'e2 sano e salvo in acqua! Persino la morte non ne altera l'aspetto. Il suo dolore, se esiste, e2 celato perfettamente sotto le sue squame. Quando un giorno m'invito2 ad una pesca notturna, mi riservai di vedere se Augusta m'avrebbe permesso di uscire quella sera e di restar fuori tanto tardi. Gli dissi che avrei ricordato che la sua barchetta si sarebbe staccata dal molo Sartorio alle nove di sera e che, potendo, mi vi sarei trovato. Pensai percio2 che anche lui dovette sapere subito che per quella sera non m'avrebbe riveduto e che come avevo fatto tante altre volte, non mi sarei recato all'appuntamento. Invece quella sera fui cacciato di casa dalle strida della mia piccola Antonia. Piu2 la madre l'accarezzava e piu2 la piccola strillava. Allora tentai un mio sistema che consisteva nel gridar delle insolenze nel piccolo orecchio di quella scim- mietta urlante. N'ebbi il solo risultato di far cambiare il ritmo delle sue grida, perche1 si mise a gridare dallo spaven- to. Poi avrei voluto tentare un altro sistema un poco piu2 energico, ma Augusta ricordo2 in tempo l'invito di Guido e m'accompagno2 alla porta promettendomi di coricarsi sola se io non fossi rincasato che tardi. Anzi, pur di mandarmi via, si sarebbe anche adattata di prendere senza di me il caffe2 la mattina appresso, s'io fossi rimasto fuori fino allora. C'e2 un piccolo dissidio fra me ed Augusta -- l'unico -- sul modo di trattare i bambini fastidiosi: a me pare che il dolore del 266 bambino sia meno importante del nostro e che valga la pena d'infliggerglielo pur di risparmiare un grande disturbo all'a- dulto; a lei invece sembra che noi, che abbiamo fatto i bambini, dobbiamo anche subirli. Avevo tutto il tempo per arrivare all'appuntamento e attraversai lentamente la citta2 guardando le donne e nello stesso tempo inventando un ordigno speciale che avrebbe impedito ogni dissidio fra me ed Augusta. Ma per il mio ordigno l'umanita2 non era abbastanza evoluta! Esso era destinato al futuro lontano e non poteva giovare a me se non dimostrandomi per quale piccola ragione si rendevano pos- sibili le mie dispute con Augusta: la mancanza di un piccolo ordigno! Esso sarebbe stato semplice, un tramvai casalingo, una sediola fornita di ruote e rotaie sulla quale la mia bimba avrebbe passata la sua giornata: poi un bottone elettrico toccando il quale la sediola con la bimba urlante si sarebbe messa a correre via fino a raggiungere il punto piu2 lontano della casa donde la sua voce affievolita dalla lontananza ci sarebbe sembrata perfino gradevole. Ed io ed Augusta sa- remmo rimasti insieme tranquilli ed affettuosi. Era una notte ricca di stelle e priva di luna, una di quelle notti in cui si vede molto lontano e percio2 addolcisce e quieta. Guardai le stelle che avrebbero potuto ancora porta- re il segno dell'occhiata d'addio di mio padre moribondo. Sarebbe passato il periodo orrendo in cui i miei bimbi spor- cavano e urlavano. Poi sarebbero stati simili a me; io li avrei amati secondo il mio dovere e senza sforzo. Nella bella, vasta notte mi rasserenai del tutto e senz'aver bisogno di fare dei propositi. Alla punta del molo Sartorio le luci provenienti dalla citta2 erano tagliate dall'antica casetta di cui sporge la punta stessa quale una breve fondamenta. L'oscurita2 era perfetta e l'ac- qua alta e fosca e quieta mi pareva pigramente gonfia. Non guardai piu2 ne1 il cielo ne1 il mare. A pochi passi da me c'era una donna che desto2 la mia curiosita2 per uno stivaletto verniciato che per un istante brillo2 nell'oscurita2. Nel breve spazio e nel buio, a me parve che quella donna alta e forse elegante, si trovasse chiusa in una stanza con me. Le avven- ture piu2 gradevoli possono capitare quando meno ci si pen- sa, e vedendo che quella donna tutt'ad un tratto deliberata- mente s'avvicinava, ebbi per un istante un sentimento piace- 267 volissimo, che sparve subito quando sentii la voce roca di Carmen. Voleva fingere di aver piacere d'apprendere ch'ero anch'io della partita. Ma nell'oscurita2 e con quella specie di voce non si poteva fingere. Le dissi rudemente: <> Ella protesto2 dichiarando che anzi era felice di vedermi per la terza volta in quel giorno. Mi racconto2 che in quella piccola barchetta si sarebbe trovato riunito l'ufficio intero perche1 c'era anche Luciano. Guai per i nostri affari se fosse andata a picco! M'aveva detto che c'era anche Luciano, certo per darmi la prova dell'innocenza del ritrovo. Poi chiacchiero2 ancora volubilmente, dapprima dicendomi ch'e- ra la prima volta che andava con Guido a pesca eppoi confes- sando ch'era la seconda. S'era lasciato sfuggire che non le dispiaceva di star seduta "a pagliolo" in una barchetta e a me era sembrato strano ch'essa conoscesse quel termine. Cosi2 dovette confessarmi di averlo appreso la prima volta ch'era stata a pesca con Guido. <> aggiunse per rilevare la completa innocen- za di quella prima gita <> Peccato che non abbia avuto il tempo di farla chiacchiera- re di piu2, perche1 avrei potuto sapere tutto quello che m'im- portava, ma dall'oscurita2 della Sacchetta usci2 e s'approssimo2 a noi rapidamente la barchetta di Guido. Io ero sempre in dubbio: dal momento che c'era Carmen, non avrei dovuto allontanarmi? Forse Guido non aveva neppur avuto l'inten- zione d'invitarci ambedue perche1 io ricordavo di aver quasi rifiutato il suo invito. Intanto la barchetta approdo2 e, giova- nilmente sicura anche nell'oscurita2, Carmen vi scese trascu- rando di appoggiarsi alla mano che Luciano le aveva offerta. Perche1 esitavo, Guido urlo2: <> Con un balzo fui anch'io nella barchetta. Il balzo mio era quasi involontario: un prodotto dell'urlo di Guido. Guarda- vo con grande desiderio la terra, ma basto2 un istante di esitazione per rendermi impossibile lo sbarco. Finii col se- dermi a prua della non grande barchetta. Quando mi abituai all'oscurita2, vidi chea poppa, di faccia a me, sedeva Guido e 268 ai suoi piedi, a pagliolo, Carmen. Luciano, che vogava, ci divideva. Io non mi sentivo ne1 molto sicuro ne1 molto como- do nella piccola barca, ma presto mi vi abituai e guardai le stelle che di nuovo mi mitigarono. Era vero che in presenza di Luciano -- un servo devoto delle famiglie delle nostre mogli -- Guido non si sarebbe rischiato di tradire Ada e non c'era percio2 niente di male che io fossi con loro. Desideravo vivamente di poter godere di quel cielo, quel mare e la vastissima quiete. Se avessi dovuto sentirne rimorso e percio2 soffrire, avrei fatto meglio di restare a casa mia a farmi torturare dalla piccola Antonia. L'aria fresca notturna mi gonfio2 i polmoni e compresi ch'io potevo divertirmi in com- pagnia di Guido e Carmen, cui in fondo volevo bene. Passammo dinanzi al faro e arrivammo al mare aperto. Qualche miglio piu2 in 1a2 brillavano le luci d'innumerevoli velieri: 1a2 si tendevano ben altre insidie al pesce. Dal Bagno Militare, -- una mole poderosa nereggiante sui suoi pali, -- cominciammo a muoverci su e giu2 lungo la riviera di San- t'Andrea. Era il posto prediletto dei pescatori. Accanto a noi, silenziosamente, molte altre barche facevano la stessa nostra manovra. Guido preparo2 le tre lenze e inesco2 gli ami configgendovi dei gamberelli per la coda. Consegno2 una lenza ad ognuno di noi dicendo che la mia, a prua, -- la sola rnunita di piombino -- sarebbe stata preferita dal pesce. Scorsi nell'oscurita2 il mio gamberello dalla coda trafitta e mi parve che movesse lentamente la parte superiore del corpo, quella parte che non era diventata una guaina. Per questo movimento mi parve piuttosto meditabondo che spasimante dal dolore. Forse cio2 che produce il dolore nei grandi organi- smi, nei piccolissimi puo2 ridursi fino a divenire un'esperien- za nuova, un solletico al pensiero. Lo ficcai nell'acqua calan- dovelo, come mi fu detto da Guido, per dieci braccia. Dopo di me Carmen e Guido calarono le loro lenze. Guido aveva ora a poppa anche un remo col quale spingeva la barca con l'arte che occorreva perche1 le lenze non s'aggrovigliassero. Pare che Luciano non fosse ancora al caso di dirigere in tale modo la barchetta. Del resto Luciano aveva ora l'incarico della piccola rete con la quale avrebbe levato dall'acqua il pesce portato dall'amo fino alla superficie. Per lungo tempo egli non ebbe nulla da fare. Guido ciarlava molto. Chissa2 che non sia stato attaccato a Carmen dalla sua passione per 269 l'insegnamento piuttosto che dall'amore. Io avrei voluto non starlo a sentire per continuare a pensare al piccolo animaletto che tenevo esposto alla voracita2 dei pesci, sospe- so nell'acqua e che coi cenni della testolina -- se li continuava anche in acqua -- avrebbe adescato meglio il pesce. Ma Guido mi chiamo2 ripetute volte e dovetti star a sentire la sua teoria sulla pesca. Il pesce avrebbe toccato varie volte l'esca e noi l'avremmo sentito, ma dovevamo guardarci dal tirare la lenza finche1 non si fosse tesa. Allora dovevamo essere pronti per dare lo strappo che avrebbe infilzato sicuramente l'amo nella bocca del pesce. Guido, come al solito, fu lungo nelle sue spiegazioni. Voleva spiegarci chiaramente quello che avremmo sentito nella mano quando il pesce avrebbe annusato l'amo. E continuava le sue spiegazioni quando io e Carmen conoscevamo gia2 per esperienza la quasi sonora ripercussione sulla mano di ogni contatto che l'amo subiva. Piu2 volte dovemmo raccogliere la lenza per rinnovare l'esca. Il piccolo animaluccio pensieroso finiva invendicato nelle fauci di qualche pesce accorto che sapeva evitare l'amo. A bordo c'era della birra e dei panini. Guido condiva tutto cio2 con la sua chiacchiera inesauribile. Parlava ora delle enormi ricchezze che giacevano nel mare. Non si trattava, come Luciano credeva, ne1 del pesce ne1 delle ricchezze im- mersevi dall'uomo. Nell'acqua del mare c'era disciolto del- l'oro. Improvvisamente ricordo2 ch'io avevo studiato chimica e mi disse: <> Io non ne ricordavo molto, ma annuii arrischiando un'os- servazione della cui verita2 non potevo essere sicuro. Di- chiarai: <> Luciano che ansiosamente s'era rivolto a me per sentirmi confermare le ricchezze su cui nuotavamo, mi volse disilluso la schiena. A lui di quell'oro non importava piu2. Guido invece mi diede ragione credendo di ricordare che il prezzo di quell'oro era esattamente di cinque volte tanto, proprio come avevo detto io. Mi glorificava addirittura conferman- do la mia asserzione, che io sapevo del tutto cervellotica. Si vedeva che mi sentiva poco pericoloso e che in lui non c'era 270 ombra di gelosia per quella donna coricata ai suoi piedi. Pensai per un istante di metterlo in imbarazzo dichiarando che ricordavo ora meglio e che per trarre dal mare uno di quei napoleoni ne sarebbero bastati tre o che ne sarebbero abbisognati addirittura dieci. Ma in quell'istante fui chiamato dalla mia lenza che im- provvisamente s'era tesa per uno strappo poderoso. Strap- pai anch'io e gridai. Con un balzo Guido mi fu vicino e mi prese di mano la lenza. Gliel'abbandonai volentieri. Egli si mise a tirarla su, prima a piccoli tratti, poi, essendo diminui- ta la resistenza, a grandissimi. E nell'acqua fosca si vide brillare l'argenteo corpo del grosso animale. Correva ora- mai rapidamente e senza resistenza dietro al suo dolore. Percio2 compresi anche il dolore dell'animale muto, perche1 era gridato da quella fretta di correre alla morte. Presto l'ebbi boccheggiante ai miei piedi. Luciano l'aveva tratto dall'acqua con la rete e, strappandomelo senza riguardo, gli aveva levato di bocca l'amo. Palpo2 il grosso pesce: <> Ammirando, disse il prezzo che se ne sarebbe domandato in pescheria. Poi Guido osservo2 che l'acqua era ferma a quell'ora e che sarebbe stato difficile di pigliare dell'altro pesce. Racconto2 che i pescatori ritenevano che quando l'ac- qua non cresceva ne1 calava, i pesci non mangiavano e percio2 non potevano essere presi. Fece della filosofia sul pericolo che risultava ad un animale dal suo appetito. Poi, mettendo- si a ridere, senz'accorgersi che si comprometteva, disse: <> La mia preda si dibatteva tuttavia nella barca, quando Carmen diede uno strido. Guido domando2 senza moversi e con una gran voglia di ridere nella voce: <> Carmen confusa rispose: <> Io sono sicuro che, trascinato dal suo desiderio, egli le aveva dato un pizzicotto. Io oramai mi sentivo a disagio in quella barca. Non accom- pagnavo piu2 col desiderio l'opera del mio amo, anzi agitavo la lenza in modo che i poveri animali non potessero abbocca- re. Dichiarai che avevo sonno e pregai Guido di sbarcarmi a 271 Sant'Andrea. Poi mi preoccupai di togliergli il sospetto ch'io me ne andassi perche1 infastidito da quanto doveva avermi rivelato lo strido di Carmen, e gli raccontai della scena che aveva fatta la mia piccina quella sera e il mio desiderio di accertarmi presto che non stesse male. Compiacente come sempre, Guido accosto2 la barca alla riva. M'offerse l'orata ch'io avevo pescata, ma io rifiutai. Proposi di ridarle la liberta2 gettandola in mare, cio2 che fece dare un urlo di protesta a Luciano, mentre Guido bonaria- mente disse: <> Li seguii con gli occhi e potei accertarmi che non approfit- tarono dello spazio lasciato libero da me. Stavano bene serrati insieme e la barchetta ando2 via un po' sollevata a prua dal troppo peso a poppa. Mi parve una punizione divina all'apprendere che la mia bambina era stata colta dalla febbre. Non l'avevo resa mala- ta io, simulando con Guido una preoccupazione che non sentivo per la sua salute? Augusta non s'era ancora coricata, ma poco prima c'era stato il dottor Paoli che l'aveva rassicu- rata dicendo di essere sicuro che una febbre improvvisa tanto violenta non poteva annunziare una malattia grave. Restammo lungamente a guardare Antonia che giaceva ab- bandonata sul piccolo giaciglio, la faccina dalla pelle asciutta arrossata intensamente sotto i bruni ricci scomposti. Non gridava, ma si lamentava di tempo in tempo con un lamento breve che veniva interrotto da un torpore imperioso. Dio mio! Come il male me la portava vicina! Avrei data una parte della mia vita per iiberarle il respiro. Come togliermi il rimorso di aver pensato di non saper amarla, eppoi di aver passato tutto quel tempo in cui soffriva, lontano da lei e in quale compagnia? <> disse Augusta con un singulto. Era vero! Ce ne accorgemmo allora per la prima volta e quella somiglianza divenne sempre piu2 evidente a mano a mano che Antonia crebbe, tanto che io talvolta mi sentivo tremare il cuore al pensiero che le potrebbe toccare il destino della poverina a cui assomiglia. Ci coricammo dopo di aver posto il letto della bambina accanto a quello di Augusta. Ma io non potevo dormire: 272 della giornata si specchiavano in immagini notturne di dolo- re e di rimorso. La malattia della bambina mi pesava come un'opera mia. Mi ribellai! Io ero puro e potevo parlare, potevo dire tutto. E dissi tutto. Raccontai ad Augusta del- l'incontro con Carmen, della posizione ch'essa occupava nella barca, eppoi del suo strido che io dubitai fosse stato provocato da una carezza brutale di Guido senza pero2 poter esserne sicuro. Ma Augusta ne era sicura. Perche1 altrimenti, subito dopo, la voce di Guido sarebbe stata alterata dall'ila- rita2? Cercai di attenuare la sua convinzione, ma poi dovetti ancora raccontare. Feci una confessione anche per quanto concerneva me, descrivendo la noia che m'aveva cacciato di casa e il mio rimorso di non amare meglio Antonia. Mi sentii subito meglio e m'addormentai profondamente. La mattina appresso, Antonia stava meglio; era quasi priva di febbre. Giaceva calma e libera di affanno, ma era pallida e affranta come se si fosse consumata in uno sforzo sproporzionato al suo piccolo organismo; evidentemente essa era gia2 uscita vittoriosa dalla breve battaglia. Nella calma che ne derivo2 anche a me, ricordai, dolendomene, di aver compromesso orribilmente Guido e volli da Augusta la promessa ch'essa non avrebbe comunicato a nessuno i miei sospetti. Ella protesto2 che non si trattava di sospetti, ma di evidenza certa, cio2 che io negai senza riuscire a convincerla. Poi essa mi promise tutto quello che volli ed io me ne andai tranquillamente in ufficio. Guido non c'era ancora e Carmen mi racconto2 ch'erano stati ben fortunati dopo la mia partenza. Avevano prese altre due orate, piu2 piccole della mia, ma di un peso conside- revole. Io non volli crederlo e pensai che essa volesse con- vincermi che alla mia partenza avessero abbandonata l'occu- pazione a cui avevano atteso finche1 c'ero stato io. L'acqua non s'era fermata? Fino a che ora erano stati in mare? Carmen per convincermi mi fece confermare anche da Luciano la pesca delle due orate ed io da quella volta pensai che Luciano per ingraziarsi Guido sia stato capace di qualun- que azione. Sempre durante la calma idillica che precorse l'affare del solfato di rame, avvenne in quell'ufficio una cosa abbastanza strana che non so dimenticare, tanto perche1 mette in eviden- 273 za la smisurata presunzione di Guido, quanto perche1 pone me in una luce nella quale m'e2 difficile di ravvisarmi. Un giorno eravamo tutt'e quattro in ufficio e il solo che fra di noi parlasse di affari era, come sempre, Luciano. Qualche cosa nelle sue parole suono2 all'orecchio di Guido quale una rampogna che, in presenza di Carmen, gli era difficile di sopportare. Ma altrettanto difficile era difendersene, perche1 Luciano aveva le prove che un affare ch'egli aveva consiglia- to mesi prima e che da Guido era stato rifiutato, aveva finito col rendere una quantita2 di denaro a chi se ne era occupato. Guido fini2 col dichiarare di disprezzare il commercio e asse- rire che se la fortuna non lo avesse assistito in questo, egli avrebbe trovato il mezzo di guadagnare del denaro con altre attivita2 molto piu2 intelligenti. Col violino, per esempio. Tutti furono d'accordo con lui ed anch'io, ma con la riserva: <> La mia riserva gli dispiacque e disse subito che se si trattava di studiare, egli allora avrebbe potuto fare molte altre cose, per esempio, della letteratura. Anche qui gli altri furono d'accordo, ed io stesso, ma con qualche esitazio- ne. Non ricordavo bene le fisonomie dei nostri grandi lette- rati e le evocavo per trovarne una che somigliasse a Guido. Egli allora urlo2: <> Tutti risero, meno lui. Si fece dare la macchina da scrivere e, correntemente, come se avesse scritto sotto dettatura, con gesti piu2 ampi di quanto esigesse un lavoro utile alla macchi- na, stese la prima favola. Porgeva gia2 il foglietto a Luciano, ma si ricredette, lo riprese e lo rimise a posto nella macchina, scrisse una seconda favola, rna questa gli costo2 piu2 fatica della prima tanto che dimentico2 di continuare a simulare con gesti l'ispirazione e dovette correggere il suo scritto piu2 volte. Percio2 io ritengo che la prima delle due favole non sia stata sua e che invece la seconda sia veramente uscita dal suo cervello di cui mi sembra degna. La prima favola diceva di un uccelletto al quale avvenne d'accorgersi che lo sportellino della sua gabbia era rimasto aperto. Dapprima penso2 di approfittarne per volar via, ma poi si ricredette temendo che se, durante la sua assenza, lo sportellino fosse stato richiuso egli avrebbe perduta la sua liberta2. La seconda trattava di un 274 elefante ed era veramente elefantesca. Soffrendo di debo- lezza alle gambe, il grosso animale andava a consultare un uomo, celebre medico, il quale al vedere quegli arti poderosi gridava: <>. Luciano non si lascio2 imporre da quelle favole anche perche1 non le capiva. Rideva abbondantemente, ma si vede- va che gli sembrava comico che una cosa simile gli fosse presentata come commerciabile. Rise poi anche per compia- cenza quando gli fu spiegato che l'uccellino temeva di essere privato della liberta2 di ritornare in gabbia e l'uomo ammira- va le gambe per quanto deboli dell'elefante. Ma poi chiese: <> Guido fece da uomo superiore: <> Carmen invece era agitata dall'emozione. Domando2 il permesso di poter copiare quelle due favole e ringrazio2 riconoscente quando Guido le offerse in dono il foglietto ch'egli aveva scritto dopo di averlo anche firmato a penna. Che cosac'entravo io? Non avevo da battermi per l'ammi- razione di Carmen della quale, come ho detto, non m'impor- tava nulla, ma ricordando il mio modo di fare, devo credere che anche una donna che non sia rilevata dal nostro deside- rio possa spingerci alla lotta. Infatti non si battevano gli eroi medievali anche per donne che non avevano mai viste? A me quel giorno avvenne che i dolori lancinanti del mio povero organismo improvvisamente si facessero acuti e mi parve di non poterli attenuare altrimenti che battendomi con Guido facendo subito delle favole anch'io. Mi feci consegnare la macchina ed io veramente improvvi- sai. Vero e2 che la prima delle favole che feci, stava da molti giorni nel mio animo. Ne improvvisai il titolo <>. Poi, dopo breve riflessione, scrissi di sotto: <>. Mi pareva piu2 facile di far parlare le bestie che descri- verle. Cosi2 nacque la mia favola dal dialogo brevissimo: <1Il gamberello meditabondo:>1 <>. <1L'orata,>1 correndo dal dentista: <>. Ora bisognava fare la seconda favola ma mi mancavano le 275 bestie. Guardai il cane che giaceva nel suo cantuccio ed anch'esso guardo2 me. Da quegli occhi timidi trassi un ricor- do: pochi giorni prima Guido era ritornato da caccia pieno di pulci ed era andato a nettarsi nel nostro ripostiglio. Ebbi allora subito la favola e la scrissi correntemente: <>. In quel momento le mie favole mi parvero splendide. Le cose ch'escono dal nostro cervello hanno un aspetto sovra- namente amabile specie quando si esaminano non appena nate. Per dire la verita2 il mio dialogo mi piace anche adesso, che ho fatta tanta pratica nel comporre. L'inno alla vita fatto dal morituro e2 una cosa molto simpatica per coloro che lo guardano morire ed e2 anche vero che molti moribondi spen- dono l'ultimo fiato per dire quella che a loro sembra la causa per cui muoiono, innalzando cosi2 un inno alla vita degli altri che sapranno evitare quell'accidente. In quanto alla seconda favola non voglio parlarne e fu commentata argutamente da Guido stesso che grido2 ridendo: <> Risi con lui e i dolori che m'avevano spinto a scrivere s'attenuarono subito. Luciano rise quando gli spiegai quello che avevo voluto dire e trovo2 che nessuno avrebbe pagato qualche cosa ne1 per le mie ne1 per le favole di Guido. Ma a Carmen le mie favole non piacquero. Mi diede un'occhiatac- cia indagatrice ch'era veramente nuova per quegli occhi e che io intesi come se fosse stata una parola detta: "Tu non ami Guido!" Ne fui addirittura sconvolto perche1 in quel momento essa certamente non sbagliava. Pensai che avevo torto di com- portarmi come se non amassi Guido, io che poi lavoravo disinteressatamente per lui. Dovevo fare attenzione al mio modo di comportarmi. Dissi mitemente a Guido: <> Egli non s'arrese: 276 <> Lo sguardo di Carmen s'era gia2 raddolcito e, per ottenerlo piu2 dolce ancora, io dissi a Guido: < Ma il complimento fece ridere tutti e due e subito dopo anche me, ma tutti bonariamente perche1 si vedeva che avevo parlato senz'alcuna intenzione maligna. L'affare del solfato di rame diede una maggiore serieta2 al nostro ufficio. Non c'era piu2 tempo per le favole. Quasi tutti gli affari che ci venivano proposti erano ormai da noi accet- tati. Alcuni diedero qualche utile, ma piccolo; altri delle perdite, ma grandi. Una strana avarizia era il principale difetto di Guido che fuori degli affari era tanto generoso. Quando un affare si dimostrava buono, egli lo liquidava frettolosamente, avido d'incassare il piccolo utile che gliene derivava. Quando invece si trovava involto in un affare sfavorevole, non si decideva mai ad uscirne pur di ritardare il momento in cui doveva toccare la propria tasca. Per questo io credo che le sue perdite sieno state sempre rilevanti e i suoi utili piccoli. Le qualita2 di un commerciante non sono altro che le risultanti di tutto il suo organismo, dalla punta dei capelli fino alle unghie dei piedi. A Guido si sarebbe adattata una parola che hanno i Greci: <>. Veramente astuto, ma anche veramente uno scimunito. Era pieno di accortezze che non servivano ad altro che ad ungere il piano inclinato sul quale scivolava sempre piu2 in giu2. Assieme al solfato di rame gli capitarono fra capo e collo i due gemelli. La sua prima impressione fu di sorpresa tutt'al- tro che piacevole, ma subito dopo di avermi annunziato l'avvenimento, gli riusci2 di dire una facezia che mi fece ridere molto, per cui, compiacendosi del successo, non sep- pe conservare il cipiglio. Associando i due bambini aIle sessanta tonnellate di solfato, disse: <> Per confortarlo gli ricordai che Augusta era di nuovo nel settimo mese e che ben presto in fatto di bambini avrei raggiunto il suo tonnellaggio. Rispose sempre argutamente: <> Dopo qualche giorno, per qualche tempo, fu preso da un grande affetto per i due marmocchi. Augusta che passava una parte della sua giornata dalla sorella, mi racconto2 ch'egli 277 dedicava loro ogni giorno qualche ora. Li accarezzava, e ninnava e Ada gliene era tanto riconoscente che fra i due coniugi sembrava rifiorire un nuovo affetto. In quei giorni egli verso2 un importo abbastanza vistoso ad una societa2 d'Assicurazioni per far trovare ai figli a vent'anni una picco- la sostanza. Lo ricordo per aver io registrato quell'importo a suo debito. Fui invitato anch'io a vedere i due gemelli; anzi da Augu- sta m'era stato detto che avrei potuto salutare anche Ada, che invece non pote1 ricevermi dovendo stare a letto ad onta che fossero passati gia2 dieci giorni dal parto. I due bambini giacevano in due culle in un gabinetto attiguo alla stanza da letto dei genitori. Ada, dal suo letto, mi grido2: <> Restai sorpreso dal suono di quella voce. Mi parve piu2 dolce: era un vero grido perche1 vi si sentiva uno sforzo, eppure rimaneva tanto dolce. Senza dubbio la dolcezza di quella voce veniva dalla maternita2, ma io ne fui commosso perche1 ve la scoprivo proprio quand'era rivolta a me. Quella dolcezza mi fece sentire come se Ada non m'avesse chiama- to col solo mio nome, ma premettendovi anche qualche qualificativo affettuoso come "caro" o "fratello mio"! Ne sentii una viva riconoscenza e divenni buono ed affettuoso. Risposi festosamente: <> Mi parevano invece due morticini scoloriti. Vagivano ambedue e non andavano d'accordo. Presto Guido ritorno2 alla vita di prima. Dopo l'affare del solfato veniva piu2 assiduo in ufficio, ma ogni settimana, al sabato, partiva per la caccia e non ritornava che al lunedi2 mattina tardi e giusto in tempo per dare un'occhiata all'uffi- cio prima di colazione. Alla pesca andava di sera e passava spesso la notte in mare. Augusta mi raccontava dei dispiace- ri di Ada, la quale soffriva bensi2 di una frenetica gelosia, ma anche di trovarsi sola per tanta parte della giornata. Augusta tentava di calmarla ricordandole che a caccia e a pesca non c'erano donne. Pero2 -- non si sapeva da chi -- Ada era stata informata che Carmen talvolta aveva accompagnato Guido a pesca. Guido, poi, l'aveva confessato aggiungendo che non c'era niente di male in una gentilezza ch'egli usava ad 278 un'impiegata che gli era tanto utile. Eppoi non c'era stato sempre presente Luciano? Egli fini2 col promettere che non l'avrebbe invitata piu2, visto che ad Ada cio2 dispiaceva. Di- chiarava di non voler rinunciare ne1 alla sua caccia che gli costava tanti denari ne1 alla pesca. Diceva di lavorare molto (e infatti in quell'epoca nel nostro ufficio c'era molto da fare) e gli pareva che un po' di svago gli spettasse. Ada non era di tale parere e le sembrava che il migliore svago egli l'avrebbe avuto in famiglia, e trovava in cio2 l'assenso incon- dizionato di Augusta, mentre a me quello sembrava uno svago troppo sonoro. Augusta allora esclamava: <> Era vero ed io dovevo confessare che fra me e Guido c'era una grande differenza, ma non sapevo vantarrnene. Dicevo ad Augusta accarezzandola: <> D'altronde per il povero Guido le cose andavano peggio- randosi ogni giorno di piu2: dapprima c'erano stati bensi2 due bambini, ma una balia sola perche1 si sperava che Ada avreb- be potuto nutrire uno dei bambini. Invece essa non lo pote1 e dovettero far venire un'altra balia. Quando Guido voleva farmi ridere, camminava su e giu2 per l'ufficio battendosi il tempo con le parole: <>. C'era una cosa che Ada specialmente odiava: il violino di Guido. Essa sopportava i vagiti dei bambini, ma soffriva orrendamente per il suono del violino. Aveva detto ad Augusta: <> Strano! Augusta invece era beata quando passando dinan- zi al mio studiolo sentiva uscirne i miei suoni aritmici! <> dicevo io stupito. <> Tali chiacchiere furono del tutto dimenticate quando io rividi per la prima volta Ada. Fui proprio io che per il primo mi accorsi della sua malattia. Uno dei primi giorni del no- vembre -- una giornata fredda, priva di sole, umida, -- abban- donai eccezionalmente l'ufficio alle tre del pomeriggio e 279 corsi a casa pensando di riposare e sognare per qualche ora nel mio studiolo caldo. Per recarmivi dovevo passare il lungo corridoio, e dinanzi alla stanza di lavoro di Augusta mi fermai perche1 sentii la voce di Ada. Era dolce o malsicura (cio2 si equivale, io credo) come quel giorno in cui era stata indirizzata a me. Entrai in quella stanza spintovi dalla strana curiosita2 di vedere come la serena, la calma Ada, potesse vestirsi di quella voce che ricordava un po' quella di qualche nostra attrice quando vuol far piangere senza saper piangere essa stessa. Infatti era una voce falsa o io la sentivo cosi2, solo perche1 senza neppur aver visto chi la emetteva, la percepivo per la seconda volta dopo tanti giorni sempre ugualmente commossa e commovente. Pensai parlassero di Guido, per- che1 quale altro argomento avrebbe potuto commuovere a quel modo Ada? Invece le due donne, prendendo una tazza di caffe2 insie- me, parlavano di cose domestiche: biancheria, servitu2, ecce- tera. Ma mi basto2 di aver vista Ada per intendere che quella voce non era falsa. Commovente era anche la sua faccia ch'io per primo scoprivo tanto alterata, e quella voce, se non si accordava con un sentimento, rispecchiava esattamente tutto un organismo, ed era percio2 vera e sincera. Questo io sentii subito. Io non sono un medico e percio2 non pensai ad una malattia, ma cercai di spiegarmi l'alterazione nell'aspet- to di Ada come un effetto della convalescenza dopo il parto. Ma come si poteva spiegare che Guido non si fosse accorto di tanto mutamento avvenuto nella sua donna? Intanto io, che sapevo a mente quell'occhio, quell'occhio ch'io tanto avevo temuto perche1 subito m'ero accorto che freddamente esami- nava cose e persone per ammetterle o respingerle, potei constatare subito ch'era mutato, ingrandito, come se per vedere meglio avesse forzata l'orbita. Stonava quell'occhio grande nella faccina immiserita e scolorita. Mi stese con grande affetto la mano: <> mi disse <> Aveva la mano madida di sudore ed io so che cio2 denota debolezza. Tanto piu2 mi figurai che, rimettendosi, avrebbe riacquistati gli antichi colori e le linee sicure delle guancie e dell'incassatura dell'occhio. Interpretai le parole che m'aveva indirizzate quale un 280 rimprovero rivolto a Guido, e bonariamente risposi che Guido, quale proprietario della ditta, aveva maggiori re- sponsabilita2 delle mie che lo legavano all'ufficio. Mi guardo2 indagatrice per assicurarsi ch'io parlavo sul serio. <> disse <> e la sua voce era piena di lacrime. Si rimise con un sorriso che domandava indulgen- za e soggiunse: <> Con una volubilita2 che mi stupi2 racconto2 dei cibi prelibati che si mangiavano alla loro tavola in seguito alla caccia e alla pesca di Guido. <> soggiunse poi con un sospiro e una lacrima. Non si diceva pero2 infelice, anzi! Raccontava che ormai non sapeva neppur figurarsi che non le fossero nati i due bambini ch'essa adorava! Con un po' di malizia aggiungeva sorridendo che li amava di piu2 ora che ciascuno aveva la sua balia. Essa non dormiva molto, ma almeno quando arrivava a prender sonno, nessuno la distur- bava. E quando le chiesi se davvero dormisse tanto poco, si rifece seria e commossa per dirmi ch'era il suo maggior disturbo. Poi, lieta, aggiunse: <> Poco dopo ci lascio2 per due ragioni: prima di sera doveva andar a salutare la madre eppoi non sapeva sopportare la temperatura delle nostre stanze munite di grandi stufe. Io, che ritenevo quella temperatura appena gradevole, pensai fosse un segno di forza quello di sentirla eccessivamente calda: <> dissi sorridendo <> Essa si compiacque molto di sentirsi designare come trop- po giovine. Io ed Augusta l'accompagnammo fino al pianerottolo. Pareva sentisse un grande bisogno della nostra amicizia perche1 per far quei pochi passi cammino2 in mezzo a noi e si prese prima al braccio di Augusta eppoi al mio che io subito irrigidii per paura di cedere ad un'antica abitudine di preme- re ogni braccio femminile che s'offrisse al mio contatto. Sul 281 pianerottolo parlo2 ancora molto e, avendo ricordato il padre suo, ebbe gli occhi di nuovo umidi, per la terza volta in un quarto d'ora. Quando se ne fu andata, io dissi ad Augusta che quella non era una donna ma una fontana. Benche1 avessi vista la malattia di Ada, non vi diedi alcun'importanza. Aveva l'occhio ingrandito, aveva la faccia magra; la sua voce s'era trasformata ed anche il carattere in quell'affettuosita2 che non era sua, ma io attribuivo tutto cio2 alla doppia maternita2 e alla debolezza. Insomma io mi dimostravo un magnifico osservatore perche1 vidi tutto, ma un grande igno- rante perche1 non dissi la vera parola: malattia! Il giorno appresso l'ostetrico, che curava Ada, domando2 l'assistenza del dottor Paoli il quale subito pronunzio2 la parola ch'io non avevo saputo dire: <1Morbus Basedowii>1 42 Guido me lo racconto2 descrivendomi con grande dottrina la malattia e compiangendo Ada che soffriva molto. Senz'alcu- na malizia io penso che la sua compassione e la sua scienza non fossero grandi. Assumeva un aspetto accorato quando parlava della moglie, ma quando dettava delle lettere a Carmen manifestava tutta la gioia di vivere e insegnare; credeva poi che colui che aveva dato il suo nome alla malat- tia fosse il Basedow ch'era stato l'amico di Goethe, mentre quando io studiai quella malattia in un'enciclopedia, m'ac- corsi subito che si trattava di un altro. Grande importante malattia quella di Basedow! Per me fu importantissimo di averla conosciuta. La studiai in varie monografie e credetti di scoprire appena allora il segreto essenziale del nostro organismo. Io credo che da molti come da me vi sieno dei periodi di tempo in cui certe idee occupino e ingombrino tutto il cervello chiudendolo a tutte le altre. Ma se anche alla collettivita2 succede la stessa cosa! Vive di Darwin dopo di essere vissuta di Robespierre e di Napoleo- ne eppoi di Liebig o magari di Leopardi quando su tutto il cosmo non troneggi Bismarck! Ma di Basedow vissi sol io! Mi parve ch'egli avesse portato alla luce le radici della vita la quale e2 fatta cosi2: tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della quale sta la malattia di Basedow che implica il generosissi- mo, folle consumo della forza vitale ad un ritmo precipitoso, il battito di un cuore sfrenato, e all'altro stanno gli organismi immiseriti per avarizia organica, destinati a perire di una 282 malattia che sembrerebbe di esaurimento ed invece e2 di poltronaggine. Il giusto medio fra le due malattie si trova al centro e viene designato impropriamente come la salute che non e2 che una sosta. E fra il centro ed un'estremita2-- quella di Basedow -- stanno tutti coloro ch'esasperano e consumano la vita in grandi desiderii, ambizioni, godimenti e anche lavoro, dall'altra quelli che non gettano sul piatto della vita che delle briciole e risparmiano preparando quegli abietti longevi che appariscono quale un peso per la societa2. Pare che questo peso sia anch'esso necessario. La societa2 procede perche1 i Basedowiani la sospingono, e non precipita perche1 gli altri la trattengono. Io sono convinto che volendo costi- tuire una societa2, si poteva farlo piu2 semplicemente, ma e2 fatta cosi2, col gozzo ad uno dei suoi capi e l'edema all'altro, e non c'e2 rimedio. In mezzo stanno coloro che hanno incipien- te o gozzo o edema e su tutta la linea, in tutta l'umanita2, la salute assoluta manca. Anche ad Ada il gozzo mancava a quanto mi diceva Augu- sta, ma aveva tutti gli altri sintomi della malattia. Povera Ada! M'era apparsa come la figurazione della salute e dell'e- quilibrio, tanto che per lungo tempo avevo pensato avesse scelto il marito con lo stesso animo freddo col quale suo padre sceglieva la sua merce, ed ora era stata afferrata da una malattia che la trascinava a tutt'altro regime: le perver- sioni psichiche! Ma io ammalai con lei di una malattia lieve, ma lunga. Per troppo tempo pensai a Basedow. Gia2 credo che in qualunque punto dell'universo ci si stabilisca si finisca coll'inquinarsi. Bisogna moversi. La vita ha dei veleni, ma ha anche degli altri veleni che servono di contravveleni. Solo correndo si puo2 sottrarsi ai primi e giovarsi degli altri. La mia malattia fu un pensiero dominante, un sogno, e anche uno spavento. Deve aver avuto origine da un ragiona- mento: con la designazione di perversione si vuole intendere una deviazione della salute, quella specie di salute che ci accompagno2 per un tratto della nostra vita. Ora sapevo che cosa fosse stata la salute di Ada. Non poteva la sua perver- sione portarla ad amare me, che da sana aveva respinto? Io non so come questo terrore (o questa speranza) sia nato nel mio cervello! Forse perche1 la voce dolce e spezzata di Ada mi parve di amore quando s'indirizzo2 a me? La povera Ada s'era fatta 283 ben brutta ed io non sapevo piu2 desiderarla. Ma andavo rivedendo i nostri rapporti passati e mi pareva che se essa fosse stata co^lta da un improvviso amore per me, io mi sarei trovato nelle brutte condizioni che ricordavano un poco quelle di Guido verso l'amico inglese dalle sessanta tonnella- te di solfato di rame. Proprio lo stesso caso! Pochi anni prima io le avevo dichiarato il mio amore e non avevo fatto alcun atto di revoca fuori di quello di sposame la sorella. In tale contratto essa non era protetta dalla legge ma dalla cavalle- ria. A me pareva di essere tanto fortemente impegnato con lei, che se essa si fosse presentata da me molti ma molti anni piu2 tardi, perfezionata magari nella malattia di Basedow da un bel gozzo, io avrei dovuto far onore alla mia fimna. Ricordo pero2 che tale prospettiva rese il mio pensiero piu2 affettuoso per Ada. Fino ad allora, quando m'avevano in- formato dei dolori di Ada causati da Guido, io non ne avevo certamente goduto, ma pure avevo rivolto il pensiero con una certa soddisfazione alla mia casa nella quale Ada aveva rifiutato di entrare ed ove non si soffriva affatto. Ora le cose avevano cambiato: quell'Ada che mi aveva respinto con disdegno non c'era piu2, a meno che i miei testi di medicina non sbagliassero. La malattia di Ada era grave. Il dottor Paoli, pochi giorni dopo, consiglio2 di allontanarla dalla famiglia e di mandarla in una casa di salute a Bologna. Seppi cio2 da Guido, ma Augusta poi mi racconto2 che alla povera Ada anche in quel momento non furono risparmiati dei grandi dispiaceri. Gui- do aveva avuto la sfacciataggine di proporre di metter Car- men alla direzione della famiglia durante l'assenza di sua moglie. Ada non ebbe il coraggio di dire apertamente quello che pensava di una simile proposta, ma dichiaro2 che non si sarebbe mossa di casa se non le fosse stato permesso di affidarne la direzione alla zia Maria, e Guido si adatto2 senz'altro. Egli pero2 continuo2 ad accarezzare l'idea di poter aver Carmen a sua disposizione al posto lasciato libero da Ada. Un giorno disse a Carmen che se essa non fosse stata tanto occupata in ufficio, egli le avrebbe volentieri affidata la direzione della sua casa. Luciano ed io ci guardammo, e certamente scoprimmo ognuno nella faccia dell'altro un'e- spressione maliziosa. Carmen arrossi2 e mormoro2 che non avrebbe potuto accettare. 284 <> disse Guido con ira <> Pero2 tacque anche lui presto ed era sorprendente abbre- viasse una predica tanto interessante. Tutta la famiglia accompagno2 Ada alla stazione. Augusta m'aveva pregato di portare dei fiori per la sorella. Arrivai un po' in ritardo con un bel mazzo di orchidee che porsi ad Augusta. Ada ci sorvegliava e quando Augusta le offerse i fiori ci disse: <> Voleva significare di aver ricevuto i fiori anche da me, ma io sentii cio2 come una manifestazione di affetto fraterno, dolce e anche un po' fredda. Basedow certo non ci entrava. Pareva una sposina, la povera Ada, con quegli occhi in- granditi smisuratamente dalla felicita2. La sua malattia sape- va simulare tutte le emozioni. Guido partiva con lei per accompagnarla e ritornare dopo pochi giorni. Aspettammo sulla banchina la partenza del treno. Ada rimase affacciata alla finestra della sua vettura e continuo2 ad agitare il fazzoletto finche1 pote1 vederci. Poi accompagnammo la signora Malfenti lacrimante a casa. Al momento di dividerci, mia suocera dopo di aver baciata Augusta, bacio2 anche me. <>disse ridendo fra le lacrime <> Anche la piccola Anna, oramai dodicenne, volle baciar- mi. Alberta, ch'era in procinto di abbandonare il teatro nazionale per fidanzarsi, e che di solito era un po' sostenuta con me, quel giorno mi porse calorosamente la mano. Tutte mi volevano bene perche1 mia moglie era fiorente, e faceva- no cosi2 delle manifestazioni di antipatia per Guido, la cui moglie era malata. Ma proprio allora corsi il rischio di divenire un marito meno buono. Diedi un grande dolore a mia moglie, senza mia colpa, per un sogno cui innocentemente la feci addirittu- ra partecipe. Ecco il sogno: eravamo in tre, Augusta, Ada ed io che ci eravamo affacciati ad una finestra e precisamente alla piu2 piccola che ci fosse stata nelle nostre tre abitazioni, cioe2 la mia, quella di mia suocera e quella di Ada.Eravamo cioe2 alla finestra della cucina -della casa di mia suocera che veramente si apre sopra un piccolo cortile mentre nel sogno dava proprio sul Corso. Al piccolo davanzale c'era tanto poco spazio che Ada, che stava in mezzo a noi tenendosi alle nostre braccia, aderiva proprio a me. Io la guardai e vidi che il suo occhio era ridivenuto freddo e preciso e le linee della sua faccia purissime fino alla nuca ch'io vedevo coperta dei suoi riccioli lievi, quei riccioli che io avevo visti tanto spesso quando Ada mi volgeva le spalle. Ad onta di tanta freddezza (tale mi pareva la sua salute) essa rimaneva aderente a me come avevo creduto lo fosse quella sera del mio fidanzamento intorno al tavolino parlante. Io, giocon- damente, dissi ad Augusta (certo facendo uno sforzo per occuparmi anche di lei): <>. <> domando2 Augusta che era la sola fra di noi che arrivasse a guardare sulla via. Con uno sforzo ci sporgemmo anche noi e scorgemmo una grande folla che s'avanzava minacciosa urlando. <> do- mandai ancora una volta. Poi lo vidi.Era lui che s'avanzava inseguito da quella folla: un vecchio pezzente coperto di un grande mantello stracciato, ma di broccato rigido, la gran- de testa coperta di una chioma bianca disordinata, svolaz- zante all'aria, gli occhi sporgenti dall'orbita che guardava- no ansiosi con uno sguardo ch'io avevo notato in bestie inseguite, di paura e di minaccia. E la folla urlava: <>. Poi ci fu un intervallo di notte vuota. Indi, subito, Ada ed io ci trovammo soli sulla piu2 erta scala che ci fosse nelle nostre tre case, quella che conduce alla soffitta della mia villa. Ada era posta per alcuni scalini piu2 in alto, ma rivolta a me ch'ero in atto di salire, mentre lei sembrava volesse scendere. Io le abbracciavo le gambe e lei si piegava verso di me non so se per debolezza o per essermi piu2 vicina. Per un istante mi parve sfigurata dalla sua malattia, ma poi, guar- dandola con affanno, riuscivo a rivederla come m'era appar- sa alla finestra, bella e sana. Mi diceva con la sua voce soda: <>. Io, pronto, mi volgevo per precederla correndo, ma non abbastanza presto per non scorgere che la porta della mia soffitta veniva aperta pian pianino e ne sporgeva la testa chiomata e bianca di Basedow con quella sua faccia fra timorosa e minacciosa. Ne vidi anche le gambe malsicure e il povero rnisero corpo che il 286 mantello non arrivava a celare. Arrivai a correre via, ma non so se per precedere Ada o per fuggirla. Ora pare che trafelato io mi sia destato nella notte, e nell'assopimento abbia raccontato tutto o parte del sogno ad Augusta per riprendere poi il sonno piu2 tranquillo e piu2 profondo. Credo che nella mezza coscienza io abbia seguito ciecamente l'antico desiderio di confessare i miei trascorsi. Alla mattina, sulla faccia di Augusta, c'era il cereo pallore delle grandi occasioni. Io ricordavo perfettamente il sogno, ma non esattamente quello che gliene avessi riferito. Con un aspetto di rassegnazione dolorosa essa mi disse: <> Io mi difesi ridendo ed irridendo. Non Ada era importan- te per me, ma Basedow, e le raccontai dei miei studi e anche delle applicazioni che avevo fatte. Ma non so se riuscii di convincerla. Quando si viene colti nel sogno e2 difficile di difendersi. E tutt'altra cosa che arrivare alla moglie freschi freschi dall'averla tradita in piena coscienza. Del resto, per tali gelosie di Augusta, io non avevo nulla da perdere perche1 essa amava tanto Ada che da quel lato la sua gelosia non gettava alcun'ombra e, in quanto a me, essa mi trattava con un riguardo anche piu2 affettuoso e m'era anche piu2 grata di ogni mia piu2 lieve manifestazione di affetto. Pochi giorni dopo, Guido ritorno2 da Bologna con le mi- gliori notizie. Il direttore della casa di salute garantiva una guarigione definitiva a patto che Ada trovasse poi in casa una grande quiete. Guido riferi2 con semplicita2 e bastevole incoscienza la prognosi del sanitario non avvedendosi che in famiglia Malfenti quel verdetto veniva a confermare molti sospetti sul suo conto. Ed io dissi ad Augusta: <> Pare che Guido non si trovasse molto bene nella casa diretta da zia Maria. Talvolta camminava su e giu2 per l'uffi- cio morrnorando: <> Anche dall'ufficio rimaneva piu2 spesso assente perche1 sfogava il suo malumore imperversando sulle bestie a caccia e a pesca. Ma quando verso la fine dell'anno, ebbimo da Bologna la notizia che Ada veniva considerata guarita e che s'accingeva a rimpatriare, non mi parve che egli ne fosse 287 troppo felice. S'era abituato a zia Maria oppure la vedeva tanto poco che gli era facile e gradevole di sopportarla? Con me naturalmente non manifesto2 il suo malumore se non esprimendo il dubbio che forse Ada s'affrettava troppo a lasciar la casa di salute prima di essersi assicurata contro una ricaduta. Infatti quand'essa, dopo breve tempo e ancora nel corso di quello stesso inverno, dovette ritornare a Bologna, egli mi disse trionfante: <> Non credo pero2 che in quel trionfo ci fosse stata altra gioia che quella da lui tanto viva di aver saputo prevedere qualche cosa. Egli non augurava del male ad Ada, ma l'avrebbe tenuta volentieri per lungo tempo a Bologna. Quando Ada ritorno2, Augusta era relegata a letto per la nascita del piccolo Alfio e in quell'occasione fu veramente commovente. Volle io andassi alla stazione con dei fiori e dicessi ad Ada ch'essa voleva vederla quello stesso giorno. E se Ada non avesse potuto venire da lei addirittura dalla stazione, mi pregava ritornassi subito a casa, per saperle descrivere Ada e dirle se la sua bellezza, di cui in famiglia erano tanto orgogliosi, le fosse stata restituita intera. Alla stazione eravamo io, Guido e la sola Alberta, perche1 la signora Malfenti passava una gran parte delle sue giornate presso Augusta. Sulla banchina, Guido cercava di convin- cerci della sua grande gioia per l'arrivo di Ada, ma Alberta lo ascoltava fingendo una grande distrazione allo scopo -- come poi mi disse -- di non dover rispondergli. In quanto a me la simulazione con Guido mi costava ormai poca fatica. M'ero abituato a fingere di non accorgermi delle sue prefe- renze per Carmen e non avevo mai osato alludere ai suoi torti verso la moglie. Non m'era percio2 difficile di avere un atteggiamento d'attenzione come se ammirassi la sua gioia per il ritorno della sua amata moglie. Quando il treno in punto a mezzodi2 entro2 in stazione, egli ci precedette per raggiungere la moglie che ne scendeva. La prese fra le braccia e la bacio2 affettuosamente. Io, che gli vedevo il dorso piegato per arrivare a baciare la moglie piu2 piccola di lui, pensai: "Un bravo attore!". Poi prese Ada per mano e la condusse da noi: <> Allora si rivelo2 quale era, cioe2 falso e simulatore, perche1 288 se egli avesse guardato meglio in faccia la povera donna, si sarebbe accorto che invece che al nostro affetto essa veniva consegnata alla nostra indifferenza. La faccia di Ada era male costruita perche1 aveva riconquistate delle guancie ma fuori di posto come se la carne, quando ritorno2, avesse dimenticato dove apparteneva e si fosse poggiata troppo in basso. Avevano percio2 l'aspetto di gonfiezze anziche1 di guancie. E l'occhio era ritornato nell'orbita ma nessuno aveva saputo riparare i danni ch'esso aveva prodotto uscen- done. Aveva spostate o distrutte delle linee precise e impor- tanti. Quando ci congedammo fuori della stazione, al sole invernale abbacinante vidi che tutto il colorito di quella faccia non era piu2 quello che io avevo tanto amato. Era impallidito e sulle parti carnose si arrossava per chiazzette rosse. Pareva che la salute non appartenesse piu2 a quella faccia e si fosse riusciti di fingervela. Raccontai subito ad Augusta che Ada era bellissima pro- prio come era stata da fanciulla ed essa ne fu beata. Poi, dopo di averla vista, a mia sorpresa essa confemmo2 piu2 volte come se fossero state evidenti verita2 le mie pietose bugie. Essa diceva: <> Si vede che l'occhio di una sorella non e2 molto acuto. Per lungo tempo non rividi Ada. Essa aveva troppi figliuo- li e cosi2 pure noi. Tuttavia Ada e Augusta facevano in modo di trovarsi insieme varie volte alla settimana, ma sempre in ore in cui io ero fuori di casa. Si approssimava l'epoca del bilancio e io avevo molto da fare. Fu anzi quella l'epoca della mia vita in cui lavorai di piu2 . Qualche giorno restai a tavolino persino per dieci ore. Guido m'aveva offerto di farmi assistere da un contabile, ma io non ne volli sapere. Avevo assunto un incarico e dovevo corrispondervi. Intendevo compensare Guido di quella mia funesta assenza di un mese, e mi piaceva anche dimostrare a Carmen la mia diligenza, che non poteva essere ispirata da altro che dal mio affetto per Guido. Ma come procedetti nel regolare i conti, incominciai a scoprire la grossa perdita in cui eravamo incorsi in quel primo anno di esercizio. Impensierito ne dissi a quattr'occhi qualche cosa a Guido, ma lui, che s'apprestava a partire per la caccia, non volle starmi a sentire: 289 <> Infatti mancavano ancora otto giorni interi a capo d'anno. Allora mi confidai ad Augusta. Dapprima essa vide in quella faccenda solo il danno che ne avrebbe potuto derivare a me. Le donne sono sempre fatte cosi2, ma Augusta era straordinaria persino fra le donne quando qui si doleva del proprio danno. Non avrei finito anch'io -- essa domandava -- con l'essere ritenuto un po' responsabile delle perdite subite da Guido? Voleva si consultasse subito un avvocato. Biso- gnava intanto staccarsi da Guido e cessare dal frequentare quell'ufficio. Non mi fu facile di convincerla ch'io non potevo essere tenuto responsabile di niente non essendo io altra cosa che un impiegato di Guido. Essa sosteneva che chi non ha un emolumento fisso non poteva essere considerato quale im- piegato, ma qualche cosa di simile ad un padrone. Quando fu ben convinta, naturalmente resto2 della sua opinione per- che1 allora scopri2 che non avrei perduto niente se avessi cessato di frequentare quell'ufficio dove sicuramente avrei finito col diffamarmi commercialmente. Diamine: la mia fama commerciale! Fui anch'io d'accordo ch'era importante di salvarla e, per quanto essa avesse avuto torto negli argo- menti, si conchiuse che dovevo fare com'ella voleva. Con- senti2 ch'io terminassi il bilancio poiche1 l'avevo iniziato, ma poi avrei dovuto trovare il modo di ritornare al mio studiolo nel quale non si guadagnavano dei denari, ma nemmeno se ne perdevano. Feci pero2 allora una curiosa esperienza su me stesso. Io non fui capace di abbandonare quella attivita2 per quanto lo avessi deciso. Ne fui stupito! Per intendere bene le cose, occorre lavorare di immagini. Ricordai allora che una volta in Inghilterra la condanna ai lavori forzati veniva applicata appendendo il condannato al disopra di una ruota azionata a forza d'acqua, obbligando cosi2 la vittima a muovere in un certo ritmo le gambe che altrimenti gli sarebbero state sfra- cellate. Quando si lavora si ha sempre il senso di una costri- zione di quel genere. E vero che quando non si lavora la posizione e2 la stessa e credo giusto di asserire che io e l'Olivi fummo sempre ugualmente appesi; soltanto che io lo fui in modo da non dover muovere le gambe. La nostra posizione 290 dava bensi2 un risultato differente, ma ora so con certezza ch'esso non legittimava ne1 un biasimo ne1 una lode. Insomma dipende dal caso se si viene attaccati ad una ruota mobile o ad una immobile. Staccarsene e2 sempre difficile. Per varii giorni, dopo chiuso il bilancio, continuai ad andare all'ufficio pur avendo deciso di non andarci affatto. Uscivo di casa incerto; incerto prendevo una direzione ch'era quasi sem- pre quella dell'ufficio e, come procedevo, tale direzione si precisava finche1 non mi trovavo seduto sulla solita sedia in faccia a Guido. Per fortuna a un dato momento fui pregato di non lasciare il mio posto ed io subito accondiscesi visto che nel frattempo m'ero accorto d'esservi inchiodato. Per il quindici di Gennaio il mio bilancio era chiuso. Un vero disastro! Chiudevamo con la perdita di meta2 del capita- le. Guido non avrebbe voluto farlo vedere al giovane Olivi temendone qualche indiscrezione, ma io insistetti nella spe- ranza che costui, con la sua grande pratica, vi avesse trovato qualche errore tale da mutare tutta la posizione. Poteva esserci qualche importo spostato dal dare, ove apparteneva, all'avere, e con una rettifica si sarebbe arrivati ad una diffe- renza importante. Sorridendo, l'Olivi promise a Guido la massima discrezione e lavoro2 poi con me per una giornata intera. Disgraziatamente non trovo2 alcun errore. Devo dire che io da quella revisione fatta in due, appresi molto e che ormai saprei affrontare e chiudere dei bilanci anche piu2 importanti di quello. <> domando2 l'occhialuto giovinotto prima di andarsene. Io sapevo gia2 quello ch'egli avrebbe suggerito. Mio padre, che spesso mi aveva parlato di com- mercio nella mia infanzia, me l'aveva gia2 insegnato. Secon- do le leggi vigenti, data la perdita di meta2 del capitale, noi si avrebbe dovuto liquidare la ditta e magari ristabilirla subito su nuove basi. Lasciai ch'egli mi ripetesse il consiglio. Ag- giunse: <> Poi, sorridendo: <> Alla sera anche Guido si mise a rivedere il bilancio cui non sapeva adattarsi ancora. Lo fece senz'alcun metodo, verifi- cando questo o quell'importo a casaccio. Volli interrompere quel lavoro inutile e gli comunicai il consiglio dell'Olivi di liquidare subito, ma pro forrna, la gestione. 291 Fino ad allora Guido aveva avuto la faccia contratta dallo sforzo di trovare in quei conti l'errore liberatore: un cipiglio complicato dalla contrazione di chi ha in bocca un sapore disgustoso. Alla mia comunicazione alzo2 la faccia che si spiano in uno sforzo d'attenzione. Non comprese subito, ma quando capi2 si mise subito a ridere di cuore. Io interpretai l'espressione della sua faccia cosi2: aspra, acida finche1 si trovava di fronte a quelle cifre che non si potevano alterare; lieta e risoluta quando il doloroso problema fu spinto in disparte da una proposta che gli dava agio di riavere il sentimento di padrone e arbitro. Non comprendeva. Gli pareva il consiglio di un nemico. Gli spiegai che il consiglio dell'Olivi aveva il suo valore specialmente per il pericolo, che incombeva in modo eviden- te sulla ditta, di perdere degli altri denari e fallire. Un'even- tuale bancarotta sarebbe stata colposa se dopo questo bilan- cio, ormai consegnato nei nostri libri, non si fossero prese le misure consigliate dall'Olivi. E aggiunsi: <> La faccia di Guido si coperse di tanto rosso che temetti egli fosse minacciato da una congestione cerebrale. Urlo2: <> La sua decisione m'impose ed ebbi il sentimento di trovar- mi di fronte a persona perfettamente conscia della propria responsabilita2. Abbassai il tono della mia voce. Mi buttai poi tutto dalla sua parte e, dimenticando di aver gia2 presentato il consiglio dell'Olivi come degno di essere preso in considera- zione, gli dissi: <> Veramente io questo l'avevo detto a mia moglie e non all'Olivi, ma insomma era vero che a qualcuno l'avevo detto. Ora, dopo aver sentita la virile dichiarazione di Guido, sarei stato anche capace di dirlo all'Olivi, perche1 la decisione e il coraggio m'hanno sempre conquistato. Se amavo gia2 tanto anche la sola disinvoltura che puo2 risultare da quelle qualita2, ma anche da altre inferiori di molto! 292 Poiche1 volevo riferire tutte le sue parole ad Augusta per tranquillizzarla, insistetti: <> Egli assenti2 vivamente. Si sentiva tanto bene nella parte che io gli attribuivo, da dimenticare il suo dolore per il cattivo bilancio. Dichiaro2: <> Cio2 andava benissimo per essere riferito ad Augusta, ma molto di piu2 di quanto io avevo domandato. E bisognava vedere l'aspetto ch'egli assumeva facendo quella dichiara- zione: invece di un mezzo fallito sembrava un apostolo! S'era adagiato comodamente sul suo bilancio passivo e da 1i2 diventava il mio padrone e signore. Questa volta come tante altre nel corso della nostra vita in comune, il mio slancio d'affetto per lui fu soffocato dalle sue espressioni rivelanti la spropositata stima ch'egli faceva di se1 stesso. Egli stonava. Si2: bisognava dire proprio cosi2; quel grande musicista stonava! Gli domandai bruscamente: <> Per un momento ero stato in procinto di fargli una dichia- razione ben piu2 rude dicendogli che subito dopo chiuso il bilancio io mi sarei astenuto dal frequentare il suo ufficio. Non lo feci non sapendo come avrei impiegate le tante ore libere che mi sarebbero rimaste. Ma la mia domanda sosti- tuiva quasi perfettamente la dichiarazione che m'ero riman- giata. Intanto gli avevo ricordato ch'egli in quell'ufficio non era il solo padrone. Si dimostro2 sorpreso delle mie parole perche1 gli parevano non conformi a quanto fino allora, col mio evidente consen- so, s'era parlato e, col tono di prima, mi disse: <> Protestai gridando. In tutta la mia vita non gridai tanto come con Guido perche1 talvolta mi sembrava sordo. Gli dichiarai che esisteva in legge anche una responsabilita2 del 293 contabile ed io non ero disposto di gabellare per copie esatte dei raggruppamenti cervellotici di cifre. Egli impallidi2 e riconobbe che avevo ragione, ma soggiun- se ch'egli era padrone d'ordinare che non si dessero affatto degli estratti dai suoi libri. In cio2 riconobbi volentieri che aveva ragione e allora, rinfrancatosi, dichiaro2 che a suo padre avrebbe scritto lui. Parve anzi che volesse immediata- mente mettersi a scrivere, ma poi cambio2 idea e mi propose di andare a pigliare una boccata d'aria. Volli compiacerlo. Supponevo che non avesse ancora digerito bene il bilancio e volesse moversi per cacciarlo giu2. La passeggiata mi ricordo2 quella della notte dopo il mio fidanzamento. Mancava la luna perche1 in alto c'era molta nebbia, ma giu2 era la stessa cosa, perche1 si camminava sicuri traverso un'aria limpida. Anche Guido ricordo2 quella sera memoranda: <> Voleva ricominciare a dir male di Ada? Della povera malata? Lo interruppi, ma mitemente, quasi associandomi a lui (non l'avevo forse accompagnato per aiutarlo a dimenti- care?): <> Tentavo di allontanarmi da tutte le sue questioni, cioe2 bilancio e Ada, tant'e2 vero che a tempo seppi eliminare una frase che ero stato in procinto di dire che cioe2 lassu2 il bacio non generava dei gemelli. Ma lui per liberarsi dal bilancio, non trovava di meglio che lagnarsi delle altre sue disgrazie. Come avevo presentito, disse male di Ada. Comincio2 col rimpiangere che quel suo primo anno di matrimonio fosse stato per lui tanto disastroso. Non parlava dei due gemelli ch'erano tanto cari e belli, ma della malattia di Ada. Egli pensava che la malattia la rendesse irascibile, gelosa e nello stesso tempo poco affettuosa. Termino2 coll'esclamare scon- solato: <> 294 A me sembrava assolutamente che mi fosse vietato di dire una sola parola che implicasse un mio giudizio fra lui e Ada. Ma mi pareva di dover pur dire qualche cosa. Egli aveva finito col parlare della vita e le aveva appioppati due predi- cati che non peccavano di soverchia originalita2. Io scopersi di meglio proprio perche1 m'ero messo a fare la critica di quello ch'egli aveva detto. Tante volte si dicono delle cose seguendo il suono delle parole come s'associarono casual- mente. Poi, appena, si va a vedere se quello che si disse valeva il fiato che vi si e2 consumato e qualche volta si scopre che la casuale associazione partori2 un'idea. Dissi: <> Quando ci pensai mi parve d'aver detta una cosa importan- te. Designata cosi2, la vita mi parve tanto nuova che stetti a guardarla come se l'avessi veduta per la prima volta coi suoi corpi gassosi, fluidi e solidi. Se l'avessi raccontata a qualcuno che non vi fosse stato abituato e fosse percio2 privo del nostro senso comune, sarebbe rimasto senza fiato dinanzi all'enor- me costruzione priva di scopo. M'avrebbe domandato: "Ma come l'avete sopportata?". E, informatosi di ogni singolo dettaglio, da quei corpi celesti appesi lassu2 perche1 si vedano ma non si tocchino, fino al mistero che circonda la morte, avrebbe certamente esclamato: "Molto originale!". <> disse Guido ridendo. <> Non m'importo2 di assicurargli che non l'avevo letto in nessun posto perche1 altrimenti le mie parole avrebbero avu- ta meno importanza per lui. Ma, piu2 che ci pensavo, piu2 originale trovavo la vita. E non occorreva mica venire dal di fuori per vederla messa insieme in un modo tanto bizzarro. Bastava ricordare tutto quello che noi uomini dalla vita si e2 aspettato, per vederla tanto strana da arrivare alla conclu- sione che forse l'uomo vi e2 stato rnesso dentro per errore e che non vi appartiene. Senza esserci accordati sulla direzione della nostra passeg- giata, avevamo finito come l'altra volta sull'erta di via Belve- dere. Trovato il muricciuolo su cui s'era steso quella notte, Guido vi sali2 e vi si corico2 proprio come l'altra volta. Egli canticchiava, forse sempre oppresso dai suoi pensieri, e meditava certamente sulle inesorabili cifre della sua contabi- lita2. Io invece ricordai che in quel luogo l'avevo voluto 295 uccidere, e confrontando i miei sentimenti di allora con quelli di adesso, ammiravo una volta di piu2 l'incomparabile originalita2 della vita. Ma improvvisamente ricordai che poco prima, per una bizza di persona ambiziosa, avevo imperver- sato contro il povero Guido e cio2 in una delle peggiori giornate della sua vita. Mi dedicai ad un'indagine: assistevo senza grande dolore alla tortura che veniva inflitta a Guido dal bilancio messo insieme da me con tanta cura e me ne venne un dubbio curioso e subito dopo un curiosissimo ricordo. Il dubbio: ero io buono o cattivo? Il ricordo, provo- cato improvvisamente dal dubbio che non era nuovo: mi vedevo bambino e vestito (ne sono certo) tuttavia in gonne corte, quando alzavo la mia faccia per domandare a mia madre sorridente: <>. Allora il dubbio doveva essere stato ispirato al bimbo dai tanti che l'avevano detto buono e dai tanti altri che, scherzando, l'avevano qualificato cattivo. Non era affatto da meravi- gliarsi che il bimbo fosse stato imbarazzato da quel dilemma. Oh incomparabile originalita2 della vita! Era meraviglioso che il dubbio ch'essa aveva gia2 inflitto al bimbo in forma tanto puerile, non fosse stato sciolto dall'adulto quando aveva gia2 varcata la meta2 della sua vita. Nella notte fosca, proprio su quel posto ove io una volta avevo gia2 voluto uccidere, quel dubbio mi angoscio2, profon- damente. Certamente il bimbo quando aveva sentito vagare quel dubbio nella testa da poco libera dalla cuffia, non ne aveva sofferto tanto perche1 ai bambini si racconta che dalla cattiveria si guarisce. Per liberarmi da tanta angoscia volli credere di nuovo cosi2, e vi riuscii. Se non vi fossi riuscito avrei dovuto piangere per me, per Guido e per la tristissima nostra vita. Il proposito rinnovo2 l'illusione! Il proposito di metterni accanto a Guido e di collaborare con lui allo sviluppo del suo commercio da cui dipendeva la sua e la vita dei suoi e cio2 senz'alcun utile per me. Intravvidi la possibilita2 di correre, brigare e studiare per lui e ammisi la possibilita2 di divenire, per aiutarlo, un gran- de, un intraprendente, un geniale negoziante. Proprio cosi2 pensai in quella fosca sera di questa vita originalissima! Guido intanto cesso2 di pensare al bilancio. Abbandono2 il suo posto e parve rasserenato. Come se avesse tratta una conclusione da un ragionamento di cui io non sapevo niente, 296 mi disse che al padre non avrebbe detto nulla perche1 altrimen- ti il povero vecchio avrebbe intrapreso quell'enorme viaggio dal suo sole estivo alla nostra nebbia invernale. Mi disse poi che la perdita a prirna vista sembrava ingente, ma che non lo era poi tanto se non doveva sopportarla tutta da solo. Avreb- be pregata Ada di addossarsene la meta2 e in compenso le avrebbe concesso una parte degli utili dell'anno seguente. L'altra meta2 della perdita l'avrebbe sopportata lui. Io non dissi nulla. Pensai anche che mi fosse proibito di dare dei consigli, perche1 altrimenti avrei finito col fare quel- lo che assolutamente non volevo, erigendomi a giudice fra' due coniugi. Del resto in quel momento ero tanto pieno di buoni propositi che mi pareva che Ada avrebbe fatto un buon affare partecipando ad un'impresa diretta da noi. Accompagnai Guido fino alla porta di casa sua e gli strinsi lungamente la mano per rinnovare silenziosamente il propo- sito di volergli bene. Poi mi studiai di dirgli qualche cosa di gentile e finii col trovare questa frase: <> Andando via mi morsi le labbra al rimpianto di non aver trovato di meglio. Ma se sapevo che i gemelli oramai che avevano ciascuno la loro balia dormivano a mezzo chilome- tro da lui e non avrebbero potuto turbargli il sonno! Ad ogni modo egli aveva capita l'intenzione dell'augurio perche1 l'a- veva accettato riconoscente. Giunto a casa, trovai che Augusta s'era ritirata nella stan- za da letto coi bambini. Alfio era attaccato al suo petto mentre Antonia dormiva nel suo lettino volgendoci la nuca ricciuta. Dovetti spiegare la ragione del mio ritardo e percio2 le raccontai anche del mezzo escogitato da Guido per libe- rarsi delle sue passivita2. Ad Augusta la proposta di Guido parve indegna: <> esclamo2 con violenza per quanto a bassa voce per non spaventare il piccino. Diretto dai miei propositi di bonta2, discussi: <> Essa rise: <> e accenno2 al bambino 297 che teneva in braccio e ad Antonia. Poi, dopo un momento di riflessione, continuo2: <>. Era un'idea da ignorante, ma nel mio nuovo altruismo esclamai: <> <> Se li vedevo! La domanda era una figura retorica vera- mente vuota di senso. <> domandai vittoriosamente. Essa si mise a ridere clamorosamente facendo spaventare Alfio che lascio2 di poppare per piangere subito. Essa s'occu- po- di lui, ma sempre ridendo, ed io accettai il suo riso come se me lo fossi conquistato col mio spirito mentre, in verita2, nel momento in cui avevo fatta quella domanda, m'ero sentito movere nel petto un grande amore per i genitori di tutti i bambini e per i bambini di tutti i genitori. Avendone poi riso, di quell'affetto non resto2 piu2 niente. Ma anche il cruccio di non sapermi essenzialmente buono si mitigo2. Mi pareva di aver sciolto il problema angoscioso. Non si era ne1 buoni ne1 cattivi come non si era tante altre cose ancora. La bonta2 era la luce che a sprazzi e ad istanti illumi- nava l'oscuro animo umano. Occorreva la fiaccola bruciante per dare la luce (nell'animo mio c'era stata e prima o poi sarebbe sicuramente anche ritornata) e l'essere pensante a quella luce poteva scegliere la direzione per moversi poi nell'oscurita2. Si poteva percio2 manifestarsi buoni, tanto buoni, sempre buoni, e questo era l'importante. Quando la luce sarebbe ritornata non avrebbe sorpreso e non avrebbe abbacinato. Ci avrei soffiato su per spegnerla prima, visto ch'io non ne avevo bisogno. Perche1 avrei saputo conservare il proposito, cioe2 la direzione. Il proposito di bonta2 e2 placido e pratico ed io ora ero calmo e freddo. Curioso! L'eccesso di bonta2 m'aveva fatto eccedere nella stima di me stesso e del mio potere. Che cosa potevo io fare per Guido? Era vero ch'io nel suo ufficio sovrastavo di tanto agli altri quanto nel mio ufficio l'Olivi 298 padre stava al disopra di me. Ma cio2 non provava molto. E per essere ben pratico: che cosa avrei io consigliato a Guido il giorno appresso? Forse una mia ispirazione? Ma se neppu- re al tavolo da giuoco si seguivano le ispirazioni quando si giocava coi denari altrui! Per far vivere una casa commercia- le bisogna crearle un lavoro di ogni giorno e questo si puo2 raggiungere lavorando ogni ora attorno ad una organizza- zione. Non ero io che potevo fare una cosa simile, ne1 mi pareva giusto di sottopormi a forza di bonta2 alla condanna della noia a vita. Sentivo tuttavia l'impressione fattami dal mio slancio di bonta2 come un impegno che avessi preso con Guido, e non potevo addormentarmi. Sospirai piu2 volte profondamente e una volta persino gemetti, certamente nel momento in cui mi pareva di essere obbligato di legarmi all'ufficio di Guido come l'Olivi era legato al mio. Nel dormiveglia Augusta mormoro2: <> Ecco l'idea che cercavo! Io avrei consigliato Guido di prendere con se1 quale direttore il giovine Olivi! Quel giovi- notto tanto serio e tanto laborioso e ch'io vedevo tanto malvolentieri nei miei affari perche1 pareva s'apprestasse di succedere a suo padre nella loro direzione per tenermene definitivamente fuori, apparteneva evidentemente e a van- taggio di tutti, nell'ufficio di Guido. Facendogli una posizio- ne in casa sua, Guido si sarebbe salvato e il giovine Olivi sarebbe stato piu2 utile in quell'ufficio che non nel mio. L'idea mi esalto2 e destai Augusta per comunicargliela. Anch'essa ne fu tanto entusiasta da destarsi del tutto. Le pareva cosi2 che io avrei piu2 facilmente potuto levarmi dagli affari compromettenti di Guido. Mi addormentai con la coscienza tra e uilla. Avevo trovato il modo di salvare Gui- do senzoco dannare me; anzi tutt'altro. Non c'e2 niente di piu2 disgustoso che di vedersi respinto un consiglio ch'e2 stato sinceramente studiato con uno sforzo che costo2 persino delle ore di sonno. Da me c'era poi stato un altro sforzo: quello di spogliarmi dell'illusione di poter giovare io stesso agli affari di Guido. Uno sforzo immane. Ero dapprima arrivato ad una vera bonta2, poi ad un'assoluta oggettivita2 e mi si mandava a quel paese! Guido rifiuto2 il mio consiglio addirittura con disdegno. 299 Non credeva capace il giovine Olivi eppoi gli spiaceva il suo aspetto di giovine vecchio e piu2 ancora gli spiacevano quei suoi occhiali tanto lucenti sulla sua scialba faccia. Gli argo- menti erano veramente atti a farmi credere che di fondato non ce ne fosse che uno: il desiderio di farmi dispetto. Fini2 col dirmi che avrebbe accettato come capo del suo ufficio non il giovine ma il vecchio Olivi. Ma io non credevo di potergli procurare la collaborazione di questi, eppoi io non mi credevo pronto per assumere da un momento all'altro la direzione dei miei affari. Ebbi il torto di discutere e gli dissi che il vecchio Olivi valeva poco. Gli raccontai quanto dena- ro mi avesse costato la sua caparbieta2 di non aver voluto comperare a tempo quella tale frutta secca. <> esclamo2 Guido. <> Ecco finalmente un buon argomento, e tanto piu2 dispiace- vole per me in quanto lo avevo fornito io con la mia chiac- chiera imprudente. Pochi giorni appresso, Augusta mi racconto2 che Guido aveva proposto ad Ada di sopportare col suo denaro meta2 della perdita del bilancio. Ada vi si rifiutava dicendo ad Augusta: <> Augusta non aveva avuto il coraggio di consigliarle di darglielo, ma assicurava che aveva fatto del suo meglio per far ricredere Ada dal suo giudizio sulla fedelta2 del marito. Costei aveva risposto in modo da far ritenere che essa a quel proposito la sapesse piu2 lunga di quanto noi si credesse. E Augusta con me ragionava cosi2: <>. Nei giorni seguenti il contegno di Guido si fece veramente straordinario. Veniva in ufficio di tempo in tempo e non restava mai per piu2 di mezz'ora. Correva via come chi ha dimenticato il fazzoletto a casa. Seppi poi che andava a portare dei nuovi argomenti ad Ada che gli parevano decisi- vi per indurla a fare il voler suo. Aveva veramente l'aspetto di persona che ha pianto troppo o troppo gridato o che s'e2 addirittura battuta, e neppure in nostra presenza arrivava a domare l'emozione che gli contraeva la gola e gli faceva 300 venire le lacrime agli occhi. Gli domandai che cosa avesse. Mi rispose con un sorriso triste, ma amichevole per dimo- strarmi che non l'aveva con me. Poi si raccolse onde poter parlarmi senz'agitarsi di troppo. Infine disse poche parole: Ada lo faceva soffrire con la sua gelosia. Egli dunque mi raccontava che discutevano le loro storie intime mentre io pur sapevo che c'era anche quella storia del "conto utili e danni" fra di loro. Ma pareva che questo non avesse importanza. Me lo diceva lui e lo diceva anche Ada ad Augusta non parlandole d'altro che della sua gelosia. Anche la violenza di quelle discussioni, che lasciavano traccie tanto profonde sulla fac- cia di Guido, faceva credere dicessero il vero. Invece poi risulto2 che fra' due coniugi non si parlo2 che della quistione del denaro. Ada per superbia e per quanto si facesse dirigere dai suoi dolori passionali, non li aveva mai menzionati, e Guido, forse per la coscienza della sua colpa e per quanto sentisse che in Ada imperversasse l'ira della donna, continuo2 a discutere gli affari come se il resto non esistesse. Egli s'affanno2 sempre piu2 a correre dietro a quei denari, mentre lei, che non era affatto toccata da quistioni d'affari, protestava contro la proposta di Guido con un solo argomento: i denari dovevano restare ai bambini. E quan- d'egli trovava altri argomenti, la sua pace, il vantaggio che sarebbe derivato ai bambini stessi dal suo lavoro, la sicurez- za di trovarsi in regola con le prescrizioni di legge, essa lo saldava con un duro <>. Cio2 esasperava Guido e -- come dai bambini -- anche il suo desiderio. Ma ambedue -- quando ne parlavano ad altri -- credevano di essere esatti asserendo di soffrire per amore e gelosie. Fu una specie di malinteso che m'impedi2 d'intervenire a tempo per far cessare l'incresciosa quistione del denaro. Io potevo provare a Guido ch'essa effettivamente mancava d'importanza. Quale contabile sono un po' tardo e non capisco le cose che quando le ho distribuite nei libri, nero sul bianco, ma mi pare che presto io abbia capito che il versa- mento che Guido esigeva da Ada non avrebbe mutato di molte le cose. A che serviva infatti di farsi fare un versamen- to di denari? La perdita cosi2 non appariva mica minore, a meno che Ada non avesse accettato di far getto del denaro in quella contabilita2, cio2 che Guido non domandava. La legge 301 non si sarebbe mica lasciata ingannare al trovare che, dopo di aver perduto tanto, si voleva rischiare un po' di piu2 attirando nell'azienda dei nuovi capitalisti. Una mattina Guido non si fece vedere in ufficio cio2 che ci sorprese perche1 sapevamo che la sera prima non era partito per la caccia. A colazione appresi da Augusta commossa e agitata che Guido la sera prima aveva attentato alla propria vita. Oramai era fuori di pericolo. Devo confessare che la notizia, che ad Augusta sembrava tragica, a me fece rabbia. Egli era ricorso a quel mezzo drastico per spezzare la resistenza della moglie! Appresi anche subito che l'aveva fatto con tutte le prudenze, perche1 prima di prendere la morfina se ne era fatta vedere la boccetta stappata in mano. Cosi2 al primo torpore in cui cadde, Ada chiamo2 il medico ed egli fu subito fuori di pericolo. Ada aveva passata una notte orrenda perche1 il dottore credette di dover fare delle riserve sull'esito dell'avvelenamento, eppoi la sua agitazione fu pro- lungata da Guido che, quando rinvenne, forse non ancora in piena coscienza, la colmo2 di rimproveri dicendola la sua nemica, la sua persecutrice, colei che gl'impediva il sano lavoro cui egli voleva accingersi. Ada gli accordo2 subito il prestito ch'egli domandava, ma poi, finalmente, nell'intenzione di difendersi, parlo2 chiaro e gli fece tutti i rimproveri ch'essa tanto tempo aveva trattenu- ti. Cosi2 arrivarono a intendersi perche1 a lui riusci2 -- cosi2 Augusta credeva -- di dissipare in Ada ogni sospetto sulla sua fedelta2. Fu energico e quando lei gli parlo2 di Camen, egli grido2: <> Ada non aveva risposto e credette cosi2 di aver accettato quella proposta e che egli vi fosse impegnato. Mi meravigliai che Guido avesse saputo comportarsi cosi2 nel dormiveglia e giunsi fino a credere ch'egli non avesse ingoiata neppure la piccola dose di morfina ch'egli diceva. A me pareva che uno degli effetti degli annebbiamenti del cervello per sonno, fosse di sciogliere l'animo piu2 indurito, inducendolo alle piu2 ingenue confessioni. Non ero io recente di una tale avventura? Cio2 aumento2 il mio sdegno e il mio disprezzo per Guido. Augusta piangeva raccontando in quale stato avesse tro- 302 vata Ada. No! Ada non era piu2 bella con quegli occhi che sembravano spalancati dal terrore. Fra me e mia moglie ci fu una lunga discussione se io avessi dovuto far subito una visita a Guido e Ada oppure se non fosse stato meglio di fingere di non saper di nulla e aspettare di rivederlo in ufficio. A me quella visita sembrava una seccatura insopportabile. Vedendolo, come avrei fatto di non dirgli l'animo mio? Dicevo: <> Sentivo proprio cosi2 e volevo dirlo ad Augusta. Ma mi sembrava di far troppo onore a Guido paragonandolo a me: <> Augusta non ammetteva che l'anima della sartina suicida fosse tanto innocente, ma, fatta una lieve protesta, ritorno2 al suo tentativo d'indurmi a quella visita. Mi racconto2 che non dovevo temere di trovarmi in imbarazzo. Essa aveva parlato anche con Guido il quale aveva trattato con lei con tanta serenita2 come se egli avesse commessa l'azione piu2 comune. Uscii di casa senza dare la soddisfazione ad Augusta di mostrarmi convinto delle sue ragioni. Dopo lieve esitazione mi avviai senz'altro a compiacere mia moglie. Per quanto breve fosse il percorso, il ritmo del mio passo m'addusse ad una mitigazione del mio giudizio sul conto di Guido. Ricor- dai la direzione segnatami dalla luce che pochi giorni prima aveva illuminato il mio animo. Guido era un fanciullo, un fanciullo cui avevo promessa la mia indulgenza. Se non gli riusciva di ammazzarsi prima, anche lui prima o poi sarebbe arrivato alla maturita2. La fantesca mi fece entrare in uno stanzino che doveva essere lo studio di Ada. La giornata era fosca e il piccolo ambiente, con la sola finestra coperta da una fitta tenda, era buio. Sulla parete v'erano i ritratti dei genitori di Ada e di 303 Guido. Vi restai poco perche1 la fantesca ritorno2 a chiamarmi e mi condusse da Guido e Ada nella loro stanza da letto. Questa era vasta e luminosa anche quel giorno, per le sue due ampie finestre e per la tappezzeria e i mobili chiari. Guido giaceva nel suo letto con la testa fasciata e Ada era seduta accanto a lui. Guido mi ricevette senz'alcun imbarazzo, anzi con la piu2 viva riconoscenza. Sembrava assonnato, ma per salutarmi eppoi darmi le sue disposizioni, seppe scotersi e apparire desto del tutto. Indi s'abbandono2 sul guanciale e chiuse gli occhi. Ricordava che doveva simulare il grande effetto della morfina? Ad ogni modo faceva pieta2 e non ira ed io mi sentrii molto buono. Non guardai subito Ada: avevo paura della fisonomia di Basedow. Quando la guardai, ebbi una gradevole sorpresa perche1 mi aspettavo di peggio. I suoi occhi erano veramente ingranditi a dismisura, ma le gonfiezze che sulla sua faccia avevano sostituito le guancie, erano sparite e a me essa parve piu2 bella. Vestiva un'ampia veste rossa, chiusa fino al mento, nella quale il suo povero corpicciuolo si perdeva. C'era in lei qualcosa di molto casto e, per quegli occhi, qualche cosa di molto severo. Non seppi chiarire del tutto i miei sentimenti, ma davvero pensai mi stesse accanto una donna che assomigliava a quell'Ada che io avevo amata. A un certo momento Guido spalanco2 gli occhi, trasse di sotto al guanciale un assegno su cui subito vidi la firma di Ada, me lo consegno2, mi prego2 di farlo incassare e di accreditarne l'impor- to in un conto che dovevo aprire al nome di Ada. <> domando2 scherzosamente ad Ada. Essa si strinse nelle spalle e disse: <> <> aggiunse Guido con una brevita2 che mi offese. Ero sul punto di interrompergli la sonnolenza cui s'era subito abbandonato, dichiarandogli che se voleva delle regi- strazioni se le facesse da se1. Intanto fu portata una grande tazza di caffe2 nero che Ada gli porse. Egli trasse le braccia di sotto le coperte e con ambe le mani si porto2 la tazza alla bocca. Ora, col naso nella tazza, pareva proprio un bambino. 304 Quando mi congedai, egli m'assicuro2 che il giorno seguen- te sarebbe venuto in ufficio. Io avevo gia2 salutata Ada e percio2 fui non poco sorpreso quand'essa mi raggiunse alla porta d'uscita. Ansava: <> La seguii nel salottino ove ero stato poco prima e da cui adesso si sentiva il pianto di uno dei gemelli. Restammo in piedi guardandoci in faccia. Essa ansava ancora e per questo, solo per questo, io per un momento pensai che m'avesse fatto entrare in quella stanzuccia buia per domandarmi l'amore che le avevo offerto. Nell'oscurita2 i suoi grandi occhi erano terribili. Pieno d'angoscia mi domandavo quello che avrei dovuto fare. Non sarebbe stato mio dovere di prenderla fra le mie braccia e risparmiarle cosi2 di dover domandarmi qualche cosa? In un istante quale avvicendarsi di propositi! E una delle grandi difficolta2 della vita d'indovinare cio2 che una donna vuole. Ascoltarne le parole non serve, perche1 tutto un discorso puo2 essere annullato da uno sguardo e neppure questo sa diriger- ci quando ci si trova con lei, per suo volere, in una comoda buia stanzuccia. Non sapendo indovinare lei, io tentavo d'intendere me stesso. Quale era il mio desiderio? Volevo baciare quegli occhi e quel corpo scheletrico? Non sapevo dare una risposta decisa perche1 poco prima l'avevo vista nella severa castita2 di quella soffice vestaglia, desiderabile come la fanciulla ch'io avevo amata. Alla sua ansia s'era intanto associato anche il pianto e cosi2 s'allungo2 il tempo in cui io non sapevo quello che ella volesse e che io desiderassi. Finalmente, con voce spezzata, essa mi disse ancora una volta il suo amore per Guido, cosi2 anch'io non ebbi piu2 con lei ne1 doveri ne1 diritti. Balbetto2: <> Mi domandava di continuare a fare quello che gia2 facevo. Era poco, ben poco ed io tentai di concedere di piu2: <> 305 Ecco di nuovo l'esagerazione! Me ne avvidi nello stesso momento in cui v'incappavo, ma non seppi rinunziarvi. Io volevo dire ad Ada (o forse mentirle) che ella mi premeva. Essa non voleva il mio amore, ma il mio appoggio ed io le parlavo in modo che potesse credere ch'io ero pronto a concederle ambedue. Ada m'afferro2 subito la mano. Ebbi un brivido. Offre molto una donna porgendo la mano! Ho sempre sentito questo. Quando mi fu concessa una mano mi parve di affer- rare tutta una donna. Sentii la sua statura e nell'evidente confronto fra la mia e la sua, mi parve di fare atto somiglian- te all'abbraccio. Certo fu un contatto intimo. Ella soggiunse: <> <> risposi con aspetto rassegnato. Ada dovette credere che quel mio aspetto di rassegnazione signi- ficasse il sacrificio ch'io consentivo di farle. Invece io stavo rassegnandomi a ritornare ad una vita molto ma molto co- mune, visto ch'essa non ci pensava di seguirmi in quella d'eccezione ch'io avevo sognata. Feci uno sforzo per discendere del tutto a terra, e scopersi immediatamente nella mia mente un problema di contabilita2 non semplice. Dovevo accreditare dell'importo dell'assegno che tenevo in tasca il conto di Ada. Questo era chiaro e invece non chiaro affatto come tale registrazione avrebbe potuto toccare il conto Utili e Danni. Non ne dissi nulla per il dubbio che forse Ada non sapesse che c'era a questo mondo un libro mastro contenente dei conti di si2 varia natura. Ma non volli uscire da quella stanza senz'aver detto altro. Fu cosi2 che invece di parlare di contabilita2, dissi una frase che in quel momento gettai 1i2 negligentemente solo per dire qualche cosa, ma che poi sentii di grande importanza per me, per Ada e per Guido, ma prima di tutto per me stesso che compromisi una volta di piu2. Tanto importante fu quella frase che per lunghi anni ricordai come, con movimento trascurato, avessi mosse le labbra per dirla in quello stanzino buio in presenza dei quattro ritratti dei genitori di Ada e Guido sposatisi anch'essi fra di loro sulla parete. Dissi: <> 306 Come la parola sa varcare il tempo! Essa stessa avveni- mento che si riallaccia agli avvenimenti! Diveniva avveni- mento, tragico avvenimento, perche1 diretta ad Ada. Nel mio pensiero non avrei mai saputo evocare con tanta vivaci- ta2 l'ora in cui Ada aveva scelto fra me e Guido su quella via soleggiata ove, dopo giorni di attesa, avevo saputo incon- trarla per camminarle accanto e affaticarmi di conquistare il suo riso che scioccamente accoglievo come una promessa! E ricordai anche che allora io ero gia2 reso inferiore per l'imba- razzo dei muscoli delle mie gambe mentre Guido si moveva ancora piu2 disinvolto di Ada stessa e non era segnato da alcuna inferiorita2 se come tale non si avesse dovuto conside- rare quello strano bastone ch'egli si adattava di portare. Essa disse a bassa voce: <> Poi, sorridendo affettuosamente: <> Poi, con un sospiro: <>. Io tacevo sempre, ancora dubbioso. Mi pareva che mi avesse detto che io fossi divenuto quello ch'essa si era aspet- tata dovesse divenire Guido. Era dunque amore? Ed essa disse ancora: <> Mi riafferro2 la mano e io la serrai forse troppo. Essa me la sottrasse pero2 tanto presto, che fu dissipato ogni dubbio. E in quella buia stanzuccia io seppi di nuovo come dovevo comportarmi. Forse per attenuare il suo atto mi mando2 un'altra carezza: <>. Io ficcai subito l'occhio nell'oscurita2 del mio passato per ritrovare quel dolore e mormorai: <> A poco a poco ricordai il violino di Guido eppoi come m'avrebbero gettato fuori di quel salotto se non mi fossi aggrappato ad Augusta, e poi ancora il salotto in casa Mal- fenti, ove intorno al tavolino Luigi XIV si faceva all'amore mentre dall'altro tavolino si guardava. Improvvisamente ricordai anche Carla perche1 anche con lei c'era stata Ada. 307 Allora sentii viva la voce di Carla che mi diceva ch'io appar- tenevo a mia moglie, cioe2 ad Ada. Ripetei, mentre le lacri- me mi salivano agli occhi: <> Ada singhiozzava addirittura: <>. Si fece forza e disse: <> Un singhiozzo l'interruppe per un istante ed io trasalii non sapendo se essa si fosse fermata per sentire se io avrei affermato o negato quell'amore. Per mia fortuna non mi diede il tempo di parlare perche1 continuo2: <> Nella sua grande emozione ella quasi s'appoggiava a me, come nel sogno. Ma io m'attenni alle sue parole. Mi dornan- dava un affetto fraterno; l'impegno di amore che pensavo mi legasse a lei si trasformava cosi2 in un altro suo diritto, eppero2 le promisi subito di aiutare Guido, di aiutare lei, di fare quello che avrebbe voluto. Se fossi stato piu2 sereno avrei dovuto parlarle della mia insufficienza al compito ch'essa m'assegnava, ma avrei distrutta tutta l'indimenticabile emo- zione di quel momento. Del resto ero tanto commosso che non potevo sentire la mia insufficienza. In quel momento pensavo che non esistessero affatto per nessuno delle insuffi- cienze. Anche quella di Guido poteva essere soffiata via con alcune parole che gli dessero il necessario entusiasmo. Ada m'accompagno2 sul pianerottolo e resto2 1i2, appoggiata alla ringhiera, a vedermi scendere. Cosi2 aveva fatto sempre Carla, ma era strano lo facesse Ada che amava Guido, ed io gliene fui tanto grato che, prima di passare alla seconda branca della scala, alzai anche una volta il capo per vederla e salutarla. Cosi2 si faceva in amore ma, si vedeva, anche quando si trattava di amore fraterno. Cosi2 me ne andai via lieto. Essa m'aveva accompagnato fino su quel pianerottolo, e non oltre. Non v'erano piu2 dubbi. Restavamo cosi2: io l'avevo amata ed ora amavo Augusta, ma il mio antico amore le dava il diritto alla mia devozione. Essa poi continuava ad amare quel fanciullo, ma riservava a me un grande affetto fraterno e non solo perche1 308 avevo sposato sua sorella, ma per indennizzarmi dei dolori che m'aveva procurati e che costituivano un legame segreto fra di noi. Tutto cio2 era ben dolce, di un sapore raro in questa vita. Tanta dolcezza non avrebbe potuto darmi una vera salute? Infatti io camminai quel giorno senza imbarazzo e senza dolori, mi sentii magnanimo e forte e nel cuore un sentimento di sicurezza che m'era nuovo. Dimenticai di aver tradito mia moglie ed anche nel modo piu2 sconcio oppure mi proposi di non farlo piu2 cio2 che si equivale, e mi sentii veramente quale Ada mi vedeva, l'uomo migliore della fa- miglia. Allorche1 tanto eroismo s'affievoli2, io avrei voluto ravvi- varlo, ma intanto Ada era partita per Bologna ed ogni mio sforzo per trarre un nuovo stimolo da quanto essa m'aveva gia2 detto, restava vano. Si2! Avrei fatto quel poco che potevo per Guido, ma un proposito simile non aumentava ne1 l'aria nei miei polmoni ne1 il sangue nelle mie vene. Per Ada mi rimase nel cuore una grande nuova dolcezza rinnovata ogni qualvolta essa nelle sue lettere ad Augusta mi ricordava con qualche parola affettuosa. Le ricambiavo di cuore il suo affetto e accompagnavo la sua cura coi voti migliori. Magari- le fosse riuscito di riconquistare tutta la sua salute e tutta la sua bellezza! Il giorno seguente, Guido venne in ufficio e si mise subito a studiare le registrazioni ch'egli voleva fare. Propose: <> Era proprio questo ch'egli voleva e che non se~iva a nulla. Se io fossi stato l'esecutore indifferente della sua volonta2 come lo ero stato fino a pochi giorni prima, con tutta semplicita2 avrei eseguite quelle registrazioni e non ci avrei pensato piu2. Invece sentii il dovere di dirgli tutto; mi pareva di stimolarlo al lavoro facendogli sapere che non era tanto facile di cancellare la perdita in cui si era incorsi. Gli spiegai che a quanto ne sapevo io, Ada aveva dato quel denaro perche1 fosse posto a suo credito nel suo conto e cio2 non avveniva piu2 se noi lo saldavamo ficcandoci dentro, dall'altra parte, meta2 della perdita del bilancio. Poi, che la parte della perdita ch'egli voleva trasportare nel conto pro- prio, vi apparteneva e vi avrebbe anzi appartenuta tutta, ma cio2 non era il suo annullamento e invece la constatazione 309 della stessa. Ci avevo pensato tanto che m'era facile di spiegargli tutto, e conclusi: <> Egli mi guardava attonito. Sapeva abbastanza di contabi- lita2 per intendermi e invece non ci arrivava perche1 il deside- rio gl'impediva di adattarsi all'evidenza. Poi aggiunsi, per fargli veder chiaramente tutto: <> Quando finalmente comprese, impallidi2 fortemente e si mise a rosicchiarsi nervosamente le unghie. Resto2 trasogna- to, ma volle vincersi e con quel suo comico fare di coman- dante, dispose che tuttavia quelle registrazioni fossero fatte, aggiungendo: <> Compresi! Voleva continuare a sognare in luogo ove non c'e2 posto a sogni: la partita doppia! Ricordai quanto avevo promesso a me stesso la2 sull'erta di via Belvedere, eppoi ad Ada, nel salottino buio di casa sua e parlai generosamente: <> Egli mi strinse affettuosamente la mano: <> disse <> Ci guardammo commossi negli occhi. I suoi lucevano. Per sottrarmi alla commozione che minacciava anche me, dissi ridendo: <> Ed anche lui rise di cuore. Poi egli mi resto2 accanto per vedere come avrei saldato quel Conto Utili e Danni. Fu fatto in pochi minuti. Quel conto mori2, ma trascino2 nel nulla anche il conto di Ada a cui pero2 notammo il credito in un libercolo, per il caso in cui ogni altra testimonianza in seguito a qualche cataclisma fosse sparita e per avere l'evidenza che dovevamo pagarle gli 310 interessi. L'altra meta2 del Conto Utili e Danni ando2 ad aumentare il Dare gia2 considerevole del conto di Guido. Per loro natura i contabili sono un genere di animali molto disposti all'ironia. Facendo quelle registrazioni io pensavo: "Un conto -- quello intitolato agli utili e danni -- era morto ammazzato, l'altro -- quello di Ada -- era morto di morte naturale perche1 non ci riusciva di tenerlo in vita e invece non sapevamo ammazzare quello di Guido, ch'essendo di un debitore dubbioso, tenuto cosi2, era una vera tomba aperta nella nostra azienda". Di contabilita2 si continuo2 a parlare per lungo tempo, in quell'ufficio. Guido s'arrabattava per trovare un altro modo che avesse potuto proteggerlo meglio da eventuali insidie (cosi2 egli le chiamava) della legge. Io credo che egli abbia anche consultato qualche contabile perche1 un giorno venne in ufficio a propormi di distruggere i libri vecchi dopo averne fatti di nuovi sui quali avremmo registrata una vendita falsa ad un nome qualunque che avrebbe poi figurato di averla pagata con l'importo prestato da Ada. Era doloroso dover disilluderlo perche1 era corso all'ufficio animato da tanta speranza! Proponeva una falsificazione che proprio mi ripu- gnava. Finora non avevamo fatto altro che spostare delle realta2 minacciando di danneggiare chi implicitamente vi aveva dato il suo consenso. Ora, invece, egli voleva inventa- re dei movimenti di merci. Vedevo anch'io che cosi2 e solo cosi2, si poteva cancellare ogni traccia della perdita subita ma a quale prezzo! Bisognava anche inventare il nome del com- pratore o prendere il consenso di chi volevamo far figurare come tale. Non avevo niente in contrario di veder distrugge- re i libri che pur avevo scritti con tanta cura, ma era seccante farne di nuovi. Feci delle obbiezioni che finirono col convin- cere Guido. Una fattura non si simula facilmente. Bisogne- rebbe saper falsificare anche i documenti comprovanti l'esi- stenza e la proprieta2 della merce. Egli rinunzio2 al suo piano, ma il giorno seguente capito2 in ufficio con un altro piano che anch'esso implicava la distru- zioni dei libri vecchi. Stanco di veder intralciato ogni altro lavoro da discussioni simili, protestai: <> Mi confesso2 che quel pensiero era la sua ossessione. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Con un po' di sfor- tuna poteva incappare dritto dritto in quella sanzione penale e finire in carcere! Dai miei studi giuridici io sapevo che l'Olivi aveva esposto con grande esattezza quali fossero i doveri di un commer- ciante che ha fatto un simile bilancio, ma per liberare Guido e anche me da tale ossessione, lo consigliai di consultare qualche avvocato amico. Mi rispose di averlo gia2 fatto ossia di non esser stato da un avvocato espressamente a quello scopo perche1 non voleva confidare nemmeno ad un avvocato quel suo segreto, ma di aver fatto ciarlare un avvocato suo amico col quale s'era trovato a caccia. Sapeva percio2 che l'Olivi non aveva ne1 sbagliato ne1 esagerato... purtroppo! Vedendone l'inanita2, cesso2 dal fare delle scoperte per falsare la sua contabilita2, ma non percio2 riacquisto2 la calma. Ogni qualvolta veniva in ufficio si arrabbiava guardando i suoi libroni. M confesso2, un giorno, che entrando nella nostra stanza gli era parso di trovarsi nell'anticamera della galera e avrebbe voluto correr via. Un giorno mi domando2: <> Arrossii perche1 nella domanda mi parve di sentire un rimprovero. Ma evidentemente se Ada sapeva del bilancio poteva saperne anche Augusta. Non pensai subito cosi2, ma mi parve invece di meritare il rimprovero che egli intendeva di movermi. Percio2 mormorai: <> Rivedevo tutti i rigagnoli che potevano condurre ad Au- gusta e non mi pareva con cio2 di negare che essa avesse avuto tutto dalla prima fonte, cioe2 da me, ma di asserire che sarebbe stato inutile per me di tacere. Peccato! Se avessi invece confessato subito ch'io con Augusta non avevo segre- ti, mi sarei sentito tanto piu1 leale e onesto! Un lieve fatto cosi2, cioe2 la dissimulazione di un atto che sarebbe stato meglio di confessare e proclamare innocente, basta ad imba- razzare la piu sincera arnicizia. 312 Registro qui, quantunque non abbia avuto alcun'impor- tanza ne1 per Guido ne1 per la mia storia, il fatto che alcuni giorni appresso, quel chiacchierone di sensale col quale avevamo avuto da fare per il solfato di rame, mi fermo2 per istrada e, guardandomi dal basso in alto, come ve lo obbliga- va la sua bassa statura ch'egli sapeva esagerare abbassandosi sulle gambe, mi disse ironicamente: <> Poi, vedendomi allibire, mi strinse la mano e soggiunse: <> E mi lascio2. Io suppongo che i fatti nostri gli siano stati riferiti dalla figliuola sua che frequentava al Liceo la stessa classe della piccola Anna. Non riferii a Guido la piccola indiscrezione. Il mio compito precipuo era di difenderlo da inutili angustie. Fui stupito che Guido non prendesse alcuna disposizione per Carmen, perche1 sapevo che aveva formalmente promes- so alla moglie di congedarla. Io credevo che Ada sarebbe ritornata a casa dopo qualche mese come la prima volta. Ma essa, senza passare per Trieste, si reco invece a soggiornare in una villetta sul Lago Maggiore ove poco dopo Guido le porto2 i bambini. Ritornato da quel viaggio -- e non so se egli avesse ricorda- ta la sua promessa da se1 oppure che Ada gliel'avesse richia- mata alla mente -- mi domando2 se non sarebbe stato possibile di impiegare Carmen nel mio ufficio, cioe2 in quello dell'Oli- vi. Io sapevo gia2 che in quell'ufficio tutti i posti erano occu- pati, ma visto che Guido me ne pregava calorosamente, acconsentii di andare a parlarne col mio amministratore. Per un caso fortunato, un impiegato dell'Olivi se ne andava proprio in quei giomi, ma aveva una paga inferiore di quella che era stata concessa a Carmen negli ultimi mesi con grande liberalita2 da Guido il quale, secondo me, faceva cosi2 pagare le sue donne al Conto Spese Generali. Il vecchio Olivi s'informo2 da me sulla capacita2 di Carmen e per quanto io gli dessi le migliori informazioni, offerse di prenderla intanto alle stesse condizioni dell'impiegato congedato. Riferii cio2 a Guido il quale affitto e imbarazzato si gratto2 la testa. <> Io sapevo che non si poteva eppoi l'Olivi non usava consi- derarsi sposato con i suoi impiegati come facevamo noi. Quando si fosse accorto che Carmen avesse meritato una corona di meno alla paga concessale, gliel'avrebbe levatai senza misericordia. E si fini2 col restare cosi2: l'Olivi non ebbe e non chiese neppure mai una risposta decisiva e Carmen continuo2 a far roteare i suoi begli occhi nel nostro ufficio. Fra me ed Ada c'era un segreto e restava importante proprio perche1 rimaneva un segreto. Essa scriveva assidua- mente ad Augusta, ma mai le racconto2 di aver avute delle spiegazioni con me e neppure di avermi raccomandato Gui- do. Neppure io ne parlai. Un giorno Augusta mi fece vedere una lettera di Ada che mi riguardava. Essa domandava prima notizie di me e finiva con l'appellarsi alla mia bonta2 perche1 le dicessi qualche cosa sull'andamento degli affari di Guido. Mi turbai quando sentii ch'essa si dirigeva a me e mi rasserenai quando vidi che come al solito si dirigeva a me per informarsi di Guido. Di nuovo non avevo da osare niente. D'accordo con Augusta e senza parlarne a Guido, scrissi io a Ada. Mi misi al tavolo col proposito di scriverle vera- mente una lettera di affari e le comunicai ch'ero tanto con- tento del modo come ora Guido dirigeva gli affari, cioe2 con assiduita2 e accortezza. Cio2 era vero o almeno ero contento di lui quel giorno, poiche1 gli era riuscito di guadagnare del denaro vendendo della merce che teneva depositata in citta2 da varii mesi. Era pur vero che egli sembrava piu2 assiduo, ma andava tuttavia ogni settimana a caccia e a pesca. Io esageravo volentieri nella mia lode perche1 cosi2 mi pareva di giovare alla guarigio- ne di Ada. Rilessi la lettera e non mi basto2. Ci mancava qualche cosa. Ada s'era rivolta a me ed era certo che voleva anche mie notizie. Percio2 mancavo di cortesia non dandogliene. E a poco a poco -- lo ricordo come se mi avvenisse ora -- mi sentii imbarazzato a quel tavolo come se mi fossi trovato di nuovo faccia a faccia con Ada, in quello stanzino buio. Dovevo stringere molto la manina offertarni? Scrissi ma poi dovetti rifare la lettera perche1 m'ero lascia- to sfuggire parole addirittura compromettenti: anelavo di 314 rivederla e speravo riconquistasse tutta la sua salute e tutta la sua bellezza. Questo poi significava prendere per la vita la donna che m'aveva offerta solo la mano. Il mio dovere era di stringere solo quella manina, stringerla dolcemente e lunga- mente per significare che intendevo tutto, tutto quello che non doveva essere detto giammai. Non diro2 tutto il frasario che passai in rivista per trovarci qualche cosa che potesse sostituire quella stretta di mano lunga e dolce e significativa, ma soltanto quelle frasi che poi scrissi. Parlai lungamente della vecchiaia incombente su di me. Non potevo stare un momento tranquillo senz'invec- chiare. Ad ogni giro del mio sangue qualche cosa s'aggiunge- va alle mie ossa e alle mie vene che significava vecchiaia. Ogni mattina, quando mi destavo, il mondo appariva piu2 grigio ed io non me ne accorgevo perche1 tutto restava into- nato; non v'era in quel giorno neppure una pennellata del colore del giorno prima, altrimenti l'avrei scorta ed il rim- pianto m'avrebbe fatto disperare. Mi ricordo benissimo di aver spedita la lettera con piena soddisfazione. Non m'ero affatto compromesso con quelle parole, ma mi pareva anche certo che se il pensiero di Ada fosse stato uguale al mio, essa avrebbe compresa quella stretta di mano amorosa. Ci voleva poco acume per indovi- nare che quella lunga disquisizione sulla vecchiaia non signi- ficava altro che il mio timore che trovandomi in corsa traver- so il tempo, non potessi piu2 essere raggiunto dall'amore. Pareva gridassi all'amore: "Vieni, vieni!". Invece non sono sicuro di aver voluto quell'amore e, se v'e2 un dubbio, risulta solo dal fatto che so di aver scritto circa cosi. Per Augusta feci una copia di quella lettera lasciandone fuori la disquisizione sulla vecchiaia. Essa non l'avrebbe intesa, ma la prudenza non nuoce. Avrei potuto arrossire sentendo ch'essa mi guardava mentre io stringevo la mano della sorella! Si2! Io sapevo ancora arrossire. E arrossii anche quando ricevetti un biglietto di ringraziamento di Ada in cui essa non menzionava affatto le mie chiacchiere sulla mia vecchiaia. Mi pareva ch'essa si compromettesse molto di piu2 con me di quanto io mai mi fossi compromesso con lei. Non sottraeva la sua manina alla mia pressione. La lasciava giace- re inerte nella mia e, per la donna, l'inerzia e2 un modo di consentire. 315 Pochi giorni dopo di aver scritta quella lettera, scopersi che Guido s'era messo a giocare in Borsa. Lo appresi per un'indiscrezione del sensale Nilini. Io conoscevo costui da lunghi anni perche1 eravamo stati condiscepoli al liceo ch'egli aveva dovuto abbandonare per entrare subito nell'ufficio di un suo zio. Ci eravamo poi rivisti qualche volta, e ricordo che la differenza del nostro destino aveva costituito nei nostri rapporti una mia superio- rita2. Mi salutava allora per primo e talvolta cercava di avvici- narmi. Cio2 mi sembrava naturale, e invece m'apparve meno spiegabile quando in un'epoca che non so precisare, egli si fece con me molto altezzoso. Non mi salutava piu2 e a pena a pena rispondeva al saluto mio. Me ne preoccupai un poco perche1 la mia cute e2 molto sensibile ed e2 facilmente scalfita. Ma che farci? Forse mi aveva scoperto nell'ufficio di Guido ove gli pareva occupassi un posto di subalterno e mi spregia- va percio2, o, con la stessa probabilita2, si poteva supporre ch'essendo morto un suo zio e lasciatolo indipendente sensa- le di Borsa, fosse montato in superbia. Nei piccoli ambienti ci sono frequentemente di simili relazioni. Senza che ci sia stato un atto nemico, ci si guarda un bel giorno con avversio- ne e disprezzo. Fui sorpreso percio2 di vederlo entrare nell'ufficio, ove mi trovavo solo, e domandare di Guido. S'era levato il cappello e m'aveva porta la mano. Poi s'era subito abbandonato con grande liberta2 su una delle nostre grandi poltrone. Io lo guardai con interessamento. Non lo avevo visto da anni tanto da vicino ed ora, con l'avversione che mi manifestava, si era conquistata la mia piu2 intensa attenzione. Egli aveva allora circa quarant'anni ed era ben brutto per una calvizie quasi generale interrotta da un'oasi di capelli neri e fitti alla nuca e un'altra alle tempie, la faccia gialla e troppo ricca di pelle ad onta del grosso naso. Era piccolo e magro e si ergeva come poteva, tanto che quando parlavo con lui mi sentivo un lieve dolore simpatico al collo, la sola simpatia che provassi per lui. Quel giorno mi parve che si trattenesse dal ridere e che la sua faccia fosse contratta da un'ironia o da un disprezzo che non poteva ferire me, visto ch'egli m'aveva salutato con tanta gentilezza. Invece poi scopersi che quell'ironia gli era stata stampata in faccia da madre natura bizzarra. Le sue piccole mascelle non comba- 316 ciavano esattamente e fra di esse, da una parte della bocca, era rimasto un buco nel quale abitava stereotipata la sua ironia. Forse per conformarsi alla maschera da cui non sape- va liberarsi che allorquando sbadigliava, egli amava deride- re il prossimo. Non era affatto uno sciocco e lanciava delle frecciate velenose, ma di preferenza agli assenti. Ciarlava molto ed era immaginoso specie per affari di Borsa. Parlava della Borsa come se si fosse trattato di una sola persona ch'egli descriveva trepidante per una minaccia o addormentata nell'inerzia e con una faccia che sapeva ridere e anche piangere. Egli la vedeva salire la scala dei corsi ballando o scenderne a rischio di precipitare, eppoi l'ammirava come accarezzava un valore, come ne strangola- va un altro, oppure anche come insegnava alla gente la moderazione e l'attivita2. Perche1 solo chi aveva del senno poteva trattare con lei. V'erano tanti di quei denari sparsi per terra in Borsa, ma chinarsi a raccoglierli non era facile. Lo lasciai attendere dopo di avergli offerta una sigaretta e mi diedi da fare con certa corrispondenza. Dopo un po' di tempo egli si stanco2 e disse che non poteva restare di piu2. Del resto era venuto solo per raccontare a Guido che certe azioni dallo strano nome di Rio Tinto e di cui egli a Guido aveva consigliato l'acquisto il giorno prima -- si2, proprio ventiquat- tr'ore prima -- erano quel giorno balzate in alto di circa il dieci per cento. Si mise a ridere di cuore. <> Si vanto2 del suo colpo d'occhio dovuto alla sua lunga intimita2 con la Borsa. S'interruppe per domandarmi: <> La sua mandibola calo2 ancora un poco e il buco dell'ironia s'ingrandi2. <> dissi io con convinzione. Cio2 mi valse da lui una stretta di mano affettuosa quando mi lascio2. Dunque Guido giocava in Borsa! Se fossi stato piu2 attento avrei dovuto indovinarlo prima, perche1 quando io gli avevo presentato un conto esatto degli importi non insignificanti che avevamo guadagnati con gli ultimi nostri affari, egli lo 317 aveva guardato sorridendo, ma con qualche disprezzo. Tro- vava che avevamo dovuto lavorare troppo per guadagnare quel denaro. E si noti che con qualche decina di quegli affari si sarebbe potuto coprire la perdita in cui eravamo incorsi l'anno precedente! Che cosa dovevo fare ora, io che pochi giorni prima avevo scritto le sue lodi? Poco dopo Guido venne in ufficio ed io fedelmente gli riferii le parole del Nilini. Stette a sentire con tanta ansieta2 che neppure si accorse che io avevo cosi2 appreso che egli giocava, e corse via. Alla sera ne parlai con Augusta, che ritenne si dovesse lasciare in pace Ada e invece avvisare la signora Malfenti dei pericoli cui s'esponeva Guido. Mi domando2 di fare anch'io del mio meglio per impedirgli spropositi. Preparai lungamente le parole che dovevo dirgli. Final- mente attuavo i miei propositi di bonta2 attiva e mantenevo la promessa che avevo fatta ad Ada. Sapevo come dovevo afferrare Guido per indurlo ad obbedirmi. Ognuno commet- te una leggerezza, -- gli avrei spiegato, -- giocando in Borsa, ma piu2 di tutto un commerciante che abbia un simile bilancio dietro di se1. Il giorno seguente cominciai benissimo: <> gli domandai severamente. Ero preparato ad una scena e tenevo anche in serbo la dichiarazione che giacche1 egli pro- cedeva in modo da compromettere la ditta, io avrei abban- donato senz'altro l'ufficio. Guido seppe disarmarmi subito. Aveva tenuto sinora il segreto, ma ora, con un abbandono da buon ragazzo, mi disse ogni particolare di quei suoi affari. Lavorava in valori- minerarii di non so che paese, che gli avevano gia2 dato un utile che quasi sarebbe bastato a coprire la perdita del nostro bilancio. Ormai era cessato ogni rischio e poteva raccontar- mi tutto. Quando avesse avuto la sfortuna di perdere quello che aveva guadagnato, avrebbe semplicemente cessato di giocare. Se invece la fortuna avesse continuato ad assisterlo, si sarebbe affrettato di mettere in regola le mie registrazioni di cui sentiva sempre la minaccia. Vidi che non era il caso di arrabbiarsi e che si doveva invece congratularsi con lui. In quanto alle questioni di contabilita2, gli dissi che poteva ormai essere tranquillo, per- 318 che1 ove c'era disponibile del contante era facilissimo di regolare la contabilita2 piu2 fastidiosa. Quando nei nostri libri fosse stato reintegrato come di diritto il conto di Ada e almeno diminuito quello ch'io dicevo l'abisso della nostra azienda, cioe2 il conto di Guido, la nostra contabilita2 non avrebbe fatta una grinza. Poi gli proposi di fare tale regolazione subito e mettere in conto della ditta le operazioni di Borsa. Per fortuna egli non accetto2 perche1 altrimenti io sarei divenuto il contabile del giocatore e mi sarei addossata una maggiore responsabilita2. Cosi2 invece le cose procedettero come se io non avessi esistito. Egli rifiuto2 la mia proposta con delle ragioni che mi parvero buone. Era di malaugurio di pagare cosi2 subito i suoi debiti ed e2 una superstizione divulgatissima a tutti i tavoli da giuoco che il denaro altrui porti fortuna. Io non ci credo, ma quando giuoco non trascuro neppur io alcuna prudenza. Per un certo tempo mi feci dei rimproveri di aver accolte le comunicazioni di Guido senz'alcuna protesta. Ma quando vidi comportarsi allo stesso modo la signora Malfenti che mi racconto2 come suo marito aveva saputo guadagnare dei bei denari alla Borsa, eppoi anche Ada, dalla quale sentii consi- derare il giuoco come un qualsiasi genere di commercio, compresi che assolutamente a questo riguardo non si avreb- be potuto muovermi alcun rimprovero. Per arrestare Guido su quella china non sarebbe bastata la mia protesta che non avrebbe avuta alcun'efficacia se non fosse stata appoggiata da tutti i membri della famiglia. Fu cosi2 che Guido continuo2 a giocare, e tutta la sua famiglia con lui. Ero anch'io della comitiva, tant'e2 vero ch'entrai in una relazione d'amicizia alquanto curiosa col Nilini. E sicuro ch'io non potevo soffrirlo perche1 lo sentivo ignorante e presuntuoso, ma pare che per riguardo a Guido, che da lui aspettava i buoni consigli, sapessi celare bene i miei sentimenti ch'egli fini2 col credere di avere in me un amico devoto. Non nego che forse la mia gentilezza con lui fosse anche dovuta al desiderio di evitare quel malessere che m'aveva data la sua inimicizia, tanto forte causa quell'ironia che rideva sulla sua brutta faccia. Ma non gli usai mai altre gentilezze fuori di quella di porgergli la mano e il saluto quando veniva e se ne andava. Egli invece fu gentilissimo ed io non seppi non accettare le sue cortesie con gratitudine, cio2 319 ch'e2 veramente la massima gentilezza che si possa usare a questo mondo. Mi procurava delle sigarette di contrabban- do e me le faceva pagare quello che gli costavano, cioe2 molto poco. Se mi fosse stato piu2 simpatico avrebbe potuto indur- mi a giocare col suo mezzo; non lo feci mai, solo per non vederlo piu2 di spesso. Lo vedevo anzi troppo! Passava delle ore nel nostro uffi- cio ad onta che -- com'era facile di accorgersene -- non fosse innamorato di Carmen. Veniva a tener compagnia proprio a me. Pare si fosse prefisso d'istruirmi nella politica in cui egli era profondo causa la Borsa. Mi presentava le grandi poten- ze come un giorno si stringevano la mano e si pigliavano a schiaffi il giorno seguente. Non so se abbia indovinato il futuro perche1 io per antipatia non lo stetti mai a sentire. Conservavo un sorriso ebete, stereotipato. Il nostro malin- teso sara2 certo dipeso da una interpretazione errata del mio sorriso che gli sara2 parso d'ammirazione. Io non ne ho colpa. So solo le cose che ripeteva ogni giorno. Potei accorgermi ch'egli era un italiano di colore dubbio perche1 gli pareva che per Trieste fosse meglio di restare austriaca. Adorava la Germania e specialmente i treni ferroviari tedeschi che arri- vavano con tanta precisione. Era socialista a modo suo e avrebbe voluto fosse proibito che una singola persona posse- desse piu2 di centomila corone. Non risi un giorno in cui, conversando con Guido, egli ammise di possedere proprio centomila corone e non un centesimo di piu2. Non risi, e non gli domandai neppure se guadagnando dell'altro denaro avrebbe modificata la sua teoria. La nostra era una relazione veramente strana. Io non sapevo ridere ne1 con lui ne1 di lui. Quando aveva snocciolata qualche sua sentenza, si ergeva di tanto sulla sua poltrona che i suoi occhi guardavano il soffitto mentre a me restava rivolto il buco che io dicevo mandibolare. E vedeva con quel buco! Volli talvolta appro- fittare di quella sua posizione per pensare ad altro, ma egli richiamava la mia attenzione domandandomi subito: <> Dopo di quella sua simpatica effusione, Guido per lungo tempo non mi parlo2 dei suoi affari. Qualche cosa me ne diceva dapprima il Nilini, ma anche lui si fece poi piu2 riserva- to. Da Ada stessa seppi che Guido continuava a guadagnare. Quand'essa ritorno2, la trovai di nuovo imbruttita parec- 320 chio. Era piuttosto imbolsita che ingrassata. Le sue guancie, ricresciute, erano anche questa volta fuori di posto e le facevano una faccia quasi quadrata. Gli occhi avevano conti- nuato a sformare la loro incassatura. La mia sorpresa fu grande, perche1 da Guido ed altri ch'erano stati a trovarla, avevo sentito dire che ogni giorno che passava le apportava nuova forza e salute. Ma la salute della donna e2 in primo luogo la sua bellezza. Con Ada ebbi anche altre sorprese. Mi saluto2 affettuosa- mente, ma non altrimenti di quanto avesse salutata Augu- sta. Non c'era fra di noi piu2 alcun segreto e certamente essa non ricordava piu2 di aver pianto al ricordo di avermi fatto soffrire tanto. Tanto meglio! Essa dimenticava infine i suoi diritti su di me! Ero il suo buon cognato e mi amava solo perche1 ritrovava immutati i miei affettuosi rapporti con mia moglie, che formavano sempre l'arnmirazione di casa Mal- fenti. Un giorno feci una scoperta che mi sorprese assai. Ada si credeva ancora bella! Lontano, sul lago, le avevano fatta la corte ed era evidente ch'essa gioiva dei suoi successi. Proba- bilmente li esagerava perche1 mi pareva fosse un eccesso il pretendere di aver dovuto lasciare quella villeggiatura per sottrarsi alle persecuzioni di un innamorato. Ammetto che qualche cosa di vero ci possa essere stato, perche1 probabil- mente ella poteva apparire meno brutta a chi prima non l'aveva conosciuta. Ma gia2, non tanto, con quegli occhi e quel colorito e quella forma di faccia! A noi essa appariva piu2 brutta perche1, ricordando com'era stata, scorgevamo piu2 evidenti le devastazioni compiute dalla malattia. Invitammo una sera Guido e lei a casa nostra. Fu un ritrovo gradevole, veramente di famiglia. Pareva la conti- nuazione di quel nostro fidanzamento a quattro. Ma la chio- ma di Ada non era illuminata da alcuna luce. Al momento di dividerci, io, per aiutarla a indossare il mantello, restai per un istante solo con lei. Ebbi subito un senso un po' differente delle nostre relazioni. Eravamo la- sciati soli e forse potevamo dirci quello che in presenza di altri non volevamo. Mentre l'aiutavo, riflettei e finii col trovare quello che dovevo dirle: <> le dissi con voce seria. Mi viene talvolta il dubbio ch'io con tali parole avessi voluto 321 rievocare l'ultimo nostro ritrovo che non ammettevo fosse talmente dimenticato. <> essa disse sorridendo <> Risi con lei, forte. Mi sentivo sollevato da ogni responsa- bilita2. Andandosene essa mormoro2: <> Non arrivai a rispondere perche1 corse via. Fra di noi non c'era piu2 il nostro passato. C'era pero2 la sua gelosia. Quella era viva come nell'ultimo nostro incontro. Adesso, ripensandoci, trovo che avrei dovuto accorgermi molto tempo prima di esserne espressamente avvisato, che Guido aveva cominciato a perdere in Borsa. Sparve dalla sua faccia l'aria di trionfo che l'aveva illuminata e manifesto2 di nuovo quella grande ansieta2 per quel bilancio chiuso a quel modo. <> gli domandai io nella mia inno- cenza <> Allora, come lo seppi poi, egli in tasca non aveva piu2 nulla. Credetti tanto fermamente ch'egli avesse legata a se1 la fortuna che non tenni conto di tanti indizii che avrebbero potuto convincermi altrimenti. Una sera, di Agosto, egli mi trascino2 di nuovo a pesca con lui. Alla luce abbagliante di una luna quasi piena c'era poca probabilita2 di pigliare qualche cosa all'amo. Ma egli insistet- te dicendo che in mare avremmo trovato qualche sollievo al caldo. Infatti non vi trovammo altro. Dopo un solo tentati- vo, non inescammo neppure piu2 gli ami e lasciammo pende- re le lenze dalla barchetta che Luciano spinse al largo. I raggi della luna raggiungevano certo il fondo del mare affinando la vista agli animali grossi e rendendoli accorti dell'insidia ed anche agli animalucci piccoli capaci di rosicchiarci l'esca, ma non d'arrivare con la piccola bocca all'amo. Le nostre esche non erano altro che un dono alla minutaglia. Guido si corico2 a poppa ed io a prua. Egli mormoro2 poco dopo: <> Probabilmente diceva cosi2 perche1 la luce gl'impediva di dormire ed io assentii per fargli piacere ed anche per non 322 turbare con una sciocca discussione la quiete solenne in cui lentamente ci movevamo. Ma Luciano protesto2 dicendo che a lui quella luce piaceva moltissimo. Visto che Guido non rispondeva, volli farlo tacere dicendogli che la luce era certa- mente una cosa triste perche1 si vedevano le cose di questo mondo. Eppoi impediva la pesca. Luciano rise e tacque. Stemmo zitti molto tempo. Io sbadigliai piu2 volte in faccia alla luna. Rimpiangevo di essermi Iasciato indurre di monta- re in quella barchetta. Guido improvvisamente mi domando2: <> Io veramente non sapevo neppure che ci fosse un veronal al sodio. Non si puo2 mica pretendere che un chimico sappia il mondo a mente. Io di chimica so tanto da poter trovare subito nei miei libri qualsiasi informazione e inoltre da poter discutere -- come si vide in quel caso -- anche delle cose che ignoro. Al sodio? Ma se era saputo da tutti che le combinazioni al sodio erano quelle che piu2 facilmente si assimilavano. Anzi a proposito del sodio ricordai -- e riprodussi piu2 o meno esatta- mente -- un inno a quell'elemento elevato da un mio profes- sore all'unica sua prelezione cui avessi assistito. Il sodio era un veicolo sul quale gli elementi montavano per moversi piu2 rapidi. E il professore aveva ricordato come il cloruro di sodio passava da organismo ad organismo e come andava adunandosi per la sola gravita2 nel buco piu2 profondo della terra, il mare. Io non so se riproducessi esattamente il pen- siero del rnio professore, ma in quel momento, dinanzi a quell'enorme distesa di cloruro di sodio, parlai del sodio con un rispetto infinito. Dopo un'esitazione, Guido domando2 ancora: <> <> risposi. Poi ricordando che ci sono dei casi in cui si puo2 voler simulare un suicidio e non accorgendomi subito che ricorda- vo a Guido un episodio spiacevole della sua vita, aggiunsi: <> Gli studii di Guido sul veronal avrebbero potuto darmi da pensare. Invece io non compresi nulla, preoccupato com'ero 323 dal sodio. Nei giorni seguenti fui in grado di portare a Guido nuove prove delle qualita2 che io avevo attribuite al sodio: anche per accelerare gli amalgami che non sono altro che degli abbracci intensi fra due corpi, abbracci che sostituisco- no la combinazione o l'assimilazione, si aggiungeva al mer- curio del sodio. Il sodio era il mezzano fra l'oro e il mercurio. Ma a Guido il veronal non importava piu2, ed io ora penso che in quel momento le sue viste alla Borsa si fossero miglio- rate. Nel corso di una settimana, Ada venne in ufficio ben tre volte. Soltanto dopo la seconda, sorse in me l'idea ch'essa mi volesse parlare. La prima s'imbatte1 nel Nilini che s'era messo una volta di piu2 ad educarmi. Essa attese per un'ora intera che se ne andasse, ma ebbe il torto di ciarlare con lui ed egli credette percio2 di dover restare. Dopo fatte le presentazioni, io respi- rai, sollevato che il buco mandibolare del Nilini non fosse rivolto a me. Non presi parte alla loro conversazione. Il Nilini fu persino spiritoso e sorprese Ada raccontando che si facevano altrettante maldicenze al Tergesteo come nel salotto di una signora. Soltanto, secondo lui, alla Borsa, come sempre, si era meglio informati che altrove. Ad Ada sembro2 ch'egli calunniasse le donne. Disse di non saper neppure cio2 che fosse la maldicenza. A questo punto inter- venni io per confermare che, nei lunghi anni in cui la cono- scevo, non avevo mai sentita venir dalla sua bocca una parola che avesse neppur ricordato la maldicenza. Sorrisi dicendo cio2 perche1 mi parve di moverle un rimprovero. Essa non era maldicente perche1 dei fatti altrui non s'occupava. Dapprima, in piena salute, aveva pensato ai fatti proprii e, quando la malattia l'invase, non resto2 in lei che un piccolo posticino libero, occupato dalla sua gelosia. Era una vera egoista, ma essa accolse la mia testimonianza con gratitu- dine. Il Nilini finse di non prestar fede ne1 a lei ne1 a me. Disse di conoscermi da molti anni e di credermi di una grande inge- nuita2. Cio2 mi diverti2 e diverti2 anche Ada. Fui molto seccato invece quand'egli -- per la prima volta dinanzi a terzi -- proclamo2 ch'ero uno dei migliori suoi amici e che percio2 mi conosceva a fondo. Non osai protestare, ma da quella di- chiarazione sfacciata mi sentii offeso nel mio pudore, come 324 una fanciulla cui in pubblico fosse stato rimproverato di aver fornicato. Io ero tanto ingenuo, diceva il Nilini, che Ada, con la solita furberia delle donne, avrebbe potuto fare della maldicenza in mia presenza senza ch'io me ne accorgessi. A me parve che Ada continuasse a divertirsi a quei complimenti di carattere dubbio mentre poi seppi ch'essa lo lasciava parlare sperando si esaurisse e se ne andasse. Ma ebbe un bell'attendere. Quando Ada ritorno2 per la seconda volta, mi trovo2 con Guido. Allora lessi sulla sua faccia un'espressione d'impa- zienza e indovinai ch'essa voleva proprio me. Finche1 non ritorno2, io mi baloccai coi miei soliti sogni. In fondo essa da me non domandava amore, ma troppo frequentemente vo- leva trovarsi da sola a solo con me. Per gli uomini era difficile d'intendere quello che le donne volevano anche perche1 esse stesse talvolta lo ignoravano. Non mi derivo2 invece alcun nuovo sentimento dalle sue parole. Essa, non appena pote1 parlarmi, ebbe la voce stroz- zata dall'emozione, ma non gia2 perche1 avesse rivolta la parola a me. Voleva sapere per quale ragione Carmen non fosse stata mandata via. Io le raccontai tutto quanto ne sapevo, compreso quel nostro tentativo di procurarle un posto presso l'Olivi. Essa fu subito piu2 calma perche1 quello che le dicevo corrispondeva esattamente a quanto gliene era stato detto da Guido. Poi seppi che gli accessi di gelosia si seguivano da lei a periodi. Venivano senza causa apparente e andavano via per una parola che la convincesse. Mi fece ancora due domande: se era proprio tanto difficile di trovare un posto per un'impiegata e se la famiglia di Carmen si trovasse in tali condizioni di dipendere dal guada- gno della fanciulla. Le spiegai che infatti a Trieste era difficile allora di trovare del lavoro per le donne, negli uffici. In quanto alla sua seconda domanda, non potevo risponderle perche1 della fa- miglia di Carmen io non conoscevo nessuno. <> mormoro2 Ada con ira e le lacrime le irrorarono di nuovo le guancie. Poi mi strinse la mano per congedarsi e mi ringrazio2. Sorri- dendo attraverso le lacrime, disse che sapeva di poter contare su di me. Il sorriso mi piacque perche1 certamente non era 325 rivolto al cognato, ma a chi era legato a lei da vincoli segreti. Tentavo di dar prova che meritavo quel sorriso e mormorai: <> Essa si strinse nelle spalle: <> Io rimasi sconcertato dalla risposta e insistetti: <> Essa mi guardo2 sorpresa: <> Ero ben deciso di non dirle male di Guido e tacqui. Quando mi trovai solo non pensai a Guido, ma a me stesso. Era forse bene che Ada finalmente m'apparisse quale una mia sorella e null'altro. Essa non prometteva e non minac- ciava amore. Per varii giorni corsi la citta2 inquieto e squili- brato. Non arrivavo a intendermi. Perche1 mi sentivo come se Carla m'avesse lasciato in quell'istante? Non m'era avve- nuto niente di nuovo. Sinceramente credo ch'io abbia avuto sempre bisogno dell'avventura o di qualche complicazione che le somigli. I miei rappori con Ada non erano ormai piu2 complicati affatto. Il Nilini dal suo seggiolone un giorno predico2 piu2 del solito: dall'orizzonte s'avanzava un nembo, nient'altro che il rincaro del denaro. La Borsa era tutt'ad un tratto satura e non poteva assorbire nulla. <> proposi io. L'interruzione non gli piacque affatto, ma per non dover arrabbiarsi, la trascuro2- tutt'ad un tratto il denaro a questo mondo era divenuto scarso e percio2 caro. Egli era sorpreso che cio2 avvenisse ora mentre egli l'aveva preveduto per un mese piu2 tardi. <> dissi io. <> affermo2 il Nilini guardando sempre il soffitto. <> 326 Come non intesi perche1 il denaro a questo mondo potesse divenire piu2 scarso, cosi2 non indovinai che il Nilini ponesse Guido fra i lottatori di cui si doveva provare il valore. Ero tanto abituato a difendermi dalle sue prediche con la disat- tenzione, che anche questa, che pur sentii, passo2 via senza neppure scalfirmi. Ma pochi giorni appresso il Nilini intono2 tutt'altra musica. Era avvenuto un fatto nuovo. Egli aveva scoperto che Guido aveva fatto degli affari con un altro agente di cambio. Il Nilini comincio2 col protestare in un tono concitato che egli non aveva mai mancato in nulla verso Guido, neppure nella dovuta discrezione. Di questo egli voleva la mia testimo- nianza. Non aveva tenuto celati gli affari di Guido persino a me ch'egli continuava a ritenere quale il suo migliore amico? Ma oramai egli era svincolato da qualunque riserbo e poteva gridarmi nelle orecchie che Guido era in perdita fino alla punta dei capelli. Per gli affari ch'erano stati fatti col suo mezzo, egli assicurava che alla piu2 lieve miglioria si sarebbe potuto resistere e aspettare tempi migliori. Era pero2 enorme che alla prima avversita2 Guido gli avesse fatto torto. Altro che Ada! La gelosia del Nilini era indomabile. Io volevo avere da lui delle notizie ed egli invece si esasperava sempre piu2 e continuava a parlare del torto che gli era stato fatto. Percio2, contro ogni suo proposito, egli continuo2 a rimanere discreto. Nel pomeriggio trovai Guido in ufficio. Era sdraiato sul nostro sofa2 in un curioso stato intermedio fra la disperazione e il sonno. Gli domandai: <> Non mi rispose subito. Levo2 il braccio col quale si copriva il volto sfatto e disse: <> Riabbasso2 il braccio e cambio2 di posizione mettendosi supino. Richiuse gli occhi e parve avesse gia2 dimenticata la mia presenza. Io non seppi offrirgli alcun conforto. Davvero mi offende- va ch'egli credesse di essere l'uomo piu2 disgraziato del mon- do. Non era un'esagerazione la sua; era uni vera e propria menzogna. L'avrei soccorso se avessi potuto, ma mi era impossibile di confortarlo. Secondo me neanche chi e2 piu2 innocente e piu2 disgraziato di Guido merita compassione, 327 perche1 altrimenti nella nostra vita non ci sarebbe posto che per quel sentimento, cio2 che sarebbe un grande tedio. La legge naturale non da2 il diritto alla felicita2, ma anzi prescrive la miseria e il dolore. Quando viene esposto il commestibile, vi accorrono da tutte le parti i parassiti e, se mancano, s'affrettano di nascere. Presto la preda basta appena, e subito dopo non basta piu2 perche1 la natura nn fa calcoli, me esperienze. Quando non basta piu2, ecco che i consumatori devono diminuire a forza di morte preceduta dal dolore e cosi2 l'equilibrio, per un istante, viene ristabilito. Perche1 lagnarsi? Eppure tutti si lagnano. Quelli che non hanno avuto niente della preda muoiono gridando all'ingiustizia e quelli che ne hanno avuto parte trovano che avrebbero avuto diritto ad aver una parte maggiore. Perche1 non muoio- no e non vivono tacendo? E2 invece simpatica la gioia di chi ha saputo conquistarsi una parte esuberante del commestibi- le e si manifesti pure al sole in mezzo agli applausi. L'unico grido ammissibile e2 quello del trionfatore. Guido, poi! Egli mancava di tutte le qualita2 per conquista- re od anche solo per tenere la ricchezza. Veniva dal tavolo di qiuoco e piangeva per aver perduto. Non si comportava dunque neppure da gentiluomo e a me faceva nausea. Percio2 e solo percio2, nel momento in cui Guido avrebbe avuto tanto bisogno del mio affetto, non lo trovo2. Neppure i miei ripetuti propositi poterono accompagnarmi fin la2. Intanto la respirazione di Guido andava facendosi sempre piu2 regolare e rumorosa. S'addormentava! Com'era poco virile nell sventura! Gli avevano portato via il commestibile e chiudeva gli occhi forse per sognare di possederlo tuttavia, invece di aprirli ben bene per vedere di strapparne una piccola parte. Mi venne la curiosita2 sapere se Ada fosse stata informa- ta della disgrazia che gli era toccata. Glielo domandai ad alta voce. Egli trasali2 ed ebbe il bisogno di una pausa per assue- farsi alla sua disgrazia che improvvisamente rivide intera. <> mormoro2. Poi chiuse gli occhi. Certamente tutti coloro che sono stati duramente percossi inclinano al sonno. Il sonno rida2 le forze. Stetti ancora a quardarlo esitante. Ma come si poteva aiutarlo se dormiva? mente per una spalla e lo scossi: 328 <> Aveva proprio dormito. Mi guardo2 incerto con l'occhio ancora velato dal sonno eppoi mi domando2: <> Subito dopo, adirato, ripete1 la sua domanda: <>. Io volevo aiutarlo, altrimenti non avrei neppure avuto il diritto di destarlo. M'arrabbiai anch'io e gridai che questo non era il momento di domire perche1 bisognava affrettarsi di vedere come si avrebbe potuto correre ai ripari. C'era da calcolare e discutere con tutti i membri della nostra famiglia e quelli della sua di Buenos Aires. Guido si mise a sedere. Era ancora un po' sconvolto di essere stato destato a quel modo. Mi disse amaramente: <> Senza nessun affetto e anzi con l'ira di dover dare e privare me e i miei, esclamai: <> Poi l'avarizia mi suggeri2 di attenuare da bel principio il mio sacrificio: <> Egli si levo2 e mi si appresso2 con l'evidente intenzione di abbracciarmi. Ma era proprio questo ch'io non volevo. Avendogli offerto il mio aiuto, avevo ora il diritto di rampo- gnarlo, e ne feci l'uso piu2 largo. Gli rimproverai la sua attuale debolezza eppoi anche la sua presunzione durata fino a quel momento e che l'aveva tratto alla rovina. Aveva agito di propria testa non consultandosi con nessuno. Tante volte io avevo tentato di avere sue comunicazioni per tratte- nerlo e salvarlo ed egli me le aveva rifiutate serbando la sua fiducia per il solo Nilini. Qui Guido sorrise, proprio sorrise, il disgraziato! Mi disse che da quindici giorni egli non lavorava piu2 col Nilini essen- dosi fitto in capo che il grugno di costui gli portasse sventura. Egli era caratterizzato da quel sonno e da quel sorriso: rovinava tutti attorno a se1 e sorrideva. M'atteggiai a giudice severo perche1 per salvare Guido bisognava educarlo. Volli sapere quanto egli avesse perduto e m'arrabbiai quando mi 329 disse di non saperlo esattamente. M'arrabbiai ancora quan- d'egli mi disse una cifra relativamente piccola che poi risulto2 rappresentare l'importo che bisognava pagare alla liquida- zione del quindici del mese da cui distavamo di soli due giorni. Ma Guido asseriva che fino alla fine del mese c'era del tempo e che le cose potevano mutarsi. La scarsezza del denaro sul mercato non sarebbe durata eternamente. Gridai: <> Aggiunsi che non bisognava giocare neppure per un giorno di piu2. Non si poteva rischiare di veder aumentata la perdita gia2 enorme. Dissi anche che la perdita sarebbe stata divisa in quattro parti che avremmo sopportate io, lui (cioe2 suo padre), la signora Malfenti e Ada, che bisognava ritor- nare al nostro commercio privo di rischi e che non volevo mai piu2 vedere nel nostro ufficio ne1 il Nilini ne1 alcun altro sensale di cambio. Egli, mite, mite, mi prego2 di non gridare tanto, perche1 avremmo potuto essere sentiti dai vicini. Feci un grande sforzo per calmarmi e vi riuscii anche a patto di poter dirgli a bassa voce delle altre insolenze. La sua perdita era addirittura l'effetto di un crimine. Bisognava essere unbestione per mettersi in frangenti simili. Proprio mi pareva ch'era necessario egli subisse intera la lezione. Qui Guido mitemente protesto2. Chi non aveva giocato in Borsa? Nostro suocero, ch'era stato un commerciante tanto solido, non era stato un giorno solo della sua vita privo di qualche impegno. Eppoi -- Guido lo sapeva -- avevo giocato anch'io. Protestai che fra gioco e gioco c'era una differenza. Egli aveva rischiato alla Borsa tutto il suo patrimonio, io le rendite di un mese. Mi fece un triste effetto che Guido tentasse puerilmente di liberarsi della sua responsabilita2. Egli asseri2 che il Nilini lo aveva indotto a giocare piu2 di quanto egli avesse voluto, facendogli credere di avviarlo ad una grande fortuna. Io risi e lo derisi. Il Nilini non era da biasimarsi perche1 faceva gli affari suoi. E -- del resto -- dopo di aver lasciato il Nilini, non si era egli precipitato ad aumentare la propria posta col mezzo di un altro sensale? Avrebbe potuto vantarsi della nuova relazione se con essa si fosse messo a giocare al 330 ribasso ad insaputa del Nilini. Per riparare non poteva certo bastare di cambiare di rappresentante e continuare sulla stessa via perseguitato dallo stesso malocchio. Egli volle indurmi finalmente a lasciarlo in pace, e, con un singhiozzo nella gola, riconobbe di aver sbagliato. Cessai dal rampognarlo. Ora mi faceva veramente com- passione e l'avrei anche abbracciato se egli avesse voluto. Gli dissi che mi sarei occupato subito di provvedere il denaro che io dovevo fornire e che avrei potuto anche occuparmi di parlare con nostra suocera. Egli, invece, si sarebbe incarica- to di Ada. La mia compassione aurnento2 quand'egli mi confido2 che volentieri avrebbe parlato con nostra suocera in vece mia, ma che lo tormentava di dover parlare con Ada. <> Egli non avrebbe parlato affatto e avrebbe pregata la signora Malfen- ti d'informarla lei di tutto. Questa decisione l'alleggeri2 grandemente e uscimmo in- sieme. Lo vedevo camminare accanto a me con la testa bassa e mi sentivo pentito di averlo trattato con tanta rudezza. Ma come fare altrimenti se lo amavo? Doveva pur ravvedersi, se non voleva andare incontro alla sua rovina! Come dovevano essere fatte le sue relazioni con la moglie se temeva tanto di parlare con lei! Ma intanto egli scoperse un modo per indispettirrni di nuovo. Camminando aveva trovato di perfezionare il piano che gli era tanto piaciuto. Non soltanto egli non avrebbe avuto da parlare con la moglie, ma avrebbe fatto in modo di non vederla per quella sera, perche1 sarebbe subito partito per la caccia. Dopo quel proposito, fu libero da ogni nube. Pareva fosse bastata la prospettiva di poter recarsi all'aria aperta, lontano da ogni pensiero, per avere l'aspetto di trovarsi diggia2 e di goderne pienarnente. Io ne fui indignato! Con lo stesso aspetto, certo, avrebbe potuto ritornare in Borsa per riprendervi il giuoco nel quale rischiava la fortuna della famiglia e anche la mia. Mi disse: <> 331 Fin qui aveva parlato sorridendo. Dinanzi alla mia faccia seria, si fece piu2 serio anche lui. Aggiunse: <> La sua voce s'era velata di un'emozione della cui sincerita2 non seppi dubitare. Percio2 seppi rattenere il mio dispetto o manifestarlo solo col rifiuto del suo invito, dicendogli che io dovevo restare in citta2 per provvedere al denaro necessario. Era gia2 un rimprovero il mio! Io, innocente, restavo al mio posto, mentre lui, il colpevole, poteva andare a spassarsela. Eravamo giunti dinanzi alla porta di casa della signora Malfenti. Egli non aveva piu2 ritrovato l'aspetto di gioia per il divertimento di alcune ore che l'aspettava e, finche1 rimase con me, conservo2 stereotipata sulla faccia l'espressione del dolore cui io l'avevo richiamato. Ma prima di lasciarmi, trovo2 uno sfogo in una manifestazione d'indipendenza e -- come mi parve -- di rancore. Mi disse ch'era veramente stupito di scoprire in me un tale amico. Esitava di accettare il sacrificio che gli volevo portare e intendeva (propri2o inten- deva) ch'io sapessi ch'egli non mi riteneva impegnato in alcun modo e ch'ero percio2 libero di dare o non dare. Son sicuro di aver arrossito. Per levarmi dall'imbarazzo gli dissi: <> Egli mi guardo2 un po' incerto eppoi disse: <> Risposi: <> Cosi2 ci lasciammo. Io credo di aver sorriso dell'ingenuita2 con cui Guido manifestava i suoi piu2 intimi sentimenti. Egli 332 m'aveva tenuto quel lungo discorso solo per poter accettare il mio dono senz'aver da manifestarmi della gratitudine. Ma io non pretendevo nulla. Mi bastava di saper che tale ricono- scenza egli proprio me la doveva. Del resto, staccatomi da lui, anch'io sentii un sollievo come se fossi andato appena allora all'aria libera. Sentivo veramente la liberta2 che m'era tolta per i propositi di educar- lo e rimetterlo sulla buona strada. In fondo il pedagogo e2 incatenato peggio dell'alunno. Ero ben deciso di procurargli quel denaro. Naturalmente non so dire se lo facessi per affetto a lui o ad Ada, o forse per liberarmi da quella piccola parte di responsabilita2 che poteva toccarmi per aver lavorato nel suo ufficio. Insomma avevo deciso di sacrificare una parte del mio patrimonio e ancora oggidi2 guardo a quel giorno della mia vita con una grande soddisfazione. Quel denaro salvava Guido e a me garantiva una grande tranquil- lita2 di coscienza. Camminai fino a sera nella piu2 grande tranquillita2 e cosi2 perdetti il tempo utile per andare a rintracciare alla Borsa l'Olivi cui dovevo rivolgermi per procurarmi una somma cosi2 forte. Poi pensai che la cosa non fosse tanto urgente. Io avevo parecchio denaro a mia disposizone e quello bastava intanto per partecipare alla regolazione che si doveva fare il quindici del mese. Per la fine del mese avrei provveduto piu2 tardi. Per quella sera non pensai piu2 a Guido. Piu2 tardi, e cioe2 quando i bambini furono coricati, m'accinsi varie volte a dire ad Augusta del disastro finanziario di Guido e del danno che doveva riverberarne a me, ma poi non volli seccarmi con discussioni e pensai sarebbe meglio mi riservassi di convincere Augusta nel momento in cui la regolazione di quegli affari- sarebbe stata decisa da tutti. Eppoi mentre Guido stava diver- tendosi sarebbe stato curioso che io mi fossi seccato. Dormii benissimo e, alla mattina, con la tasca non molto carica di denaro (ci avevo l'antica busta abbandonatami da Carla e che fino ad allora religiosamente avevo conservato per lei stessa o per qualche sua erede e qualche po' di altro denaro che avevo potuto prelevare da una Banca) mi recai in ufficio. Passai la mattina a leggere giornali, fra Carmen che cuciva e Luciano che s'addestrava in moltipliche e addizioni. Quando ritornai a casa per l'ora della colazione, trovai 333 Augusta perplessa e abbattuta. La sua faccia era coperta da quel gran pallore che non si produceva che per dolori che le provenivano da me. Mitemente mi disse: <> Era tanto dubbiosa del suo diritto che esito2. Poi riprese a rimproverarmi il mio silenzio. <> Ci volle del tempo per apprendere quello ch'era avvenu- to. Augusta era capitata da Ada quando stava discutendo la quistione di Guido con la madre. Vedendola, Ada s'era abbandonata ad un gran pianto e le aveva detto della mia generosita2 ch'essa assolutamente non voleva accettare. Aveva anzi pregata Augusta d'invitarmi a desistere dalla mia profferta. M'accorsi subito che Augusta soffriva della sua antica malattia, la gelosia per la sorella, ma non vi diedi peso. Mi sorprendeva l'attitudine assunta da Ada. <> domandai facendo tanto d'occhi per la sorpresa. <> grido2 la sincera Augusta. <> Pareva un modo di esprimersi assai comico. Essa mi guar- dava, studiandomi, diffidente. Protestai. <> Ma non riuscii a calmar Augusta la cui gelosia mi sec- cava orribilmente. Sta bene che Guido a quell'ora non era piu2 a divertirsi e passava certamente un brutto quarto d'ora fra sua suocera e sua moglie, ma ero seccatissimo anch'io e mi pareva di dover soffrire troppo essendo del tutto inno- cente. Tentai di calmare Augusta facendole delle carezze. Essa allontano2 la sua faccia dalla mia per vedemni meglio e mi fece dolcemente un mite rimprovero che mi commosse molto: <> mi disse. Evidentemente lo stato d'animo di Ada non aveva impor- 334 tanza per lei, ma il mio ed ebbi un'ispirazione per provare la mia innocenza: <> feci ridendo. Poi staccatomi da Augusta per farmi veder meglio, gonfiai un po' le guancie e spalancai in modo innaturale gli occhi, cosi2 da somigliare ad Ada malata. Augusta mi guardo2 stupi- ta, ma presto indovino2 la mia intenzione. Fu colta da uno scoppio di ilarita2 di cui subito si vergogno2. <> mi disse <> Poi confesso2, sempre ridendo, ch'ero riuscito di imitare proprio quelle protuberanze che davano alla faccia di Ada un aspetto tanto sorprendente. Ed io lo sapevo perche1 imitandola m'era par- so di abbracciare Ada. E quando fui solo, piu2 volte ripetei quello sforzo con desiderio e disgusto. Nel pomeriggio andai all'ufficio nella speranza di trovarvi Guido. Ve l'attesi per qualche tempo eppoi decisi di recarmi a casa sua. Dovevo pur sapere se era necessario di domanda- re del denaro all'Olivi. Dovevo compiere il mio dovere per quanto mi seccasse di rivedere Ada alterata una volta di piu2 dalla riconoscenza. Chissa2 quali sorprese mi potevano anco- ra provenire da quella donna! Sulle scale della casa di Guido m'imbattei nella signora Malfenti che pesantemente le saliva. Mi racconto2 per lungo e per largo quanto fino ad allora era stato deciso nell'affare di Guido. La sera prima s'erano divisi circa d'accordo nella convinzione che bisognava salvare quell'uomo che aveva una disdetta disastrosa. Soltanto alla mattina Ada aveva appreso ch'io dovevo collaborare a coprire la perdita di Guido e s'era recisamente rifiutata di accettare. La signora Malfenti la scusava: <> Sul pianerottolo, la signora si fermo2 a respirare e anche per parlare, e mi disse ridendo che la cosa sarebbe finita senza danno per nessuno. Prima di colazione, lei, Ada e Guido s'erano recati per averne consiglio da un avvocato, vecchio amico di famiglia e ora anche tutore della piccola Anna. L'avvocato aveva detto che non occorreva paga- re perche1 per legge non vi si era obbligati. Guido s'era vi- vamente opposto parlando di onore e di dovere, rna sen- za dubbio, una volta che tutti, compresa Ada, decideva- 335 no di non pagare, anche lui avrebbe dovuto rassegnarvisi. <> dissi io perplesso. <> disse la signora Malfenti con un sospiro prima d'imprendere la salita dell'ultima scala. Guido dopo la colazione usava di riposare e percio2 fummo ricevuti dalla sola Ada in quel salottino ch'io conoscevo tanto bene. Al vedermi essa fu per un istante confusa, per un solo istante, ch'io pero2 afferrai e ritenni, chiaro, evidente, come se la sua confusione mi fosse stata detta. Poi si fece forza e mi stese la mano con un movimento deciso, virile, che doveva cancellare l'esitazione femminea che l'aveva precorso. Mi disse: <> Un singhiozzo l'interruppe: <> Prima aveva avuto un singhiozzo ricordando la propria malattia; singhiozzo2 poi di nuovo prima di continuare a parlare del marito: <> Mi comunicava il parere di un' alta autorita2 senza doman- darmi il mio. Come vecchio frequentatore di Borsa, il mio parere, anche accanto a quello dell'avvocato, avrebbe potu- to avere il suo peso, ma non ricordai neppure il mio parere seppure ne avevo uno. Ricordai invece che venivo messo in una posizione difficile. Io non potevo ritirarmi dall'impegno che avevo preso con Guido: era in compenso di quell'impe- gno, che m'ero creduto autorizzato di gridargli nelle orec- chie tante insolenze, intascando cosi2 una specie d'interessi sul capitale che ora non potevo piu2 rifiutargli. 336 <> dissi esitante. <> La signora Malfenti con la grande simpatia che sempre mi dimostrava, disse che intendeva benissimo la mia speciale posizione e che del resto, quando Guido si sarebbe visto messo a disposizione soltanto un quarto dell'importo di cui abbisognava avrebbe pur dovuto adattarsi al loro volere. Ma Ada non aveva esaurite le sue lacrime. Piangendo con la faccia celata nel fazzoletto, disse: <> Mi pareva esitante fra una grande gratitudine e un grande rancore. Poi soggiunse che non voleva si parlasse mai piu2 di quella mia offerta e mi pregava di non provvedere quel denaro, perche1 essa rn'avrebbe impedito di darlo o avrebbe ' impedito a Guido di accettarlo. Ero tanto imbarazzato che finii col dire una bugia. Le dissi cioe2 che quel denaro io l'avevo gia2 procurato e accennai alla mia tasca di petto dove giaceva quella busta dal peso tanto lieve. Ada mi guardo2 questa volta con un'espressione di vera ammirazione di cui forse mi sarei compiaciuto se non avessi saputo di non meritarla. Ad ogni modo fu proprio questa mia bugia per la quale non so dare altra spiegazione che una mia strana tendenza a rappresentarmi dinanzi ad Ada mag- giore di quanto non sia, che m'impedi2 di attendere Guido e mi caccio2 da quella casa. Avrebbe potuto anche avvenire che a un dato punto, contrariamente a quanto appariva, mi fosse stato chiesto di consegnare il denaro che dicevo di avere con me, e allora che figura ci avrei fatta? Dissi che avevo degli affari urgenti in ufficio e corsi via. Ada m'accompagno2 alla porta e m'assicuro2 ch'essa avreb- be indotto Guido di venire lui da me per ringraziammi della mia bonta2 e per rifiutarla. Fece tale dichiarazione con tale risolutezza che io trasalii. A me parve che quel femmo propo- sito andasse a colpire in parte anche me. No! In quel mo- mento essa non mi amava. Il mio atto di bonta2 era troppo grande. Schiacciava la gente su cui s'abbatteva e non c'era da meravigliarsi che i beneficiati protestassero. Andando al- l'ufficio cercai di liberarmi dal malessere che m'aveva dato il contegno di Ada, ricordando che io portavo quel sacrificio a 337 Guido e a nessun altro. Che c'entrava Ada? Mi riprormisi di farlo sapere ad Ada stessa alla prirna occasione. Andai all'ufficio proprio per non avere il rimorso di aver mentito una volta di piu2. Nulla mi attendeva. Cadeva dalla mattina una pioggerella minuta e continua che aveva rinfre- scata considerevolmente l'aria di quella primavera esitante. In due passi sarei stato a casa, rnentre per andare all'ufficio dovevo percorrere una strada ben piu2 lunga cio2 ch'era abba- stanza fastidioso. Ma mi pareva di dover corrispondere ad un impegno. Poco dopo vi fui raggiunto da Guido. Allontano2 dall'uffi- cio Luciano per restare solo con me. Aveva quel suo aspetto sconvolto che l'aiutava nelle sue lotte con la rnoglie e che io conoscevo tanto bene. Doveva aver pianto e gridato. Mi domando2 che cosa mi paresse dei progetti di sua mo- glie e di nostra suocera ch'egli sapeva m'erano gia2 stati comunicati. Gli parvi esitante. Non volevo dire la mia opi- nione che non poteva accordarsi con quella delle due donne e sapevo che se avessi adottata la loro, avrei provocate delle nuove scene da parte di Guido. Poi mi sarebbe dispiaciuto troppo di far apparire esitante il mio aiuto e infine eravamo d'accordo con Ada che la decisione doveva venire da Guido e non da me. Gli dissi che bisognava calcolare, vedere, sentire anche altre persone. Io non ero un tale uomo d'affan- da poter dare un consiglio in argomento tanto importante. E, per guadagnare del tempo, gli domandai se voleva che consultassi l' Olivi. Basto2 questo per farlo gridare: <> urlo2. <> Non ero affatto disposto di accalorarmi alla difesa dell'O- livi, ma non basto2 la mia calma per rasserenare Guido. Eravamo nell'identica situazione del giorno prima, ma ora era lui che gridava e toccava a me di tacere. E quistione di disposizione. Io ero pieno di un irnbarazzo che mi legava le membra. Ma egli assolutamente volle io dicessi il mio parere. Per un'ispirazione che credo divina parlai molto bene, tanto bene che se le mie parole avessero avuto un effetto qualun- que, la catastrofe che poi segui2 sarebbe stata evitata. Gli dissi che io intanto avrei scisso le due quistioni, quella della liquidazione del quindici da quella di fine mese. In comples- 338 so al quindici non si aveva da pagare un importo troppo rilevante e bisognava intanto indurre le donne a sottostare a quella perdita relativamente lieve. Poi avremmo avuto il tempo necessario per provvedere saggiarnente all'altra liqui- dazione. Guido m'interruppe per domandarmi: <> Arrossii. Ma trovai subito pronta un'altra bugia che mi salvo2: <> Allora egli mi rimprovero2 di aver carnbiato di parere. Se proprio io il giorno prima avevo dichiarato di non voler aspettare l'altra liquidazione per mettere in regola tutto! E qui egli ebbe uno scoppio d'ira violenta che fini2 col gettarlo privo di forze sul sofa2! Egli avrebbe gettato fuori d'ufficio il Nilini e quegli altri agenti che lo avevano trascinato al giuo- co. Oh! Giuocando egli aveva bensi2 intravvista la possibilita2 della rovina, ma mai piu2 la soggezione a donne che non capivano niente di niente. Andai a stringergli la mano e se lo avesse permesso lo avrei abbracciato. Non -volevo nient'altro che vederlo arri- vare a quella decisione. Niente piu2 giuoco, ma il lavoro di ogni giorno! Questo sarebbe stato il nostro avvenire e la sua indipen- denza. Ora si trattava di passare quel breve duro periodo, ma poi tutto sarebbe stato facile e semplice. Abbattuto, ma piu2 calmo, egli poco dopo mi lascio2. An- che lui nella sua debolezza era tutto pervaso da una forte decisione. <> mormoro2 ed ebbe un sorriso amaro, ma sicuro. L'accompagnai fino alla porta e l'avrei accompagnato fino a casa sua se egli non avesse avuta alla porta la vettura che l'attendeva. La nemesi perseguitava Guido. Mezz'ora dopo ch'egli m'aveva lasciato, io pensai che sarebbe stato prudente da parte mia di recarmi a casa sua ad assisterlo. Non che io avessi sospettato che su lui potesse incombere un pericolo, 339 ma oramai io ero tutto dalla parte sua e avrei potuto contri- buire a convincere Ada e la Malfenti ad aiutarlo. Il fallimen- to in Borsa non era una cosa che mi piaceva ed in complesso la perdita ripartita fra noi quattro non era insignificante, ma non rappresentava per nessuno di noi la rovina. Poi ricordai che il mio maggiore dovere era oramai non di assistere Guido, ma di fargli trovare pronto il giorno appres- so l'importo che gli avevo promesso. Andai subito in cerca dell'Olivi e mi preparai ad una nuova lotta. Avevo escogita- to un sistema di rifondere alla mia firma il grosso importo in varii anni, versando pero2 di 1i2 ad alcuni mesi tutto quello che ancora restava dell'eredita2 di mia madre. Speravo che l'Olivi non avrebbe fatte delle difficolta2, perche1 io fino ad allora non gli avevo mai domandato piu2 di quanto mi fosse spettato per utili ed interessi e potevo anche promettere di non inquietarlo mai piu2 con simili domande. Era evidente che pur potevo sperare di ricuperare da Guido almeno parte di quell'importo. Quella sera non seppi trovare l'Olivi. Era appena uscito dall'ufficio quand'io vi entrai. Supponevano si fosse recato alla Borsa. Non lo trovai neppure cola2 e allora mi recai a casa sua ove appresi che si trovava ad una seduta di un'associazio- ne economica nella quale occupava un posto onorifico. Avrei potuto raggiungerlo cola2, ma oramai s'era fatto notte, e cadeva ininterrotta una pioggia abbondante che convertiva le vie in tanti ruscelli. Fu un diluvio che duro2 per tutta la notte e di cui per lunghi anni non si perdette il ricordo. La pioggia cadeva tranquilla, tranquilla, addirittura perpendicolarmente, sempre nella stessa abbondanza. Dalle alture che circondano la citta2 scese il fango che, associato alle scorie della nostra vita cittadina, ando2 ad ostruire i nostri scarsi canali. Quando mi decisi a rincasare dopo aver atteso inutilmente in un rifugio che la pioggia cessasse e quand'ebbi chiara la visione che il tempo s'era assestato nella pioggia e ch'era vano sperare un muta- mento, si camminava nell'acqua anche movendosi sulla par- te piu2 alta del selciato. Corsi a casa bestemmiando e fradicio fino alle ossa. Bestemmiavo anche perche1 avevo perduto tanto buon tempo per rintracciare l'Olivi. Puo2 essere che il mio tempo non sia poi tanto prezioso, ma d sicuro ch'io soffro orrendamente quando posso constatare di aver lavo- 340 rato invano. E correndo pensavo: "Lasciamo tutto per do- mani quando sara2 chiaro e bello e asciutto. Domani andro2 dall'Olivi e domani mi rechero2 da Guido. Magari mi levero2 di buon'ora, ma sara2 chiaro e asciutto". Ero tanto convinto della giustezza della mia decisione che dissi ad Augusta che da tutti si era stabilito di rimandare ogni decisione alla dimane. Mi cambiai, mi rasciugai e con le comode e calde pantofole sui piedi torturati, dapprima cenai eppoi mi cori- cai per dormire profondamente fino alla mattina mentre ai vetri delle mie finestre batteva la pioggia grossa come funi. Cosi2 seppi solo tardi gli avvenimenti della notte. Dappri- ma apprendemmo che la pioggia aveva finito col provocare in varie parti della citta2 delle inondazioni, poi che Guido era morto. Molto piu2 tardi seppi come pote1 accadere una cosa simile. Alle undici di sera circa, quando la signora Malfenti si fu allontanata, Guido avverti2 la moglie ch'egli aveva ingoiato una quantita2 enorme di veronal. Volle convincere la moglie che era condannato. L'abbraccio2, la bacio2, le domando2 per- dono di averla fatta soffrire. Poi, ancora prima che la sua parola si convertisse in un balbettio, l'assicuro2 ch'essa era stata il solo amore della sua vita. Essa non credette per allora ne1 a quest'assicurazione ne1 ch'egli avesse ingoiato tanto veleno da poter morire. Non credette neppure ch'egli avesse perduti i sensi, ma si figuro2 che fingesse per strapparle di nuovo dei denari. Poi, trascorsa quasi un'ora, vedendo ch'egli dormiva sem- pre piu2 profondamente, ebbe un certo terrore e scrisse un biglietto ad un medico che abitava non lontano dalla sua abitazione. Su quel biglietto scrisse che suo marito abbiso- gnava di pronto aiuto avendo ingoiato una grande quantita2 di veronal. Fino ad allora non c'era stata in quella casa alcun'emozio- ne che avesse potuto avvisare la fantesca, una vecchia donna ch'era in casa da poco tempo, della gravita2 della sua mis- sione. La pioggia fece il resto. La fantesca si trovo2 con l'acqua a mezza gamba e smarri2 il biglietto. Se ne accorse solo quando si trovo2 alla presenza del dottore. Seppe pero2 dirgli che c'era urgenza e lo indusse a seguirla. Il dottor Mali era un uomo di circa cinquant'anni, tutt'al- 341 tro che una genialita2, ma un medico pratico che aveva fatto sempre il suo dovere come meglio aveva potuto. Non aveva una grande clientela propria, ma invece aveva molto da fare per conto di una societa2 dai numerosissimi membri, che lo retribuiva poco lautamente. Era rincasato poco prima ed era arrivato finalmente a riscaldarsi e rasciugarsi accanto al fuoco. Si puo2 immaginare con quale anirno abbandonasse ora il suo caldo cantuccio. Quando io mi misi ad indagare meglio le cause della morte del mio povero amico, mi preoc- cupai anche di fare la conoscenza del dottor Mali. Da lui non seppi altro che questo: quando giunse all'aperto e si senti2 bagnare dalla pioggia traverso l'ombrello, si penti2 d'aver studiato medicina invece di agricoltura, ricordando che il contadino, quando piove, resta a casa. Giunto al letto di Guido, trovo2 Ada del tutto calmata. Ora che aveva accanto il dottore, ricordava meglio come Guido l'avesse giocata mesi prima simulando un suicidio. Non toc- cava piu2 a lei di assumersi una responsabilita2, ma al dottore il quale doveva essere informato di tutto, anche delle ragioni che dovevano far credere in una simulazione di suicidio. E queste ragioni il dottore le ebbe tutte come prestava nello stesso tempo l'orecchio alle onde che spazzavano la via. Non essendo stato avvisato che lo si aveva chiarnato per curare un caso di avvelenamento, egli mancava di ogni ordigno neces- sario alla cura. Lo deploro2 balbettando qualche parola che Ada non intese. Il peggio era che, per poter imprendere un lavacro dello stomaco, egli non avrebbe potuto mandar a prendere le cose necessarie, ma avrebbe dovuto andar a prenderle lui stesso traversando per due volte la via. Tocco2 il polso di Guido e lo trovo2 magnifico. Domando2 ad Ada se forse Guido avesse sempre avuto un sonno molto profondo. Ada rispose di si2, ma non a quel punto. Il dottore esamino2 gli occhi di Guido: reagivano prontamente alla luce! Se ne ando2 raccomandando di dargli di tempo in tempo dei cucchiaini di caffe2 nero fortissimo. Seppi anche che, giunto sulla via, mormoro2 con rabbia: <> Io, quando lo conobbi, non osai di fargli un rimprovero per la sua negligenza, ma egli l'indovino2 e si difese: mi disse che rimase stupito all'apprendere alla mattina che Guido era 342 morto, tanto che sospetto2 fosse rinvenuto e avesse preso dell'altro veronal. Poi soggiunse che i profani d'arte medica non potevano immaginare come nel corso della sua pratica il dottore venisse abituato a difendere la sua vita contro i clienti che vi attentavano non pensando che alla loro. Dopo poco piu2 di un'ora, Ada si stanco2 di cacciare a Guido il cucchiaino fra' denti e vedendo ch'egli ne sorbiva sempre meno e che il resto andava a bagnare il guanciale, si spavento2 di nuovo e prego2 la fantesca di recarsi dal dottor Paoli. Questa volta la fantesca tenne da conto il bigliettino. Ma ci mise piu2 di un'ora per raggiungere l'abitazione del medico. E naturale che quando piove tanto si senta il biso- gno di tempo in tempo di fermarsi sotto qualche portico. Una pioggia simile non solo bagna, ma sferza. Il dottor Paoli non era in casa. Era stato chiamato poco prima da un cliente e se ne era andato dicendo che sperava di ritornare presto. Ma poi pare avesse preferito di attendere presso il cliente che la pioggia cessasse. La sua donna di servizio, una buonissima persona in eta2, fece sedere la fante- sca di Ada accanto al fuoco e si preoccupo2 di rifocillarla. Il dottore non aveva lasciato l'indirizzo del suo cliente e cosi2 le due donne passarono insieme varie ore accanto al fuoco. Il dottore ritorno2, solo quando la pioggia fu cessata. Quando poi arrivo2 da Ada con tutti gli ordigni che gia2 aveva esperiti su Guido, albeggiava. A quel letto ebbe un solo compito: celare ad Ada che Guido era gia2 morto e far venire la signora Malfenti prima che Ada se ne accorgesse, per assisterla nel primo dolore. Per questo la notizia ci pervenne molto tardi e imprecisa. Levatomi dal letto ebbi per l'ultima volta uno slancio d'ira contro il povero Guido: complicava ogni sventura con le sue commedie! Uscii di casa senza Augusta che non poteva abbandonare il bimbo cosi2 su due piedi. Fuori, fui trattenuto da un dubbio! Non avrei potuto attendere che le Banche si aprissero e l'Olivi fosse nel suo ufficio per comparire dinanzi a Guido fornito del denaro che avevo promesso? Tanto poco credevo alla notizia della gravita2 degravita2 delle condizioni di Guido che pur m'era stata annunziata! La veri a2 la ebbi dal dottor Paoli in cui m'imbattei sulle scale. Ne ebbi uno sconvolgimento che quasi mi fece precipi- tare. Guido, dacche1 vivevo con lui, era divenuto per me un 343 personaggio di grande importanza. Finche1 era vivo lo vede- vo in una data luce ch'era la luce di parte delle mie giornate. Morendo, quella luce si modificava in modo come se im- provvisamente fosse passata attraverso un prisma. Era pro- prio questo che m'abbacinava. Egli aveva sbagliato, ma io subito vidi ch'essendo morto, dei suoi errori non restava niente. Secondo me era un imbecille quel buffone che in un cimitero coperto di epigrafi laudatorie domando2 dove si seppellissero in quel paese i peccatori. I morti non sono mai stati peccatori. Guido era ormai un puro! La morte l'aveva purificato. Il dottore era commosso per aver assistito al dolore di Ada. Mi disse qualche cosa dell'orrenda notte ch'essa aveva passata. Oramai si era riusciti a farle credere che la quantita2 di veleno ingerita da Guido era stata tale che nessun soccor- so avrebbe potuto giovare. Guai se avesse saputo altrimenti! <> aggiunse il dottore con sconforto <> Le esaminai. Una dose forte, ma poco piu2 forte dell'altra volta. Mi fece vedere alcune boccette sulle quali lessi stam- pato: Veronal. Dunque non veronal al sodio. Come nessun altro io potevo2ora essere certo che Guido non aveva voluto morire. Non lo dissi pero2 mai a nessuno. Il Paoli mi lascio2 dopo di avermi detto che per il momento non cercassi di vedere Ada. Egli le aveva propinati dei forti calmanti e non dubitava che presto avrebbero avuto il loro effetto. Sul corridoio sentii venire da quella stanzuccia, ove ero stato ricevuto due volte da Ada, il suo pianto mite. Erano parole singole che non intendevo, ma pregne di affanno. La parola <1lui>1 era ripetuta piu2 volte ed io immaginai quello ch'essa diceva. Stava ricostruendo la sua relazione col pove- ro morto. Non doveva somigliare affatto a quella ch'essa aveva avuta col vivo. Per me era evidente ch'essa col marito vivo aveva sbagliato. Egli moriva per un delitto commesso da tutti assieme perche2 egli aveva giocato alla Borsa col consenso di tutti loro. Quando s'era trattato di pagare allora l'avevano lasciato solo. E lui s'era affrettato di pagare. Uni- co dei congiunti io, che veramente non ci entravo, avevo sentito il dovere di soccorrerlo. 344 Nella stanza da letto matrimoniale il povero Guido giace- va abbandonato, coperto dal lenzuolo. La rigidezza gia2 avanzata, esprimeva qui non una forza ma la grande stupefa- zione di essere morto senz'averlo voluto. Sulla sua faccia bruna e bella era imronto un rimprovero. Certamente non diretto a me. Andai da Augusta a sollecitarla di venire ad assistere la sorella. Io ero molto commosso ed Augusta pianse abbrac- ciandomi: <> mormoro2. <> Mi preoccupai di rendere ogni onore al mio povero amico. Inatanto affissi alla porta dell'ufficio un bollettino che ne annuciava la chiusura per la morte del proprietario. Com- posi io stesso l'avviso mortuario. Ma soltanto il giorno se- guente, d'accordo con Ada, furono prese le disposizione per il funerale. Seppi allora che Ada aveva deciso di seguire il feretro al cimitero. Voleva concedergli tutte le prove d'affet- to che poteva. Poverina! Io sapevo quale dolore fosse quello del rimorso su una tomba. Ne avevo tanto sofferto anch'io alla morte di mio padre. Passai il pomeriggio chiuso nell'ufficio in compagnia del Nilini. Si arrivo2 cosi2 a fare un piccolo bilancio della situazio- ne di Guido. Spaventevole! Non solo era distrutto il capitale della ditta, ma Guido restava debitore di altrettanto, se avesse dovuto rispondere di tutto. Io avrei avuto bisogno di lavorare, proprio lavorare a vantaggio del mio povero defunto amico, ma non sapevo far altro che sognare. La prima mia idea sarebbe stata di sacrifi- care tutta la mai vita in quell'ufficio e di lavorare a vantaggio di Ada e dei suoi figlioli. M a ero poi sicuro di saper far bene? Il Nilini, come al solito, chiacchierava mentre io guardavo tanto, tanto lontano. Anche lui sentiva il bisogno di mutare radicalmente le sue relazioni con Guido. Ora comprendava tutto! Il povero Guido, quando gli aveva fatto il torto, era stato gia2 colto dalla malattia che doveva condurlo al suicidio. Percio2 fatto cosi2. Non poteva serbare rancore a nessuno. Egli aveva sempre voluto bene a Guido e gliene voleva tuttavia. 345 Fini2 che i sogni del Nilini s'associarono ai miei e vi si sovrapposero. Non era nel lento commercio che si avrebbe potuto trovare il riparo ad una catastrofe simile, ma alla Borsa stessa. E il Nilini mi racconto2 di persona a lui amica che all'ultimo momento aveva saputo salvarsi raddoppiando la posta. Parlammo insieme per molte ore, ma la proposta del Nilini di proseguire nel gioco iniziato da Guido, arrivo2 in ultimo, poco prima del mezzodi2 e fu subito accettata da me. L'accettai con una gioia tale come se cosi2 fossi riuscito di far rivivere il mio amico. Fini2 che io comperai a nome del povero Guido una quantita2 di altre azioni dal nome bizzarro: <1Rio Tinto, South French>1 e cosi2 via. Cosi2 s'iniziarono per me le cinquanta ore del massimo lavoro cui abbia atteso in tutta la mia vita. Dapprima e fino a sera restai a misurare a grandi passi su e giu2 l'ufficio in attesa di sentire se i miei ordini fossero stati eseguiti. Io temevo che alla Borsa si fosse risaputo del suicidio di Guido e che il suo nome non venisse piu2 ritenuto buono per impegni ulteriori. Invece per varii giorni non si attribui2 quella morte a suicidio. Poi, quando il Nilini finalmente pote1 avvisarmi che tutti i miei ordini erano stati eseguiti, incomincio2 per me una vera agitazione, aumentata dal fatto che al momento di ricevere gli stabiliti, fui informato che su tutti io perdevo gia2 qualche frazione abbastanza importante. Ricordo quell'agitazione come un vero e proprio lavoro. Ho la curiosa sensazione nel mio ricordo che ininterrottamente, per cinquanta ore, io fossi rimasto assiso al tavolo da gioco succhiellando le carte. Io non conosco nessuno che per tante ore abbia saputo resistere ad una fatica simile. Ogni movimento di prezzo fu da me registrato, sorvegliato, eppoi (perche1 non dirlo?) ora spinto innanzi ed ora trattenuto, come a me, ossia al mio povero amico, conveniva. Persino le mie notti furono insonni. Temendo che qualcuno della famiglia avesse potuto inter- venire ad impedirmi di compiere l'opera di salvataggio cui m'ero accinto, non parlai a nessuno della liquidazione di meta2 del mese quando giunse. Pagai tutto io, perche1 nessun altro si ricordo2 di quegli impegni, visto che tutti erano intor- no al cadavere che attendeva la tumulazione. Del resto, in quella liquidazione era da pagare meno di quanto fosse stato 346 stabilito a suo tempo, perche1 la fortuna m'aveva subito assecondato. Era tale il mio dolore per la morte di Guido, che mi pareva di attenuarlo compromettendomi in tutti i modi tanto con la mia firma che con l'esposizione del mio denaro. Fin qui m'accompagnava il sogno di bonta2 che ave- vo fatto lungo tempo prima accanto a lui. Soffersi tanto di quell'agitazione, che non giuocai mai piu2 in Borsa per conto mio. Ma a forza di "succhiellare" (questa era la mia occupazio- ne precipua) finii col non intervenire al funerale di Guido. La cosa avvenne cosi2. Proprio quel giorno i valori in cui eravamo impegnati fecero un balzo in alto. Il Nilini ed io passammo il nostro tempo a fare il calcolo di quanto avessi- mo ricuperato della perdita. Il patrimonio del vecchio Speier figurava ora solamente dimezzato! Un magnifico risultato che mi riempiva di orgoglio. Avveniva proprio quello che il Nilini aveva preveduto in tono molto dubitativo bensi2 ma che ora, naturalmente, quando ripeteva le parole dette, spariva ed egli si presentava quale un sicuro profeta. Secon- do me egli aveva previsto questo e anche il contrario. Non avrebbe fallato mai, ma non glielo dissi perche1 a me conveni- va ch'egli restasse nell'affare con la sua ambizione. Anche il suo desiderio poteva influire sui prezzi. Partimmo dall'ufficio alle tre e corremmo perche1 allora ricordammo che il funerale doveva aver luogo alle due e tre quarti. All'altezza dei volti di Chiozza, vidi in lontananza il con- voglio e mi parve persino di riconoscere la carrozza di un amico mandata al funerale per Ada. Saltai col Nilini in una vettura di piazza, dando ordine al cocchiere di seguire il funerale. E in quella vettura il Nilini ed io continuammo a succhiellare. Eravarno tanto lontani dal pensiero al povero defunto che ci lagnavamo dell'andatura lenta della vettura. Chissa2 quello che intanto avveniva alla Borsa non sorveglia- ta da noi? Il Nilini, a un dato momento, mi guardo2 proprio con gli occhi e mi domando2 perche1 non facessi alla Borsa qualche cosa per conto mio. <> dissi io, e non so perche1 arrossissi, <> Quindi, dopo una lieve esitazione, aggiunsi: <> Volevo lasciargli la speranza di 347 poter indurmi al giuoco sempre nello sforzo di conservame- lo interamente amico. Ma fra me e me formulai proprio le parole che non osavo dirgli: "Non mi mettero2 mai in mano tua!". Egli si mise a predicare. <> Di- menticava d'avermi insegnato che alla Borsa v'era l'occasio- ne ad ogni ora. Quando si arrivo2 al posto dove di solito le vetture si fermano, il Nilini sporse la testa dalla finestra e diede un grido di sorpresa. La vettura continuava a procedere dietro il funerale che s'avviava al cimitero greco. <> domando2 sorpreso. Infatti il funerale passava oltre il cimitero cattolico e s'av- viava a qualche altro cimitero, giudaico, greco, protestante o serbo. <> dissi io dapprima, ma subito mi ricordai d'aver assistito al suo matrimonio nella chiesa cattolica. <> esclamai pensando dapprima che volessero seppellirlo fuori posto. Il Nilini improvvisamente scoppio2 a ridere di un riso irre- frenabile che lo getto2 privo di forze in fondo alla vettura con la sua boccaccia spalancata nella piccola faccia. <> esclamo2. Quando arrivo2 a frenare lo scoppio della sua ilarita2, mi colmo2 di rimproveri. Io avrei dovuto vedere dove si andava perche1 io avrei dovuto sapere l'ora e le persone ecc. Era il funerale di un altro! Irritato, io non avevo riso con lui ed ora m'era difficile di sopportare i suoi rimproveri. Perche1 non aveva guardato meglio anche lui? Frenai il mio malumore solo perche1 mi premeva piu2 la Borsa, che il funerale. Scendemmo dalla vettura per orizzontarci meglio e ci avviammo verso l'entra- ta del cimitero cattolico. La vettura ci segui2. M'accorsi che i superstiti dell'altro defunto ci guardavano sorpresi non sa- pendo spiegarsi perche1 dopo aver onorato fino a quell'estre- mo limite quel poverino lo abbandonassimo sul piu2 bello. Il Nilini spazientito mi precedeva. Domando2 al portiere dopo una breve esitazione: <> Il portiere non sembro2 sorpreso della domanda che a me parve comica. Rispose che non lo sapeva. Sapeva solo dire 348 che nel recinto erano entrati nell'ultima mezz'ora due fune- rali. Perplessi ci consultammo. Evidentemente non si poteva sapere se il funerale si trovasse gia2 dentro o fuori. Allora decisi per mio conto. A me non era permesso d'intervenire alla funzione forse gia2 cominciata e turbarla. Dunque non sarei entrato in cimitero. Ma d'altronde non potevo rischiare d'imbattermi nel funerale, ritornando. Rinunziavo percio2 ad assistere all'interramento e sarei ritornato in citta2 facen- do un lungo giro oltre Servola. Lasciai la vettura al Nilini che non voleva rinunziare di far atto di presenza per riguardo ad Ada ch'egli conosceva. Con passo rapido, per sfuggire a qualunque incontro, salii la strada di campagna che conduceva al villaggio. Oramai non mi dispiaceva affatto di essermi sbagliato di funerale e di non aver reso gli ultimi onori al povero Guido. Non potevo indugiarmi in quelle pratiche religiose. Altro dovere m'in- combeva: dovevo salvare l'onore del mio amico e difender- ne il patrimonio a vantaggio della vedova e dei figli. Quando avrei informata Ada ch'ero riuscito di ricuperare tre quarti della perdita (e riandavo con la mente su tutto il conto fatto tante volte: Guido aveva perduto il doppio del patrimonio del padre e, dopo il mio intervento, la perdita si riduceva a meta2 di quel patrimonio. Era percio2 esatto. Io avevo ricupe- rato tre quarti della perdita), essa certamente m'avrebbe perdonato di non essere intervenuto al suo funerale. Quel giorno il tempo s'era rimesso al bello. Brillava un magnifico sole primaverile , e, sulla campagna ancora bagna- ta, l'aria era nitida e sana. I miei polmoni, nel movimento che non m'ero concesso da varii giorni, si dilatavano. Ero tutto salute e forza. La salute non risalta che da un paragone. Mi paragonavo al povero Guido e salivo, salivo in alto con la mia vittoria nella stessa lotta nella quale egli era soggiaciuto. Tutto era salute e forza intorno a me. Anche la campagna dall'erba giovine. L'estesa e abbondante bagnatura, la cata- strofe dell'altro giorno, dava ora solo benefici effetti ed il sole luminoso era il tepore desiderato dalla terra ancora ghiacciata. Era certo che quanto piu2 ci si sarebbe allontanati dalla catastrofe, tanto piu2 discaro sarebbe stato quel cielo azzurro se non avesse saputo oscurarsi a tempo. Ma questa era la previsione dell'esperienza ed io non la ricordai; m'af- 349 ferra solo ora che scrivo. In quel momento c'era nel mio animo solo un inno alla salute mia e di tutta la natura; salute perenne. Il mio passo si fece piu2 rapido. Mi beavo di sentirlo tanto leggero. Scendendo dalla collina di Servola s'affretto2 fin quasi alla corsa. Giunto al passeggio di Sant'Andrea, sul piano, si rallento2 di nuovo, ma avevo sempre il senso di una grande facilita2. L'aria mi portava. Avevo perfettamente dimenticato che venivo dal funerale del mio piu2 intimo amico. Avevo il passo e il respiro del vittorioso. Pero2 la mia gioia per la vittoria era un omaggio al mio povero amico nel cui interesse ero sceso in lizza. Andai all'ufficio a vedere i corsi di chiusa. Erano un po' piu2 deboli, ma non fu questo che mi tolse la fiducia. Sarei tornato a "succhiellare" e non dubitavo che sarei arrivato allo scopo. Dovetti finalmente recarmi alla casa di Ada. Venne ad aprirmi Augusta. Mi domando2 subito: <> Deposi l'ombrello e il cappello, e un po' perplesso le dissi che avrei voluto parlare subito anche con Ada per non dover ripetermi. Intanto potevo assicurarla che avevo avute le mie buone ragioni per mancare al funerale. Non ne ero piu2 tanto sicuro e improvvisamente il mio fianco s'era fatto dolente forse per la stanchezza. Doveva essere quell'osservazione di Augusta che mi faceva dubitare della possibilita2 di far scusa- re la mia assenza che doveva aver causato uno scandalo; vedevo dinanzi a me tutti i partecipi alla mesta funzione che si distraevano dal loro dolore per domandarsi dove io potessi essere. Ada non venne. Poi seppi che non era stata neppure avvisata ch'io l'attendessi. Fui ricevuto dalla signora Mal- fenti che incomincio2 a parlarmi con un cipiglio severo quale non le avevo mai visto. Cominciai a scusarmi, ma ero ben lontano dalla sicurezza con cui ero volato dal cimitero in citta2. Balbettavo. Le raccontai anche qualche cosa di meno vero in appendice della verita2, ch'era la mia coraggiosa iniziativa alla Borsa a favore di Guido, e cioe2 che poco prima dell'ora del funerale avevo dovuto spedire un dispaccio a Parigi per dare un ordine e che non m'ero sentito di allonta- 350 narmi dall'ufficio prima di aver ricevuta la risposta. Era vero che il Nilini ed io avevamo dovuto telegrafare a Parigi, ma due giorni prima, e due giorni prima avevamo ricevuta an- che la risposta. Insomma comprendevo che la verita2 non bastava a scusarmi fors'anche perche1 non potevo dirla tutta e raccontare dell'operazione tanto importante cui io da gior- ni attendevo cioe2 a regolare col mio desiderio i cambii mon- diali. Ma la signora Malfenti mi scuso2 quando senti2 la cifra cui ora ammontava la perdita di Guido. Mi ringrazio2 con le lacrime agli occhi. Ero di nuovo non l'unico uomo di fami- glia, ma il migliore. Mi domando2 di venire di sera con Augusta a salutare Ada cui essa nel frattempo avrebbe raccontato tutto. Per il mo- mento Ada non era al caso di ricevere nessuno. Ed io, volentieri, me ne andai con mia moglie. Neppure essa, pri- ma di lasciare la casa, senti2 il bisogno di congedarsi da Ada, che passava da pianti disperati ad abbattimenti che le impe- divano persino di accorgersi della presenza di chi le parlava. Ebbi una speranza: <> Augusta mi confesso2 che avrebbe voluto tacerne, tanto le era sembrata eccessiva la manifestazione di risentimento di Ada per tale mia mancanza. Ada esigette delle spiegazioni da lei e quando Augusta dovette dirle di non saperne nulla non avendomi ancora visto, essa s'abbandono2 di nuovo alla sua disperazione urlando che Guido aveva dovuto finire cosi2 essendo stato odiato da tutta la famiglia. A me parve che Augusta avrebbe dovuto difendermi e ricordare ad Ada come io solo ero stato pronto di soccorrere Guido nel modo che si doveva. Se fosse stato ascoltato, Guido non avrebbe avuto alcun motivo di tentare o simulare un suicidio. Augusta invece aveva taciuto. Era tanto commossa dalla disperazione di Ada che avrebbe temuto di oltraggiarla met- tendosi a discutere. Del resto essa era fiduciosa che ora le spiegazioni della signora Malfenti avrebbero convinto Ada dell'ingiustizia ch'essa mi usava. Devo dire che avevo an- ch'io tale fiducia ed anzi confessare che da quel momento gustai la certezza di assistere alla sorpresa di Ada e alle sue manifestazioni di gratitudine. Gia2 da lei, causa Basedow, tutto era eccessivo. 351 Ritornai all'ufficio ove appresi che c'era alla Borsa di nuovo un lieve accenno all'ascesa, lievissimo, ma gia2 tale che si poteva sperare di ritrovare il giorno dopo, all'apertura, i corsi della mattina. Dopo cena dovetti andar da Ada solo perche1 Augusta fu impedita di accompagnarmi per una indisposizione della bambina. Fui ricevuto dalla signora Malfenti che mi disse che doveva attendere a qualche lavoro in cucina e che percio2 avrebbe dovuto lasciarmi solo con Ada. Poi mi confesso2 che Ada l'aveva pregata di lasciarla sola con me perche1 voleva dirmi qualche cosa che non doveva esser sentito da altri. Prima di lasciarmi in quel salottino ove gia2 due volte m'ero trovato con Ada, la signora Malfenti mi disse sorridendo: <> In quel camerino mi batteva sempre il cuore. Questa volta non per il timore di vedermi amato da chi non amavo. Da pochi istanti e solo per le parole della signora Malfenti, avevo ri2conosciuto di aver commessa una grave mancanza verso la memoria del povero Guido. La stessa Ada, ora che sapeva che a scusare tale mancanza le offrivo un patrimonio, non sapeva perdonarmi subito. M'ero seduto e guardavo i ritratti dei genitori di Guido. Il vecchio <1Cada>1 aveva un'aria di soddisfazione che mi pareva dovuta al mio operato, men- tre la madre di Guido, una donna magra vestita di un vestito dalle maniche abbondanti e un cappellino che le stava in equilibrio su una montagna di capelli, aveva l'ari2a molto severa. Ma gia2! Ognuno dinanzi alla macchina fotografica assume un altro aspetto ed io guardai altrove sdegnato con me stesso d'indagare quelle faccie. La madre non poteva certo aver previsto ch'io non avrei assistito all'interramento del figlio! Ma il modo come Ada mi parlo2 fu una dolorosa sorpresa. Essa doveva aver studiato a lungo quello ch'essa voleva dirmi e non tenne addirittura conto delle mie spiegazioni, delle mie proteste e delle mie rettifiche ch'essa non poteva aver previste e cui percio2 non era preparata. Corse la sua via come un cavallo spaventato, fino in fondo. Entro2 vestita semplicemente di una vestaglia nera, la capi- gliatura nel grande disordine di capelli sconvolti e fors'anche strappati da una mano che s'accanisce a trovar da far qualche 352 cosa, quando non puo2 altrimenti lenire. Giunse fino al tavo- lino a cui ero seduto e vi si appoggio2 con le mani per vedermi meglio. La sua faccina era di nuovo dimagrata e liberata da quella strana salute che le cresceva fuori posto. Non era bella come quando Guido l'aveva conquistata, ma nessuno guardandola avrebbe ricordata la malattia. Non c'era! C'era invece un dolore tanto grande che la rilevava tutta. Io lo compresi tanto bene quell'enorme dolore, che non seppi parlare. Finche1 la guardai pensai: "quali parole potrei dirle che potrebbero equivalere a prenderla fraternamente fra le mie braccia per confortarla e indurla a piangere e sfogarsi?". Poi, quando mi sentii aggredito, volli reagire, ma troppo debolmente ed essa non mi senti2. Essa disse, disse, disse ed io non so ripetere tutte le sue parole. Se non sbaglio comincio2 col ringraziarmi seriamen- te, ma senza calore di aver fatto tanto per lei e per i bambini. Poi subito rimprovero2: <> Poi abbasso2 la voce come se avesse voluto tener segreto quello che mi diceva e nella sua voce vi fu maggior calore, un calore che risultava dal suo affetto per Guido e (o mi parve?) anche per me: <> Era enorme che mi si potesse dire una cosa simile alteran- do in tale modo la verita2. Io protestai, ma essa non mi senti2. Credo di aver urlato o almeno ne sentii lo sforzo nella strozza: <> Essa continuo2 sempre a bassa voce: <> Fu allora che io poggiai la mia testa sul braccio e nascosi la mia faccia. Le accuse ch'essa mi rivolgeva erano tanto ingiu- ste che non si potevano discutere ed anche la loro irragione- volezza era tanto mitigata dal suo tono affettuoso che la reazione non poteva essere aspra come avrebbe dovuto per riuscire vittoriosa. D'altronde gia2 Augusta m'aveva dato l'esempio di un silenzio riguardoso per non oltraggiare ed esasperare tanto dolore. Quando pero2 i miei occhi si schiuse- ro, nell'oscurita2 vidi che le sue parole avevano creato un mondo nuovo come tutte le parole non vere. Mi parve d'intendere anch'io di aver sempre odiato Guido e di essergli stato accanto, assiduo, in attesa di poter colpirlo. Essa poi aveva messo Guido insieme al suo violino. Se non avessi saputo ch'essa brancolava nel suo dolore e nel suo rimorso, avrei potuto credere che quel violino fosse stato sfoderato come parte di Guido per convincere dell'accusa di odio l'animo mio. Poi nell'oscurita2 rividi il cadavere di Guido e nella sua faccia sempre stampato lo stupore di essere 1a2, privato della vita. Spaventato rizzai la testa. Era preferibile affrontare l'accusa di Ada che io sapevo ingiusta che guardare nell'o- scurita2. Ma essa parlava sempre di me e di Guido: <> <> domandai io piangendo a calde lacrime per far sentire a lei e a me stesso la mia innocenza. Le lacrime sostituiscono talvolta un grido. Io non volevo gridare ed ero persino dubbioso se dovessi parla- re. Ma dovevo soverchiare le sue asserzioni e piansi. <> Le lacrime m'impedivano di parlare, ma borbottai qual- che cosa che doveva stabilire il fatto che la notte innanzi egli l'aveva passata a divertirsi in palude a caccia, per cui nessu- no a questo mondo avrebbe potuto prevedere quale uso egli avrebbe fatto della notte seguente. <> mi rampogno2 essa ad alta voce. Eppoi, come se lo sforzo di quel grido fosse stato soverchio, essa tutt'ad un tratto crollo2 e s'abbatte1 priva di sensi sul pavimento. Mi ricordo che per un istante esitai di chiamare la signora Malfenti. Mi pareva che quello svenimento rivelasse qual- che cosa di quanto aveva detto. Accorsero la signora Malfenti e Alberta. La signora Mal- fenti sostenendo Ada mi domando2: <> Poi: <>. Mi prego2 di allontanarmi per un istante ed io andai sul corridoio ove attesi per sapere se dovevo rientrare o an- darmene. Mi preparavo ad ulteriori spiegazioni con Ada. Essa dimenticava che se si fosse proceduto come io l'ave- vo proposto, la disgrazia sicuramente sarebbe stata evita- ta. Bastava dirle questo per convincerla del torto che essa mi faceva. Poco dopo, la signora Malfenti mi raggiunse e mi disse che Ada era rinvenuta e che voleva salutarmi. Riposava sul divano su cui fino a poco prima ero stato seduto io. Veden- domi, si mise a piangere e furono le prime lacrime ch'io le vidi spargere. Mi porse la manina madida di sudore: <> Intervenne la signora Malfenti a domandare quello che avessi da ricordare ed io le dissi che Ada desiderava che subito fosse liquidata tutta la posizione di Guido alla Borsa. Arrossii della mia bugia e temetti anche una smentita da parte di Ada. Invece di smentirmi essa si mise ad urlare: 355 <> Era di nuovo piu2 pallida e la signora Malfenti, per quietar- la, l'assicuro2 che subito sarebbe stato fatto com'essa deside- rava. Poi la signora Malfenti rn'accompagno2 alla porta e mi prego2 di non precipitare le cose: facessi il meglio che credessi nell'interesse di Guido. Ma io risposi che non mi fidavo piu2 . Il rischio era enorme e non potevo piu2 osare di trattare a quel modo gli interessi altrui. Non credevo piu2 nel giuoco di Borsa o almeno mi mancava la fiducia che il mio "succhiella- re" potesse regolarne l'andamento. Dovevo liquidare percio2 subito, ben contento che fosse andata cosi2. Non ripetei ad Augusta le parole di Ada. Perche1 avrei dovuto affliggerla? Ma quelle parole, anche perche1 non le riferii ad alcuno, restarono a martellarrni l'orecchio, e rn'ac- compagnarono per lunghi anni. Risuonano tuttavia nell'ani- ma mia. Tante volte ancora oggidi2 le analizzo. Io non posso dire di aver amato Guido, ma cio2 solo perche1 era stato uno strano uomo. Ma gli stetti accanto fraternamente e lo assi- stetti come seppi. Il rimprovero di Ada, non lo merito. Con lei non mi trovai mai piu2 da solo. Essa non senti2 il bisogno di dirmi altro ne1 io osai esigere una spiegazione, forse per non rinnovarle il dolore. In Borsa la cosa fini2 come avevo previsto e il padre di Guido, dopo che col primo dispaccio gli era stata avvisata la perdita di tutta la sua sostanza, ebbe certamente piacere a ritrovarne la meta2 intatta. Opera mia di cui non seppi godere come m'ero atteso. Ada mi tratto2 affettuosamente tutto il tempo fino alla sua partenza per Buenos Aires ove coi suoi bambini ando2 a raggiungere la famiglia del marito. Amava di ritrovarsi con me ed Augusta. Io talvolta volli figurarmi che tutto quel suo discorso fosse stato dovuto ad uno scoppio di dolore addirit- tura pazzesco e ch'essa neppure lo ricordasse. Ma poi una volta che si riparlo2 in nostra presenza di Guido, essa ripete1 e confermo2 in due parole tutto quello che quel giorno essa m'aveva detto: <> Al momento d'imbarcarsi con in braccio uno dei suoi bambini lievemente indisposto, essa mi bacio2. Poi, in un 356 momento in cui nessuno ci stava accanto essa mi disse: <> La rimproverai di crucciarsi cosi2. Dichiarai ch'essa era stata una buona moglie e che io lo sapevo e avrei potuto testimoniarlo. Non so se riuscii a convincerla. Essa non parlo2 piu2, vinta dai singhiozzi. Poi, molto tempo dopo, sentii che congedandosi da me essa aveva voluto con quelle parole rinnovare anche i rimproveri fatti a me. Ma so ch'essa mi giudico2 a torto. Certo io non ho da rimproverarmi di non aver voluto bene a Guido. La giornata era torbida e fosca. Pareva che una sola nube distesa e niente minacciosa offuscasse il cielo. Dal porto tentava di uscire a forza di remi un grande bragozzo cui le vele pendevano inerti dagli alberi. Due soli uomini vogava- no e, con colpi innumeri, arrivavano appena a muovere il grosso bastimento. Al largo avrebbero trovata una brezza favorevole, forse. Ada, dalla tolda del piroscafo, salutava agitando il suo fazzoletto. Poi ci volse le spalle. Certo guardava verso San- t'Anna ove riposava Guido. La sua figurina elegante diveni- va piu2 perfetta quanto piu2 si allontanava. Io ebbi gli occhi offuscati dalle lacrime. Ecco ch'essa ci abbandonava e che mai piu2 avrei potuto provarle la mia innocenza. 357 8 Psico-analisi <13 Maggio 1915>1 L'ho finita con la psico-analisi. Dopo di averla praticata assiduamente per sei mesi interi sto peggio di prima. Non ho ancora congedato il dottore, ma la mia risoluzione e2 irrevo- cabile. Ieri intanto gli mandai a dire che ero impedito, e per qualche giorno lascio che m'aspetti. Se fossi ben sicuro di saper ridere di lui senz'adirarmi, sarei anche capace di rive- derlo. Ma ho paura che finirei col mettergli le mani addosso. In questa citta2, dopo lo scoppio della guerra, ci si annoia piu2 di prima e, per rimpiazzare la psico-analisi, io mi rimetto ai miei cari fogli. Da un anno non avevo scritto una parola, in questo come in tutto il resto obbediente alle prescrizioni del dottore il quale asseriva che durante la cura dovevo racco- gliermi solo accanto a lui, perche1 un raccoglimento da lui non sorvegliato avrebbe rafforzati i freni che impedivano la mia sincerita2, il mio abbandono. Ma ora mi trovo squilibrato e malato piu2 che mai e, scrivendo, credo che mi nettero2 piu2 facilmente del male che la cura m'ha fatto. Almeno sono sicuro che questo e2 il vero sistema per ridare importanza ad un passato che piu2 non duole e far andare via piu2 rapido il presente uggioso. Tanto fiduciosamente m'ero abbandonato al dottore che quando egli mi disse ch'ero guarito, gli credetti con fede intera e invece non credetti ai miei dolori che tuttavia m'as- salivano. Dicevo loro: <>. Ma adesso non v'e2 dubbio! Son proprio loro! Le ossa delle mie gambe si sono convertite in lische vibranti che ledono la carne e i muscoli. Ma di cio2 non m'importerebbe gran fatto e non e2 questa la ragione per cui lascio la cura. Se le ore di raccoglimento 358 presso il dottore, avessero continuato ad essere interessanti apportatrici di sorprese e di emozioni, non le avrei abbando- nate o, per abbandonarle, avrei atteso la fine della guerra che m'impedisce ogni altra attivita2. Ma ora che sapevo tutto, cioe2 che non si trattava d'altro che di una sciocca illusione, un trucco buono per commuovere qualche vecchia donna isterica, come potevo sopportare la compagnia di quell'uo- mo ridicolo, con quel suo occhio che vuole essere scrutatore e quella sua presunzione che gli permette di aggruppare tutti i fenomeni di questo mondo intorno alla sua grande teoria? Impieghero2 il tempo che mi resta libero scrivendo. Scrivero2 intanto sinceramente la storia della mia cura. Ogni sincerita2 fra me e il dottore era sparita ed ora respiro. Non m'e2 piu2 imposto alcuno sforzo. Non debbo costringermi ad una fede ne1 ho da simulare di averla. Proprio per celare meglio il mio vero pensiero, credevo di dover dimostrargli un ossequio supino e lui ne approfittava per inventarne ogni giorno di nuove. La mia cura doveva essere finita perche1 la mia malat- tia era stata scoperta. Non era altra che quella diagnosticata a suo tempo dal defunto Sofocle sul povero Edipo: avevo amata mia madre e avrei voluto ammazzare mio padre. Ne1 io m'arrabbiai! Incantato stetti a sentire. Era una malattia che mi elevava alla piu2 alta nobilta2. Cospicua quella malattia di cui gli antenati arrivavano all'epoca mitologica! E non m'arrabbio neppure adesso che sono qui solo con la penna in mano. Ne rido di cuore. La miglior prova ch'io non ho avuta quella malattia risulta dal fatto che non ne sono guarito. Questa prova convincerebbe anche il dottore. Se ne dia pace: le sue parole non poterono guastare il ricordo della mia giovinezza. Io chiudo gli occhi e vedo subito puro, infantile, ingenuo, il mio amore per mia madre, il mio rispet- to ed il grande mio affetto per mio padre. Il dottore presta una fede troppo grande anche a quelle mie benedette confessioni che non vuole restituirmi perche1 le riveda. Dio mio! Egli non studio2 che la medicina e percio2 ignora che cosa significhi scrivere in italiano per noi che parliamo e non sappiamo scrivere il dialetto. Con ogni no- stra parola toscana noi mentiamo! Se egli sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose per le quali abbia- mo pronta la frase e come evitiamo quelle che ci obblighe- rebbero di ricorrere al vocabolario! E proprio cosi2 che sce- 359 gliamo dalla nostra vita gli episodi da notarsi. Si capisce come la nostra vita avrebbe tutt'altro aspetto se fosse detta nel nostro dialetto. Il dottore mi confesso2 che, in tutta la sua lunga pratica, giammai gli era avvenuto di assistere ad un'emozione tanto forte come la mia all'imbattermi nelle immagini ch'egli cre- deva di aver saputo procurarmi. Percio2 anche fu tanto pron- to a dichiararmi guarito. Ed io non simulai quell'emozione. Fu anzi una delle piu2 profonde ch'io abbia avuta in tutta la mia vita. Madida di sudore quando l'immagine creai, di lagrime quando l'ebbi. Io avevo gia2 adorata la speranza di poter rivivere un giorno d'innocenza e d'ingenuita2. Per mesi e mesi tale speranza mi resse e m'animo2. Non si trattava forse di ottenere col vivo ricordo in pieno inverno le rose del Maggio? Il dottore stesso assicurava che il ricordo sarebbe stato lucente e completo, tale che avrebbe rappresentato un giorno di piu2 della mia vita. Le rose avrebbero avuto il loro pieno effluvio e magari anche le loro spine. E cosi2 che a forza di correr dietro a quelle immagini, io le raggiunsi. Ora so di averle inventate. Ma inventare e2 una creazione, non gia2 una menzogna. Le mie erano delle inven- zioni come quelle della febbre, che camminano per la stanza perche1 le vediate da tutti i lati e che poi anche vi toccano. Avevano la solidita2, il calore, la petulanza delle cose vive. A forza di desiderio, io proiettai le immagini, che non c'erano che nel mio cervello, nello spazio in cui guardavo, uno spazio di cui sentivo l'aria, la luce ed anche gli angoli contun- denti che non mancarono in alcuno spazio per cui io sia passato. Quando arrivai al torpore che doveva facilitare l'illusione e che mi pareva nient'altro che l'associazione di un grande sforzo con una grande inerzia, credetti che quelle immagini fossero delle vere riproduzioni di giorni lontani. Avrei po- tuto sospettare subito che non erano tali perche1, appena svanite, le ricordavo, ma senz'alcuna eccitazione o commo- zione. Le ricordavo come si ricorda il fatto raccontato da chi non vi assistette. Se fossero state vere riproduzioni avrei continuato a riderne e a piangerne come quando le avevo avute. E il dottore registrava. Diceva: <>. In verita2, noi non ave- 360 vamo piu2 che dei segni grafici, degli scheletri d'immagini. Fui indotto a credere che si trattasse di una rievocazione della mia infanzia perche1 la prima delle immagini mi pose in un'epoca relativamente recente di cui avevo conservato anche prima un pallido ricordo ch'essa parve confermare. C'e2 stato un anno nella mia vita in cui io andavo a scuola e mio fratello non ancora. E pareva fosse appartenuta a quel- l'anno l'ora che rievocai. Io mi vidi uscire dalla mia villa una mattina soleggiata di primavera, passare per il nostro giardino per scendere in citta2, giu2, giu2, tenuto per mano da una nostra vecchia fantesca, Catina. Mio fratello nella sce- na che sognai non appariva, ma ne era l'eroe. Io lo sentivo in casa libero e felice mentre io andavo a scuola. Vi andavo coi singhiozzi nella gola, il passo riluttante e, nell'animo, un intenso rancore. Io non vidi che una di quelle passeggia- te alla scuola, ma il rancore nel mio animo mi diceva che ogni giorno io andavo a scuola ed ogni giorno mio fratello restava a casa. All'infinito, mentre in verita2 credo che, do- po non lungo tempo, mio fratello piu2 giovine di me di un anno solo, sia andato a scuola anche lui. Ma allora la verita2 del sogno mi parve indiscutibile: io ero condannato ad an- dare sempre2 a scuola mentre mio fratello aveva il permesso di restare a casa. Camminando a canto a Catina calcolavo la durata della tortura: fino a mezzodi2! Mentre lui e2 a casa! E ricordavo anche che nei giorni precedenti dovevo essere stato turbato a scuola da minaccie e da rampogne e che io avevo pensato anche allora: a lui non possono toccare. Era stata una visione di un'evidenza enorme. Catina che io ave- vo conosciuta piccola, m'era parsa grande, certamente per- che1 io ero tanto piccolo. Vecchissima m'era sembrata an- che allora, ma si sa che i giovanissimi vedono sempre vecchi gli anziani. E sulla via che io dovevo percorrere per andare a scuola, scorsi anche i colonnini strani che arginavano in quel tempo i marciapiedi della nostra citta2. Vero e2 che io nacqui abbastanza presto per vedere ancora da adulto quei colonnini nelle nostre vie centriche. Ma nella via che io con Catina quel giorno percorsi, non ci furono piu2 non appena io uscii dall'infanzia. La fede nell'autenticita2 di quelle immagini perduro2 nel mio animo anche quando, presto, stimolata da quel sogno, la mia fredda memoria scoperse altri particolari di quell'epo- 361 ca. Il principale: anche mio fratello invidiava me perche1 io andavo a scuola. Ero sicuro d'essermene avvisto, ma non subito cio2 basto2 ad infirmare la verita2 del sogno. Piu2 tardi gli tolse ogni aspetto di verita2: la gelosia in realta2 c'era stata, ma nel sogno era stata spostata. La seconda visione mi riporto2 anch'essa ad un'epoca re- cente, benche1 anteriore di molto a quella della prima: una stanza della mia villa, ma non so quale, perche1 piu2 vasta di qualunque altra che vi e2 realmente. E strano che io mi vedevo chiuso in quella stanza e che subito ne seppi un particolare che dalla semplice visione non poteva essere risultato: la stanza era lontana dal posto ove allora soggior- navano mia madre e Catina. Ed un secondo: io ancora non sono stato a scuola. La stanza era tutta bianca ed anzi io non vidi giammai una stanza tanto bianca ne1 tanto completamente illuminata dal sole. Il sole di allora passava traverso le pareti? Esso era certamente gia2 alto, ma io mi trovavo tuttavia nel mio letto con in mano una tazza da cui avevo sorbito tutto il caffelatte e nella quale continuavo a lavorare con un cucchiaino traen- done lo zucchero. Ad un certo punto il cucchiaio non arrivo2 piu2 a raccoglierne altro ed allora io tentai di arrivare al fondo della tazza con la mia lingua. Ma non vi riuscii. Percio2 finii col tenere la tazza in una mano e il cucchiaio nell'altra e stetti a guardare mio fratello coricato nel letto accanto al mio come, tardivo, stava ancora sorbendo il suo caffe2 col naso nella tazza. Quando levo2 finalmente la faccia, io la vidi tutta come si contrasse ai raggi del sole che la colpirono in pieno mentre la mia (Dio ne sa il perche1) si trovava nell'ombra. Il suo viso era pallido ed un poco imbruttito da un lieve pro- gnatismo. Mi disse: <> Allora appena m'avvidi che Catina aveva dimenticato di portargli il cucchiaio, subito e senz'alcuna esitazione gli risposi: <> Tenni il alto il cucchiaio per farne rilevare il valore. Ma subito la voce di Catina risuono2 nella stanza: <> Lo spavento e la vergogna mi fecero ripiombare nel pre- sente. Avrei voluto discutere con Catina, ma lei, mio fratello 362 ed io, come ero fatto allora, piccolo, innocente e strozzino, sparimmo ripiombando nell'abisso. Rimpiansi di aver sentita tanto forte quella vergogna da aver distrutta l'immagine cui ero arrivato con tanta fatica. Avrei fatto tanto bene di offrire invece mitemente e <1gratis>1 il cucchiaino e non discutere quella mia mala azione ch'era probabilmente la prima che avessi commessa. Forse Catina avrebbe invocato l'ausilio di mia madre per infliggerrni una punizione ed io, finalmente, l'avrei rivista. La vidi pero2 pochi giorni appresso o credetti di rivederla. Avrei potuto intendere subito ch'era un'illusione perche1 l'immagine di mia madre, come l'avevo evocata, somigliava troppo al suo ritratto che ho sul mio letto. Ma devo confessa- re che nell'apparizione mia madre si mosse come una perso- na viva. Molto, molto sole, tanto da abbacinare! Da quella ch'io credevo la mia giovinezza mi perveniva tanto di quel sole ch'era difficile dubitare non fosse dessa. Il nostro tinello nelle ore pomeridiane. Mio padre e2 ritornato a casa e siede su un sofa2 accanto a mamma che sta imprimendo con certo inchiostro indelebile delle iniziali su molta biancheria di- stribuita sul tavolo a cui essa siede. Io mi trovo sotto il tavolo dove giuoco con delle pallottole. M'avvicino sempre piu2 a mamma. Probabilmente desidero ch'essa s'associ ai miei giuochi. A un dato punto, per rizzarmi in piedi fra di loro, m'aggrappo alla biancheria che pende dal tavolo e allora avviene un disastro. La boccetta d'inchiostro mi capi- ta sulla testa, bagna la mia faccia e le mie vesti, la gonna di mamma e produce una lieve macchia anche sui calzoni di papa2. Mio padre alza una gamba per appiopparrni un calcio... Ma io in tempo ero ritornato dal mio lontano viaggio e mi trovavo al sicuro qui, adulto, vecchio. Devo dirlo! Per un istante soffersi della punizione minacciatami e subito dopo mi dolse di non aver potuto assistere all'atto di protezione che senza dubbio sara2 partito da mamma. Ma chi puo2 arre- stare quelle immagini quando si mettono a fuggire traverso quel tempo che giammai somiglio2 tanto allo spazio? Que- st'era il mio concetto finche1 credetti nell'autenticita2 di quelle immagini! Ora, purtroppo (oh! quanto rne ne dolgo!) non ci credo piu2 e so che non erano le irnmagini che correvano via, 363 ma i miei occhi snebbiati che guardavano di nuovo nel vero spazio in cui non c'e2 posto per fantasmi. Raccontero2 ancora delle immagini di un altro giorno alle quali il dottore attribui2 tale importanza da dichiararmi guarito. Nel mezzo sonno cui m'abbandonai ebbi un sogno dall'im- mobilita2 dell'incubo. Sognai di me stesso ridivenuto bambi- no e soltanto per vedere quel bambino come sognava anche lui. Giaceva muto in preda ad una letizia che pervadeva il suo minuto organismo. Gli pareva di aver finalmente rag- giunto il suo antico desiderio. Eppure giaceva la2 solo e abbandonato! Ma vedeva e sentiva con quell'evidenza come si sa vedere e sentire nel sogno anche le cose lontane. Il bambino, giacendo in una stanza della mia villa, vedeva (Dio sa in quale modo) che sul letto della stessa ci fosse una gabbia murata su basi solidissirne, priva di porte e di fine- stre, ma illuminata di quanta luce puo2 far piacere e fornita di aria pura e profumata. Ed il bambino sapeva che a quella gabbia egli solo avrebbe saputo giungere e senza neppur andare perche1 forse la gabbia sarebbe venuta a lui. In quella gabbia non v'era che un solo mobile, una poltrona e su questa sedeva una donna formosa, costruita deliziosamente, vestita di nero, bionda, dagli occhi grandi e azzurri, le mani bianchissime e i piedi piccoli in scarpine laccate dalle quali, di sotto alle gonne, sporgeva solo un lieve bagliore. Devo dire che quella donna mi pareva una cosa sola col suo vestito nero e le sue scarpine di lacca. Tutto era lei! Ed il bambino sognava di possedere quella donna, ma nel modo piu2 strano: era sicuro cioe2 di poter mangiarne dei pezzettini al vertice e alla base. Adesso, pensandoci, sono stupito che il dottore che ha letto, a quanto ne dice, con tanta attenzione il mio mano- scritto non abbia ricordato il sogno ch'io ebbi prima di andar a raggiungere Carla. A me qualche tempo dopo, quando ci ripensai, parve che questo sogno non fosse altro che l'altro un po' variato, reso piu2 infantile. Invece il dottore registro2 accuratamente tutto eppoi mi domando2 con aspetto un po' melenso: <> Fui stupito della domanda e risposi che anche mia nonna era stata tale. Ma per lui ero guarito, ben guarito. Spalancai 364 la bocca per gioirne con lui e m'adattai a quanto doveva seguire, cioe2 non piu2 indagini, ricerche, meditazioni, ma una vera e assidua rieducazione. Da allora quelle sedute furono una vera tortura ed io le continuai solo perche1 m'e2 sempre stato tanto difficile di fermarmi quando mi movo o di mettermi in movimento quando son fermo. Qualche volta, quando egli me ne diceva di troppo grosse, arrischiavo qualche obbiezione. Non era mica vero -- com'egli lo credeva -- che ogni mia parola, ogni mio pensiero fosse di delinquente. Egli allora faceva tanto d'occhi. Ero guarito e non volevo accorgermene! Era una vera cecita2 questa: avevo appreso che avevo desiderato di portar via la moglie -- mia madre! -- a mio padre e non mi sentivo guarito? Inaudita ostinazione la mia: pero2 il dottore ammetteva che sarei guarito ancora meglio quando fosse finita la mia rieducazione in seguito alla quale mi sarei abituato a considerare quelle cose (il desiderio di uccidere il padre e di baciare la propria madre) come cose innocentissi- me per le quali non c'era da soffrire di rimorsi, perche1 avvenivano frequentemente nelle migliori famiglie. In fon- do che cosa ci perdevo? Egli un giorno mi disse ch'io oramai ero come un convalescente che ancora non s'era abituato a vivere privo di febbre. Ebbene: avrei atteso di abituarmivi. Egli sentiva che non ero ancora ben suo ed oltre alla rieducazione, di tempo in tempo, ritornava anche alla cura. Tentava di nuovo i sogni, ma di autentici non ne ebbimo piu2 alcuno. Seccato di tanta attesa, finii coll'inventarne uno. Non l'avrei fatto se avessi potuto prevedere la difficolta2 di una simile simulazione. Non e2 mica facile di balbettare come se ci si trovasse immersi in un mezzo sogno, coprirsi di sudore o sbiancarsi, non tradirsi, eventualmente diventar vermigli dallo sforzo e non arrossire: parlai come se fossi ritornato alla donna della gabbia e l'avessi indotta a porger- mi per un buco improvvisamente prodottosi nella parete dello stanzino un suo piede da succhiare e mangiare. <> mormorai mettendo nella visione un particolare curioso che potesse farla somigliare meglio ai sogni precedenti. Dimostravo cosi2 anche di aver capito per- fettamente la malattia che il dottore esigeva da me. Edipo infantile era fatto proprio cosi2: succhiava il piede sinistro della madre per lasciare il destro al padre. Nel mio sforzo 365 d'immaginare realmente (tutt'altro che una contraddizione, questa) ingannai anche me stesso col sentire il sapore di quel piede. Quasi dovetti recere. Non solo il dottore ma anch'io avrei desiderato di esser visitato ancora da quelle care immagini della mia gioventu2, autentiche o meno, ma che io non avevo avuto bisogno di costruire. Visto che accanto al dottore non venivano piu2, tentai di evocarle lontano da lui. Da solo ero esposto al pericolo di dimenticarle, ma gia2 io non miravo mica ad una cura! Io volevo ancora rose del Maggio in Dicembre. Le avevo gia2 avute; perche1 non avrei potuto riaverle? Anche nella solitudine m'annoiai abbastanza, ma poi, invece delle immagini venne qualche cosa che per qualche tempo le sostitui2. Semplicemente credetti di aver fatta un'importante scoperta scientifica. Mi credetti chiamato a completare tutta la teoria dei colori fisiologici. I miei prede- cessori, Goethe e Schopenhauer, non avevano mai immagi- nato dove si potesse arrivare maneggiando abilmente i colori complementari. Bisogna sapere ch'io passavo il mio tempo gettato sul sofa2 di faccia alla finestra del mio studio donde vedevo un pezzo di mare e d'orizzonte. Ora una sera dal tramonto colorito nel cielo frastagliato di nubi, m'indugiai lungamente ad ammira- re su un lembo limpido, un colore magnifico, verde, puro e mite. Nel cielo c'era anche molto color rosso gettato sui margini delle nubi a ponente, ma era un rosso ancora palli- do, sbiaccato dai diretti, bianchi raggi del sole. Abbacinato, dopo un certo intervallo di tempo, chiusi gli occhi e si vide che al verde era stata rivolta la mia attenzione, il mio affetto, perche1 sulla mia re2tina si produsse il suo colore complemen- tare, un rosso smagliante che non aveva nulla da fare col rosso luminoso, ma pallido nel cielo. Guardai, accarezzai quel colore fabbricato da me. La grande sorpresa la ebbi quando una volta aperti gli occhi, vidi quel rosso fiammeg- giante invadere tutto il cielo e coprire anche il verde smeral- do che per lungo tempo non ritrovai piu2. Ma io, dunque, avevo scoperto il modo di tingere la natura! Naturalmente l'esperimento fu da me ripetuto piu2 volte. Il bello si e2 che v'era anche del movimento in quella colorazione. Quando riaprivo gli occhi, il cielo non accettava subito il colore della mia re2tina. V'era anzi un istante di esitazione nel quale 366 arrivavo ancora a rivedere il verde smeraldo che aveva figlia- to quel rosso da cui sarebbe stato distrutto. Questo sorgeva dal fondo, inaspettato e si dilatava come un incendio spaven- toso. Quando fui sicuro dell'esattezza della mia osservazione, la portai al dottore nella speranza di ravvivare con essa le nostre noiose sedute. Il dottore mi saldo2 dicendomi che io avevo la re2tina piu2 sensibile causa la nicotina. Quasi mi sarei lasciato scappar detto che in allora anche le immagini, che noi avevamo attribuite a riproduzioni di avvenimenti della mia gioventu2, potevano invece esser derivate dall'effetto dello stesso veleno. Ma cosi2 gli avrei rivelato che non ero guarito ed egli avrebbe cercato d'indurmi a ricominciare la cura da capo. Eppure quel bestione non sempre mi credette tanto avve- lenato. Cio2 viene provato anche dalla rieducazione ch'egli tento2 per guarirmi da quella ch'egli diceva la mia malattia del fumo. Ecco le sue parole: il fumo non mi faceva male e quando mi fossi convinto ch'era innocuo sarebbe stato vera- mente tale. Eppoi continuava: oramai che i rapporti con mio padre erano stati riportati alla luce del giorno e ripresentati al mio giudizio di adulto, potevo intendere che avevo assun- to quel vizio per competere con mio padre e attribuito un effetto velenoso al tabacco per il mio intimo sentimento morale che volle punirmi della mia competizione con lui. Quel giorno lasciai la casa del dottore fumando come un turco. Si trattava di fare una prova ed io mi vi prestai volentieri. Per tutto il giorno fumai ininterrottamente. Segui2 poi una notte del tutto insonne. La mia bronchite cronica aveva rifiorito e di quella non c'era dubbio perche1 era facile scoprire le conseguenze nella sputacchiera. Il giorno appresso raccontai al dottore di aver fumato molto e che ora non me ne importava piu2. Il dottore mi guardo2 sorridendo e io indovinai che il petto gli si gonfiava dall'orgoglio. Con calma riprese la mia rieducazione! Proce- deva con la sicurezza di veder fiorire ogni zolla su cui poneva il piede. Di quella rieducazione ricordo pochissimo. Io la subii e quando uscivo da quella stanza rni scotevo come un cane ch'esce dall'acqua ed anch'io restavo umido, ma non bagnato. 367 Ricordo pero2 con indignazione che il mio educatore asse- riva che il dottor Coprosich avesse avuto ragione di diriger- mi le parole che avevano provocato tanto mio risentimento. Ma allora io avrei meritato anche lo schiaffo che mio padre volle darmi morendo? Non so se egli abbia detto anche questo. So invece con certezza ch'egli asseriva ch'io avessi odiato anche il vecchio Malfenti che avevo messo al posto di mio padre. Tanti a questo mondo credono di non saper vivere senza un dato affetto; io, invece, secondo lui, perdevo l'equilibrio se mi mancava un dato odio. Ne sposai una o l'altra delle figliuole ed era indifferente quale perche1 si trattava di mettere il loro padre ad un posto dove il mio odio potesse raggiungerlo. Eppoi sfregiai la casa che avevo fatta mia come meglio seppi. Tradii mia moglie ed e2 evidente che se mi fosse riuscito avrei sedotta Ada ed anche Alberta. Naturalmente io non penso di negare questo ed anzi mi fece ridere quando dicendomelo il dottore assunse l'aspetto di Cristoforo Colombo allorche1 raggiunse l'America. Credo pero2 ch'egli sia il solo a questo mondo il quale sentendo che volevo andare a letto con due bellissime donne si domanda: <>. Mi fu anche piu2 difficile di sopportare quello ch'egli cre- dette di poter dire dei miei rapporti con Guido. Dal mio stesso racconto egli aveva appreso dell'antipatia che aveva accompagnato l'inizio della mia relazione con lui. Tale anti- patia non cesso2 mai secondo lui e Ada avrebbe avuto ragione di vederne l'ultima manifestazione nella mia assenza dal suo funerale. Non ricordo2 ch'io ero allora intento nella mia opera d'amore di salvare il patrimonio di Ada, ne1 io mi degnai di ricordarglielo. Pare che il dottore a proposito di Guido abbia fatte anche delle indagini. Egli asserisce che, scelto da Ada, egli non poteva essere quale io lo descrissi. Scoperse che un grandio- so deposito di legnami, vicinissimo alla casa dove noi prati- chiamo la psico-analisi, era appartenuto alla ditta Guido Speier & C. Perche1 non ne avevo io parlato? Se ne avessi parlato sarebbe stata una nuova difficolta2 nella mia esposizione gia2 tanto difficile. Quest'eliminazione non e2 che la prova che una confessione fatta da me in italiano non poteva essere ne1 completa ne1 sincera. In un deposito di legnami ci sono varieta2 enormi di qualita2 che noi a Trieste 368 appelliamo con termini barbari presi dal dialetto, dal croato, dal tedesco e qualche volta persino dal francese <1(zapin>1 p. e. e non equivale mica a <1sapin).>1 Chi m'avrebbe fornito il vero vocabolario? Vecchio come sono avrei dovuto prendere un impiego da un commerciante in legnami toscano? Del resto il deposito legnami della ditta Guido Speier & C. non diede che delle perdite. Eppoi non avevo da parlarne perche1 rimase sempre inerte, salvo quando intervennero i ladri e fecero volare quel legname dai nomi barbari, come se fosse stato destinato a costruire dei tavolini per esperimenti spiritistici Io proposi al dottore di prendere delle informazioni su Guido da mia moglie, da Carmen oppure da Luciano che e2 un grande commerciante noto a tutti. A mio sapere egli non s'indirizzo2 a nessuno di costoro e devo credere che se ne astenne per la paura di veder precipitare per quelle informa- zioni tutto il suo edificio di accuse e di sospetti. Chissa2 perche1 si sia preso di tale odio per me? Anche lui dev'essere un istericone che per aver desiderato invano sua madre se ne vendica su chi non c'entra affatto. fini2 che mi sentii molto stanco di quella lotta che dovevo sostenere col dottore ch'io pagavo. Credo che anche quei sogni non m'abbiano fatto bene, eppoi la liberta2 di fumare quanto volevo fini2 con l'abbattermi del tutto. Ebbi una buona idea: andai dal dottor Paoli. Non l'avevo visto da molti anni. Era un po' incanutito, ma la sua figura di granatiere non era ancora troppo arrotondata dall'eta2, ne1 piegata. Guardava sempre le cose con un'occhia- ta che pareva una carezza. Quella volta scopersi perche1 mi sembrasse cosi2. Evidentemente a lui fa piacere di guardare e guarda le belle e le brutte cose con la compiacenza con cui altri accarezza. Ero salito da lui col proposito di domandargli se credeva dovessi continuare la psico-analisi. Ma quando mi trovai dinanzi a quel suo occhio, freddamente indagatore, non ne ebbi il coraggio. Forse mi rendevo ridicolo raccontando che alla mia eta2 m'ero lasciato prendere ad una ciarlataneria simile. Mi spiacque di dover tacere, perche1 se il Paoli m'a- vesse proibita la psico-analisi, la mia posizione sarebbe stata semplificata di molto, ma mi sarebbe spiaciuto troppo di vedermi troppo a lungo carezzato da quel suo grande occhio. Gli raccontai delle mie insonnie, della mia bronchite cro- 369 nica, di un'espulsione alle guancie che allora mi tormentava, di certi dolori lancinanti alle gambe e infine di strane mie smemoratezze. Il Paoli analizzo2 la mia orina in mia presenza. Il miscuglio si colori2 in nero e il Paoli si fece pensieroso. Ecco finalmente una vera analisi e non piu2 una psico-analisi.Mi ricordai con simpatia e commozione del mio passato lontano di chimico e di analisi vere: io, un tubetto e un reagente! L'altro, l'analiz- zato, dorme finche1 il reagente imperiosamente non lo desti. La resistenza nel tubetto non c'e2 o cede alla minima eleva- zione della temperatura e la simulazione manca del tutto. In quel tubetto non avveniva nulla che potesse ricordare il mio comportamento quando per far piacere al dottor S. inventa- vo nuovi particolari della mia infanzia che dovevano confer- mare la diagnosi di Sofocle. Qui, invece, tutto era verita2. La cosa da analizzarsi era imprigionata nel provino e, sempre uguale a se stessa, aspettava il reagente. Quand'esso arriva- va essa diceva sempre la stessa parola. Nella psico-analisi non si ripetono mai ne1 le stesse immagini ne1 le stesse parole. Bisognerebbe chiamarla altrimenti. Chiamiamola l'avven- tura psichica. Proprio cosi2: quando s'inizia una simile analisi e2 come se ci si recasse in un bosco non sapendo se c'imbatte- remo in un brigante o in un amico. E non lo si sa neppure quando l'avventura e2 passata. In questo la psico-analisi ri- corda lo spiritismo. Ma il Paoli non credeva che si trattasse di zucchero. Vole- va rivedermi il giorno appresso dopo di aver analizzato quel liquido per polarizzazione. Io, intanto, me ne andai glorioso, carico di diabete. Fui in procinto di andare dal dottor S. a domandargli com'egli avrebbe ora analizzato nel mio seno le cause di tale malattia per annullarle. Ma di quell'individuo ne avevo avuto abba- stanza e non volevo rivederlo neppure per deriderlo. Devo confessare che il diabete fu per me una grande dolcezza. Ne parlai ad Augusta ch'ebbe subito le lacrime agli occhi: <> disse; poi cerco2 di conso- larmi. Io amavo la mia malattia. Ricordai con simpatia il povero Copler che preferiva la malattia reale all'immaginaria. Ero 370 oramai d'accordo con lui. La malattia reale era tanto sempli- ce: bastava lasciarla fare. Infatti, quando lessi in un libro di medicina la descrizione della mia dolce malattia, vi scopersi come un programma di vita (non di morte!) nei varii suoi stadii. Addio propositi: finalmente ne ero libero. Tutto avrebbe seguito la sua via senz'alcun mio intervento. Scopersi anche che la mia malattia era sempre o quasi sempre molto dolce. Il malato mangia e beve molto e di grandi sofferenze non ci sono se si bada di evitare i bubboni. Poi si muore in un dolcissimo coma. Poco dopo il Paoli mi chiamo2 al telefono. Mi comunico2 che non v'era traccia di zucchero. Andai da lui il giorno appresso e mi prescrisse una dieta che non seguii che per pochi giorni e un intruglio che descrisse in una ricetta illeggi- bile e che mi fece bere per un mese intero. <> mi domando2 sorri- dendo. Protestai ma non gli dissi che ora che il diabete m'ave- va abbandonato mi sentivo molto solo. Non m'avrebbe creduto. In quel torno di tempo mi capito2 in mano la celebre opera del dottor Beard sulla nevrasteni2a. Seguii il suo consiglio e cambiai di medicina ogni otto giorni con le sue ricette che copiai con scrittura chiara. Per alcuni mesi la cura mi parve buona. Neppure il Copler aveva avuto in vita sua una tale abbondante consolazione di medicinali come io allora. Poi passo2 anche quella fede, ma intanto io avevo rimandato di giorno in giorno il mio ritorno alla psico-analisi. M'imbattei poi nel dottor S. Mi domando2 se avevo deciso di lasciare la cura. Fu pero2 molto cortese, molto piu2 che non quando mi teneva in mano sua. Evidentemente voleva ri- prendermi. Io gli dissi che avevo degli affari urgenti, delle quistioni di famiglia che mi occupavano e preoccupavano e che non appena mi fossi trovato in quiete sarei ritornato da lui. Avrei voluto pregarlo di restituirmi il mio manoscritto, ma non osai; sarebbe equivaluto a confessargli che della cura non volevo piu2 saperne. Riservai un tentativo simile ad altra epoca quando egli si sarebbe accorto che alla cura non ci pensavo piu2 e vi si fosse rassegnato. Prima di lasciarmi egli mi disse alcune parole intese a riprendermi: 371 <> Ma io, in verita2, credo che col suo aiuto, a forza di studiare l'animo mio, vi abbia cacciato dentro delle nuove malattie. Sono intento a guarire dalla sua cura. Evito i sogni ed i ricordi. Per essi la mia povera testa si e2 trasformata in modo da non saper sentirsi sicura sul collo. Ho delle distrazioni spaventose. Parlo con la gente e mentre dico una cosa tento involontariamente di ricordarne un'altra che poco prima dissi o feci e che non ricordo piu2 o anche un mio pensiero che mi pare di un'importanza enorme, di quell'irnportanza che mio padre attribui2 a quei pensieri ch'ebbe poco prima di morire e che pur lui non seppe ricordare. Se non voglio finire al manicomio, via con questi giocat- toli. <115 Maggio 1915>1 Passammo due giorni di festa a Lucinico nella nostra villa. Mio figlio Alfio deve rimettersi di un'influenza e restera2 nella villa con la sorella per qualche settimana. Noi ritorne- remo qui2 per le Pentecoste. Sono riuscito finalmente di ritornare alle mie dolci abitu- dini, e a cessar di fumare. Sto gia2 molto meglio dacche1 ho saputo eliminare la liberta2 che quello sciocco di un dottore aveva voluto concedermi. Oggi che siamo alla meta2 del mese sono rimasto colpito della difficolta2 che offre il nostro calen- dario ad una regolare e ordinata risoluzione. Nessun mese e2 uguale all'altro. Per rilevare meglio la propria risoluzione si vorrebbe finire di fumare insieme a qualche cosa d'altro, il mese p. e. Ma salvo il Luglio e Agosto e il Dicembre e il Gennaio non vi sono altri mesi che si susseguano e facciano il paio in quanto a quantita2 di giorni. Un vero disordine nel tempo! Per raccogliermi meglio passai il pomeriggio del secondo giorno solitario alle rive dell'Isonzo. Non c'e miglior racco- glimento che stare a guardare l'acqua corrente. Si sta fermi e l'acqua corrente fornisce lo svago che occorre perche1 non e2 uguale a se1 stessa nel colore e nel disegno neppure per un attimo. 372 Era una giornata strana. Certamente in alto soffiava un forte vento perche1 le nubi vi mutavano continuamente di forma, ma giu2 l'atmosfera non si moveva. Avveniva che di tempo in tempo, traverso le nubi in movimento, il sole gia2 caldo trovasse il pertugio per inondare dei suoi raggi questo o quel tratto di collina o una cima di montagna, dando risalto al verde dolce del Maggio in mezzo all'ombra che copriva tutto il paesaggio. La temperatura era mite ed anche quella fuga di nubi nel cielo, aveva qualche cosa di primaverile. Non v'era dubbio: il tempo stava risanando! Fu un vero raccoglimento il mio, uno di quegl'istanti rari che l'avara vita concede, di vera grande oggettivita2 in cui si cessa finalmente di credersi e sentirsi vittima. In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da quegli sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbe un'importanza enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni. E rivedendo la mia vita e anche la mia malattia le amai, le intesi! Com'era stata piu2 bella la mia vita che non quella dei cosidetti sani, coloro che picchiavano e avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato accompagnato sempre dall'a- more. Quando non avevo pensato alla mia donna, vi avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l'illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti piu2 perfetti. In quel momento ricordai che fra le tante bugie che avevo propinate a quel profondo osservatore ch'era il dottor S., c'era anche quella ch'io non avessi piu2 tradita mia moglie dopo la partenza di Ada. Anche su questa bugia egli fabbri-- co2 le sue teorie. Ma 1a2, alla riva di quel fiume, improvvisa- mente, con spavento, ricordai ch'era vero che da qualche giorno, forse dacche1 avevo abbandonata la cura, io non avevo ricercato la compagnia di altre donne. Che fossi stato guarito come il dottor S. pretende? Vecchio come sono, da un pezzo le donne non mi guardano piu2. Se io cesso dal guardare loro, ecco che ogni relazione fra di noi e2 tagliata. Se un dubbio simile mi fosse capitato a Trieste, avrei saputo solverlo subito. Qui era alquanto piu2 difficile. 373 Pochi giorni prima avevo avuto in mano il libro di memo- rie del Da Ponte, l'avventuriere contemporaneo del Casa- nova. Anche lui era passato certamente per Lucinico ed io sognai d'imbattermi in quelle sue dame incipriate dalle membra celate dalla crinolina. Dio mio! Come facevano quelle donne ad arrendersi cosi2 presto e tanto di frequente essendo difese da tutti quegli stracci? Mi parve che il ricordo della crinolina, ad onta della cura, fosse abbastanza eccitante. Ma il mio era un desiderio al- quanto fatturato e non basto2 a rassicurarmi. L'esperienza che cercavo l'ebbi poco dopo e fu sufficiente per rassicurarmi, ma non mi costo2 poco. Per averla, turbai e guastai la relazione piu2 pura che avessi avuta nella mia vita. M'imbattei in Teresina, la figlia anziana del colono di una tenuta situata accanto alla mia villa. Il padre, da due anni, era rimasto vedovo e la sua numerosa figliolanza aveva ritrovata la madre in Teresina, una robusta fanciulla che si levava di mattina per lavorare, e cessava il lavoro per cori- carsi e raccogliersi per poter riprendere il lavoro. Quel gior- no essa guidava l'asinello di solito affidato alla cure del fratellino e camminava accanto al carretto carico di erba fresca, perche1 il non grande animale non avrebbe saputo portare su per l'erta lieve anche il peso della fanciulla. L'anno prima Teresina m'era sembrata tuttavia una bim- ba e non avevo avuta per lei che una simpatia sorridente e paterna. Ma anche il giorno prima, quando l'avevo rivista per la prima volta, ad onta che l'avessi ritrovata cresciuta, la bruna faccina divenuta piu2 seria, le esili spalle allargate sopra il seno che andava arcuandosi nello sviluppo parco del piccolo corpo affaticato, avevo continuato a vederla una bimba immatura di cui non potevo amare che la straordina- ria attivita2 e l'istinto materno di cui fruivano i fratellini. Se non ci fosse stata quella maledetta cura e la necessita2 di verificare subito in quale stato si trovasse la mia malattia, anche quella volta avrei potuto lasciare Lucinico senz'aver turbata tanta innocenza. Essa non aveva la crinolina. E la faccia pienotta e sorri-- dente non conosceva la cipria. Aveva i piedi nudi e faceva vedere nuda anche meta2 della gamba. La faccina e i piedini e la gamba non seppero accendermi. La faccia e le membra che Teresina lasciava vedere erano dello stesso colore; all'a- 374 ria appartenevano tutte e non c'era niente di male che all'a- ria fossero abbandonate. Forse percio2 non riuscivano ad accendermi. Ma al sentirmi tanto freddo mi spaventai. Che dopo la cura mi fosse occorsa la crinolina? Cominciai coll'accarezzare l'asinello cui avevo procurato un po' di riposo. Poi tentai di tornare a Teresina e le misi in mano niente meno che dieci corone. Era il primo attentato! L'anno prima, a lei e ai suoi fratellini, per esprimere loro il mio affetto paterno, avevo messo nelle manine solo dei centesimi. Ma si sa che l'affetto paterno e2 un'altra cosa. Teresina fu stupita del ricco dono. Accuratamente sollevo2 il suo gonnellino per riporre in non so che tasca celata il prezioso pezzo di carta. Cosi2 vidi un ulteriore pezzo di gamba, ma anch'esso sempre bruno e casto. Ritornai all'asinello e gli diedi un bacio sulla testa. La mia affettuosita2 provoco2 la sua. Allungo2 il muso ed emise il suo grande grido d'amore che io ascoltai sempre con rispetto. Come varca le distanze e com'e2 significante con quel primo grido che invoca e si ripete, attenuandosi poi e terminando in un pianto disperato. Ma sentito cosi2 da vicino, mi fece dolere il timpano. Teresina rideva e il suo riso m'incoraggio2. Ritornai a lei e subito l'afferrai per l'avambraccio sul quale salii con la ma- no, lento, verso la spalluccia, studiando le mie sensazioni. Grazie al cielo non ero guarito ancora! Avevo cessata la cura in tempo. Ma Teresina con una legnata fece procedere l'asino per seguirlo e lasciarmi. Ridendo di cuore perche1 io restavo lieto anche se la villa- nella non voleva saperne di me, le dissi: <> Sempre allontanandosi da me, essa mi disse: <> La mia letizia non s'offusco2 per questo. Avrei voluto dare una lezioncina a Teresina e cercai di ricordarmi come da Boccaccio <>. Ma il ragionamento di Maestro Alberto non ebbe il suo effetto perche1 Madonna Malgherida de' Ghisolieri gli disse: <1 come a cosa vostra ogni vostro piacere imponete sicura- mente>>. Tentai di fare di meglio: <> gridai per essere inteso da lei che m'era gia2 lontana. <> urlo2 essa ridendo di gusto e senza fermarsi. <> Urlavo, compiacendomi del mio spirito che veniva diret- tamente dal mio sesso. In quel momento, in qualche punto del cielo le nubi s'apersero e lasciarono passare dei raggi di sole che andaro- no a raggiungere Teresina che oramai era lontana da me di una quarantina di metri e di me piu2 in alto di una decina o piu2. Era bruna, piccola, ma luminosa! Il sole non illumino2 me! Quando si e2 vecchi si resta all'om- bra anche avendo dello spirito. <126 Giugno 1915>1 La guerra m'ha raggiunto! Io che stavo a sentire le storie di guerra come se si fosse trattato di una guerra di altri tempi di cui era divertente parlare, ma sarebbe stato sciocco di preoc- cuparsi, ecco che vi capitai in mezzo stupefatto e nello stesso tempo stupito di non essermi accorto prima che dovevo esservi prima o poi coinvolto. Io avevo vissuto in piena calma in un fabbricato di cui il pianoterra bruciava e non avevo previsto che prima o poi tutto il fabbricato con me si sarebbe sprofondato nelle fiamme. La guerra mi prese, mi squasso2 come un cencio, mi privo2 in una sola volta di tutta la famiglia ed anche del mio ammi- nistratore. Da un giorno all'altro io fui un uomo del tutto nuovo, anzi, per essere piu2 esatto, tutte le mie ventiquattr'o- re furono nuove del tutto. Da ieri sono un po' piu2 calmo perche1 finalmente, dopo l'attesa di un mese, ebbi le prirne notizie della mia famiglia. Si trova sana e salva a Torino mentre io gia2 avevo perduta ogni speranza di rivederla. Devo passare la giornata intera nel mio ufficio. Non vi ho niente da fare, ma gli Olivi, quali cittadini italiani, hanno 376 dovuto partire e tutti i miei pochi migliori impiegati sono andati a battersi di qua o di 1a2 e percio2 devo restare al mio posto quale sorvegliante. Alla sera vado a casa carico delle grosse chiavi del magazzino. Oggi che mi sento tanto piu2 calmo, portai con me in ufficio questo manoscritto che po- trebbe farmi passar meglio il lungo tempo. Infatti esso mi procuro2 un quarto d'ora meraviglioso in cui appresi che ci fu a questo mondo un'epoca di tanta quiete e tanto silenzio da permettere di occuparsi di giocattoli simili. Sarebbe anche bello che qualcuno m'invitasse sul serio di piombare in uno stato di mezza coscienza tale da poter rivivere anche soltanto un'ora della mia vita precedente. Gli riderei in faccia. Come si puo2 abbandonare un presente simile per andare alla ricerca di cose di nessuna importanza? A me pare che soltanto ora sono staccato definitivamente dalla mia salute e dalla rnia malattia. Cammino per le vie della nostra misera citta2, sentendo di essere un privilegiato che non va alla guerra e che trova ogni giorno quello che gli occorre per mangiare. In confronto a tutti mi sento tanto felice -- specie dacche1 ebbi notizie dei miei -- che mi sembre- rebbe di provocare l'ira degli dei se stessi anche perfetta- mente bene. La guerra ed io ci siamo incontrati in un modo violento, ma che adesso mi pare un poco buffo. Augusta ed io eravamo ritornati a Lucinico a passarvi le Pentecoste insieme ai figliuoli. Il 23 di Maggio io mi levai di buon'ora. Dovevo prendere il sale di Carlsbad e fare anche una passeggiata prima del caffe2. Fu durante questa cura a Lucinico che m'accorsi che il cuore, quando si e2 a digiuno, attende piu2 attivamente ad altre riparazioni irraggiando su tutto l'organismo un grande benessere. La mia teoria dove- va perfezionarsi quel giorno stesso in cui mi si costrinse di soffrire la fame che mi fece tanto bene. Augusta, per salutarmi, levo2 la testa tutta bianca dal guanciale e mi ricordo2 che avevo promesso a mia figlia di procurarle delle rose. Il nostro unico rosaio era appassito e bisognava percio2 provvedere. Mia figlia s'e2 fatta una bella fanciulla e somiglia ad Ada. Da un momento all'altro, con essa avevo dimenticato il fare dell'educatore burbero ed ero passato a quello del cavaliere che rispetta la femminilita2 anche nella propria figliuola. Subito essa s'accorse del suo 377 potere e con grande divertimento mio e d'Augusta ne abuso2. Voleva delle rose e bisognava procurargliene. Mi proposi di camminare per un due orette. Faceva un bel sole e visto che il mio proposito era di camminare sempre e di non arrestarmi finche1 non ero ritornato a casa, non presi meco neppure la giubba e il cappello. Per fortuna ricordai che avrei dovuto pagare le rose e non lasciai percio2 a casa insieme alla giubba anche il portafoglio. Prima di tutto mi recai nella campagna vicina, dal padre di Teresina, per pregarlo di tagliare le rose che sarei venuto a prendere al mio ritorno. Entrai nel grande cortile cinto da un muro alquanto rovinato e non vi trovai nessuno. Urlai il nome di Teresina. Usci2 dalla casa il piu2 piccolo dei bambini che allora avra2 avuto sei anni. Posi nella sua manina qualche centesimo ed egli mi racconto2 che tutta la sua famigliuola di buon'ora s'era recata al di 1a2 dell'Isonzo, per una giornata di lavoro, su un suo campo di patate di cui la terra aveva bisogno di essere rassodata. Cio2 non mi spiaceva. Io conoscevo quel campo e sapevo che per giungervi abbisognava di circa un'ora di tempo. Visto che avevo stabilito di camminare per un due ore, mi piaceva di poter attribuire alla mia passeggiata uno scopo determinato. Cosi2 non c'era la paura di interromperla per un assalto improvviso d'infingardaggine. M'avviai traverso la pianura ch'e2 piu2 alta della strada e di cui percio2 non vedevo che i margini e qualche corona d'albero in fiore. Ero vera- mente giocondo: cosi2 in maniche di camicia e senza cappello mi sentivo molto leggero. Aspiravo quell'aria tanto pura e, come usavo spesso da qualche tempo, camminando facevo la ginnastica polmonare del Niemeyer che m'era stata inse- gnata da un amico tedesco una cosa utilissima, a chi fa una vita piuttosto sedentaria. Arrivato in quel campo, vidi Teresina che lavorava pro- prio dalla parte della strada. M'avvicinai a lei e allora m'ac- corsi che piu2 in 1a2 lavoravano insieme al padre i due fratellini di Teresina di un'eta2 che io non avrei saputo precisare, fra' dieci e i quattordici anni. Nella fatica i vecchi si sentono magari esausti, ma per l'eccitazione che l'accompagna, sem- pre piu2 giovini che nell'inerzia. Ridendo m'accostai a Tere- sina: <> 378 Essa non m'intese ed io non le spiegai nulla. Non occorre- va. Giacche1 essa non ricordava, si poteva ritornare con lei ai nostri antichi rapporti. Avevo gia2 ripetuto l'esperimento ed aveva avuto anche questa volta un risultato favorevole. Indi- rizzandole quelle poche parole l'avevo accarezzata altrimen- ti che col solo occhio. Col padre di Teresina m'accordai facilmente per le rose. Mi permetteva di tagliarne quante volevo eppoi non si avrebbe litigato per il prezzo. Egli voleva subito ritornare al lavoro mentre io m'accingevo di mettermi sulla via del ritor- no, ma poi si penti2 e mi corse dietro. Raggiuntomi, a voce molto bassa, mi domando2: <> <> risposi io. <> disse lui spazientito. <> e fece un segno dalla parte della vicina frontiera italiana. <> Mi guardo2 ansioso della risposta. <> gli dissi io con piena sicurezza <> Egli si rassereno2 immediatamente: <> Con la manica della camicia s'asciugo2 il sudore che gli colava dalla fronte. Vedendolo tanto contento, tentai di renderlo piu2 conten- to ancora. Amo tanto le persone felici, io. Percio2 dissi delle cose che veramente non amo di rammentare. Asserii che se anche la guerra fosse scoppiata, non sarebbe stata combattu- ta cola2. C'era prima di tutto il mare dove era ora si battesse- ro, eppoi oramai in Europa non mancavano dei campi di battaglia per chi ne voleva. C'erano le Fiandre e varii dipar- timenti della Francia. Avevo poi sentito dire -- non sapevo piu2 da chi-- che a questo mondo c'era oramai tale bisogno di patate che le raccoglievano accuratamente anche sui campi di battaglia. Parlai molto, sempre guardando Teresina che 379 piccola, minuta, s'era accovacciata sulla terra per tastarla prima di applicarvi la vanga. Il contadino perfettamente tranquillizzato ritorno2 al suo lavoro. Io, invece, avevo consegnato una parte della mia tranquillita2 a lui e ne restava a me molto di meno. Era certo che a Lucinico eravamo troppo vicini alla frontiera. Ne avrei parlato ad Augusta. Avremmo forse fatto bene di ritornare a Trieste e forse andar anche piu2 in 1a2 o in qua. Certamente Giolitti era ritornato al potere, ma non si poteva sapere se, arrivato lassu2, avrebbe continuato a vedere le cose nella luce in cui le vedeva quando lassu2 c'era qualcuno d'altro. Mi rese anche piu2 nervoso l'incontro casuale con un ploto- ne di soldati che marciava sulla strada in dilezione di Lucini- co. Erano dei soldati non giovini e vestiti ed attrezzati molto male. Dal loro fianco pendeva quella che noi a Trieste dicevamo la Durlindana, quella baionetta lunga che in Au- stria, nell'estate del 1915, avevano dovuto levare dai vecchi depositi. Per qualche tempo camminai dietro di loro inquieto d'es- sere presto a casa. Poi mi secco2 un certo odore di selvatico frollo che emanava da loro e rallentai il passo. La mia inquietudine e la mia fretta erano sciocche. Era pure sciocco d'inquietarsi per aver assistito all'inquietudine di un conta- dino. Oramai vedevo da lontano la mia villa e il plotone non c'era piu2 sulla strada. Accelerai il passo per arrivare final- mente al mio caffelatte. Fu qui che comincio2 la mia avventura. Ad uno svolto di via, mi trovai arrestato da una sentinella che urlo2: <> mettendosi addirittura in posizione di sparare. Volli parlargli in tedesco giacche1 in tedesco aveva urlato, ma egli del tedesco non conosceva che quella sola parola che ripete1 sempre piu2 minacciosamente. Bisognava andare zuru%ck ed io guardandomi sempre die- tro nel timore che l'altro, per farsi intendere meglio, sparas- se, mi ritirai con una certa premura che non m'abbandono2 neppure quando il soldato non vidi piu2. Ma ancora non avevo rinunciato di arrivare subito alla mia villa. Pensai che varcando la collina alla mia destra, sarei arrivato molto dietro la sentinella minacciosa. L'ascesa non fu difficile specie perche1 l'alta erba era stata curvata da molta gente che doveva essere passata per di la2 380 prima di me. Certamente doveva esservi stata costretta dalla proibizione di passare per la strada. Camminando riacqui- stai la mia sicurezza e pensai che al mio arrivo a Lucinico mi sarei subito recato a protestare dal capovilla per il tratta- mento che avevo dovuto subire. Se permetteva che i villeg- gianti fossero trattati cosi2, presto a Lucinico non ci sarebbe venuto nessuno! Ma arrivato alla cima della collina, ebbi la brutta sorpresa di trovarla occupata da quel plotone di soldati dall'odore di selvatico. Molti soldati riposavano all'ombra di una casetta di contadini che io conoscevo da molto tempo e che a quel- l'ora era del tutto vuota; tre di essi parevano messi a guardia, ma non verso il versante da cui io ero venuto, e alcuni altri- stavano in un semicircolo dinanzi ad un ufficiale che dava loro delle istruzioni che illustrava con una carta topografica ch'egli teneva in mano. Io non possedevo neppure un cappello che potesse servir- mi per salutare. Inchinandomi varie volte e col mio piu2 bel sorriso, m'appressai all'ufficiale il quale, vedendomi, cesso2 di parlare coi suoi soldati e si mise a guardarmi. Anche i cinque mammelucchi che lo circondavano mi regalavano tutta la loro attenzione. Sotto quegli sguardi e sul terreno non piano era difficilissimo di muoversi. L'ufficiale urlo2: <<<1Was will der dumme Kerl hier>1?>> (Che cosa vuole quello scimunito?) Stupito che senz'alcuna provocazione mi si offendesse cosi2, volli dimostrarmi offeso virilmente ma tuttavia, con la discrezione del caso, deviai di strada e tentai di arrivare al versante che m'avrebbe portato a Lucinico. L'ufficiale si mise ad urlare che, se facevo un solo passo di piu2, m'avrebbe fatto tirare addosso. Ridivenni subito molto cortese e da quel giorno a tutt'oggi che scrivo, rimasi sempre cortese. Era una barbarie d'essere costretto di trattare con un tomo simi- le, ma intanto si aveva il vantaggio ch'egli parlava corrente- mente il tedesco. Era un tale vantaggio, che, ricordandolo, riusciva piu2 facile di parlargli con dolcezza. Guai se bestia come era non avesse neppur compreso il tedesco. Sarei stato perduto. Peccato che io non parlavo abbastanza correntemente quella lingua perche1 altrimenti mi sarebbe stato facile di far 381 ridere quell'arcigno signore. Gli raccontai che a Lucinico m'aspettava il mio caffelatte da cui ero diviso soltanto dal suo plotone. Egli rise, in fede mia rise. Rise sempre bestemmiando e non ebbe la pazienza di lasciarmi finire. Dichiaro2 che il caffelatte di Lucinico sarebbe stato bevuto da altri e quando senti2 che oltre al caffe2 c'era anche mia moglie che m'aspetta- va, urlo2: <> (Anche vostra moglie sara2 mangiata da altri.) Egli era oramai di migliore umore di me. Pare poi gli fosse spiaciuto di avermi detto delle parole che, sottolineate dal riso clamoroso dei cinque mammelucchi, potevano apparire offensive: si fece serio e mi spiego2 che non dovevo sperare di rivedere per quel giorno Lucinico ed anzi in amicizia mi consigliava di non domandarlo piu2 perche1 bastava quella domanda per compromettermi! <1<>>1 (Avete capito?) Io avevo capito, ma non era mica facile di adattarsi di rinunziare al caffelatte da cui distavo non piu2 di mezzo chilometro. Solo percio2 esitavo di andarmene perche1 era evidente che quando fossi disceso da quella collina, alla mia villa, per quel giorno non sarei giunto piu2. E, per guadagnar tempo, mitemente domandai all'ufficiale: <> Avrei dovuto accorgermi che all'ufficiale tardava di esser lasciato solo con la sua carta e i suoi uomini, ma non m'aspet- tavo di provocare tanta sua ira. Urlo2, in modo da intronarmi l'orecchie, che m'aveva gia2 detto che non dovevo piu2 domandarlo. Poi m'impose di andare dove il diavolo vorra2 portarmi <1(wo der Teufel Sie>1 <1tragen will).>1 L'idea di farmi portare non mi spiaceva molto perche1 ero molto stanco, ma esitavo ancora. Intanto pero2 l'ufficiale a forza d'urlare s'accese sempre piu2 e con accento di grande minaccia chiamo2 a se1 uno dei cinque uomini che l'attorniavano e appellandolo <1signor caporale>1 gli diede l'or- dine di condurmi giu2 dalla collina e di sorvegliarmi finche1 non fossi sparito sulla via che conduce a Gorizia, tirandomi addosso se avessi esitato ad ubbidire. Percio2 scesi da quella cima piuttosto volentieri: 382 <> dissi anche senz'alcun'intenzione di ironia. Il caporale era uno slavo che parlava discretamente l'ita- liano. Gli parve di dover essere brutale in presenza dell'uffi- ciale e, per indurmi a precederlo nella discesa, mi grido2: <> Ma quando fummo un po' piu2 lontani si fece dolce e familiare. Mi domando2 se avevo delle notizie sulla guerra e se era vero ch'era imminente l'intervento italiano. Mi guardava ansioso in attesa della risposta. Dunque neppure loro che la facevano sapevano se la guerra ci fosse o no! Volli renderlo piu2 felice che fosse possibile e gli diedi le notizie che avevo propinate anche al padre di Teresina. Poi mi pesarono sulla coscienza. Nell'or- rendo temporale che scoppio2, probabilmente tutte le perso- ne ch'io rassicurai perirono. Chissa2 quale sorpresa ci sara2 stata sulla loro faccia cristallizzata dalla morte. Era un otti- mismo incoercibile il mio. Non avevo sentita la guerra nelle parole dell'ufficiale e meglio ancora nel loro suono? Il caporale si rallegro2 molto e, per compensarmi, mi diede anche lui il consiglio di non tentare piu2 di arrivare a Lucini- co. Date le notizie mie, egli riteneva che le disposizioni che m'impedivano di rincasare sarebbero state levate il giorno appresso. Ma intanto mi consigliava di andare a Trieste al <1Platzkommando>1 dal quale forse avrei potuto ottenere un permesso speciale. <> domandai io spaventato. <> A quanto ne sapeva il caporale, mentre parlavamo, un fitto cordone di fanteria chiudeva il transito per l'Italia, creando una nuova ed insuperabile frontiera. Con un sor- riso di persona superiore rni dichiaro2 che, secondo lui, la via piu2 breve per Lucinico era quella che conduceva oltre Trieste. A forza di sentirmelo dire, io mi rassegnai e m'avviai verso Gorizia pensando di prendere il treno del mezzodi2 per recar- mi a Trieste. Ero agitato, ma devo dire che mi sentivo molto bene. Avevo fumato poco e non mangiato affatto. Mi senti- vo di una leggerezza che da lungo tempo m'era mancata. Non mi dispiaceva affatto di dover ancora camminare. Mi dolevano un poco le gambe, ma mi pareva che avrei potuto reggere fino a Gorizia, tanto era libero e profondo il mio 383 respiro. Scaldatemi le gambe con un buon passo, il cammi- nare infatti non mi peso2. E nel benessere, battendomi il tempo, allegro perche1 insolitamente celere, ritornai al mio ottimismo. Minacciavano di qua, minacciavano di 1a2, ma alla guerra non sarebbero giunti. Ed e2 cosi2 che, quando giunsi a Gorizia, esitai se non avessi dovuto stabilire una stanza all'albergo nella quale passare la notte e ritornare il giorno appresso a Lucinico per presentare le mie rimostranze al capovilla. Corsi intanto all'ufficio postale per telefonare ad Augu- sta. Ma dalla mia villa non si rispose. L'impiegato, un omino dalla barbetta rada che pareva nella sua piccolezza e rigidezza qualche cosa di ridicolo e d'ostinato -- la sola cosa che di lui ricordi -- sentendomi bestemmiare furibondo al telefono muto, mi si avvicino2 e mi disse: <> Quando mi rivolsi a lui, nel suo occhio brillo2 una grande lieta malizia (sbagliavo! anche quella ricordo ancora!) e quel suo occhio brillante cerco2 il mio per vedere se proprio ero tanto sorpreso e arrabbiato. Ci vollero un dieci minuti per- che1 comprendessi. Allora non ci furono dubbii per me. Lucinico si trovava o fra pochi istanti si troverebbe sulla linea del fuoco. Quando intesi perfettamente quell'occhiata eloquente ero avviato al caffe2 per prendere in aspettativa della colazione la tazza di caffe2 che m'era dovuta dalla mattina. Deviai subito e andai alla stazione. Volevo trovar- mi piu2 vicino ai miei e -- seguendo le indicazioni del mio amico caporale -- mi recavo a Trieste. Fu durante quel mio breve viaggio che la guerra scoppio2. Pensando di arrivare tanto presto a Trieste, alla stazione di Gorizia e per quanto ne avessi avuto il tempo, non presi neppure la tazza di caffe2 cui anelavo da tanto tempo. Salii nella mia vettura e, lasciato solo, rivolsi il mio pensiero ai miei cari da cui ero stato staccato in un modo tanto strano. Il treno cammino2 bene fino oltre Monfalcone. Pareva che la guerra non fosse giunta ancora fin 1a2. Io mi conquistai la tranquillita2 pensando che probabilmente a Lu- cinico le cose si sarebbero svolte come al di qua della frontie- ra. A quell'ora Augusta e i miei figli si sarebbero trovati in viaggio verso l'interno dell'Italia. Questa tranquillita2 asso- 384 ciatasi a quella enome, sorprendente, della mia fame, mi procuro2 un lungo sonno. Eu probabilmente la stessa fame che mi desto2. Il mio treno s'era femmato in mezzo alla cosiddetta Sassonia di Trieste. Il mare non si vedeva, per quanto dovesse essere vicinissimo, perche1 una leggera foschia impediva di guarda- re lontano. Il Carso ha una grande dolcezza nel Maggio, ma la puo2 intendere solo chi non e2 viziato dalle primavere esuberanti di colore e di vita di altre campagne. Qui la pietra che sporge dappertutto e2 circondata da un mite verde che non e2 umile perche1 presto diventa la nota predo- minante del paesaggio. In altre condizioni io mi sarei adirato enormemente di non poter mangiare avendo tanta fame. Invece quel giorno la grandezza dell'avvenirnento storico cui avevo assistito, m'imponeva e m'induceva alla rassegnazione. Il conduttore cui regalai delle sigarette non seppe procurarmi neppure un tozzo di pane. Non raccontai a nessuno delle mie esperienze della mattina. Ne avrei parlato a Trieste a qualche intimo. Dalla frontiera verso la quale tendevo il mio orecchio non veniva alcun suono di combattimento. Noi eravamo fermi a quel posto per lasciar passare un otto o nove treni che scendevano turbinando verso l'Italia. La piaga cancrenosa (come in Austria si appello2 subito la fronte italiana) s'era aperta e abbisognava di materiale per nutrire la sua purulen- za. E i poveri uomini vi andavano sghignazzando e cantan- do. Da tutti quei treni uscivano i medesimi suoni di gioia e di ebbrezza. Quando arrivai a Trieste la notte era gia2 scesa sulla citta2. La notte era illuminata dal bagliore di molti incendi e un amico che mi vide andar verso casa mia in maniche di cami- cia mi grido2: <> Finalmente arrivai a mangiare qualche cosa e subito mi coricai. Una vera, grande stanchezza mi spingeva a letto. Io credo fosse prodotta dalle speranze e dai dubbii che tenzo- navano nella mia mente. Stavo sempre molto bene e nel periodo breve che precedette il sogno di cui con la psico- analisi m'ero esercitato a ritenere le immagini, ricordo che conclusi la mia giornata con una ultima infantile idea otti- 385 mistica: alla frontiera non era morto ancora nessuno e percio2 la pace si poteva rifare. Adesso che so che la mia famiglia e2 sana e salva, la vita che faccio non mi spiace. Non ho molto da fare ma non si puo2 dire io sia inerte. Non si deve ne1 comperare ne1 vendere. Il commercio risanera2 quando ci sara2 la pace. L'Olivi dalla Svizzera mi fece pervenire dei consigli. Se sapesse come i suoi consigli stonano in quest'ambiente ch'e2 mutato del tutto! Io, intanto, per il momento, non faccio nulla. <124 Marzo 1916>1 Dal Maggio dell'anno scorso non avevo piu2 toccato questo libercolo. Ecco che dalla Svizzeza il dottor S. mi scrive pregandomi di mandargli quanto avessi ancora annotato. E2 una domanda curiosa, ma non ho nulla in contrario di man- dargli anche questo libercolo dal quale chiaramente vedra2 come io la pensi di lui e della sua cura. Giacche1 possiede tutte le mie confessioni, si tenga anche queste poche pagine e ancora qualcuna che volentieri aggiungo a sua edificazio- ne. Ho poco tempo perche1 il mio commercio occupa la mia giornata. Ma al signor dottor S. voglio pur dire il fatto suo. Ci pensai tanto che oramai ho le idee ben chiare. Intanto egli crede di ricevere altre mie confessioni di malattia e debolezza e invece ricevera2 la descrizione di una salute solida, perfetta quanto la mia eta2 abbastanza inoltrata puo2 permettere. Io sono guarito! Non solo non voglio fare la psico-analisi, ma non ne ho neppure bisogno. E la mia salute non proviene solo dal fatto che mi sento un privilegiato in mezzo a tanti martiri. Non e2 per il confronto ch'io mi senta sano. Io sono sano, assolutamente. Da lungo tempo io sapevo che la mia salute non poteva essere altro che la mia convinzione e che era una sciocchezza degna di un sognatore ipnagogico di volerla curare anziche1 persuadere. Io soffro bensi2 di certi dolori, ma mancano d'importanza nella mia grande salute. Posso met- tere un impiastro qui o 1a2, ma il resto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi nell'immobilita2 come gl'incancreniti. Dolo- re e amore, poi, la vita insomma, non puo2 essere considerata quale una malattia perche1 duole. Ammetto che per avere la persuasione della salute il mio 386 destino dovette mutare e scaldare il mio organismo con la lotta e soprattutto col trionfo. Fu il mio commercio che mi guari2 e voglio che il dottor S. lo sappia. Attonito e inerte, stetti a guardare il mondo sconvolto, fino al principio dell'Agosto dell'anno scorso. Allora io cominciai a <1comperare.>1 Sottolineo questo verbo perche1 ha un significato piu2 alto di prima della guerra. In bocca di un commerciante, allora, significava ch'egli era disposto a com- perare un dato articolo. Ma quando io lo dissi, volli significa- re ch'io ero compratore di qualunque merce che mi sarebbe stata offerta. Come tutte le persone forti, io ebbi nella mia testa una sola idea e di quella vissi e fu la mia fortuna. L'Olivi non era a Trieste, ma e2 certo ch'egli non avrebbe permesso un rischio simile e lo avrebbe riservato agli altri. Invece per me non era un rischio. Io ne sapevo il risultato con piena certezza. Dapprima m'ero messo, secondo l'antico costume in epoca di guerra, a convertire tutto il patrimonio in oro, ma v'era una certa difficolta2 di comperare e vendere dell'oro. L'oro per cosi2 dire liquido, perche1 piu2 mobile, era la merce e ne feci incetta. Io effettuo di tempo in tempo anche delle vendite ma sempre in misura inferiore agli acquisti. Perche1 cominciai nel giusto momento i miei acquisti e le mie vendite furono tanto felici che queste mi davano i grandi mezzi di cui abbisognavo per quelli. Con grande orgoglio ricordo che il mio primo acquisto fu addirittura apparentemente una sciocchezza; e inteso unica- mente a realizzare subito la mia nuova idea: una partita non grande d'incenso. Il venditore mi vantava la possibilita2 d'im- piegare l'incenso quale un surrogato della resina che gia2 cominciava a mancare, ma io quale chimico sapevo con piena certezza che l'incenso mai piu2 avrebbe potuto sostitui- re la resina di cui era differente <1toto genere.>1 Secondo la mia idea il mondo sarebbe arrivato ad una miseria tale da dover accettare l'incenso quale un surrogato della resina. E com- perai! Pochi giorni or sono ne vendetti una piccola parte e ne ricavai l'importo che m'era occorso per appropriarmi della partita intera. Nel momento in cui incassai quei denari mi si allargo2 il petto al sentimento della mia forza e della mia salute. Il dottore, quando avra2 ricevuto quest'ultima parte del mio manoscritto, dovrebbe restituirmelo tutto. Lo rifarei 387 con chiarezza vera perche1 come potevo intendere la mia vita quando non ne conoscevo quest'ultimo peri2odo? Forse io vissi tanti anni solo per prepararmi ad esso. Naturalmente io non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella mia vita stessa una manifestazione di malattia. La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita e2 sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbia- mo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati. La vita attuale e2 inquinata alle radici. L'uomo s'e2 messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Puo2 avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servi- zio delle altre forze. V'e2 una minaccia di questo genere in aria. Ne seguira2 una grande ricchezza... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sara2 occupato da un uomo. Chi ci guarira2 dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco! Ma non e2 questo, non e2 questo soltanto. Qualunque sforzo di darci la salute e2 vano. Questa non puo2 appartenere che alla bestia che conosce un solo progres- so, quello del proprio organismo. Allorche1 la rondinella comprese che per essa non c'era altra possibile vita fuori dell'emigrazione, essa ingrosso2 il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte piu2 considerevole del suo organi- smo. La talpa s'interro2 e tutto il suo corpo si conformo2 al suo bisogno. Il cavallo s'ingrandi2 e trasformo2 il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sara2 stato e non avra2 mai leso la loro salute. Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'e2 stata salute e nobilta2 in chi li invento2, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre piu2 furbo e piu2 debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in propor- zione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha piu2 alcuna relazione con l'arto. Ed e2 l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra 388 la creatrice. La legge del piu2 forte spari2 e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni pro- spereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordi- gni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non baste- ranno piu2, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventera2 un esplosivo incorn- parabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esi- stenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' piu2 ammalato, rubera2 tale esplosivo e s'arrampichera2 al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potra2 essere il massimo. Ci sara2 un'esplosione enorme che nessuno udra2 e la terra ritornata alla forma di nebulosa errera2 nei cieli priva di parassiti e di malattie. 389